domenica 29 settembre 2013

Parole afone







Quando qui scende la sera, sale dal mare fresca la brezza e corre tra gli alberi antichi il soffio suo e le foglie fa tutte canore. E a far melodia non diresti che alcuna inessenziale sia. Così io, quasi piccola foglia gemmata sull'annoso albero della vita, cui ormai debole legame mi lega, ché tante le altre foglie venute e poco m'indora ormai la luce, sento la precarietà tutta del rimanere a questo mio ramo appiccicato. Ma come quelle del bosco tutte tremule si fanno, contribuendo alla canzone del mare, così l'anima mia, come mossa da invisibili dita, sta con quelle sollecitate dall'amor tuo a far armonia della preghiera loro corale che a te va, sole calando, inebriandosene loro per prime. Sì, è l'ora delle anime, che accorate ti sospirano, affidandoti la loro speranza d'amore. Ecco, i miei sogni tutti coagulati si sono su piccolo amore. Tu entrar vuoi in questo unico mio sogno per vederla con gli occhi miei e anche del mio amore amarla, e finalmente dirle, forse solo con essi, tutte le mie parole mai pronunciate. Tutte quelle che il suo cuore intuisce e tu anche così per esso sai, ritenendo ingiusto che restino taciute. E forse vero ella palese le attende, me lo dice il suo ormai raro sorriso, e come se la vita, quasi tutta con me, delusa un po' l'avesse, gli occhi che le tradiscono, velandosi, la tristezza, che in sere come questa, forse l'anima sua prende, intrisa della stessa melanconia cui tutte le cose, ormai stanche, arrese, assopirsi sembrano. Ma forse solo da te ormai le attende e potranno essere solo afone, come afono tenta comunicarle il mio cuore, ma se da te, vero capite saranno e forse le inebrieranno il cuore come fa all'anima mia questa brezza dal mare salita. Dille per me, No, la vita tua sciupata non hai, tu hai amato!

martedì 24 settembre 2013

Candida la sposa va







Come va la sposa, bella nel suo candore ritrovato, a far promessa di fedeltà nell'amore dovuto a chi il suo le abbia offerto, così di simile vorrei saper fare a voi due, ché l'amor vostro divino, come luce fa improvvisa dai nembi, la via mia, che con questa dolce compagna percorro fidente, lampeggiando, m'ha indicato slargandomi il cuore, che da molto alla pace vera anelava. Dove tu mi guidi ora, insieme a questa donna fiduciosa vado. Ma qui io vorrei che quanto dico per amore sia rivolto anche a quelli che altra fede hanno e che mai dirò infedeli, convinto che molti ci siano di noi migliori e più vicini al dio. Io convincere d'essere nel giusto perciò non voglio, ma mostrare l'alternativa, che suggerito avete con la venuta vostra tra noi, al male dilagante che sempre si rinnova. Perché è di oggi notizia di nuovo eccidio in Nairobi di gente ignara, sembra di altra o nessuna fede per gli assalitori, ma anche di bambini, innocenti come alcun altro può esserlo. Allora non ai buoni, ma ai deviati dalla loro fede vorrei saper dire.






Prima però occorrerà che mi chieda, di ciò che accade vero non v'abbiamo colpa, cioè solo candide vittime siamo? Non hanno taluni cristiani, vere meretrici dell'amore, come altro potere agendo, gravato di più il popolo succubo e credulone, nei secoli fino all'oggi più scaltro e disincantato, e così contribuito alla degenerazione, che rabbia fa da sempre ai veri pii, con l'indegnità loro? Non si sono forse accordati perfino col Mammona? È vero, ma è per questo che dobbiamo tornare all'originario e unico maestro nostro e non ascoltare i parolai dell'amore, a quello che ci ha raccomandato e forse, rinnovati, anche l'odio, sempre ingiusto però, verso noi s'attenuerà o svanirà con speranza di rispetto reciproco... Penso ora anche a quello che i cristiani subiscono in Pakistan, in un mare di ostilità, là forse solo perché diversi. Allora che dirò? Se è vero che l'umana convivenza spesso si fa sospettosa e riemergono antiche rivalità separatiste, se chiaro non si pratica la legge del perdono e dell'amore, noi ci vedremo non gente, non popoli affratellati, come l'unico padre certo vuole, ma in accozzaglia di lupi mutati. Cos'è che tutti palpitare fa in un mare di luce, se non la fede? E che è la fede? Vorrei saperlo dire ai fratelli tutti, anche a quelli, insensati certo, che nel nome forse del loro dio feroce, non del vero, che essi solo fanno qui esistere, continuano a uccidere. La ha solo chi vive perdonando ed amando, ché niente fa miglior condotta di vita, e uno, almeno uomo santo, è venuto a dircelo, con la madre sua diletta e ha sofferto dai malvagi testimoniandone la validità, come verità senza tempo e luogo e gente, tutti potendo convincersene e far propria. Ecco, per quanto siano state vaghe e insondabili nei millenni la volontà e l'attesa dall'umanità sua del dio, una madre col figlio suo l'ha manifestata chiara e chiunque esclude da sé la norma dell'amore, credo s'allontani dal dio vero più di quanto lo sia il cielo da questa terra amara e selva oscura di belve resa dai fanatici tutti, quale il loro deviato credo. Quelli che non capiscono che il male dilagante in questa società umana, certo corrotta ed edonistica, dominata dal dio denaro, non si vince con altro male. Così si scava l'abisso per sé e tutti, da cui perfino al vero dio misericordioso difficile sarà liberare e rinsavire vittime e carnefici. Ecco è vero, qui si lotta per accaparrarsi posti di lucro, di prestigio e di comando, per farsi avanti e avere ingresso sicuro alle classi dominatrici dei senza dio, anchilosati nell'egoismo loro, che arraffano onori e compensi, mentre quasi sempre è gente indegna di una qualche lode, ché calpestato ha nell'ascesa frenetica i fratelli tutti. È giusto averne sdegno, ma se a un tale, uomo o donna, si vede in volto diaccia la morte dell'anima sua, non è giusto anticipargli la fisica! Nessuno, nemmeno il più virtuoso può farsi giudice del fratello, il dio solo sa quando prendere una vita, anche la più sconsiderata e orribile! Solo il demonio gioca a scimmiottare il dio! È solo l'amore, preceduto dal perdono che può ancora sperare in un ravvedimento e promuoverlo. Quel peccatore palese non lo avrà? Noi, che crediamo di peccar meno, forse non abbiamo per lui pregato e sofferto abbastanza! Lo attenderà un altro più arido esilio. E noi? Preghiamo la misericordia divina di non veder nulla di simile! Sperare, sempre sperare occorre per finalmente poter dire, “Erravi sicut ovis”, ma obbediente all'unica legge tua, l'amore nonostante, t'ho al fine trovato, e l'angoscia mia e l'ansia tua d'avermi, estinte ora sono, o solo dio di tutti! È giusto però anche difendersi da chi belva a noi voglia farsi, pensandosi superiore ed esente dalle nostre debolezze, egli, che uccider vuole, si macchia di un peccato ben più orrendo di quelli che a noi attribuisce. Ma mai offendere, mai prendere l'iniziativa, mai anticipare la lotta, ché noi siamo quelli del perdono e dell'amore, e solo la difesa proporzionata è giusta e la oculata prevenzione del danno agli innocenti, bambini, donne, vecchi. Abbiamo fatto professione aperta di giustizia e questa vuole il bene, la gioia per tutti, non appunto il danno, non l'offesa, non la morte! Occorre farsi operatori instancabili di bene, solo così la si ama e nostalgici si può essere della vera patria intravista, e si può riattendere fiduciosi il ritorno palese e in gloria dell'unico dio e per noi anche della madre sua, ché altra verità non c'è, e mai niente più ci sarà raccomandato di più sublime e niente più così paziente sarà del suo ripetere da sempre a sorde orecchie, “ diligite inimicos vestros” , il solo comportamento che permetterà l'ingresso nel cuore suo, con vita novella, sicura da questo male immane, che fa questo mondo. Amarla si deve questa verità e la si vedrà ogni giorno più bella e più grande e ai soli che capirla possono, s'impenneranno le ali, gli altri attender dovranno il perdono degli offesi e da essi, i soli ascoltati, l'amore implorante per loro la misericordia del dio, che certo verrà per una umanità rinsavita, liberata dalla suggestione del male, se non qui nel mondo nuovo sicuro. Altro non so e pregherò sopratutto per quelli dalle orecchie dure, che sentir non vogliono, e i più sono tra noi! E forse anch'io così le ho! Qualcuno preghi per me!










E sì, va la sposa bella nel candore suo...Attende solo bene e l'avrà da chi sta per prometterle di amarla e volerla la vita qui durando, e oltre, come il dio vorrà, e io promessa a te rinnovo. Non hai, cuor mio, il cuore tuo a questa donna prestato? E a te dicendo non è anche a questa che dico? Ci attende solo amore, povero, contrastato qui, ma sublime di là dove sarai tu, bella sposa!

venerdì 20 settembre 2013

L'amore balbettato







Ripeto spesso di sentirmi una nullità. Perché lo faccio, forse ché dolce è sentirsi comunque amati? Vera o presunta questa bassura psicologica, ne ho un vantaggio. Da essa ti invoco, ché immedesimarmi posso in chi forzato è nella sua, perché il male ve lo ha spinto. Quando poveri si diventa di tutto e di ciò con cui una vita protegge se stessa, e niente conforto, né parola amica e tu sembri ancora più lontana! È una penosa sensazione di incapacità a venirne fuori, apparente mancando aiuto da te perfino, ché pregare nella disperazione fa ritenere inadeguate tutte le parole, che inutili si fanno e vuota ogni preghiera formale. Dopo un po', anzi, niente più fuori vuol venire, e bassi si fanno gli occhi di chi questo subisce, quasi vergognosi di aver chiesto, ché non si ha più speranza e, sentendosi abbandonato, s'acuisce in lui la motivata tristezza, che non è contingente, ma si radica, fa cespo scuro in animo tanto provato. Perché la desolazione anchilosa lo sventurato, lo fa inerme, esposto a ogni insulto dal male ed egli ne ha coscienza e paura...Oh veramente povero chi su sé sperimenta il dolore d'avvertire inutile perfino la preghiera, ché nella disgrazia tutti stanno a guardare altrove e si teme anche il disinteresse tuo, se la risposta dal cielo, in cui la disperazione ti relega, tarda! Io mai ho vissuto tanta radicalità, ma mi ci sono affacciato e tornare da quel confine è stato ben penoso, ché nessuno m'ha detto, Ecco fa così e ti sentirai meglio! E accanto ho avuto questa donna, che tanto non espresso m'ha letto dentro, m'è rimasta vicina, ma tanto discreta, come in un cantuccio e senza osar parole, timorosa della nostra sorte e del nostro amore, eppure fidente e vista l'ho porgermi la mano sua piccola e sicura, come volesse dirmi, vivi per me, vivi di me! Cos'è che donna spinge a far così, la pietà per il maschio suo scoperto pur fragile? Penso invece derivi da una ricchezza interna al loro mondo tenuto celato e da insospettata volontà e che in speciali occasioni s'esaltino e venir fuori vogliano e agire, specialmente se amor le spinga. E quanto allora più sono le risorse tue! E io non per me chiedo la mano tua soccorritrice e amica, ma per quelli che più di quanto io abbia fin qui pianto, piangono vessati ora, ché pur sempre qui sono solitudine, precarietà, miseria, malattia! Ecco dalla mia nullità pur viene del buono, una positività mi fa dentro, capire, immedesimarmi nelle vittime del mondo d'oggi e dalla fiducia nell'amor tuo chiederti per loro, forse così imitando la donna mia, che certo lo ha fatto per me nei miei tanti momenti bui. Ma a volte tanto rattrappito, tanto chiuso in me mi sento che quasi ho vergogna che dalla miseria mia ne venga scialba preghiera, come se solo balbettare ti potessi, timido bambino tornato di fronte a tanto sentito compito, vicariarti la necessità, l'urgenza d'aiuto dei tanto meno fortunati. Eppure è bello il babillage dei bambini con cui essi esprimono il bisogno di confidenza con la madre loro e di protezione! Ecco ora quant'è dolce lo stare nell'amore di vere donne, vorrei saper dire... E come m'accade? La preghiera in alto ti vuole, e supplice vuol essere, e la cattivante lusinga par non disdegni, mentre quest'amore piccolo e solo umano mi ti fa avvertire in basso accanto a me, ché in questo cuore che mi palpita tanto vicino, sicuro sei e ti bastano sincere parole di comune umanità e perfino i miei silenzi o il mio babillage di eterno bambino. Non parli forse, sorridi o piangi col linguaggio di questa donna? E non è forse l'amore tuo che aumenta il suo? E non è a lei che mi stringo se paura rinnovata ho da questo mondo? Tu la esorti a darmi sicurezza e ascolto e a volte, proprio come te, ella non parla, eppure mi rassicura, come o madre io la veda o lei il suo bambino. Forse che troppo cresciuti siano i figli suoi? Ecco il tanto che ho da questo sentirmi misero, ma dell'amore di due donne fidente! Sì, rimango talvolta in questa mia età da tristezza vinto, anche immotivata, e mi ci sento stretto, chi m'aiuterà a fuggir via? Ma tu, anzi ma voi amate anche quelli come me, che bambini vogliano tornare ad essere e balbettino al loro amore e quello capisca il non potuto bene esprimere e provveda al richiesto, anche se tutto taciuto! Così m'accadeva con la piccola Or, talora il mio dire rotto era dall'emozione d'averla tanto vicina... Era allora che ella parlava per tutti e due e le sue belle favole diceva, da piccolo cuore venute. Allora fa così per me, trasmetti la richiesta mia accorata e balbettata al figlio tuo. Ecco digli, Fa per questo così, e per quell'altro più ancora... E sai bene che e a chi specialmente io pensi! Intanto come saprò che m'annuisci? Fallo ancora e ancora per la donna mia, la Or mia di sempre, la sola da tutta la vita, a cui da sempre balbetto amore! Se della tristezza mia l'amaro non assorbirà, o vedendomi più sereno alla rassicurazione che sempre accanto l'avrò, sorriderà o riderà per un nonnulla, come accade a donna spensierata o lo farà delle piccole bagatelle che fanno sapida la vita a due, allora capirò che è il tuo sì!

mercoledì 18 settembre 2013

L'amore ritrovato







Se dolce è innamorasi di donna, più lo è scoprirti nel cuore! Qui simulerò di perderti e ridirò la gioia del riscoprirti.





Se ora certezza avessi che solo un sogno fin qui sei stata, pur questo ingenuo cuore ringrazierei per avermelo fatto così tanto durare, avendolo vissuto nella pace un po' e in gioia talora, sempre consapevole della unicità e preziosità sue. Solo ne avrei rammarico di non averlo condiviso con molti altri, ché d'analogo ne vivessero, anche per la vita tutta, con quelli che amano. E poi alle antiche immagini, che in sogni da sonno venuti, mi t'hanno fatta vedere, direi, Tornate, ché ancora veda l'illusione mia, tanta dolcezza mi dareste ancora! E a questa fin qui creduta tua icona, per la quale da ora in poi forse solo vivrei, per illuderla d'amore, per darle comunque un po' di felicità, Sai, direi, da dove prende l'amor suo il tuo cuore, sì, da dove l'attinge, se tutto è apparenza e inganno? E forse ella risponderebbe, Dal cuore tuo! Sì, forse ella lo vede con occhi restati puri, come un fiore che dischiudere ella solo può al suo calore, all'alitare suo, come quest'ultimo sole fa baciando le corolle dei rari ormai fiori di questo chinale, chiusi e tristi al mattino, il capolino chinato dal freddo notturno, quando li indora e li riscalda... E cos'altro ancora potrei dire di te, di questa donna e di me, poco o nulla rimasto dell'antica dolcezza? Che trarrei per noi tre da questa triste possibilità in cui spingermi vuole il dubbio di correre vano, che talora m'assilla? Perché tu votata, impegnata qui sembri a che l'umanità sia salva, mentre singoli continui a perdere all'amor tuo rubati, immane questo male! Ecco qui due che perder potresti, esso vincendo, eppur s'amano, e non sembra bastare! Facci vivere allora tutto l'amor tuo, qui fosse pure solo una nostra illusione, perché sicuri si credano nel tuo, e riposino questi nostri provati cuori! Ecco che ti dico, ma questa temuta vicenda ora tutta vivendo come vera e attuale sia, che vi aggiunge dalla sopraggiunta completa incredulità? O dolce illusione nel meraviglioso mondo nostro di due, di questa mia donna e mio, volto t'abbiamo dato e nome, che angeli esistendo invidierebbero, ti prego rimani! Così mi vedo invocarti, anche se ormai certo che sentirmi non puoi. Sì, tu forse andar via hai voluto da una mente tornata tutta razionale, avida di ciò che solo provar può o che sappia da altri provato o sperimentato. Ma questa che cosa deduce, mi chiedo simulando avvenuta la perdita tua, da che le conclusioni sue, solo da postulati freddi e aridi che ti negano ormai? Sì, essa mi suggerisce, vivi senza la bella signora, vivi senza il dio, illusione, nient'altro sono! E se, così vero tentato, pronto sia a cedere senza sofferenza, non so, solo immaginando l'accaduto, perché vero temo allora s'inaridisca ogni altro mio affetto e interesse, e non senso divenga perfino il brillio degli occhi della donna mia in una notte di stelle, tanto amati! Ecco io già mi smarrisco e immaginare altro non vorrei, eppure continuo! Eccomi a quando la mente morendo, la vita, restata dalla certezza che tu non sia, vissuta tutta umbratile, mi porterebbe in un ultimo sogno per illudere se stessa di luce ancora e calore, allora forse tu torneresti, sogno suo pietoso, e vedrei me stesso seguirti amoroso di nuovo, “in odorem unguentorum tuorum”, e tu negarti e nasconderti in un eterno gioco d'amore, finché, raggiunta e in questa mia donna mutata, amore ad amore rispondessi! Ecco vero è, io viver non so senza te e senza questo piccolo amore che ti vicaria e proprio questo descritto vorrei come ultimo dei sogni miei, concesso, “mortis in examine”, dalla mente mia, che più ad essi non credesse! Ecco la mia bella morte anticipata, il mio andar con un'ultima illusione nel nulla! E se a queste, e lo dico con paura, conclusioni questa mente, tanto acuta e stupida a un tempo, pervenisse davvero, ecco sappi invece che io più viver non vorrei, ché niente è la vita senza quest'amore terreno, e senza te! Ché forse l'una perdendo, anche l'altra perso avrei! E dico, È qui la presenza tua solo un mito, stai tra le stelle? Sia, lasciati prender tutta da questo cuore, lasciami di te vivere, lascia che tu esista almeno per i sogni miei, sì, qui torna e vivi di me! La mente mia dai tanti studi e razionali congetture ed elaborati ha solo aggiunto stupidità alla sua di fondo, e dolore a questo cuore. Nemmeno schermo m'ha fatto all'invidia e alla malizia, che la stupidità diffusa di continuo fa sue qui, il male accrescendo. Ma fatto l'ha questo piccolo cuore di donna! E io di più saper non voglio, e solo che di sé mi illuda chiede il mio, ché se di sé vero così fa pietoso, è tu che lo fai della presenza del tuo illudendomi, che messo avresti nel mio. Dimmi, pur l'interroga questo mio provato cuore, da che ti viene tanto coraggio e forza! E mi risponde, dalle orecchie del mio intesi i palpiti suoi, Dall'amore! Allora pur c'è! Mi grida dentro! Ma dov'è? Eccolo qui in questo cuore, eccolo là, perché altri pur ne vivono! Sì, in questa o quella persona, ché chi vi crede, ne vive e ne fa vivere! È come il bello o il buono, qui rari. Dove e chi li ha? Ecco, qui in tempo di primavera la radura si copre dapprima di fiorellini bianchi di asfodeli, e ondeggiar ne vedresti, vero qui venuta o portatavi da questo cuore, tante infiorescenze, e così cullarsi alla brezza dal mare, e tu forse mi chiederesti, Da dove viene tanto candore, forse dalla triste, nera terra? Così l'amore, non è da questa, io ti risponderei, ché sprovveduti piedi, tanti, la calpestano e la rendono più dura, arida, incapace di esprimere alcunché, sì con l'inutilità degli irrequieti passi loro, non stelo verde, non fiore alla sommità sua, da essa spunta fuori a significare amore a chi sognarlo può...Ecco, l'amore è per me questa piccola donna, l'arida sterile terra se l'è lasciata sfuggire... Se questo, che sa ben esprimermi, è l'amore, io lo vedo, lo sento, lo tocco! E quanto a me viene da questa, fa il tuo stare per me qui. Io altro non so e, imprigionate in questo cuore, più non vi lascerò uscire, troppa tristezza troppo dolore, perdervi! Poco importa se il tempo prender le vuole la bellezza esteriore, con quella di dentro, dalle tue stelle donata, perché tu viva nel suo cuore, esso la stessa fortuna non ha! E io davvero altro non so, vivo di questa donna, vivo d'amore, vivo di te! Sono solo un piccolo insignificante uomo, che l'amor vostro fa vivere! Tu ti lasci vero qui esistere per la gioia di questo nostro amore, e vivere vuoi di noi, dei sogni nostri, ecco quanto grande è l'amore!

sabato 14 settembre 2013

I debiti della signora




Come quando a primavera vedi questa radura tutta di verde novello coperta, che poi pian piano tutta s'infiora e te ne fa maggior gaudio, di simile t'accade quando di scuola vedi uscire al suono della campanella, prima pochi, poi numerosi bambini che sulla via si riversano a farla rumorosa e variopinta tutta. Sono impressioni, estasi d'attimo, ma poi, è esperienza mia, l'animo ne resta a lungo impregnato e più benevolo e tollerante ne diventa l'atteggiamento e la risposta verso cose, fatti, personaggi del quotidiano per quel che sono e valgono, molto, raro, o poco, per lo più. Tali infatti le impressioni che ne riceviamo, che ben pensiamo la personalità nostra, la intima, più geloso debba restar custodita e rimanere celata con le vicissitudini sue e i suoi sogni, affinché nulla trapeli all'incomprensione spesso, se non allo scherno e al dileggio talvolta, della volgarità qui diffusa. Molto diverso è il mondo dei bambini, molto diversa la recezione loro dei fatti, anche i nostri. A loro par sempre poter correre un prato fiorito o a frotte dalla battigia far tutti insieme spumeggiare l'acqua con cento grida di festa al tempo della stagione bella, come certo accadeva all'epoca dell'infanzia mia quando al fischietto della monaca, tutti del gruppo si precipitavano in mare. E che ci trasmettono, cosa insegnano? A guardare il mondo con gli stessi lor occhi, puri! E si dice, ma ben lo possono, ché poco conoscono e di tutto paiono fidarsi, perché ignari della malvagità, quella celata anche dalla mediocrità! Ma non è così, percepiscono bene il mondo nostro e sanno il ruolo che vi svolgono, la mente sveglia è, ma mancano di tutti i nostri pregiudizi e le nostre riserve su gli altri, che possiamo anche giustificato fare, vista la condotta loro, invece essi sono liberi e disponibili sempre, a comprendere, scusare il comportamento degli adulti anche verso loro stessi, e perfino a dar loro oculato consiglio. Ecco, ci assilla un problema, è stupido pensare che i nostri piccoli non lo percepiscano nell'assillo suo e non lo capiscano, ché possono perfino essere buoni consiglieri, se sappiamo porgere i termini di quello e l'apprensione nostra, con linguaggio essenziale e preciso, sapendo parlare con intelligenza, semplicità e purezza ritrovata a chi aperto è alla verità e suoi valori, senza i pregiudizi morali nostri, con i quali spesso mal giudichiamo e operiamo, e rimediar vogliamo a quel che ci capita, sempre da sprovveduti, in un ambiente giudicato di troppa malizia. Eppure questo mondo, che vive accanto e nel nostro è transeunte e talvolta non viene gradualmente dal nostro mutato e assorbito, ma vi viene costretto, deve identificarsi, ché eventi catastrofici ve lo forzano, guerre, sconvolgimenti economici, diffuse malattie, tutte manifestazioni di questo male imperante. Tutto come quando tramonta il sole, e, come l'astro declina, si fa urgente la necessità della fuga e del cercar rifugio per molte vite di piccole e più grandi creature, accomunate dallo stesso destino in questa boscaglia, che per lor pericolosa si fa, ché viene la notte!





E non meno atroce è il male quando un singolo piccolo coinvolga. Ecco tu ne vedi ora una madre al tempio tuo, venuta a questo santuario, quasi a mezza costa sulla collina delle passeggiate mie, avida di compassione, ché le grida dentro la preghiera, che forse da lungo ti rivolge, ma le punge necessità di ripeterla qui, forse sperandola più diretta. È giovane donna, resta dapprima sul limitare della soglia, incerta, poi sospirosa e tremante va decisa all'icona tua...e t'implora desolata, ma fiduciosa, Signora, abbi pietà di mio figlio! Mi par ti mormori. E io che di simile ho fatto, ti chiedo, Dov'è il figlio tuo, che sciolga chi legato è al tocco del dito intinto nella saliva sua? Digli, Ecco qui uno che vuol essere la tua saliva, non potendo essere il tuo dito! Eppur ci deve essere una risposta dalla misericordia divina, ché più amara, anche per una annunciata morte sola, si fa la terra, tutta triste, muore un bambino! Se lui assopito s'è, necessario è si svegli! Non sarà all'orecchio suo attento, ugualmente bello il vociar di bambini nel loro gioco se mancherà anche quell'unica voce! Non piega a sé l'amore ogni cosa? Pieghi ora l'infame male, quello che prender vuole quella vita! Ma questa madre continua la preghiera sua incessante, penosa, lacrimosa. Perché è certa d'ascolto, solo perché ti sa buona? Forse anche sa, intuisce che ella stessa sei tu, ella geme e tu stessa gemi veracemente, muore il figlio suo, è il tuo che sta morendo di nuovo! Ecco quanto io mi senta prossimo a questa madre, sto, ora quasi appiattito, rannicchiato, più discreto ancora, perché coinvolto, nella penombra del mio cantuccio, e a recitare stavo le mie cinquanta ave, ella accorta non s'è di me e siamo i soli oranti nella piccola chiesa, vuota al mattino cessata la funzione, e ora seguito piano piano a pregare, ma per lei, e tutta dentro si fa la mia preghiera... Ne accolgo tristezza e pianto, sì, la mia preghiera si fa tutta per lei, è mia ora l'angustia sua! Ho già vissuto la stessa pena e questa mia piccola donna ha fatto, come ella ora fa, di più. Tornato a casa le dirò la mia occasione di pianto di questa mattina, capirà la tristezza che certo mi durerà! Anche solo partecipando al dolore d'altri aumentano i crediti d'amore presso il dio! Pagherai già qui i debiti tuoi, mia signora?

mercoledì 11 settembre 2013

Paure, speranze







Questa nostra vita, sempre in balia di paure e di speranze! Sì, tante le cose sfuggono alle nostre previsioni e al controllo ed entrano nell'incertezza e rivelano la nostra insufficienza e fanno apprensione, ansietà, ma pur nella precarietà, le belle, pur effimere, sempre sono riattese. Sai chi merita per me il massimo rispetto? Chi vive da molto in sobrietà. Ha vissuto nonostante, nella paura del minaccioso, forse solo tale rimasto, e nella speranza di ciò che forse mai è venuto. Egli sa cos'è vivere fin dalle difficoltà dei primi suoi passi e delle parole scambiate, e dai primi rari piccoli successi, con la speranza di ripeterli o averne di più grandi. Ha forse per noi solo patetici consigli, invita, col significato della vita tutta, a un pur moderato stoicismo, ma conferma in sostanza la tragicità dello star qui pur sotto a miriadi di stelle, che invitano al sogno e a sperare possibile viverlo! E gli altri che fanno per noi? Non accrescono forse la nostra paura? Cercano di liberarsi delle loro paure e hanno così potenza di accrescere la nostra, rinnovando, acuendo il già presente in animo provato, o inducendovi dell'altro a far incertezza e scompiglio. Ecco noi continuiamo ad anticipare il danno, eppure ci dai del tuo amore, molto anche se poco ne avverte cuore distratto! Cos'è poi la auspicata vita d'un uomo? Passare dalle braccia materne a quelle di simile affettuose di altra piccola donna, che ci facciano sentire la protezione, il calore delle tue! Fanno concretezza, conforto, sono braccia di donna! Ma come è instabile la tristezza vissuta che fa la paura, pure lo è la gioia attesa che fa la speranza. Sentimenti, passioni dalla fragilità che ci portiamo dentro, vengono, s'avvicendano, tentano di coesistere, si distruggono, si rinnovano. Sì, tutto passa, cose belle e brutte e i sogni pure, cose credute vere, valori scemati nel nulla, attese disilluse, e ci lascia nello sconcerto, smarriamo il senso di questa vita! Perché star qui, a che scopo ancora, quello che è ora, passerà e non sarà più nulla, e quello che fa sicurezza mostrerà quello che in fondo è, illusione! E l'amor tuo, dolce trasmesso da chi ti vicaria? È e sarà, da celare nel cuore ché nessuno lo invidi sciupandolo, finché ci sarà la presenza o il ricordo delle braccia che hanno accolto questa nostra insignificante vita, facendone un tesoro! E la vita trascorsa? Ricordo che, ragazzo, nessuno avrebbe potuto sapere da chi provenisse l'invito alla condotta di vita che ci accomunava, era come sospeso nell'aria, aveva certo premesse, ragioni oggettive, ma riposte, non certo suggerito dai nostri adulti. Essi di tutto preoccupati, non solo del presente nostro, non solo del futuro che veniva rapido e tutti avrebbe trovato impreparati, noi senz'altro, impegnati in solo giudicati stordimenti per non lasciarci sfuggire l'adolescenza, loro impreparati al mestiere di vero responsabili adulti, ma quel modo di stare al mondo c'era, diffuso, tutti noi disposti ad adeguarci, a recitarlo, forse male e con disappunto dei non più giovanissimi, ma come in una scena, in cui però gli attori tutti non abbiano che una parte e a quella si attengano. Era lo star dietro a certi comportamenti e non si poteva che assumerli, imitare, far quello che altri faceva e invitava a fare e sorvegliava lo facessimo, pena star fuori dal gregge, la solitudine! Continuano oggi certi apparentemente suadenti inviti, ma più non ne siamo sensibili e non sono rivolti a noi, l'età ci esclude, e non sentiamo più la necessità di atteggiarci, vestirci, dire, preferire, imprecare a un certo modo, o anticipare la dissoluzione della mente, pur di non più sentir paura. Adulti ora siamo, quella è restata senza l'illusione di poterla vincere e parla ancora pur senza parole e non si tacita mai, né l'hanno esorcizzata le abitudini del passato, lo stordirsi in assordanti raduni, o le polverine, quanti abusi per una sola fragile vita! Ora non ci crediamo più, né forse ieri, ma almeno non eravamo soli, e pensavamo, Tutto ha un prezzo lo star tra gli altri pure, è seguire, ripetere, imitare l'apparente libero comportamento di tutti! Libero da che? Non certo dalla paura! Forse solo accantonata, assordata, tacitata, relegata in una latebra, ma da lì sempre in agguato, pronta a venir fuori. Ma via la paura, via pure la speranza! Abbiamo vissuto senza speranza, nell'oggi piatto, senza attenderci nulla, senza vero personali sogni! E sempre più fragile s'è fatto l'animo, incapace oggi, in quello che pareva futuro lontanissimo, di controllare la propria esistenza e la vita ci ha lasciati ancora soli! Ci hanno rubato la fiducia in noi stessi, ci hanno mortificato la gioia dei sogni, dovendo vivere solo alla loro maniera, e ci hanno lasciati pur soli! Chi? Sempre e solo gli altri? No, anche noi stessi responsabili, troppo deboli, tra altri, deboli allo stesso modo o più ancora, ma con la forza del gruppo! Siamo sopravvissuti a questo disordinato passato, ma ne è valsa la pena, visto il presente, che non fa presagire futuro migliore? Ma pur c'è una positività nel vivere quest'oggi. Siamo più saggi, anche se forse più tristi, troppo spesso vinti dalla noia! Solo ora siamo in grado di apprezzare il consiglio di Seneca, non preoccuparsi di ciò che non è ancora, forse non sarà, ma, accadendo, avremmo il tempo per rimediare! Perché non abbiamo vissuto così? Perché qualcuno non ci ha trasmesso questa antica saggezza? Ma non serve disprezzare le vecchie abitudini, oggi viste palesemente grossolano errate, il nostro e l'altrui passato, non ne abbiamo il diritto! Non possiamo odiare nessuno, tanto meno noi stessi! Amarci anche nella immagine della stupidità è difficile, come anche semplicemente tollerarne il ricordo, non più che cercare del buono in chi il nostro tempo ci propone, vivendo il nostro mondo, e nemmeno nelle cose dell'oggi, non meno ingannevoli delle passate, buone solo a farci ancora ansia! Almeno tacitata un po' la paura, è tornata la speranza! Proprio benevola e benefica? Io solo so che vi abbiamo affidato le sole cose che ci sembrano meritorie, quelle da quest'amore, che ci viene da piccola donna, sì, da questo tuo amore! Ecco in esso il nostro presente nelle mani sue affidato, ecco il futuro almeno immediato, condivisi i suoi sogni, e non c'è menzogna nel nostro mondo di due, forse solo, ma sincero vissuta, illusione. E poi, non c'è oltre e dopo il buio? Ma per poco, ben albeggerà, ecco la fiducia del credente, e la novella aurora parlerà, dirà con le sue parole di luce alle nostre avide orecchie, quelle di noi poveri cuori amanti, che tu vero sei e noi saremo perché tu lo vuoi, insieme ancora, liberi finalmente da paura, speranza e ombre loro! Sì, qui tutto fa dolore, paura e speranza! L'una punge nel presente, l'altra deluderà quasi sempre! Ma non quella che l'un cuore all'altro rafforza, vivere d'amore là dove nascono i sogni, sì, con te! Ma ora qui si fa notte ancora, ti prego tienici per mano!

domenica 8 settembre 2013

Somiglianze







Ma noi in che ti somigliamo? Posso tentare una risposta? Non certo nel soma, anche se le donne nostre viste sono icone tue, ciascuna conserva i tratti suoi, ma sono, da chi le ama, sublimati nella misura dell'amore che essi hanno per te! Ma qual'è la vera somiglianza, visto che capaci siamo di risponderti amore, poco o molto, per il tanto che da te comunque si riceve? In te c'è di specifico che ami nonostante il poco da noi ricambiato o del tutto negato. Sì, noi possiamo anche perfino farci nemici tuoi, negarti, disprezzarti con parole e fatti, e continuerebbe l'amor tuo e non ne pretenderesti ricambio, pronta a lunga attesta qui, o forse per averlo solo alle tue stelle, se mai prima ricreduti, ingrati ostinati rimasti, incapaci d'amare o te palesemente, o col dovuto a donne, che proprio noi, tanto indegni, pur amino, imitandoti! Tu coerente rimani al comando nuovo del figlio tuo per l'umanità tutta, d'amare perfino i nemici, t'è spontaneo, la mente dei pensieri tuoi gli hai dato e lui restituita te l'ha dei suoi pensieri divini stipata fin dal primigenio momento che nata sei dal figlio tuo! Sì, tu sei figlia del tuo figlio, ti riconosce il poeta nostro, ed è accaduto prima che tu qui gli dessi vita umana. E questa dell'amore comunque, a tutti i costi, mi vien fatto di dire, ora so, è la peculiarità che vi fa riconoscere persone divine, anche dai più sprovveduti, che, saputola, devono far di simile! Ecco la somiglianza vera con te di chi vi riesce, è facile, è arduo, si deve! E la coerenza qui col voluto dal figlio tuo, ha per te significato accettazione del dolore sempre, e all'epoca dei fatti lontani, terribili nell'epilogo, esserne, quando il figlio tuo fu ucciso, straziata. Tu gli hai dato la carne, tu gli hai dato la mente, e lui t'ha ricambiata con la natura divina, ché qui nata eri come semplice donna. Perché mi chiedo? Forse per farci capire che tu hai anticipato, premesso e poi anche completato con la tua, riducendoti a piccola misera insignificante donna, la spoliazione delle prerogative divine del figlio tuo e tue, possedute presso il padre vostro e di tutti, il dio! In te veramente il dio è in “ quarto particulari modo” presente, tanto l'amore per te, ben ha visto il santo tuo, amandoti! E ne sei ora indistinguibile, come lo eri prima della fondazione del mondo nel tempo! Chi appena ti intravede, è della presenza sua, del figlio tuo, che ha sentore, ché vedere appena di te anche solo con gli occhi del cuore, è vedere l'umanità sua e avvertirla sublime! E se questo è vero allora ben ha detto altro santo tuo, Non c'è più né maschio né femmina! Allora perché, mi chiedo, c'è ancora chi diffida delle donne e non le vuole tra chi perdona anche nel tuo nome, vicariando il figlio tuo? T'offende, ché tu sei tutta “pro foemineo sexu”? Forse! Ma tu della stupidità non ti curi e ami nonostante... E donne che amano il figlio tuo se ne sentono riamate per quel che sono per lui e per te. Tutte hanno di te molto o poco, e lo potranno esaltare fino a che tue icone a lui sembrino, e le amerà anche per questa capacità, o, quel poco che ti significa, negligere, non farlo crescere, ma egli comunque risponderà a loro, amore, anche se di te abbiano del tutto trascurato l'innato dono. Non c'è donna che amata non sia dal figlio tuo almeno, quando non da altri, e l'amore s'accresce quanto più ti significano, ti somigliano! E noi che ti sospiriamo del pari delle nostre donne, che finiamo col trovare più belle, ché alla loro naturale aggiungiamo la bellezza che tu ti lasci prendere, sapendo a chi è destinata, te le facciamo più prossime, ché l'amore nostro, facendole icone, riduce la distanza da te e fa sì che tu più e più possa amarle! Ecco il nostro merito, ecco quel che vale l'amore che ad esse ricambiamo, ma non facciamo che imitare il figlio tuo anche in questo, l'amore umano non inventa nulla, imita ciò che vede fare, ché ha sicuro gli occhi del cuore! Eppure ce ne saranno state di ingrate, che neglette abbiano le attenzioni che per loro ci dettava il cuore! Ebbene se nonostante questa risposta, abbiamo conservato stilla di quell'amore in una latebra del cuore celata, o crescere l'abbiamo fatto mettendolo tra il dovuto alla donna, che abbia risposto ai sospiri nostri, o, e non avremmo dovuto, l'abbiamo tacitato, estinto d'odio, pure allora tu le ameresti aggiungendo al tuo il nostro grande sviluppato o piccolo rimasto amore, o comunque, all'intensità del gratuito disprezzo, con un'amore pari aggiunto. Questo tu fai, questo tu anticipi, ma che sarà nostro fare e sentire e donare, tutti noi voluti, gli ostinati pure, nel luogo tuo dell'amore e del perdono. Ecco che l'amore nostro è sempre quello che dai cieli scende apparente, ma sei tu che l'effondi qui col figlio tuo rimasta. Perché fuggiti non siete, e tornati tra le stelle? Forse per seminare d'eterno gli aridi solchi che su terra fatta ingrata dal non amore, il male ha tracciato nel tempo suo, e farvi cadere piogge aulenti, ché le sementi di vita facciano germoglio, tacitato l'avversario, nella misura in cui qui le donne ti somigliano, fatte coltrici di quei seminati, e noi le amiamo dello stesso amore, che ne ha il figlio tuo. Non vedi tu quanto io amo questa piccola donna, che tanto ti somiglia anche qui, ora, sotto le tue stelle, oggi, nel giorno che uniti ci hai reso per questa vita e oltre? Eppure sempre poco, rispetto al tanto d'amore che tu messo le hai per me nel cuore! Oh vero fosse, anche tu di me innamorata, vedendomi con supplici sempre, lacrimosi talora, occhi, i suoi!

sabato 7 settembre 2013

Ritratto di signora







Come artista del rinascimento nostro, che di gentildonna ritraeva le fattezze, più o meno gradevoli, si sforzava che dalla fedele rappresentazione trasparisse del carattere un barlume, e perciò anche oggi, che il ritratto parli, dialoghi con chi ad ammirarlo stia, almeno è di questo che a noi, posteri estasiati, sembra sia stata capace l'arte sua, così faccio io d'analogo. Sì, di te ho tanti pensieri e questi miei ritraggono, come su tabula rasa su cui alcuno abbia scritto o tratteggiato, non il volto tuo, di cui sicuro non sono, raro visto solo in sogno, ma l'umanità tua sublime che tu mi mostri, e io mi sforzo ne traspaia la bellezza tua divina, che rimanga con quelli che l'hanno permessa, nel cuore. Sì, quelli ritraggono l'intravisto appena o l'intuito, o il vissuto con te, e così della bellezza tua velata tu lasci, permetti io ne scopra il candore. Allora il mio è pure un continuo ricordare e così rivivere, come davvero percepito in un continuo sogno, l'incanto tuo. E voglio dirlo, voglio comunicarlo, ché voglio la stessa possibilità per tutti. Sì, voglio piuttosto che tutti scoprano di simile in cuor loro e ne abbiano diletto dal ritratto di te, bella signora. Tu, degno il pensatore, forse non resti velata come sembri a me, stai come docile modella, ché dai tanti pensieri suggeriti, il tuo veridico ritratto ne venga. E sai qual suggerisco sia criterio di raggiunta capacità rappresentativa? Che vedano icona tua la donna loro, bella questa nella misura di ciò che di tuo lasci traspaia dal rappresentarti coi pensieri loro. È importante che accada, ne viene diletto, ne viene conforto! Sì, credo la vita ne venga sostenuta qui, in questo deserto che fa il nostro esilio, dove rare sono bontà e bellezza, spesso dissociate. Ma c'è una ragione assai più riposta, teoretica direi. Si può ignorare, come ogni verità sul dio, su te. Deve essere così, voi, tu e il figlio tuo ci siete, venuti, siete rimasti. Allora se questo è vero, il mondo così com'è, muore! Sì, occorre percepire la presenza tua per confortare la fede, e ciò è buono, è bene, è bello, ma anche per aver dalla sicurezza che ne viene, la speranza che essa comporti la fine del male, da attendere come sia imminente, anche di per sé e non solo per ogni vita, breve, per fortuna, in tanto suo accanimento! Tuo figlio non ha spiegato il perché del male, ma la vita sua, qui infelice resa da malvagi, tragica nell'epilogo, e la tua nel dolore, assicurano che esso finirà. La fede in lui, in te ce ne dà già fondata speranza, perché voi siete persone divine e vedete ciò che accadrà a breve nel presente del dio! Ma perché sperarne l'imminenza oltre all'inesorabilità della fine? Che giustifica tanto, rafforzando la fede? Quelli, tra cui sono, che credono nel dio, lo vedono causa efficiente del tutto, ad esso rimasta esterna, separata di necessità, ché pensano strida, sia contraddizione che ciò che fa il mondo dai primi effetti di quella, a loro volta causa di altri, una lunghissima concatenata teoria di causati e quindi causanti, abbia in sé, non già i primigeni effetti, ma la causa per essi d'essere stati, ammessa la causa prima, il completamente altro, il dio. Insomma questo mondo non sta da sé, è fatto da altro da sé. Allora al “cur deus homo?” anche si risponde che la presenza qui di voi, persone divine, colloca la causa prima, il dio, proprio dentro l'insieme di cose e fatti, che fanno il presente del mondo, e quindi esso più non possa oltre sussistere, debba finire di necessità! È come dire che il dio s'è ridotto, e dico per amore, immanente, da trascendente che era. Sta tra e in tutte le cose di qui e nel tempo loro. Ma star nel tempo significa qui perpetuare la presenza sua, ma essa l'annienta, sì, finisce il tempo! Perciò con l'immanenza ti percepiamo anche vicina, ma la presenza tua annullerà anche la separazione, oltre al tempo che fa che duri! Finalmente sarà l'“una habitare” sognato! So, che per molti questo argomentare può significare poco, tanto è arido, ma è un aspetto che occorre illustrare. La fine voluta dal dio, è inevitabile anche perché logicamente necessaria con la presenza vostra qui! Sì, per me è importante credere che il dio manifesti con voi la volontà della fine del male e che questa debba essere perché voi, causa del mondo, vi ci siete cacciati dentro! “Mundus senescit” e la sua fine avvicina! E non è così perché lo desideriamo, stanchi di star qui, esposti al bisogno e al dolore, no, c'è molto di più, voi venuti, non regge più l'impalcatura che sostiene il mondo, è assurda ed esso imploderà! Ma non sta accadendo in lentezza esasperante? Dal nostro punto di vista, dalla sola prospettiva che ci viene concessa stando dentro al mondo col tempo suo, sì. Ecco la necessità del conforto della presenza tua, da ricercare, da percepire, da condividere, da suscitarne capacità in tutti. Allora lasciami, con la bellezza su cui permetti s'attardi la mia meraviglia, e su cui si fondano i sogni di sentirti vero vicina, udire pure la tua voce, ma sia più dolce di quella dei miei sogni, più supplice a questo serrato cuore di quella di chi implora nel bisogno e, delusa, si fa severa e aspra, sia invece melliflua a questo cuore, che ad essa s'aprirà, almeno come la fresca, acuta di innocenti spensierati bambini nei giochi loro impegnati, ma spero, qual essa sia, comunque sia d'amore! Lasciami allora affermare in questo mondo di tanto egoismo, la follia dell'amore tuo, quello che si ha se si dona, lasciami, convinto, ripetere ai tanti fratelli sofferenti e angosciati dal troppo buio, È qui l'amore, è tornato!

mercoledì 4 settembre 2013

Indistinguibili







Come al sapiente tocco del musico corda o tasto s'anima e quello ne trae melodia e così fa da fiato, e, come al tempo della caduta, il vento dal mare correndo tra queste fronde tutte armoniche rende le frasche che spogliarsi vogliono di quello che fatto s'è superfluo, così, come da dita invisibili sollecitate, vibrano le anime e rispondono amore al tuo creduto ritornato. Ma quando vero sarà? Sarà! Tornerai discreta col tuo afflato amoroso, prima del ritorno glorioso del figlio tuo, a dar conforto all'amore umano infiacchito...Ci basti! Ecco, le frivolezze e i luccichii della nostra notte di vita abbiamo abbandonato, e febbricosa l'attesa dell'alba, che una novella porti, s'è fatta. E mille e mille parole di preghiera ci sono state e ne hanno pianto occhi e cuori! Ti dico, Quando verrai troverai fede ad attenderti? Ecco qui molti sbavano nei loro brogli, altri sono sconcertati dalle tante parole a giustifica di lor condotta becera, ché di danarosi potenti si tratta, e da quelle, arzigogoli da parolai, che dicono quei tanti, che se schierano a difesa, altri storditi sono dai bramiti di ormai altro da umani, ché si fanno loro simili, da egoismo spronati, che presto in branco di belve esso muta, altri ancora, impauriti, fuggiti sono dalle sterpaglie arruffate in groviglio a protezione dei dominanti oppressori, e stanno timidi a implorarti il ritorno...Ecco cosa troverai e chi, sì questa umanità, questa fratellanza, un mondo attoscato dall'odio... e chi vi cercherai? E dove? Luogo non v'è che accolga i giudicati nullità, quelli che non riecheggiano il messaggio del mondo. Ecco vedi, siamo tutti narcisisti pur seguaci d'Epicuro morale, ma non nascosti come il maestro consiglia, ma dispersi, o in piccoli gruppi, tra i molti che ne hanno travisato il messaggio, gioire del poco di cui star contenti, e stanno in gregge di lor porci accoliti, frenetici di cento piaceri. Altri son presi dal vortice dei lor lucrosi affari, intesi ad accrescere l'avere e a far piccolo l'essere. Viventi pur sono, ma fuorviati, guastati, che certo non t'aspettano e ti diranno, Ché uscita sei dai miti e dalle litanie? Tornarvi devi in fretta, qui luogo non c'è a darti ricetto! Sì, occorreva trasformare il mondo più che capirlo, secondo la novità del figlio tuo, “Diligite inimicos vestros”! E non l'abbiamo fatto, poco abbiamo amato se non forse solo noi stessi, il nostro soma, le nostre parole, facendoci ipocriti lagnosi, vinti prima d'osar qualcosa, vili! Ecco già mille e mille scuse simili a questa, Inaridivano i cuori, rifugiati ci siamo nella preghiera! Eppoi, tanto abbiamo camminato come larve tra molti altri, eppur cercato abbiamo di suscitare tra quelli cui ci accomunava il dolore, la tua speranza! Ma non meritiamo così più attenzione, non darcela, non intenerirti! E diremo ancora, Sì, non albeggiava e le parole coi rari gesti cadute, sono diventate non senso! Vero questo! E io, vinto, stretto mi sono alla fragile compagna, ma forte d'amore e questa del suo cuore m'ha fatto scudo! Forse son solo un vile, uno dei tanti, che in un che, in un dove o in un chi fanno lor rifugio, o, peggio, in sé, nei lor pretesti! O madre, dimmi che non è così, dimmi che sono ancora un tuo soldato! Tante le ferite, da cercar balsamo nella preghiera, tanto il freddo, da sostar in cuore di donna! Non altro! Ma forse solo miseria la mia e senza fine, eppure questa donna mi dice, Guarda su, alle stelle, è da lì che verrà quella che attendi e sospiri! Oh le stelle! Facelle d'amore!





Belle son dai nostri monti, cui tornar desidero in una notte d'incanto, chiuso in un sacco con questa mia bella a parlarle d'amore, intanto che si plachi l'avacciata lena da dolcezze d'amore sollecitata, come accadrebbe a giovani amanti... e vero così ci farai, dimentichi del tempo che tanto ci ha deluso! Pensa con me a come bella la notte da lì si fa, quando le troppe luci di quelli di qui pur basse stanno e non attenuano i tanti splendori del tuo cielo, sì come basse, senza strepito, restano le bagattelle loro! E or mi pare che ella accanto mi si stringa, come altro amore voglia, mentre il vento dolce continui ad insistere tra i suoi capelli, e che ora le brillino gli occhi, in su volgendoli, e dica, Guarda le ha create per te la bella del cielo! E che io, al suono mellifluo della sua voce, m'addormenti... e sogni bombi a visitar lor fiori e poi ancora notte, che ci veda abbracciati in tanto incanto, odoroso ancora, e che in cielo i tuoi fiori s'accendano! Dovrai prenderci insieme, ci distingue il soma, non l'amore, ma altra luce non c'è in questo mio sogno, è solo una notte di stelle!

domenica 1 settembre 2013

Pensieri scambiati sotto le stelle







Compagni stiamo in notte di stelle a far vaghi discorsi, per lo più di ricordi a due, belli e meno, ma fascinosi sempre. E poi i sogni, le aspettative, le speranze che questa fede sostiene, scambiamo. E ti dico e tu ascolti, congetturi, obbietti, confuti perfino, ma poi t'arrendi al desiderio di perenne amore, che ci accomuna. E forse di più dirti saprei, ma poi rinuncio al nuovo, io non voglio convincerti del vero, ma del poco che sperar ti faccia di viverlo con me. E ora ti dico.


Tu sai che ci sono uccelli che son usi di notte vagare in perenne ricerca delle prede loro, e quando la luce del giorno gli occhi lor grandi e acuti offenderebbe, stanno al buio in un anfratto o in un cavo di ben annoso albero, e la testa tengono sotto un'ala per svegliarsi al tramonto. Ma non li diresti nemici della luce, ma che le particolari abitudini li fanno stare a lor agio se poca e soffusa, ma non del tutto assente è. Così qui, tante le ombre e il buio, che c'è a far minaccia, e anche se solo notte metaforica fanno, essa non è meno inquietante e misteriosa, tanto che solo alcuni vi si trovano bene e vi fanno, come nella reale certi uccelli. Nature umbratili dico, amano ben altro luccicore del solare, si gingillano, si beano delle preziosità crepuscolari del loro mondo di poca luce e si illudono durino, e affatto le sospettano illusorie, come effimere bolle saponose iridescenti, che si librano a far incanto, ma solo per breve ascensione. Altri, assai meno fortunati, non vi si adattano, anzi vi vivono paure e ansie, ché taluni son da quelli vessati, altri trascurati o negletti, e non osano nemmeno esprimere desideri. E poi quando più luce pur fosse, le loro miserie permettendo notino i primi, i sicuri nelle ombre, essi se ne distrarrebbero, non volendo vedere e stando come tengano il capo sotto un'ala, tutto il venuto da quella eccessiva luce infastidendoli. Sono così vero esclusi, fatti ultimi, come disadattati rifiutati, i diversi e sperano una vita novella, qui negata, e guardano ai tanti brillii in notti come questa, che paiono eterni e vogliano accogliere lor sospiri amari, diversi dai melliflui di chi, come noi, s'ama. Lo fanno in breve tregua dai loro assilli, o per effimero oblio degli affanni loro e, sotto tanto incanto, pene e speranze loro affidano alle stelle. Ma che sono le stelle, che è il sole che illude, pur troppo breve il giorno, che la luce possa prevalere? Son forse simboli qui di cose fuori del tempo, perché tanto duraturi rispetto alla brevità nostra, da far sperare l'eternità possibile? E questa congettura perché si fa? Non basterebbe alla vita agognata, pur realizzarla in un tempo lunghissimo? Forse, ma sperando altro dal vissuto di qui, la novella agognata si vuol collocare, temendo perderla se raggiunta, fuori dalla rapina di questo tempo, che avanzando di tutto s'appropria. Perché se ne ha esperienza come di un rio che scorra, ma che porti via pure le speranze e faccia galleggiare, sostenga questa realtà, l'ingiustizia sua, questo male prevalente, tutti aborriti. Che o chi ha voluto questo mondo? Mi chiedi. E io, Noi siamo tra quelli che accettano la causa prima e hanno fede, e la dicono il dio. Non lo pensiamo che amore. Forse perché è ciò di cui qui più difettiamo, sentiamo più carente. Allora ecco il prodotto del suo atto d'amore, ma da lui non origina il male, che par invece connaturato, ma lo ha, dice il santo, pur permesso! Perché, proprio non poteva far diverso? Egli al mondo ha fatto luogo, ad esso ha fatto tempo, ché egli non ha luogo fisico, non vive nel tempo. Così però facendo di sé assenza, perché altro da sé lo ha voluto, e quest'altro è diventato questa realtà nel proprio spazio, nel proprio tempo, senza il dio. Ma questa assenza significò possibilità di un molto diverso dal sé creatore, il non buono, il non bene, il non bello, e il male, il non amore, è venuto! E le parole, i gesti di quelli di qui, che sono stati e sono, sono secondo esso e saranno così, o sono nonostante, nei per lo più maldestri tentativi di opporsi. Ma pur egli l'ha limitato nel tempo. La durata è il tempo già trascorso, è il tanto residuo, ma non è quella delle stelle e ti dirò perché. Anche, se, subendolo, ci par assai lungo, troppo! E nel danno? Saper tu vuoi. E dico, Intanto da sempre c'è chi guarda alle stelle e v'ha trasferito la possibilità del bene e del bello, qui rari, negati per molti, o precari se realizzati in qualche misura. Sì, oltre questo spazio, questo tempo, nell'eternità, o illimitato presente del dio, che quelle suggeriscono. Ma v'è tanto di più, la presenza qui, nelle bassure dell'acqua paludosa, di persone divine! E saperlo fa scendere da quelle stelle la dolcezza della speranza, è gioiosa, ma discreta, contenuta, ché il male onnipresente non la guasti, notandola. Si libra allora dai cuori la preghiera, si innalza a quell'uno in freschi mattini, tutti di luce o in notti amabili come questa di mille e mille splendori... E io ora dico a voce alta, ché tu la senta presente come a me accade, alla madre, Stella bella a significarti il cielo non ha tra i mille brillii suoi, ma l'ha il cuore che di tanto amplifica il veduto nei sogni suoi. Io ti so vera via e sicuro porto, che cesserà tanto peregrinare per mare sì periglioso. Sei col figlio tuo diletto la verità e la vita, siete dell'uno originario la presenza, il suo esserci, partecipando del suo essere, e altro non so. Congetturo! Quell'uno con voi si riappropria del mondo e della durata concessa. Riempite l'assenza del dio, scacciate il male con l'appropriarvi della sofferenza delle creature tutte. Così la distinzione tra creatore e creature rimarrà, ma in afflato d'amore! Sì, lenta ma sicura libertà dal dolore, la più radicale delle conseguenze della primitiva assenza del dio. E quello che a voi è accaduto di dolore, è già stato, è ora, e accadrà ancora, e così il tempo fate vostro, ve ne appropriate. Esso diventa daccapo del dio. È per voi dolorosa esperienza il passato, vermiglia di sangue innocente, ché i succubi tutti lo sono, e il presente ne opprime tanti, e fosco è il futuro per molti che qui vivono. Fate vostro questo sentire. E l'amore vostro inizia ad affrancare sempre nuove vittime, le protegge, ne ha custodia. Ma tante sfuggono a tanta amorosa guardiania di noi qui peregrini, come sballottati gusci su acqua agitata senza requie. Perché? Malata avete resa la causa e non ne guarirà, e si dibatte il male e più e più ne colpisce. Ecco ai bambini perfino è deturpata la bellezza, quanto sproporzionato dolore per quei piccoli corpi e quelle menti ignare! Troppo! Ma il male è condannato e più che morire non potrà! Lunga e tanto, l'agonia! Oh quanto a caro prezzo abbiamo pagato il dono dell'amore! Che fare? Che dire? Cos'altro congetturare? Tutto è vano, il sapere non spezza questo destino e solo la fede in voi lo tenta. Sì, la vela che pareva la scienza gonfiare, s'é afflosciata, caduto il vento suo, quanto durerà questa sfiducia che vigoroso riprenda? Arreso si è proprio ora che insoluti rimangono tanti problemi? Ma intanto per il mare, iroso rimasto, va la navicella nostra, al momento come passiva, come senza governo. Oh quanto scura, tormentosa, insondabile ne è l'acqua, combattuta! Naufragio si teme, cioè dover morire senza speranza, senza neppure un barlume, di provvido faro o di stella amica!





E ora io dico, continuando il mio dire con mio linguaggio al solito fabuloso, ma ora cauto, piano piano, serio, come dicendo una preziosità conclusiva, a te che angelo, sebbene dubbioso, ti vede il cuore, e che, come rapita un po', ora m'ascolti, Noi dobbiamo evadere, mutar via, cambiar rotta. Potremo tanto, se veri figli di questa madre e fratelli di questo suo figlio sapremo essere. Ed esserlo nella pienezza del cuore! È un impegno per la vita che resta, rinnovarsi, rinascere. Sì, per questa madre, nuovi, diversi, camminiamo da ora nell'incertezza dei primi passi di piccoli bambini, al loro babillage torniamo, certi di sicura guida, di sicura protezione, di sicuro amore... E forse allora le parole nostre saranno sempre come di preghiera, discrete, in tono basso, accorate, supplici talvolta, e saliranno alle sue stelle, che il poeta dice mosse da amore, l'amore che move il sole e l'altre stelle!