mercoledì 21 marzo 2018

L'amore dovuto al mondo

Proprio questo mondo, che ha accolto la mia provvisorietà, la fa vivere e la conforta d'amore, quello d'una piccola donna, abbisogna tutto d'amore. Vivo perciò d'amore, lo ricevo e lo trasmetto! Così sento l'armonia che va dall'uccellino infreddolito, che pur canta amore alla bella sua che l'attende tra rami tuttora fioriti con le prime foglioline che vi s'affacciano timidette, ai fili d'erba. Questi avverto perfino rabbrividire a questo vento, che forse altra pioggia annuncia e che solo l'amore, che ovunque diffonderà, della sopravveniente primavera, più ancora da me amata di questa incertezza di fine d'inverno, addolcirà! Sì, questo mondo, che anche mi conforta, vuole contraccambio d'amore!



martedì 13 marzo 2018

Cristo, nostra eternità


Amare è mettersi al secondo posto, dietro la vita stessa dell'amato, con i suoi essenziali attuali bisogni e per il tempo che viene, le speranze, appena rese più grandi di essi dai sogni. Perciò quale sia la realtà vissuta, non si può essere indifferenti a chi la popola, e amando tutti quelli che ci circondano, i loro diventano nostri problemi, le loro, nostre speranze. Perché? La nostra è realtà personale, percepita sì dai sensi, ma giudicata degna o mediocre dalla mente e più ancora dagli occhi del cuore. La peggiore carenza dell'anima è la mancanza di empatia per chi nel nostro mondo è nel bisogno, o almeno necessita di comprensione, e per questo ci confida il suo sé, l'intimo suo. Ma se la scuola della vita ci ha educati nel bene, saremo felici con chi risolve, quale il nostro aiuto potuto dare, la sua angoscia e faremo il possibile per lenirla in situazioni che tendano a prolungarne la pena. Se il nostro impegno sarà completo, come non avvertire che gli altri si sentano immersi nella nostra bontà pur limitata? Ma a chi diremo la sofferenza nostra per non essere capaci di liberare e liberarci dal male, sì prima quella di chi la sua ci ha versato nel cuore? L'evidenza di tante richieste d'aiuto disattese dal cielo, fa pensare che il cristo non sia esentato, ma rimasto nella sofferenza qui tanto diffusa. Perché fa sua ogni pena, se noi la facciamo nostra. Così è proprio perché noi siamo la sua finestra sul dolore, ché vede con i nostri occhi, tocca con le nostre mani, ne ragiona con le ragioni del nostro cuore, che sua diventa la nostra empatia. La sua aumenta di ogni dolore da noi conosciuto e di ogni pena che noi testimoniamo, sebbene impotenti a risolverla! Noi gli abbiamo offerto i nostri occhi, le nostre mani e scopriamo con meraviglia che la nostra bontà piccola, limitata, si fa il mare della sua! Ma c'è più ancora! Egli si è posto dietro a tutti, amando tutti. Pure dietro a noi che pretendiamo di offrirgli occhi, mani e cuore. Ma se così rimaniamo, condividiamo il suo destino, e saremo anche i suoi passi, quelli del suo ritorno. Sì, egli tornerà al padre, all'eternità e pure noi la vivremo!
Sì, il cristo è la nostra eternità!

domenica 11 marzo 2018

Ritrovare la propria Beatrice


Parlo qui, col mio linguaggio di maschio, di un sentito che le donne possono riferire a se stesse, mutatis mutandis. Quale questo sentimento? Talvolta l’impegnarsi in cose vane fa trascurare lo sforzo continuo per migliorarsi e guadagnare un altro cuore, e lo stesso fanno l’abbaglio per falsi valori e più ancora le farragini, per lo più subite, di fatti della vita. Tutto è accoramento, oscuramento dell'anima, che anche fa allontanare da un cuore amante la propria Beatrice. Noi abbiamo una piccola donna nel rimpianto, conosciuta forse appena ragazzi, e sublimata, magnificata, come le cose e gli avvenimenti d'allora, nell’ingenuità dell’innocenza poi dovuta perdere. Quando questa perdita? È accaduto col rinunciare, aspettando imminenti altre novità, più grandi sognate, che non sarebbero venute, alla visione del mondo nella meraviglia, che fa, nel primo affacciarsi alla vita, le cose, tutte belle, preziose e godibili, che sembrano esistere soltanto per la personale soddisfazione e godimento. Così molte delusioni ancora sarebbero venute, ma, a vita quasi trascorsa tutta, è nata per molti la speranza di riottenere la propria Beatrice, che è anche quella di tornare al primitivo incanto e viverlo tutto senza impedimenti in una vita tutta novella. Insomma abbiamo dovuto perdere molto per adattarci alla vita di qui e vorremmo ritrovarlo perché essa è stata tutta deludente. Ma come? Forse il poeta del viaggio mistico nell'aldilà, il nostro maggiore, trasmetterci vuole un appropriato messaggio con l’opera sua in cui descrive il ritrovamento della sua Beatrice. Come a lui accadde, occorrerà rivivere tutti gli impedimenti qui subiti e superarli, ma non fermarsi al ricordo penoso dei personali. Perché è convinzione del poeta, e io sono con lui, che ciò che diventa qui insormontabile, il peccato, quando rivissuto postumo, nell’orrore delle innumerevoli varianti sue, e perciò conosciuto nella completezza sua, possa essere superato attraverso un sofferto pentimento. Perché noi abbiamo vero peccato a volgere altrove lo sguardo e rifiutare la bellezza, peccato culminato dal non trattenere al proprio cuore la nostra Beatrice! Allora occorrerà conoscere l’orrore tutto, fin dove avrebbe potuto condurre questo rifiuto e da quel buio tornare alla luce per poterla apprezzare come merita, e poterla vivere tutta finalmente! Dal buio completo alla luce in tutto il fulgore suo! Ciò rende l’anima degna di raggiungere quel bene, quell’amore mancato alla sua vita di qui, smarrita la propria Beatrice! Così come certo avviene per il bene, l’amore in sé, il dio, troppe volte negletto in questa vita! Insomma ritrovare la propria Beatrice significherà in fine ritrovare se stessi e col proprio sé, la completa capacità d'amare e così il dio smarrito! Ritrovare la mia Beatrice, ritrovare me stesso, il mio bisogno d'amare e essere riamato, ritrovare il dio, ecco il mio sogno senile!

venerdì 9 marzo 2018

Il mistero della morte e dell'amore


Talvolta quando sono con me stesso, il mio pensare si fa da soliloquio, colloquio. Con chi? Dico di me, di questa problematica mia vita a un interlocutore dei miei ricordi, a mia madre o ad altra persona cara, che conosciuto mi abbia nella sua benevolenza, uno che la sua lontana amicizia, sola sopravvissuta, m'abbia concesso e lasciato come bene prezioso. Perfino all’amichetta, passione da bambino! Ed è mistero che l’amore me li faccia presenti, attenti alle mie confidenze, ai miei crucci, alle mie pene, alle mie speranze, e che esso superi quello della loro morte o della scomparsa dal mio destino, orfano rimasto del loro amore. Sì, il mistero dell'amore sconcerta più di quello della morte, è più profondo, ma, meraviglia, l'amore supera le conseguenze della morte! L'uno è capace di avvertire presente attivamente chi l'altra, troppo precipitosa sempre nel toglierci un bene, un affetto, gli ha consegnato solo come ricordo. E con il dio m'accade di simile! Chi è qui se non colui che solo l'amore fa essere, altrimenti destinato alle cose che la ragione fa morte? Ed è l'amore che vince la ragione e la morte che le vien dietro, perché me lo fa presente, quando il mio colloquio si fa preghiera, anche se non gli so dare un volto, se non quello delle belle madonne del nostro rinascimento. Così dall'amore lo so attento ai più piccoli turbamenti della mia anima qui, in questo luogo della morte e delle cose buie e gelide che la precedono!