Come tacita candela,
piccola, di poca luce,
che si consuma vivendo appena,
son fin qui giunto…
E nascosto ho vissuto,
obbediente al morale consiglio d’Epicuro,
sempre in attesa nel mio cielo, del sole…
E sempre ad oriente ho guardato
e pregato e pregato, meschino!
Che illusione e quanto amara!
Ma lo è pur’ora?
Nulla o troppo m’è accaduto!
E ho pianto sai, dalla marea
del male raggiunto…
E faticoso è ora l’ansimare tardo
di questi miei giorni brevi.
Tutto è finito, e vanità la mia vita non era,
forse nel ridicolo e nel motteggio!
E nel lavoro non considerazione attenta,
non ammirazione, ma piuttosto
fatua gloria tra quei dotti.
Eppure bella era quell’opera,
vagheggiata sanatrice del male d’oggi,
anticipata in quegli algoritmi novelli,
ma, proprio come nei miei sogni,
creduta efficace, non teorica solo!
E ho tentato di concretizzarla, disperato,
tra l’incomprensione e l’indifferenza dei più…
Ma appena lontano, oggi più nessuno ne ha cura,
e nessuno più conserva le mie carte
e le completa. Sì, la rinomanza mia
è stata proprio ombra e d’un attimo!
Vero è, l’oblio preme
ancor prima della morte!
E qui solo vociare, forse pettegolo,
e mi stordisce malevolo,
e questa folla tutta di ilari mi pare…
Ma gli occhi tuoi non mentono,
parlano per te, fattati afona
di fronte a tanta amarezza,
e mi dicono: ma tu hai me!
Sì, tu hai tempo per me e voglia di me,
tu cura ne prendi e delle mie pene t’importa!
E allora è vero, tu solo sei il sole
atteso di questa storia.
Sì, nell’umile nascondimento,
l’humus di travagli tanti
e disperazione e notti fredde,
me, seme, ha fecondato e per te,
ché, venuto fuori, me, pianta,
riscaldassi, provvida.
E io sto bene con me stesso alla tua luce,
posso lavorare e pregare e amare.
Sì, vivo d’amore e del tuo solo!
E tu sei la dolcezza di questa vita che resta,
che men bella non è di quanta ne ho vissuta.
Sì, dulce vitae amor!
E tu già perla la vuoi
per la margherita celeste,
ché proprio attende la madre cara
e incastonarla di noi vuole!
piccola, di poca luce,
che si consuma vivendo appena,
son fin qui giunto…
E nascosto ho vissuto,
obbediente al morale consiglio d’Epicuro,
sempre in attesa nel mio cielo, del sole…
E sempre ad oriente ho guardato
e pregato e pregato, meschino!
Che illusione e quanto amara!
Ma lo è pur’ora?
Nulla o troppo m’è accaduto!
E ho pianto sai, dalla marea
del male raggiunto…
E faticoso è ora l’ansimare tardo
di questi miei giorni brevi.
Tutto è finito, e vanità la mia vita non era,
forse nel ridicolo e nel motteggio!
E nel lavoro non considerazione attenta,
non ammirazione, ma piuttosto
fatua gloria tra quei dotti.
Eppure bella era quell’opera,
vagheggiata sanatrice del male d’oggi,
anticipata in quegli algoritmi novelli,
ma, proprio come nei miei sogni,
creduta efficace, non teorica solo!
E ho tentato di concretizzarla, disperato,
tra l’incomprensione e l’indifferenza dei più…
Ma appena lontano, oggi più nessuno ne ha cura,
e nessuno più conserva le mie carte
e le completa. Sì, la rinomanza mia
è stata proprio ombra e d’un attimo!
Vero è, l’oblio preme
ancor prima della morte!
E qui solo vociare, forse pettegolo,
e mi stordisce malevolo,
e questa folla tutta di ilari mi pare…
Ma gli occhi tuoi non mentono,
parlano per te, fattati afona
di fronte a tanta amarezza,
e mi dicono: ma tu hai me!
Sì, tu hai tempo per me e voglia di me,
tu cura ne prendi e delle mie pene t’importa!
E allora è vero, tu solo sei il sole
atteso di questa storia.
Sì, nell’umile nascondimento,
l’humus di travagli tanti
e disperazione e notti fredde,
me, seme, ha fecondato e per te,
ché, venuto fuori, me, pianta,
riscaldassi, provvida.
E io sto bene con me stesso alla tua luce,
posso lavorare e pregare e amare.
Sì, vivo d’amore e del tuo solo!
E tu sei la dolcezza di questa vita che resta,
che men bella non è di quanta ne ho vissuta.
Sì, dulce vitae amor!
E tu già perla la vuoi
per la margherita celeste,
ché proprio attende la madre cara
e incastonarla di noi vuole!
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