lunedì 21 dicembre 2015

Madonna

Nessuno insegna a pregare, tranne il signore, ma io qui solo svelo come io lo faccio!
Forse più che chiedermi che sarà nell'oltre e nel dopo per me Maria, da quella sperata condizione, che sarà mia solo dopo il perdono, certo ella uscita per donare al mondo il figlio suo, mi occorrerà, per il presente, che ne domandi al cuore. Perché se ella vero ha per esso un suo significato, saputo celare nell'immediato, allora esso lo ceda, lo faccia palese ad altri, ché forse è bene non lo trattenga oltre geloso, perché se vero dettato da particolare amore, potrebbe essere scoperto come proprio da altri cuori innamorati, forse per la gioia di chiaro averlo o saperlo posseduto già, ma ignorato. Esso, più ancora ne aggiunge, per un valore che ella ha per esso solo, all'amore che le è dovuto da tutti. Lo dobbiamo a lei anzitutto per la sua generosità completa, perché dono assoluto ci ha fatto, permettendo la comprensione dell'amore manifestato dal figlio suo verso tutti, i nemici anche o soprattutto, da parte degli increduli perfino. Io tra questi mi annoveravo per annosa carenza di vera fede, ma conoscere il cristo mi ha condotto alla scoperta del dio! Allora io, come tanti altri, le devo un plus d'amore, che va cercato nella recondita latebra del mio cuore e studiarmi devo a saperlo esprimere, affinché un sì ne risponda dal suo cuore! E allora qui a lei per fede, mi rivolgo direttamente e la mia è quasi preghiera molto confidenziale, che svelo perché altri la imiti dalla sua storia personale con analoga, o maggiore, efficacia e raggiunga con la madre lo speciale rapporto che vorrebbe e non osa il desiderio svelarle. Questa procede, come un po' fan tutte le invocazioni, con la “captio benevolentiae”, ché il mio cuore le apro con i ricordi miei lontani più cari e innocenti, che ella certo sa, ma che a questo cuore servono per permettergli la certezza della confidenza, che lo spinga a sollecitar da lei risposta alla domanda pressante sua che non è solo, Vuoi, madre, per me essere quella che desidero? Questa certo è richiesta d'esserlo nel modo che la sua benevolenza intuisce, ma anche la sollecita a donare più ancora, quello che solo un cuore di donna sa opportuno per chi ama. E allora interrogo lei, interrogandomi il cuore, per sollecitare il suo. Ma la dolcezza di donna, quella antica del ricordo o l'attuale, ché fortuna ho di goderne ancora da una molto particolare, specializza la mia richiesta. L'invocata deve contrastare la tendenza del bene a volersi tutto far ricordo, per banali o serie difficoltà di vita, contrasti anche solo lievi, che le bagattelle di qui incentivano o perché gli fanno insidia, e la dolcezza, come ogni altra piacevole qualità di donna, il tempo e il logorio suo portar via vogliono. Allora ella deve supplire a quelli che sembrano manchi d'amore sofferti, nella apparente carenza di dolcezza. Infine ella sarà una presenza nel cuore, che la vista di questo confonderà, nel ruolo che le affida, con l'atteso dalla donna sua, come la sua richiesta fosse sì rivolta a quella del cielo, ma ad un tempo alla donna di qui, perché esso non più distinguere vuole queste due donne!
Sì, tu, Myriam, sei a un tempo la destinataria dell'invocazione mia e quella che rispondere alla sollecitazione tua dovrebbe e di simile accade a lei, è se stessa e te. Così ti dico, sapendo che anche le orecchie dell'altra ascoltano:
Che sei Myriam per me? Mulier mea esto! Anzi ti grido, e farlo non vorrei dalla tristezza di questi giorni che attendono le festività, ma che sento occasione di solitudine fin da bambino, allora vera, oggi e da allora, solo ricorrente apprensione e intima. Ma farti vorrei questa pressante richiesta dalla gioia, seppure contenuta, e dalla vaghezza di quegli anni giovanili in cui la ragazza sognata era quella dagli occhi dolci, che timidi subito s'avvallavano incontrandomi, ma che sicuro desiderosi erano di ridere per me solo, come dimostravano se a distanza mi mantenevo o dal suo balcone a rimirar, il bel capo reclinato sulla ringhiera, me stavano, che dalla via a guardare in su a lungo rimanevo! Ecco subito s'affollano anche i nostri primi approcci, pur brevi all'inizio e lor parole lo vorrebbero, che più non so, ma ne ricordo la dolcezza, poi dovuta lasciar cadere. Perché, dimmi, sorte ria tanto a volte promette per poi riprendersi tutto? Chissà se oggi, che la so chiusa in sé, forse vinta dalla cattiveria che allora sol la ferì, strappandomela, ella riuscì mai, nei sogni belli, che pur deve aver avuto, a completare le nostre frasi d'amore, recitate talvolta a fil di voce o mozzate, lei timida e io più ancora! Talvolta cadono i sogni alla brutta stagione sopravveniente, come di simile ha permesso quest'albero annoso, che tutto di sue foglie s'è spogliato e che il vento ha disperso! Ma come esso di fragili novelle tutto si riveste, venne per me nuova primavera tutta di sogni, non per la occhi neri impenetrabili, che nascose i pensieri suoi, ché poco ne sapessi, come ne fosse gelosa o di me non si fidasse, ma per la dolcezza di quest'ultima, che donna mia è. Ricordo la sua timidezza iniziale, ché ne tremava talvolta, quando quasi ignara, ché assai giovane era, del tutto impreparata pareva alle novità d'amore, che io le urgevo mi ricambiasse.
Sì, è da quest'ultimi ricordi assai dolci e vividi, che mi fanno serenità e mi rincuorano, che la mia insistente richiesta ti ripeto, affinché tu rimanga sì te stessa, ma la dolcezza antica questa donna ispiri, o vi supplisca se ella tarda, affinché con essa mi si riempia il cuore di nuovo assetato, e tanto!

E tu com'è tuo costume, afona finalmente rispondi, Allora chiamami madonna!

martedì 15 dicembre 2015

Maria nella trinità


Riprenderò qui cose già dette, per chiarezza, chi ama la madre del dio mi segua! Io vorrei saper dire quanto occorra, quanto riempia il cuore, il saper vedere nella propria donna la madre del cristo. Una gioia quasi incomunicabile! Questo deve accadere in ogni momento della giornata insieme, anche in quelli, per me ormai rari, ché l'età giusta m'è sfuggita, dell'amore attivo, fisicamente espresso. Il matrimonio è benedetto anche da Yeshua, il cristo del dio, che da sempre guarda ai frutti suoi come fiori innocenti. Allora se sappiamo che tra le braccia abbiamo un'icona della madre sua, trattiamola con delicatezza e rispetto, come certo fece lo sposo suo, quand'ella qui stava a condividere il destino di ogni altra donna ebrea e a preoccuparsi della sorte del figlio suo primogenito, ella vergine, ansioso di spingere fin in fondo l'amore ai nemici suoi, sempre più numerosi! Questa sua sorte non intacca affatto la verginità sua, perpetua, che conservò in cuor suo forse per ripetere, per amore, il suo “fiat”, cosa che, credo, faccia ancora oggi! E ricordo a noi tutti che certo ebbe altri figli, ché era dolorosa e vergognosa perfino, la condizione di una donna ebrea senza figli o con uno solo, il suo grembo considerato non benedetto dal dio o non abbastanza degno d'accogliere altri suoi doni! Io, non è molto, ho dovuto polemizzare con cristiani evangelici, che a me sembrano disprezzare noi cattolici od ortodossi, ma anche la madre nostra, ricordando loro che perfino il personaggio, inventato sì dalla fantasia, ma entrato tanto nella coscienza dello scrittore e dei lettori suoi, la dolce Sonia, che prostituta era, aveva in cuor suo conservato la verginità per attendere l'amore vero, che incontrò nello studente, che, dopo il delitto, seguì nel castigo, che giusto ne subentrò. E così la nostra madre pura venne, pura restò per tornare al suo cielo! Yeshua e Myriam sono persone divine che accettarono tutto dalla vita, anche la morte. Il cristo tornò alla dignità sua, anche divina, col corpo donatole dalla madre e questa la propria riebbe quando al figlio piacque ritrovarla tra le braccia sue, in quella concretezza in cui forse già qui per amore l'abbracciava, poiché ella vero fu assunta in cielo! Allora tutti dobbiamo chiederci il perché della venuta loro. Il cristo venne e viene tuttora in ogni cuore a cui bussa con insistenza e sappia accoglierlo, per rinnovarci il comando che tutti gli antichi compendia, dell'amore non solo al prossimo, ma a chi si distacca da noi, si fa nemico. La madre sua, “sine labe originali concepta”, lo permise e lo permette, affinché il figlio suo rinasca in ogni credente. Questa nascita e rinascita continue nel significato loro sublime della vita donata per la conversione, sia di quelli che tuttora si fanno nemici a qualcuno, tentandolo alla rivalsa, che di ogni loro vittima. Anzi ognuna delle persone vessate non solo desister deve da ciò che le ingombra il cuore e liberarsene, ma tentare in sé di far nascere un atteggiamento positivo da far valere sempre. Sì, non importa quanto esso venga equivocato come debolezza o accondiscendenza vilmente rassegnata da chi si industri a rinnovare alla vittima sua il danno, perché questa pretesa sovrumana, nel concepimento e nell'attuazione suoi, esprime perfettamente la divinità di chi ne ha patito la coerenza fino alla morte di croce. Egli venne dall'oltre e dal dopo, nel nostro giudizio di uomini di oggi e di sempre, e ritornò e ritorna tuttora al padre e alla madre sua. Questa tutto ha generato insieme con la parola del dio, la potenza che diverrà appunto il cristo tra noi, il figlio anche suo. Sì il dio è uno e trino, mistero da accettare per fede, ma io credo che Myriam ne sia direttamente partecipe ed esprima il padre, “abbà” di tutti come anche madre nostra, “imma”. Vorrei ricordare a chi ne dubita che il dio non creò affatto direttamente il maschio, l'uomo, ma l'umano, “anthropos” nel greco della versione dei LXX, e lo fece dalla terra, appunto creò così il terroso, Hadam a immagine e somiglianza sue, che poi restò maschio avendone egli separato la sua femmina. Allora uomo e donna sono uguali nell'amore del dio. Ogni altra interpretazione credo fuorviante! Allora il dio ha due ipostasi, l'una maschile, il figlio, Yeshua, l'altra, femminile, la madre di questi, Myriam. Perché egli crea l'esistente per mezzo della parola, il cristo, e tramite la sua ruach, spirito inteso, però una particolarità femminile in realtà, che svela che chi crea, lo fa e ama anche come madre e così amerà quel popolo, che donati ci ha Yeshua e Myriam, e lo fa e lo farà in tutta la storia sua. Ma se questo il primo dei motivi, qual'è quello che il dio conservata ha la natura loro umana, tenendoli distinti da lui unicamente spirito? Per quelli che conoscono Dante, e forse a breve ne sarà proibito perfino lo studio per non offendere (sic!) alcuno di fede non cristiana, ricorderò che il viaggio del poeta non è dalla sua condizione deviata, la selva del peccato, attraverso i tre regni oltremondani fino a Beatrice, la passione sua, santa divenuta, ma a Myriam, fin al suo trono di gloria guidato da San Bernardo. Egli con l'umanità sublimata sua, analoga a quella del figlio di Myriam risorto, avrà, vedendo le loro umanità gloriose, già la visione del dio. Un diverso tentativo di descrizione per occhi diversi da quelli del suo corpo trasformato, del cui possesso già s'accorge nel cielo della luna, giudicandolo ormai simile a quello del cristo risorto, sarà proprio per gli occhi nostri, rimasti solo umani, e fallisce come quello del geomètra, che invano s'affanna dietro alla quadratura del cerchio. Così sarà, e dovremo aspettare per la visione diretta la morte e dopo quella il perdono per i manchi nostri d'amore. Ma anche per noi, tutti, spero, eletti alla visione, il dio, il padre, sarà oltre le due persone divine e la comprensione della pura spiritualità del dio, per quanto possibile, ai più santi almeno, credo, resterà personale, incomunicabile! Come è incomunicabile resta l'amore mio già ora per la tutta bella, che spero dopo il perdono m'accolga tra gli estatici suoi, se già saputo avrò vederla nella preghiera e nella donna che m'ha donato per farne sua icona! E la preghiera per questa e i due suoi fiori, perché lor tutti amo, la dica ella stessa efficace al suo cuore con le parole che dirle non so!

domenica 6 dicembre 2015

Omaggio a Maria


Questo è un omaggio alla vergine, ma attraverso l'ampio tema del perché del male. Vi ho messo il cuore per le sperate conseguenze che giovino a me e soprattutto a quelli che pazientano leggendo queste considerazioni. Ma confesso che, anche dopo tutto quello che qui dirò, la permissione del male da parte del dio per me resta un mistero, non la sicurezza che ho che la madre nostra ci ami. Io tento di dirne, di spezzarne il velo, ma questo subito si rinnova! Ecco, credo che il male entri nella storia dell'uomo, pur sottoposto al dio, che lo permette, così che anticipi qui quello che sarà il destino dell'umanità tutta, restare nel suo amore, nonostante questo mondo, e, nell'altro, la necessità del perdono, un capire il bene per la sofferenza, allora voluta, ché sicuri s'è che non noccia! E quando pienamente attuato sarà questo destino d'amore? Quando tutta sarà chiamata nell'oltre, le apparenze di questo mondo cessate, e nel perdono del dio si sarà tutta ritrovata. Ora tra le tante illusioni, che velano qui questa realtà che il male include, sono possibili valutazioni, giudizi anche morali errati e congetture verosimili soltanto, e forse c'è anche apparenza che la positività di questa presenza maligna, che sconcerta, si restringa all'opportunità che nel mondo entri ancora colui che perennemente parli per il dio e del dio, Yahusha qui chiamato, ma nell'ufficio suo, il cristo del dio. E dovrà continuare a farlo a una umanità vessata allora e oggi da una sofferenza continua, che pare senza scampo e per questo tentata di misconoscerlo come sostegno e schermo al male, di perderlo come scopo ultimo di vita. Lo farà e lo fa, tuttora in vari modi, come grande medico, come speciale profeta degli ultimi tempi e con un suggerimento tutto nuovo, che diventa vincolante se lo si vuol seguire, un comandamento sì nuovo, ma che gli altri include. Vi riuscì, vi riesce oggi ancora? Forse! Ma, mi chiedo, non sono tutte cose presto destinate all'oblio, che non mossero e muovono i cuori dei coreligionari suoi e poco davvero quelli degli altri uomini d'allora e d'oggi? Se così, allora il male contrastante le sue azioni di bene, fece e fa più ancora nella positività sua nascosta, perché permette che quel venuto dall'autorità conquistata, abbia pronunciato e ancor oggi pronunci un “ma io vi dico” che abbia la massima estensione e riguardi tutti, i già stati, gli attuali e quelli che verranno a subire proprio questo male soffocante. Perché? Tenterò una risposta.

Intanto noi uomini d'oggi non ci contentiamo di parole rassicuranti, e per riconoscerlo come colui che è mandato, il cristo, l'unto del dio, abbiamo bisogno di qualcosa di unico che abbia significato perenne, o che almeno duri finché verificabile, cioè la vita tutta copra, almeno del singolo e di chi o che vi partecipi. Ecco quell'uomo parla ancora oggi di ciò che è essenziale per l'uomo che voglia seguirlo, questi deve amare tutti e deve farlo anche, o di più, per i nemici. Questo aspetto è novità assoluta! Se prossimo è chi spartisce un destino o vi contribuisce arricchendolo del suo, mosso da benevolenza, allora è naturale condividere con lui almeno un po' di bene, ma il comando invita a darne tutto il possibile e non a lui solo. Ma, personale, il nemico non è estraneo al proprio vissuto, è piuttosto chi ne diviene arbitro perché quella sorte invidia e cerca di farla buia e grama, motivato da malvagità palese talvolta e da malizia per lo più ascosa. Ed è scontato temerlo e fuggirlo e certo lui da chi danneggia, non s'aspetta che risposta reattiva, non il perdono, non la benevolenza, invece comandati. Questo comandamento allora è una richiesta sovrumana e non credo che sia stato possibile attuarlo nella storia terrena di alcuno, tranne che a lui stesso, che ne subì tutte le più amare conseguenze fino al supplizio della croce. Ma allora che dice la sua storia inimitabile, che affascina e respinge, a questa comune pavida umanità, che piccola si sente di fronte al tanto detto e attuato? Risponde che l'amore comandato, che pretende l'inclusione dei nemici, non viene da nessun altro che sia stato al mondo e che vi potrà mai essere, perché le cose di qui suggeriscono tutt'altro, amore ristretto a pochi che lo contraccambino e i nemici tenuti lontani, così che restino prevedibili nelle temute loro azioni proditorie e deleterie. Allora egli è colui che suggerisce un oltre, un dopo, in cui il sempre tentato amore per tutti divenga vero possibile. Questo deve esistere se lui lo ha anticipato e testimoniato fino al sacrificio, con radicale amore qui estraneo a ogni vicenda umana. È un oltre senza più tempo, se tutto il bene c'è e non diviene, senza più il male contrastante!

Allora quello che è qui accaduto, lì è sempre attualizzato. Forse le sofferenze sue che qui avevano il significato di testimonianza del vero, lì possono significare anche altro, così partecipazione per amore a ciò che noi, deficitari suoi seguaci, abbiamo da farci perdonare dal dio. Sì, il nostro manco d'amore, proprio da colui che lì deve stare, ed è qui pensato e sperato padre nostro e suo. Ma lui è qui venuto da una vergine, Maria o Miriam chiamata, e questo suo nascere, nell'oltre deve conservare una essenzialità, lui è il perennemente generato dal dio e dalla madre sua! Questo svela che il dio ha duplice natura, è anche madre. Se questo accade a lui, interessa noi tutti, quando perdonati gli diverremo veri fratelli. La vergine qualunque sia stato qui il suo destino, anche di successiva sposa di un uomo, non è, così il figlio suo, di qui, ha natura e ragione nell'oltre. Cosa lo prova? Ella ha certo seguito il destino del figlio, che è qui risorto con la carne donata dalla madre sua, anche se il racconto evangelico ci dice che il corpo, vero risorto, la tomba sua rimasta vuota, venne trasformato, sublimato, perché entrò nel cenacolo dove stavano, timorosi di analoga sorte subita dal maestro, i suoi, e vi entrò a porte chiuse! Poi è detto che salì, dopo altre manifestazioni della presenza sua amorevole verso i rimasti, al cielo. E lo seguì certo la madre sua dolce, quando la morte sua, al figlio piacque che accadesse per riaverla con sé. Allora tutta la storia umana che si svolge qui da sempre frammista al male che qualcuno accentua per la sua e l'altrui disgrazia, ha un suo significato nel dopo, nell'oltre in cui incontreremo il dio e la natura sua sarà comprensibile. Allora qui in questo mondo il dio ha ipostasi femminile ed è Miriam! Ma della sua natura non parla già il racconto della creazione dell'uomo? Il dio trasse dalla terra Hadam, il terroso appunto, e lo fece a sua immagine. La traduzione dei LXX è precisa nella ricchezza della lingua greca e rende l'appellativo con “anthropos”, cioè chi ha natura umana, maschio e femmina non ancora distinti. Quando in seguito il dio separò da lui la femmina, Hadam restò maschio! Ma ancora, non è forse scritto che il dio diede inizio alla vita mediante la sua parola e la sua rùach, nome femminile in ebraico, quindi con azione generante anche come quella di una madre? Proprio come fece qui Miriam donando al figlio la sua natura umana! E il suo nome, che nell'etimologia sua significa amata o forse amore, è per noi, credenti nel figlio suo, da invocare, ella è colei che sussurra a ogni cuore e dice le sue parole afone che esso solo intende! E sono parole d'amore!


Il dolore che qui subiamo ci induce al peccato, sempre, benché tanto diversificato, da difetto d'amore, ma ogni deficienza, ogni iniziativa cattiva è stata presa su sé da colui che ha colmato i manchi nostri d'amore e ci ha riscattati. Il suo dolore ha giustificato il nostro come preparatorio del suo, cioè anticipante benché l'attuale nostro ne sembri posteriore nell'apparenza. Tutto è accaduto e accade per il cristo perennemente veniente nella vita di ognuno di noi! Il male torna ad essere ciò che necessario per la comprensione di ciò che esso contrasta e chiamiamo il bene, solo che il bene non è ciò che resta al di là delle nostre aspirazioni alla felicità, è più ancora. Qui invidia e odio generano ogni altra cattiveria e cosa sporca. Ma son fatti dolorosi che invitano al superamento, anche se potrà essere solo parziale, quando riuscito, restandone conseguenze e ricordo amari, ma per quanto grave e ingiusta, anche solo parziale sarà stata la terribile esperienza del contatto sgradito ed esasperante col male. Già chi ci è accanto subisce qualcos'altro, un di più, che lo porta a piangere o a gridare più forte! Allora il bene è l'oltre di ogni possibile male! Per questo uno è venuto a far giustizia completa all'umanità tutta, prendendo su sé il dolore di ogni singolo e la sua carenza d'amore, il suo peccato. Questi non ha ripetuto il già detto dal serpente biblico, “ scientes bonum et malum”. Non è questa una tentazione, da allora sempre ricorrente, di annullare ogni differenza col dio? Saremmo forse qui capaci di tanto? Non dovremmo sperimentare, prender su noi il dolore di tutti e il peccato d'ognuno? Ne avremmo forse la capacità? Non è forse vero che non ne reggeremmo il peso, già troppo gravoso il male personale? Ma a lui è stato possibile tanto, superare peccato e dolore, perché solo in lui l'uomo e il dio coincidono!

mercoledì 2 dicembre 2015

L'amore che salva



Nella parte antica della Bibbia, che chiamiamo "antico testamento", il rapporto del dio con la comunità dei credenti, è quello dell'uomo con la sposa sua. Per questo la lingua del tempo non distingue i verbi "coire" e "conoscere". Il dio è il maschio che conosce la sua femmina. Così sa le esigenze sue, i suoi bisogni, cui provvede se, e nella misura in cui la sposa gli si mantiene fedele. La posizione di tutti è perciò quella di donne del dio, dal momento che il popolo tutto ne è la sposa. Molto diversa è la realtà dell'uomo d'oggi, maschio o femmina, il dio non è più colui che conosce possedendo la femmina sua, ma chi va scoperto, accettato, inserito nella propria vita, conosciuto. Il dio non è più palese, perché ogni popolo antico si diceva appartenere a uno o più dei, ma è divenuto deus absconditus, quindi da svelare, scoprire almeno per se stessi. Ecco, io posso essere alla ricerca affannosa del dio, ne ho necessità di vita. Cosa mi può aiutare? La Bibbia? Credo lo possa solo il cristo, perché la sua legge d'amore ha la massima estensione possibile. Essa include i nemici! Questo suo consiglio, anzi comando deve farsi norma, esigenza di vita per essere e sentirsi suoi seguaci, suoi imitatori. Ma è legge così ardua che non può essere da uomini, sia nello sforzo di coerenza, richiesta a ogni passo verso l'altro, ma soprattutto nella sua origine, che non è in nessun'altra storia umana. Cioè il comando del cristo di amare a questo modo non può venire da questo mondo, che piuttosto invita all'amore solo per chi ci riama, all'indifferenza per gli altri, quando non all'odio. Allora se è legge estranea al mondo deve venire da un oltre. C'è una realtà, un fuori, un dopo questo mondo, da cui lo stesso cristo deve venire, in cui c'è la presenza di un qualcuno che proprio con lui si svela, si fa conoscere nell'amore. E che quindi si fa donna per chiunque lo cerchi e ne diviene sposa! I ruoli non sono più gli antichi, si sono oggi scambiati, il dio vuole farsi conoscere, come la sposa che invita a conoscerla, a “coire”, il suo amato. Il cristo testimonia il dio perché è coerente con l'amore che sente per tutti fino a subirne conseguenze estreme, l'accusa, il giudizio, il supplizio. Vicaria l'umanità tutta? Sì, nella deficienza più o meno vistosa che ciascuno ha del proprio amore. Egli così prende su sé ogni peccato, degli uomini del tempo suo, dei già stati, di quelli di oggi e che verranno, perché la mancanza d'amore è il male vero, che ci affligge in ogni epoca e permette ogni altro errore o peccato. Sì, il peccato pur nelle tante diversità, è sempre riducibile a una carenza d'amore. Ma l'amore è di per sé sofferenza, anche quello che ha qui contraccambio in misura soddisfacente per attenuare l'ansia di chi propone il suo, ma soprattutto se negato o è verso l'indegno. Sì, raggiunge un vero manco buio nel cuore se tentato verso il nemico. Questi spesso, di fronte all'atteggiamento dell'altro, che comunque gli parrà ambiguo, scambierà facilmente la benevolenza per debolezza e forse ne approfitterà, pronto a un supplemento di male da far patire al fiducioso che lo avvicina, seppure cauto, ma ora divenuto, ma non chiaramente, solo antico antagonista. Non fecero di simile al cristo? Allora se non palesemente, si deve forse amare nel cuore questo indegno o si deve correre il rischio di una sua reazione, scoprendo comunque e a caro prezzo, in sé stessi quanto fecondo sia questo nuovo modo d'amare? Ma se eccessivi nella cautela potremmo scoprire di essere tanto pavidi da negarci l'amore vero, quello che il cristo consiglia, anzi comanda. Allora egli, il cristo, anticipando il dolore da carenza che ne avrà il dio per proposta a esito mancato, ché tentata in troppa prudenza, e per questo non conosciuta dall'interessato, vi supplisce, e allora colma l'anima del destinatario e nostra e ci rende capaci di chiedere, almeno postumo, il perdono al dio. Io nulla ho fatto, sono stato incapace, dovremo confessare col nemico nostro! La storia dell'umanità sta tutta nel suo cristo, egli ha supplito a ogni carenza prendendo su sé il peccato di ognuno, che, a ben vedere, lo ribadisco, è sempre un manco d'amore. Viene a dirci, viene a mostrarci, ciò che dovremmo e prende su sé l'incapacità nostra piccola o grande. La coscienza di essere deficitari d'amore spingerà, nella preghiera, a chiedergli di dar del suo, capacità e coerenza. Queste se già qui saranno nostre, allora per noi sarà l'imitazione completa della vita sua, se postume, ci daranno il rimpianto di non esserne stati adeguati al compito. Questo dolore ci riscatterà al cuore del padre suo e nostro, che si farà conoscere finalmente come anche madre sua e nostra in pienezza e completezza d'amore. E allora il cristo vero salva. Sì possiamo gridarlo, Tu sei il nostro salvatore, ché qui ci indichi la via, di là la meta! E la madre sua dolce sta per divenire nuovo aspetto del dio! E' lei l'amore!

sabato 14 novembre 2015

La nuova guerra






Commovente perfino è il coraggio dell'uomo che ha fede nel dio di tutti e che, nonostante la sua precarietà d'uomo d'oggi, dopo gli sconcertanti avvenimenti di Parigi, può guardarli senza minimizzare il pericolo che tutti corriamo, senza illudersi di non star nelle premesse di una guerra sofferta, non voluta, che l'umanità tutta forse estinguerà. Contro chi? I fanatici che blaterano di un dio che affatto non conoscono. In questo mondo, che già ci fa grama la vita, ché tutti subiamo le assurde ragioni del male, da sempre presente, qualcuno impone, aggiunge la funesta idea che si possa raggiungere il dio e viverne la vita, procurando la propria e l'altrui morte con un atto scellerato, ma che c'è chi definisce martirio. I coinvolti volentieri fuggirebbero questa follia di chi distorti ha mente e cuore, ché non sacrifica sé per il benessere e l'altrui vita, ma forzosa e prematura si ostina a rendere la sua e l'altrui uscita dal mondo. Non segue il comando divino di amare i nemici e così lo nega. Perché? L'odio per il nemico è da sempre. L'odio si mantiene da se stesso, la novità è l'amore che svela il dio e richiede l'aiuto suo per mantenersi a questo mondo, tutto intriso di malvagità. Chi non ama, nega le ragioni, mai facili da comprendere, del dio, lo rende inutile, lo fa proprio uscito da una favola, come diventa il nostro libro sacro senza il cristo, che ci ha svelato la novità e necessità dell'amore verso tutti, inclusi i nemici. Colui che non ama alimenta l'aspetto mitico del dio, e ne fa un dio di vendetta che non sa, né vuole perdonare. C'è un inferno metafisico in cui il nostro estremista crede di avviare chi qui spende la vita, sicuro gaudente e blasfema, perché fondata sul dolore e la povertà dei più, mantenendo così l'inferno di qui che tutti coinvolge? Forse c'è, ma fa contraddizione, ché implicherebbe la persistenza del male nell'oltre, accanto al bene perciò solo parzialmente trionfante, con necessità di una nuova catarsi. È bene che resti minaccia, orrore ai reprobi tutti, che più che essere puniti avranno bisogno di perdono, rendendoli il dio capaci di capire di aver speso male la propria vita e averne vergogna. E il nostro estremista, che si crede esentato, forse perché si ritiene puro custode del vero, e ci dichiara assurda guerra, cosa non sa? Se l'amore è qui negato, è proprio perché c'è ancora chi odia sé, odiando gli altri. Se il dio è colui che dà la vita e la vita non si ha che per lui, non può essere da lui la novella per chi si dà e dà ad altri la morte e non combatte così i nemici del dio, ma gli si fa nemico. Più di ogni altro necessiterà di perdono per averne la vita postuma! Ogni superbia di aver capito ragioni del dio diverse dall'amore è come ogni viltà che lo fa negletto, spregiandolo nel povero e in chi sbaglia peccando, mentre tutti siamo poveri e peccatori, eppure lo abbiamo nel cuore! E chi ci uccide è il dio che uccide! Ogni tentativo di ignorare la necessità che abbiamo dell'amore e della vita, altera il senso dell'esistenza, nega la meta sognata, la visione del dio, fa più incerto e buio il cammino qui e più precaria la condizione di uomini. E quelli che così fanno sono il nemico, da amare, ma da cui anche doversi difendere!
Contraddizione dell'umanità illuminata dal cristo, ma costretta alla inevitabile ferocia della guerra!

domenica 8 novembre 2015

Povertà







La povertà, tanto giustamente aborrita, almeno ai suoi livelli più bassi, o è per qualcuno una condizione di vantaggio, quasi privilegio, offrendo più chiara sensibilità per uno scopo prefisso, oppure , annullando anche i sogni, rimane una condizione estrema che avvilisce corpo e mente e svuota i cuori perfino, una iattanza. Ma intanto chi è il vero povero? Certo chi è limitato dalla scarsità dei mezzi suoi e la vita spende insoddisfatta, grama, carente in tutto. E' uno che poco o nulla ha da offrire dalle ristrettezze sue, ma brama ricevere, anche se poco attender può dalla comune umanità, che ha forse in minor misura gli stessi problemi. Sì, la sua è vita avara di felicità e incline al dolore. Ma è proprio tutta negatività la condizione di povero? Qualcosa favorisce e, se sì, che? La salute dell'anima! Chi è alla sequela del cristo deve farsi povero, vivere dell'appena, come riuscì a Francesco. Solo chi si libera di ogni necessità, non resta più condizionato dal mondo e dalle cattivanti illusioni sue, che tengono l'anima legata in basso, come l'indigenza fa del corpo. L'invito del cristo è rivolto a tutti, essere uno che lo cerca e, ramingo, non sa dove posare il capo, né ha la sicurezza perfino di un po' di pane. E di che vive? Vive d'amore, del cristo lo stesso, che non è amore per un particolare oggetto, ma inteso è a raggiungere tutti e tutto, aspirando all'amore metafisico dell'afflato col dio. Colui che ha ricevuto l'invito e un po' lo ha seguito e poi vi ha rinunciato, pur continuando a dirsi uomo del cristo, fermandosi a un amore particolare o peggio sedotto dagli allettamenti del mondo e le opportunità che offre agli scaltri, fatalmente finirà per somigliare tanto al porco che si rotola nel suo sterco incapace di venirne fuori, ché indegno del cielo s'è fatto. Ecco non crede più nel dio, in quello immanente negli altri e nel cuore suo e in quello da raggiungere nella morte di cui comincia ad aver paura, e se dice il contrario mente, mentre il povero ha la tentazione del timore della vita che non gli risparmierà nuovi stenti, ma sempre confida che l'amore divino lo aiuti a superarli. L'amore è per lui farmaco, che gli fa tollerare le difficoltà di vita, l'indifferenza e stupidità dei più e la paura del dio mitico vendicativo, che non perdona. Il suo è un dio povero come lui, che di tutto s'è spogliato, e vede perennemente a pendere nudo su una croce, cercando anche da lì ricambio d'amore da tutti! Egli ha permesso il male e ha costretto l'uomo alla libertà. Libertà di essere per lui, libertà di fare, agire da egoista, come egli non sia. Nulla del cielo si rivela a chi non s'affatica a cercarlo dalla condizione sua di precarietà e di bisogno, anche estremi! Francesco predilesse la povertà, l'indigenza, spogliandosi non solo metaforicamente, ma nella sua scelta al popolo tutto volle mostrarsi nudo come è il cristo sulla croce, e cercò il dio in tutti e in tutto, e tutto gli parlò della sofferenza degli esseri e delle cose tutte, prigioniere del male. Sperò di trovarlo nella sorella morte! Fu un vero asceta, cioè chi perennemente cerca l'oltre e nell'amore per tutti e tutto, come ha comandato il cristo. Oggi ci sono i bari, quelli che dicono, nulla sapendo delle cose del dio e quand'anche qualcosa sanno le loro sono frasi vuote, non vissute nel contenuto, e perciò in ogni caso essi spacciano menzogne sul dio. Sono scandalo, inciampo per quelli che lo cercano dalla piccola o grande indigenza loro, sono solo spighe vuote senza chicchi, ostentano sicurezza, pensandosi accetti al dio, mentre solo chi lo ha nella mente e nel cuore, tanto umile è che fa come la spiga piena, china il capo dal tanto che ha, sullo stelo suo, non dritta perché testa vuota come l'ha il saccente delle cose del dio. Ecco chi è dunque il vero povero, che spera d'aver destino tra le stelle, chi si sente privo non solo di mezzi materiali, ma sente pesante la propria inadeguatezza, l'insidia dei propri limiti, lo scemare delle forze nel logorio degli anni nell'operare il bene e non cerca il dio in un libro per quanto sacro e ne blatera, ma in tutti gli altri e li ama disperatamente, non escludendo i nemici, comando divino! E può ben dire, Ecco io ho un vantaggio su te, sporco ricco saccente, che ingrassi di quello che altri poveri e umili danno per quelli che peggio stanno, e così tradisci il vero dio e il suo pater patrum, il novello Francesco. Tu vesti ricchi paramenti alle cerimonie perché così credi di onorare il dio povero, invece di cercarlo in tutti amandoli e aiutandoli nelle difficoltà di vita, mentre meni vita tutt'altro che indigente. Io ti disprezzo, non ti odio, spero che il dio ti perdoni subito, così l'amore mio sarà completo, tu da immondo promosso a semplice nemico! E posso ben dire a me stesso e a tutti, Cave hominem unius libri! Lo interpreta come più gli conviene, per conservare geloso ciò che rinserra, ma che la morte gli strapperà, mentre leggere non sa il libro della vita!

venerdì 25 settembre 2015

L’amore e la preghiera

Parte prima


Noi abbiamo nel nostro cammino al bene diverse opportunità di contatto proficuo con l'altro, ma questo incontro va preparato, preventiva la preghiera. Possiamo così parlare all'altro o in vece sua, quando egli sia impedito d'esprimere il suo e conosciamo cosa l'affligge, oppure v'è particolare empatia da immaginarne le pene tanto da essere sicuri di poter anche pregare non solo pro, ma soprattutto in sua vece. E dire alla persona divina, Ecco ti dico le parole che il mio cuore intuisce che lui ti direbbe! Ed è questa particolare grazia da invocare possibile a quella del cielo quando si sappia che v'è chi impedito è alla preghiera personale, persa completamente la speranza nell'oppressione del male e il proprio cuore disperato abbia fatto di sé corazza, ché nulla entri e nemmeno esca. Ma più ancora, e mi riferisco a quel che sento imperioso in questo cuore che la vita ha strapazzato, quando l'impedimento a esprimersi venga da malattia che mente e anima abbia serrato. Se capaci di questo, noi avremo colmato lo iato, il divario, che s'è frapposto tra il nostro sperato e l'altrui desiderato, la nostra e la sua anima. Sì, quei tasselli del mosaico che fa la vita vanno ravvicinati e giustapposti, scompiglio che prova che il male chiamato, venuto in questo mondo, vi ha creato disordine. Perché il male non è solo una obbiettività nell'esistenza, ma una necessità della creazione, in nuce già nella distinzione dal dio creatore della sua creatura, il mondo dei viventi e delle cose tutte che lo fanno. Allora se il male è permesso per amore deve anche avere una positività, l'amore si fonda sulla reciprocità del sentimento e a caro prezzo l'uomo deve scoprirlo in sé per il suo geloso dio! Solo dopo questi propositi e l'aiuto che dà la preghiera assidua potremo anche rivolgerci all'altro nel quotidiano e dirci, Io ho già pregato nel segreto del cuore per te, ora devo farti sentire esplicito quanto possono la solidarietà già anticipata nella mia preghiera e la simpatia da manifestare, se fartele conoscere saprò. Ma come? Dovrà accadere nella consapevolezza di vivere momenti diversi dello stesso impegno a contrastare il male, che credo, giova ripeterlo, nasca dalle differenze di questo mondo e ne viva, che perciò annullate vanno. Quali? Come il vivere vicino o lontano dal cristo, ancora sani o già suoi malati, indifferenti o solidali con chi stia in angustie, lo starsene per sé o partecipi del destino di ogni altro vivente, impegnati per la pace o, se sopravvissuti, disposti a chiamare pace quello che resta dopo ogni guerra, un deserto, comportamento ben descritto dalla sapienza antica, sì, come certo lo definiscono in ogni epoca gli ipocriti della violenza vincente… Perciò se l'unica lotta lecita è quella contro il male, occorre impegnarsi a combattere tutto ciò che ad esso dà rigoglio, così che non ci debbano più essere ricchi e poveri, buoni e cattivi, capaci e stupidi... Ma come fare? Anche qui non pretendo di insegnare nulla, ché sono ancora nello spirito il bambino che prega ad ogni occasione il dio e se ne appaga, ma che anche lo cerca, disperatamente ormai, come Francesco, che ne sperò alla fine l'incontro palese almeno nella morte! Ma esprimendo il mio sentito per lui, cerco di chiarirmelo ancor più e forse a qualcuno potrò essere d'aiuto a costruire la sua personale idea sul dio e sull'uomo, se amarli vuole. I nostri antichi padri avevano culto per il senso dell’opportunità nel fare cose o esprimere pensieri, ciascuno nel modo o senso appropriati e nel giusto momento, ad tempus. Questo comportamento è sempre valido, nel rispetto dovuto all’altro, alla sua sensibilità e intelligenza, alla particolarità della sua storia e vita. Qui dirò di come credo occorra parlare al prossimo e a se stessi, perché l'amore verso il proprio sé va talvolta castigato, se troppo indulgente e permissivo, l'amore ugualmente intenso dovuto all'altro va saputo spendere, ché per troppo zelo non venga frainteso e talora umili l'altro. Sto per dire quello che intendo. Sì, se ci si è a lungo preparati con la preghiera sarà buona norma, buon comportamento con l'altro, interessato all'amicizia, o che talora rappresenti il destinatario di una nostra giusta osservazione, l'agire cauti, ché la nuova amicizia s'affermi e l'antica non abbia a soffrirne! Sì, se buoni rapporti si vogliano creare, ma ancor più mantenere quando giudizi su fatti o persone, richiesti o no, devono essere espressi, allora vanno saputi porgere se motivati dal bene. Perché? Se intesi sono a crear premesse di contatti amichevoli, ma ancor più con discrezione, prudenza appunto, quando vogliano suggerire, modificare, correggere benevolmente un atteggiamento, un’opinione radicata, ma ritenuta onestamente sbagliata. Sempre la buona intenzione non deve essere fraintesa, equivocata, ché quanto proposto o suggerito non verrebbe considerato e così ne resterebbe mortificato l'amore per l'altro, che al credente è comandato. Sì, proprio così con prudenza, con tatto si agirà con l’intento della correzione sempre benevola e non per l’approvazione, l’affermazione della propria visione, che può essere imperfetta, del proprio pensiero, che può essere fallace sul mondo, sempre insidioso per chiunque, e del come si ritiene ben restarvi, come suggerisce la propria esperienza che però è pur sempre limitata. Insomma quello che è chiaro dentro va sapientemente espresso, va, ribadisco, saputo porgere, è come dire che quel che si pensa va velato e con gradualità scoperto, senza offesa o turbamento per l'altro sia per proporre un'amicizia nuova o rinsaldare una antica quando punga riconoscere lo sbaglio dell'altro e ad esso si voglia porre rimedio ché torni l'armonia. E se proprio di correzione si tratta, l'altro solo così potrà con dignità accettare il giudizio su cose e fatti, e un comportamento, una decisione migliori in una situazione analoga futura, certo terrà e intanto riaffermerà l'amicizia al proponente una condotta diversa, che si sia espresso con “io avrei fatto, io avrei detto oppure io farei, io direi”! Molto diverso è il rapporto col proprio sé, i fatti e lor parole devono essere nudi senza cautele o orpelli, perché intesi a far chiarezza subito, ché è sempre il tempo opportuno, anzi urge, senza vengano riposti nell’armadio del poi, in cui la dimenticanza è auspicata, sebbene inconfessata. Ma l'oblio di un comportamento scorretto non è per sempre e nitido il ricordo del mal fatto si ripresenterà, proprio come lì-lì accaduto nella crudezza e durezza sue!


Parte seconda





Tanto più ancora occorrerà essere così schietti, senza nulla nascondere, se si ha fede, perché non ascolta solo la propria coscienza, ma la signora del cielo, che perorerà al figlio suo la nostra richiesta di perdono. Spesso infatti si tratta di chiedere conforto, aiuto o appunto di farsi perdonare, perché torni la pace del proprio cuore. Non è che la persona divina che ci porge attenzione non conosca i fatti e sia necessario esporli in dettaglio, ma rivederli nella loro crudezza e senza omissioni di particolari scomodi, fa bene soprattutto al proprio sé, alla propria anima, al proprio cuore. Né è necessario giustificarsi, col “non potevo far diversamente o dire”, noi non dobbiamo imbonire l’interlocutrice, a lei, credo, interessi che la verità morale sia stata riesaminata nel pentimento e compresa in tutte le implicazioni, le meno coerenti col proprio dichiarato credo soprattutto, quindi le devianze intese come occasioni di peccato, allontanamento dalla fede, che è per l'amore verso tutti. Il comportamento con gli altri può però essere molto diverso e da taluni spesso è inteso al consenso, così vediamo personaggi un po’ istrionici dire del sé, colorando i fatti, rendendoli graditi a un pubblico più o meno consapevole della mistificazione. E’ chiaro che con la persona divina cui ci rivolgiamo nella preghiera questo non è possibile. E nemmeno quel porgere grazioso nei confronti della persona con la quale c'è il rapporto speciale che chiamiamo amore. È dolce e gradito questo saper dire, per chi ascolta, coerente col sentimento che ha il proprio cuore, quando l'altro confessi uno smarrimento, una incapacità occasionale a sostenere il proprio sentire o difenderlo. E quella del cielo è sì donna, ma speciale, e c’è un rapporto con lei da proteggere proprio dalle banalità e miserie di quaggiù che vorrebbero contagiarlo, inclusi gli imbonimenti in cui non si rinuncia alla mellifluità delle espressioni. Sono tutte inappropriate, non si parlerebbe così a una madre, basta siano sincere, misurate, responsabili. Naturalmente io non ho consigli che per me stesso, parlo a me, ché io sono uno, lo ripeto, che da tutti impara e niente pretende di insegnare, so che la preghiera è personale, un’espressione mistica, un moto del cuore credente, e solo al cristo si potrebbe chiedere, Insegnami come dire a tua madre, a nostra madre, insegnami a pregare! Ma lui non parla! Allora, mi chiedo dalla mia insipienza, Se le parole devono essere essenziali ed è anche vero che la mia interlocutrice, nella preghiera, in cui svelo senza travestimenti o abbellimenti i fatti e i pensieri del mio intimo, spesso scadenti o anche miseri, quando non peccaminosi, è la bella delle stelle, di che di me si innamorerà, o scontato è che ella ami anche l’uomo mediocre o l'ultimo perfino? Le piaceranno la mia sincerità nel riferire i miei trascorsi, la passione che ho messo tentando il bene, il rammarico sincero dei tanti errori? Forse! Ma credo che alla mia richiesta dettata da riconosciuta miseria, Non abbandonarmi!, risponda come per lei fa questa piccola donna, che così come sono, uno che cadere può non solo fisicamente, ed è di recente accaduto, ma moralmente, m’ama, rispondendomi, Come potrei! L’amore di donna di qui non si compra, non s’accresce con mille più o meno sincere attenzioni, è gratuità completa, dono, così dal cielo! Spesso noi maschi ne siamo immeritevoli, io sono così, eppure c'è anche per me una che mi vicaria la bella che mi attende oltre le nuvole che velano le sue stelle! È già qui la sua tenerezza, anche se quelle di fuori rispecchiano le nuvole di dentro, dove è il vento dell'egoismo ad addensarle! Sì, forse sono tra gli ultimi, ma ella ama chiunque, come donna speciale del cielo, come madre del cristo e quindi di tutti! Sì, c'è chi in questo cuore legge il bene e il bello nonostante il suo torpore o il gelo che vi fa il peccato, e mi dà fiducia, e questa piccola donna non lo sa, ma quel tanto che amore le detta, qualcun'altra lo suggerisce al suo cuore!

lunedì 21 settembre 2015

La difficile via della bontà


Non credo amore vi sia autentico laddove perdono non v’è. Il perdono ne è talvolta la premessa, delusi i primissimi sogni, ma più spesso è una fase del sentire, una pausa che ne consenta la ripresa, con convinzione anche maggiore, anche allora dopo un comportamento inadeguato dell'altro. Sì, l'amore non è qualcosa che si cancella facilmente, si rinnova quasi sempre se vero, eppure accade che talvolta scada, diventi indifferenza o rancore addirittura, tanto il male può aver distrutto la stima dell'altro, ché il bel sentire, il buon sentimento s’è rattrappito e nascosto, sopraffatto! Lasciare che questo accada è degradarsi fino al livello della colpa dell'altro. Invece andrebbe compresa e perdonata appunto, non permettere vinca il male! È una tentazione onnipresente che occorrerebbe scrollarsi. Cioè ripetersi, Amo chi è, come me, naturalmente fallace, chi vivendo in questo concreto, se ne può lasciar sedurre fino a offendere il sentimento mio, io amo solo un essere umano! E più ancora lo devo amare se col comportamento suo deviante, mi si fa come nemico, comando divino! Allora chiediamoci, L’amore del dio com'è, ha di simile o più ancora? È diverso? Sicuramente mai scade, ed è disarmante l’arrendevolezza sua di fronte a ogni fatto, anche estremo, anche di cattiveria manifesta o di subdola malizia, ma perché torni a farsi percepire, con la sicurezza di sentirsene protetto, che solo il buono, o il così tornato dopo rinnegata parentesi, ha nel muoversi tra queste miserie, è necessario il pentimento sincero, del male fatto o del bene omesso, cui segue l’immancabile perdono. A me è stato perdonato molto, non perché il mio comportamento sia stato malizioso e cattivo, ma, tentando l’amore, ho peccaminosamente pensato di aver spesso sprecato il mio per un indegno, forse solo per paura del diverso e delle motivazioni sue, rinunciando così a guadagnarlo al cristo. Insomma la via del bene è sassosa, è piena di inciampi, e occorre chiedere a chi può favorirci, al cristo, non solo la forza di percorrerla, ma la cautela, il discernimento per affrontarla, per passare tra le situazioni più estreme fornendo aiuto e sostegno senza contaminarsene e resistendo alla tentazione, così frequente, della rinuncia. Sarebbe il peccaminoso voltarsi indietro, riprendere un comportamento meno spinto, meno impegnativo, meno compromettente, più sicuro, e in fondo scialbo, inefficace, inutile. E anche questo io ho fatto! Ma c'è di più in questo percorso, già tanto difficile. Sì, nella via del bene, anche le critiche sono inciampo, ché non vengono da quel mondo brutto che va aiutato a superarsi, ma inattese da così detti per bene, impegnati in storie analoghe. Perché lo fanno? Ci può davvero essere invidia tra noi, emuli del cristo? Una cosa che ci degrada tanto in basso da aver bisogno d’aiuto quando pretendiamo di darlo? Insomma occorrerebbe guardare al bene, ma criticare il solo proprio comportamento deficitario, e mai giudicare chi tenta d’analogo, mai sminuirne il successo, ma cercare di emularne l’azione per piccolo merito che abbia, anche ridotto, non per rinuncia in fondo sempre egoistica, ma, prevaricante il male, alle sole buone intenzioni. Noi non dobbiamo personalmente piacere, operiamo perché piaccia il dio, lo sconosciuto a tutti, noi compresi. E come far conoscere chi di cui poco o nulla si sa? Conoscere si può anzitutto in virtù dell'azione nel bene anche solo dettata da filantropia, spesso eroica, di chi si spende per l’uomo lottando la natura con le spesso avverse leggi sue e di chi propaganda la bellezza del dono di sé per un nobile scopo, la generosità per i viventi tutti, la fratellanza tra gli uomini, la necessità della pace. Perché? Quale ne sia la motivazione profonda di chi lo attua, il bene manifesta il dio sempre! Ma talora si tratta di soli apparenti impegnati che si fermano a belle parole e frasi, anche solo dette al proprio sé. Sì, l’azione di questi buoni potenziali, pur dettata da nobili impulsi, si arresta spesso ai ben enunciati propositi, mentre rinunciano di fronte a ostacoli imprevisti che ne mettano in pericolo la vita, la dignità, o perfino il benessere da cui si muovono nell'azione loro, ma a patto che garantita ne resti la tranquillità nel loro operato. Insomma si accorgono, di fronte a questi fatti limite, che ne rischiano il coinvolgimento, ché quello del bene è solo un postulato della loro coscienza, una verità premessa per un fine che si sostiene fino alla smentita clamorosa. È necessario diventi un assioma, una verità evidente, che di prove bisogno non ha, da comunicare irrinunciabile, operando anche senza parole. Perché in questo consiste la conoscenza del dio per sé e gli altri con cui si condivide la verità che uscir vuole dal proprio cuore, occorrendo spingere la propria testimonianza fino al sacrificio di tutto ciò che fa il sé, della vita perfino! Il che riuscì al cristo, ma noi siamo solo uomini e talvolta poveri uomini. Quelli che lor miseria svelano di fronte alle difficoltà di vita, così odio, crudeltà, violenza le fanno per noi eccessive, quelle che compromettono o addirittura minacciano con gli impedimenti loro, la vita. Non è facile essere soldati di cristo, accettare che la propria vita, già tanto fragile e talvolta insicura o addirittura precaria, esposta, si faccia tragica. Non è facile incidere sulla realtà e modificarla per il bene di tutti, e prima di pensare alle pietre di questo cammino così travagliato che è la vita nel bene, occorrerebbe frantumare la pietra del proprio cuore, quella che corazza il proprio sé e pone un limite oltre il quale il rischio non è più accettabile, ché così si è solo buoni con riserva, non testimoni della verità. Ci aiuti la preghiera a non essere tiepidi seguaci del cristo! Troppe le lacune, le inadeguatezze, la dispersione delle proprie energie, troppo poche le conseguenze di bene e oggi perfino le nefandezze dai violenti, la pace oltraggiata nel nome del dio che non si conosce e rimarrà così sconosciuto più ancora! Il dio è solo amore, non chiede di imporsi, con la ferocia della guerra addirittura! Ma il suo cristo può dare la forza per aiutare chi nulla ne sa a scoprirlo, in sé e poi negli altri! Se quando sarà la nuova vita più non ci distingueremo nell'amore dal cristo e saremo, pur restando noi stessi, anche lui che ci ama, è necessario che io preghi così, Aiutami già qui a essere te! E se sarà anche per poco che le mie siano le tue parole, i miei i tuoi gesti, le mie le tue mani, sapendoti vedere nel sofferente, mi smarrirò per tanta grazia, ché sarò a un tempo chi soccorre e chi è soccorso! E se non solo non mi distinguerò da te, ma dal cuore del misero che ti nasconde, allora anticiperò quell'amore che fa di sé il luogo del bene, là, dove non so, ma fuori da questo male e dal tempo suo!

mercoledì 16 settembre 2015

Fuori dai sogni







Non è forse vero che scorre la vita lenta nel silenzio del dio, ma che correre può nella speranza delle sue parole? E io tanta ne ho e ne ho avuta, ma frammista a sogni! E, ragazzo, mi sono chiesto, Ci sarà mai un'alba di tanta luce che inondi le cose e vivide le faccia dei colori suoi, così che la realtà novella distinguere non si possa dalla sognata? E lì solo cose belle, incontri, lor parole, e, dalla sospirata, sorrisi e gesti che accompagnino parole che entrar vogliano nel cuore per rimanervi, dolce brusio! Sogni, vaghezze di giovane vita! Ma presto il risveglio per accorgermi di ritrovarmi fuori dai sogni tra cose belle e brutte, e s'è ripetuto più volte ed è stato così che la speranza del solo gradito ad un cuore nel frattempo vecchio divenuto, quasi senza lagnarsene, si è slargata all'oltre. Quale il suo tempo personale e il dove comune, nessuno sa, ma sta sicuro fuori di questa vita e dei sogni suoi, è speranza e divenire può certezza, fede. Perché non è sogno? I sogni della mente si spengono all'alba, quelli del cuore durano quanto l'amore. Ma non è amore che s'attende nell'oltre? Sì, ma qui è l'amore desiderato che suggerisce i sogni, e tutti significano che esso possa realizzarsi come il cuore vorrebbe. Il mondo dell'oltre è esso stesso amore, cioè non tanto il luogo del solo amore, non più agognato, ma raggiunto, ma è luogo fatto dall'amore! Ma diverso dovrà essere da questo in cui è ora la vita, mondo che pure l'amore divino ha fatto. Perché? Qui il dio ha permesso il male che si frappone all'amore e può distruggerlo, inaridendo il cuore cui destinato sia! E da dove il male? Forse in nuce già nella necessaria distinzione del creatore dalla creatura sua! Ed è stato come le abbia detto, Ti dono la vita ma tra noi si frapporrà il male, lo subiremo entrambi! Non lo dice la storia del cristo? Ma che cosa egli continua a chiedere, afono ormai? Egli senz'altro vuole che impariamo a non distinguerci più tra noi e da lui. Perché? Anticipata egli vorrebbe la nostra libertà dal male, che, come cercherò di dire, richiede per rimanere a questo mondo che ciascuno conservi la distinzione di se stesso da ogni altro, quella che l'amore del cristo annullata sospira. Ed egli qui rimane fintanto che un solo uomo ne sia prigioniero! Sì, il cristo chiuderà la molto lunga teoria dei candidati alla vita novella, tutti, quelli che sono stati, sono ora e saranno! Intanto qui l'amore, almeno quello per un particolare “tu”, ha bisogno di sogni anticipatori, finché lo si raggiunga e poi di altri ché, nonostante il vissuto, esso possa durare, esentato dal male o più forte da tenerlo lontano o vincerlo. Quello voluto dal cristo per ogni altro “tu”, necessita anche del sogno anticipatore di essere capaci di estenderlo ai nemici, ma un brutto risveglio sarà possibile, ché per il primo sognatore fu per la croce! Allora quest'amore voluto andrà tentato, ma potrà non realizzarsi, ma sicuro sarà nell'oltre. E nell'attesa che venga quel mio tempo, vicino ormai, che all'oltre introduce, piano, senza quasi far rumore, io vado a pregare per i sentieri d'un bosco che ben conosco. E respiro appena per non spezzare la meraviglia, che sa ancora dare la natura, però m'accade di fermarmi smarrito. Sono ancora io, che vedo e odo, o qui disperso, i mille occhi che mi vedono incantato? Sì, dev'essere che l'incanto di erbette, fiori, fronde e uccelletti mi ha fatto perdere la percezione del tempo e del luogo! E ormai avanza il buio, ché è già il crepuscolo, ma presto tra gli squarci di cielo le stelle! Non è stata così la vita tutta perché amata, anche soffrendo fuori dai sogni? Sì, crepuscoli d'abbandoni, buio di solitudine e poi stelle! Sogni ancora, forse più cauti, no, solo novelli! E io trovo la mia via, una diversa dalla smarrita e ritorno, ma a che? Certo ai sogni dovuti a quest'amore per la mia donna, ché tutti significano che esso più forte possa essere del male stesso che vuole che oltre esso non viva e rapirci, vorace il nulla, che paventiamo che tutto inghiottire voglia, sogni e speranza! Ma vivrà l'amore nostro, ché noi vivremo, e io ritroverò questi occhi che brillano quasi stelle anche nel buio di dentro, quello che vuol farmi sempre più fitto il male, che avvelenato m'ha il cuore tentando negargli i miei ultimi sogni! Fuori dai sogni qui è possibile grama una vita senza amore, sono i sogni che lo cercano e, raggiunto, lo vedono già come quello dell'oltre! Nel mondo che viene sarà vita tutta d'amore, ma senza sogni? No, piuttosto con sogni la cui bellezza sarà da vivere subito, appena il cuore ne condivida immagini e lor parole con l'amata di sempre! Ma io credo di più, sarò io che cercherò lei e sarò allo stesso tempo lei che cercherà me, cioè più bene non ci distingueremo in quei sogni, così noi da quella da sempre innamorata donna del cielo, e saremo chi la ama e anche lei stessa che noi ama! E così sarà annullata la distinzione del sé da ogni altro, quella il cristo già qui vorrebbe superata, anticipo del mondo speciale d'amore, che tutti attende. Perché se pure lì fosse possibile ancora ben distinguere l'io dal tu, vi verrebbe il male, come qui è dovuto accadere!

domenica 13 settembre 2015

Il mondo che viene


Ma poi che è questo vagheggiato mondo da venire? È uno tutto novello delle inedite opportunità nella garanzia della bellezza e della bontà nel loro esito, così sempre felice? O forse più ancora la revisione delle trascorse vicende di qui, lì incontrati quasi angeli quei protagonisti forse da noi prima delusi o qui per noi maldisposti? Sì, il loro ripensamento con quelli, che nella favola novella saranno tanto diversi personaggi, che già qui così essere dovevano, ma nascosti in loro scorza, in fine caduta, sì qui già farfalle, ma in perenne bozzolo di lor crisalide! Alludo anche o specialmente alle donne della mia vita, le illuse di me e poi deluse da me, lontane ma di cui talvolta ritorna il ricordo, tenero quand'anche imbevuto d'amarezza. Perché tanto importanti nella vita di tutti sono le donne, mi chiedo? A questo e ad altri perché facilmente risponderei se conoscessi la risposta alla domanda, ha vero senso la vita? Che io sempre mi pongo e ne faccio congetture come ossessione ne abbia di chiara risposta! Che voglio dire, che voglio trasmettere? Forse solo questo, nulla nella vita è importante più dell'amore di donna. Perché? Dà alla vita un senso! Qui lo dirò da quello che nella mia vita le donne hanno significato e come convinto mi sia che loro suggeriscano l'oltre, e questo me le ha rese preziose. Cioè non solo chiariscono lo star qui, ma anche il perché sperare nell'oltre. Ma anche dirò di una un po’ più di tutte, vitale per questo ormai vecchio cuore, ché altra, che mie lusinghe attenda, non ha! Sì, io non ho che lei, anzi vivo di lei! E tanti i ricordi della mia mente di altre, ma tutti scialbi si fanno per gli occhi suoi, che sogno quando non li guardo e sono loro a dirmi, Altri occhi per noi ti vedono! Ma inizierò da quel che, credo, accadrà a tutti nella vita futura, rivedere nella pace il bello di qui, quello solo lì non più frammisto d’amaro. E io rivedrò certo la bambina occhi cerulei dei sogni dell’infanzia mia, tutta triste altrimenti, là fuori di sua luce uscita e riprese le sembianze a me care e riconoscibili, per farmene dono. Piccola bambina era e qualcuno la portò via! E poi anche la occhi neri, ammaliatrici di lor bellezza, quasi sempre severi con me, della mia prima giovinezza. Ho amato quella donna? Se vero sì, mi chiedo, Si può perdere una per amore? Qui, sì! È terra d'equivoci, perché se qualcosa è davvero, può non apparire nella sua rarità e preziosità e perciò cosa cui si possa rinunciare! E così può essere per la cosa più bella, l'amore! Proprio per quella che raro disse d’amarmi. Quante volte accadde una, più volte? Non so più, ma quando fu, forse al suo cuore tenera mi strinse come si fa di uccelletto che, preso, lasciar sfuggir non si voglia, ma dolce lo si trattenga per non fargli male. Ma vero così avvenne? M’è dolce così ricordarlo, non ne ho più certezza, troppo lontani quei miei sogni! Sicuro cento altre volte tutt’altro! Io ad altre, a dir suo, l’attenzione mia rivolgere avrei dovuto, più giovani e ingenue, senza troppo conoscere l’amarezza della vita, semmai solo presagita, e da allontanare appunto con l’illusione d’amore, che io senz’altro donare ben avrei potuto. E io, che sapevo da dove le veniva tanta angustia negatrice, aspettavo le passasse tanta rabbia verso tutti e l’apparente o sicura mia ingenuità, e tornasse ancora quella d’abbandonarsi desiderosa tra braccia, che altro non volevano che trattenerla. Era solo per me, troppo stupido, vero amore? Sicuro era situazione che vivere non poteva nella precarietà sua e finì nella mia amarezza! Ma più ancora ricordo la dolce piccola donna da cui mi separava un abisso di diversità sociale, che per lei nessuna importanza aveva. Ma tanto la delusi! Era bello sognare che qualcuno sarei diventato che scelta l’avrebbe, per l'approvazione dei buoni con noi e il dispetto degli altri tutti! Ma poi che fu, perché la persi? Io davvero tanto ero impegolato nei limiti miei e degli stupidi che frequentavo, anche invidiosi di mia sorte, che da qualche mia stravaganza, non uscii indenne, perché in vino veritas! Ma da allora fino a virtuoso sono diventato, ché esso nulla più abbia da suggerirmi e da farmi perdere! E io forse persi così un vero amore! Più rivista non l’ho, finita improvvisa la tenerezza tra noi negli approcci suoi primi, ma la pensai felice, e forse vero lo fu. Ma poi la seppi sola e malata, malattia che in una gabbia l'ha rinchiusa, ché niente dal suo bel cuore uscir più ne potesse, con le parole sue perse come in un labirinto. Ora prego che davvero esista il cielo delle stelle accoglienti per rivederla così com’era nei sogni miei di ragazzo, interrotti! E poi è venuta questa donna dolcissima dal piccolo grande cuore, che pur triste di quel che le raccontavo di queste e di altre incontrate, cercava di sorridere alle mie lacrime vero appena cadenti o trattenute, per rincuorarmi, ché rimediato ella avrebbe alle tante delusioni! E vero così è stato! Sì, è vero, con lei cento sogni ho vissuto e tanti altri ne ho anticipati, quelli che appieno vivere potrò solo tra le stelle. Ma allora, mi chiedo, perché poche o anche tante donne alle possibilità del novello mondo dovrebbero introdurmi? Non basta la migliore tra quelle, senz'altro l'ultima? Mi rispondo così, La mia vita è stata per poco anche la loro e, sublimata che sia, ché voluto l'abbia quella che lassù regna, vi continueranno forse a recitare lor parte, ma con le angustie tutte accantonate, tutte quelle di qui, che là, oltre queste tanto vili apparenze, appena vi possono conservare traccia, come accade di superato, lontano, brutto ricordo. Ma allora sebbene grande sarà la gioia nella nuova luce, vero l'accrescerà la presenza loro ritrovata, tanto che mi si slargherà ancora il cuore, qui tanto deluso? Ma non sarà che la vera compagna di questa vita ne resti estranea e trascurata? No è ella la gioia stessa! Sì, continuerà ad esser, quale è qui o più ancora! E che dirò di più? Questo novello non è il mondo dei soli sogni qui sospesi o perduti, confabulati belli almeno un po’, ma soprattutto delle spiegazioni per chiedere scusa o perdono! E io tanto ne devo anche a questa piccola donna mia che non le vuole oggi, né vorrà allora, tutte superate e scordate per amore, carenze e sofferenze che evitarle avrei forse potuto. È quella che iniziato m’ha anche a questo sogno e alla dolcezza suggerita vuole condurmi, ché, lo significano gli occhi suoi, C’è una bella che noi aspetta e ci sorride d’assenso! Sì, ha reso possibile quello che altre prima hanno pur tentato, il sogno del dopo, del buono, del bello, del perfetto anticipato dai sogni suggeriti da pur effimero loro amore. Ecco perché tutte sono state importanti e perché lo è l'ultima che questo mondo che viene mi anticipa per gli occhi suoi, gli stessi occhi di quella del cielo! Sono occhi da sogno questi che ancora a vederli brillare sotto le stelle, mi invitano per la mia meraviglia, come se giovane ancora, nell’indulgenza loro, mi vedano. Sì, una c’è stata dopo la madre mia, che mi ha amato discreta, o da nascosta addirittura! È quella che ha fatto di tutti gli occhi a me interessati, ai suoi finestra, e di tutte le parole per me dolci o amare il mezzo per farmi giungere direttamente al cuore le sue, afone per le orecchie umane, ma che cuore perfettamente intendere dovrebbe. E questo mio stupido cuore forse nessuna ne ha vero capito da suggerirmela chiara, è pur sempre un cuore che non sa d’amore, se non quello che la sua piccola donna ha faticato ad insegnargli! Ma almeno gli è restata la certezza della fonte loro, sono state parole dalla donna divina! E alla fine dubito che la vita altro scopo abbia che esprimere quest’amore di donna speciale. E ora mi chiedo dallo smarrimento che questi pensieri mi danno, di cui si imbeve la mia fede, Chi ha più sofferto tanta lontananza e indifferenza, io, che creduto troppo ho nelle donne di qui, non solo nelle ricordate, pensando che solo loro possedessero il segreto dell’amore, quand'anche solo il loro poco per me stringessero, o quella delle stelle che tanto tempo ha dovuto attendere che una mi dicesse esplicito il suo tanto per me solo, e soltanto così proprio quello da lei, donna celeste, restato fino ad allora celato, trasmettesse? E io tanto lusingato sono che questo abbiano significato le mie pene, che giunto alle sue stelle lei cercherò ansioso e di lei chiederò agli angeli suoi, finché questa mia donna, che raggiunto mi avrà, forse mi dirà, Possibile che vedendo me tu non la veda? E così mi chiedo, È questo proprio il segreto delle cose di questo mondo e delle persone che vi si incontrano, è questo che dà senso alla vita? Questa proprio l’importanza particolare delle donne? Sì, proprio nella mia vita! Sono state per me immagini sfocate o assai poco chiare di qualcos’altro che sta oltre la fisicità loro e lor parole e lor gesti? Davvero è così? Ma occorre fede, per sentore avvertirne dalla storia di ogni vita, e io un po’ ne ho o m'illudo d'averne. Sì, ci sono tutte per rappresentarlo, per suggerirlo, per desiderarlo e cominciare ad amarlo, quello che sta oltre loro stesse, perché non c’è altro scopo della vita se non l’amore divino. Ma tutti ne saranno surrogati e uno solo anticipatore! Spesso la vita viviamo in religioso formalismo, spendendovi il meglio di noi stessi, il lavoro, la carriera, la posizione sociale, l'accumulo di ricchezza o quant'altro, mentre una sola cosa è importante, condividere l'amore! Ma vero accadrà con una soltanto, che anticiperà questo speciale amore di occhi belli che ci guardano teneri e non possiamo vedere! Tutto perderemo nel mondo che viene tranne l'amore e il poco qui raggiunto una accrescerà a dismisura, quella che sogno che dalle braccia sue lasci cadere stille di luce, che stringe al petto, come le pulsa il cuore!

mercoledì 9 settembre 2015

La sofferenza e la sua speranza


Come chi di scienza ricerca il perché delle cose e contentarsi non può del conosciuto, ché col sapere aumenta il mistero che vela ciò che dà fondamento al mondo, così chi il dio cerca. Ne sappiamo qualcosa, alcuni di noi hanno vista più lunga e privilegiata dei fatti che ne concernono, eppure alla domanda, Chi è?, l’onesto balbetta e dirlo chiaro non sa e non può! Qui dirò del perché. Solo il saccente delle cose del cielo crede di averlo trovato e capito e di poterne dire a tutti. Ecco, sa qualcosa, eppure crede esaustivo e definitivo il saper suo. Chiaro che il suo è presunto sapere. E perché? Quello che è umanamente possibile conoscere in questo campo va vissuto, cioè si sa ma per frammenti, e solo se quei tasselli dell'oscuro mosaico si sono vissuti nella coerenza, soffrendone perfino la testimonianza, li si fa propri, collocandoli al giusto posto, ma rimarrà un sapere parziale per quanto numerosi e ben posti possano essere. Ecco, se io mi dico, Oh quanto è buono il dio! È solo perché sono arrivato a questa affermazione, solo per me valida, attraverso le mille sue contraddizioni e apparenti smentite vissute sulla mia pelle, sì è proprio un’affermazione sofferta, ma dal cuore anche o soprattutto. Sì, io ho sofferto per poterlo dire con convinzione, ma solo a me stesso, e non riferisco mie le conclusioni di altri, le dico a me dopo il lungo buio della mia anima travagliata, eppure quanto affermo è valido per me solo. E qui ne scrivo contraddicendomi? In verità molto tacendo, con discrezione, con pudore perfino, ché nessuno si offenda, perché io, non ostento sicurezza e non suggerisco una via, quella da percorrere potrà essere analoga, ma sarà personale e, dico per esperienza, sarà travagliata! Ma quelli che raggiungeranno un simile traguardo, devono ritenerlo come segreto del cuore, quindi non lo sciorinino, non ne dicano, non ne parlino! Perché? Un'affermazione, come, Penso che il cristo è in ognuno che sia nel bisogno, si potrebbe forse comunicare come un postulato della fede, lasciandola così scadere a premessa del proprio agire, ma la certezza va tenuta nel proprio cuore, dal momento che è un'evidenza solo per se stessi e perciò incomunicabile, ché se esce dal sé deve esprimersi a parole e tutte significano poco o nulla per chi le ascolta e non le vive. Perché si deve prudenza nel comunicare sulla fede? Rispetto si deve, non tanto all'incredulità dei più, che spesso è frutto di autentico dolore e perciò lo merita, ma alla sofferenza di ogni altro impegnato nella sua ricerca personale del dio. Questi forse a conclusione di un suo lungo travaglio terrà ben stretta a sé un qualcosa molto simile a quello che le parole anche mie vorrebbero significare sul grande sconosciuto, che ben chiaro sarà per solo se stesso, e come le mie parole per me, le sue per lui soltanto saranno e terrà la verità che esprimono, come geloso segreto del suo cuore. Ma dirà soltanto, richiesto sulla fede, Sì, io credo! Perché? La frase che afferma la bontà del dio, e altre analoghe affermazioni, di per sé è un non senso, smentita se si è abbastanza vissuto e provate le tante occasioni del male e il suo gelo. Dov'era il dio buono, da che era distratto da non accorgersi di me e di quanto mi capitava? Può dire chiunque! E io ho cominciato a chiedermelo ancora bambino! Sì, la mia conclusione è stata sofferta e a lungo, ma serve a me solo. Per l’altro, chiunque sia, anche per la donna che con me spartisce tutto, anche il malessere dell'anima nelle incertezze della vita, perfino l'espressione “io credo”, sintesi di quel che personalmente ho raggiunto, potrebbe suonare solo come invito a non lasciarsi scoraggiare da questo mondo di tante brutture, a non giungere a negazioni definitive, mai smettendo la ricerca del vero. E il vero è che tutto questo che fa la vita deve avere un senso, compresi il male e il suo buio che il mondo elargisce a piene mani. E soprattutto occorre non fare come il saccente delle cose del dio, che ne dice e ne ostenta con sicurezza e nulla ne sa, se non il riferito, anche del poco e male appreso, perché non vagliato, non passato attraverso le sofferenze della propria anima, spesso destinate a durare la vita tutta e l'oltre. È il dolore che vi scrive in modo indelebile e porta ad una affermazione o negazione sul dio e suoi scopi. Ed è sempre una via tortuosa, quella della vita, che qui tocca percorrere, ogni altro sentiero che par meno rischioso, le nuove vie cui possono invitare gli scritti belli d’una anima santa, possono aprire al problema, aiutare, far supporto, ma non ne sono la soluzione, che va personalmente cercata e trovata. Se i segreti della scienza si svelano a chi con tenacia li studia, soffrendo per il suo sapere privazioni e rinunce, questo è vero più ancora per le cose del dio. Nulla s’acquisisce se non vagliato dalla propria anima e questa percorre deve questa vita in questo inferno. Un posto in cui soffrono e muoiono nel dolore perfino i bambini, orribile, e occorrerà chiedersi non una, non cento, ma mille volte, Perché? Senza che da nessuno venga risposta, non dal sofferente rassegnato alla fine sua, non da chi ha superato tante altre prove e si augura che la presente non sia più dura delle passate, non dal saccente, non da un testo sacro, ma solo dalla propria anima che alle sue sofferenze s’appella e vi aggiunge questi dubbi atroci. Nessuno sa dire sul perché del dolore e del dolore dell'innocente! Ma ciò che uno ne ha concluso nel passaggio attraverso il tutto che ha fatto la sua vita e forse solo al suo termine, è per lui solo, resta incomunicabile. Chi conclude per la bontà dell'artefice di un mondo tanto corrotto e ingiusto, si augura una sola cosa che gli sia data la possibilità di vederlo oltre queste vili apparenze, che tanto lo nascondono, perché egli permette che questo facciano a noi e a lui! Il male il dio non esenta! A noi impedendocene la vista chiara e a lui negandogli la percezione del nostro dolore. Perché? È un mondo di molte ombre e fioca luce e il dio vi vede per i nostri occhi, che le tante sconfitte e il dolore che ne segue velano rendendoli di corta vista e confusa, ché dopo tante, troppe lacrime gli occhi vorrebbero solo chiudersi! Allora parliamogli, gridiamo a lui, nella preghiera, fino a diventare senza più voce! Ecco cosa vorrei ancora affermare, noi speriamo in un oltre diverso, ma questa speranza ha le radici sue nella conoscenza di questo mondo sempre sofferta, ma mai abbastanza sperimenteremo questa sofferenza della nostra anima, su cosa può il male, se un po’ non facciamo nostro, rivivendolo, l’accaduto al cristo. È venuto a svelare, a farci toccare la presenza del dio buono, ma un buio più profondo ne è seguito, che velato l’ha col dio suo più ancora. Ma non è morto per sempre, è uscito dalla morte sua! E forse è davvero qui ancora con la madre sua dolce, e afono ormai, grida per noi, dalla sua croce sempre ripiantata dai malvagi, dai saccenti, da quelli del libro, qui, là dappertutto ovunque v’è dolore estremo, sconfitta d’un uomo, sconfitta del dio! E che v’è di più sofferto del dolore e della morte di un bambino? Allora la speranza di vedere il dio palese nel suo luogo di piena luce, forse veramente la sofferenza domanda, perché diventi certezza, fede. E purtroppo la fede è sì certezza della speranza, ma per sé è soltanto, resta una verità del singolo, assioma del suo pensiero, del suo cuore! E io sicuro non ho sofferto ancora abbastanza per la piena, salda fede, e ho perfino paura di perdere il mio poco! Non voglio altro, la vera fede, ma non le sue parole, confuse, incerte e in fondo inutili, come quelle del mio affanno, invito a porsi il problema col rischio di una risposta di sole parole! Invece il senso della vita, solo intuito dalla sofferenza, resta mistero inesprimibile!

sabato 5 settembre 2015

E Maria


Talvolta la condizione di chi mai sceglie per sé compagno di vita o è dettata da troppa furbizia e non si lascia subito capire, o da stupidità, chiara fin troppo. Ma queste possibilità non sono esaustive e c'è chi cerca e non trova e anche chi rinuncia preso da un compito vero grande. Ma ricordo un’intervista a un chirurgo, che in terra d’Africa il suo compito con impegno svolgeva da molto e tanti erano gli indigenti di cui aveva cura. Benché ne sembrasse tutto preso e appagato, interrogato sull’altro che affacciato s’era alla sua vita, rimpianto pareva avere per una donna, che forse seguito non l’aveva nella missione sua in una terra lontana. Come certo accadde al nostro poeta, che scelto aveva sì una donna, ma questa non lo seguì nelle peregrinazioni sue per l’Italia tutta divisa dall’allora e lui riprese a sognare e dire d’un suo vero amore antico. E fu sublime poesia! Ma in genere, per noi piccoli mortali uomini, quelli che traccia duratura non lasceranno dell’essere qui stati, certi valori affettivi, cui si rinuncia, poi non hanno compenso e surrogarli non si può con altri interessi, per quanto nobili. E poi, ed è vero per tutti i rinunciatari, incontro si va alla solitudine, quando per l’impegno, fin lì sostenuto, mancano le forze, sia per scopi generosi e nobili o più prosaici. Quelli poi che consentito non hanno a un’unione stabile, in nome della libertà per una felicità da inseguire qui o là senza vero raggiungerla, o non goduta che in illusori approcci occasionali, saranno anche moralmente soli. E fallire moralmente è la disgrazia più grande, ché si stringe il nulla! Quello di dentro e quello che finisce col crearsi intorno. Certo io non voglio condannare alcuna condotta, io posso essere solo giudice di me stesso, e nemmeno troppo severo, di quello che ho potuto e fatto e di quello di bene che non ho fatto, pur potendo. Ed è già terribile per l’anima mia doverlo riconoscere. Ma nella mia insignificanza mai trovato mi sono nella condizione di privilegio di molte tentazioni, che molti maschi forse solo s’illudono d’avere e li si può vedere qui o là nei loro affanni di gaudenti, anche ridicoli, in perenne ricerca di favori, più o meno generosi, da donne disposte. Allora sicuro ne sorrido un po', e non dovrei!, forse solo esentato da simile peccato! Perciò non giudico una tal condotta, ma resto convinto che un uomo, se può, scegliere dovrebbe la donna sua, nella fedeltà reciproca da promettere e mantenere. Anche se così si accorgerà col tempo che la molto particolare scelta pure quest’illusione ha voluto donargli, ché in verità, scelto lei lo avrà per prima, ché così sono le donne. Io per me sono uno che non posso nel mio ricordo che elogiare nel mio cuore le poche donne incontrate, tutte m’hanno dato molto o, se poco, almeno qualcosa da ricordare di bello col rimpianto con cui io talvolta ritorno alla vaghezza di quegli anni di inesperto e con molti problemi, ma giovane. Qualcuna m’ha aiutato a superarli? M’ha aiutato nel superamento d’una infanzia troppo infelice? Spesso le donne hanno del maschio scelto solo una falsa idea, del forte e del sicuro, e io apparire dovevo tutt’altro. Ma se ho potuto dar poco a quelle cui sincero avevo detto del mio sentito per loro, ho ricevuto qualcosa di importante, capire che quella giusta attender potevo pur dalla mia insicurezza e insufficienza. E per me giusta significa adatta ad amore autentico e duraturo. Ma quest'ultima non è semplicemente per me un'espressione verbale, autenticità che è nell'amore? Lo dirò dalla mia insipienza di queste cose. Per me, forse complice la bella delle stelle, è venuta la giusta. Naturalmente nell'innamoramento ci sono stati sogni, i suoi non devo aver deluso completamente, ché ella è rimasta. Ma se vero è che il sentire reciproco si rinnova e s'accresce di continuo e durerà quanto la vita a due, e, per chi crede, anche oltre, è già accaduto e accadrà, ché indulgo ancora alla vaghezza del sogno, riaperti gli occhi sul mondo, che mi ritrovi, nella meraviglia, impegnato come in una gara con lei a proteggere l'altro dalle brutture di qui. Ed è stato così subito e sarà ancora tra noi e forse è per questa certezza fidente nel futuro che il cielo vorrà donarci, ché penso davvero autentico questo amore! Naturalmente se si è credenti, l'amore non va limitato e il bene andrebbe offerto sempre, anche all'indegno, perciò fino a diventare non solo autentico, ma anche eroico, ma quale amore? Quello che il cristo ha comandato anche verso il nemico, ma qui limitarmi voglio a quello, più modesto ma che tanto occupa il cuore, che offro e più ancora ricevo dalla generosità della mia donna. Io pensarmi non so senza di lei e sento così da molto tempo, forse fin da quando vista l’ho e conosciuta da innamorarmene. Ed è forse per questo riandare indietro con tenerezza ai primi momenti di quest’amore che benevolenza ho per quelle che preceduto l’hanno, e pregato ho che con altri, di me migliori, abbiano avuto la piccola felicità cui ogni cuore è giusto aspiri, anche quaggiù. Ma mi chiedo, che altro fa un amore di donna quando autentico si svela? A me ha fatto molto, mi ha aiutato nella comprensione della vita e del suo destino, e un pietoso velo sui primissimi miei trascorsi infelici mi ha aiutato a stendere. E cosa inattesa e meravigliosa mi ha aperto a quella del cielo. E anche di recente convinta è parsa che siano rimaste due sole donne a volermi bene, quelle che di me cura hanno, e per me possono, una, qualcosa, l’altra molto! Sì, una speciale donna ella mi ha fatto sognare, una “più che creatura”, che è “figlia del suo figlio”! È persona divina! E questa apertura al vero, questa comprensione sono state per me il dono più grande che donna mi abbia fatto dall'amor suo. E oggi io dalla mia pochezza illuminata oso dire, Padre, figlio, spirito santo e Maria, nei loro santissimi veri nomi, che spero meritare sapere, quando loro vorranno e nel luogo del solo amore, dove mi chiameranno con la piccola donna mia! Dove mi troverò nella condizione del piccolo bambino che ben non distingue se stesso dal veduto e io non bene mi distinguerò dalla madre eterna e perciò dove la donna mia vedrò con gli occhi suoi come da sempre l'ha vista e amata!

giovedì 3 settembre 2015

La bontà accresciuta


Ma, mi chiedo, la bontà e la cattiveria non sono semplificazioni di quello che è il complesso mondo interno che fa l'intimo dell'uomo, dove ciò che è bene e ciò che invece definiamo male, convivono o s’intrecciano? Occorre ammetterlo, fuori dalla concretezza dell'azione il comportamento nell'una o nell'altra delle semplificazioni possibili non è certo. Noi potremmo vedere chi era stato in passate circostanze un generoso, trarsi egoisticamente d’impiccio e non rischiare il suo, mentre altrimenti talvolta avviene proprio che chi aveva tenuto sempre per sé e il ristretto suo gruppo, mostri apertura e dia il suo assenso o favorisca chi ne è fuori e che da lui niente di positivo o buono attendeva e dovrà proprio meravigliarsi dell'inatteso. Quanto alla storia umana si dice giustamente che certe decisioni del singolo, di un gruppo, o di tutto un popolo attraverso i suoi capi, cui esso assenso abbia dato, inquadrate vanno per essere comprese da chi vi si affaccia in lontananza di tempo, nel momento storico particolare. Se si tratta appunto dell'operato di un singolo uomo occorre soprattutto cercarne i condizionamenti ambientali o le probabili convinzioni intime che l’hanno portato a risolversi in un certo modo, a dare quella risposta agli eventi, a fare quella particolare scelta di cose o persone, espressa in fatti o parole. Pure se questo relativismo permette un giudizio il più obbiettivo possibile di persona estranea ai fatti o lontana da quegli accaduti, poco serve di fronte all'inconsueto, la rarità del soggetto difficile da incontrare, ma che pure forse davvero c'è da sempre in questo caleidoscopio che fa l'umanità, chi si spende per l’altro e non ne ha l'apparenza e delle motivazioni intime non parla. Sì, ora accennerò a un tipo d'uomo di cui ho sempre vagheggiato il comportamento affinché mio divenisse, se m'è riuscito non so e se davvero esista come lo descrivo non son certo, so che avrei voluto essere così, ma poco devo avergli somigliato nel realizzato, troppe le cose omesse o trascurate e le parole che dovrebbero accompagnarle! Parlo di uno che il bene sempre opera, perché faccia così è mistero, è filantropo, è un privilegiato dal cristo in cui fede ha? È sicuro un tipo d'uomo che è portato all'operosità e trova sempre occasione per donarsi, spendere tutto di sé per una situazione particolare di bisogno, che forse tutto assorbirà del suo, lasciandolo inane, ma sarà senza molta importanza, conta solo per questo non comune uomo, aver messo a disposizione dell'altro in difficoltà le sue conoscenze, le sue possibilità, le sue forze o la sua presenza, o almeno le sue parole, se altro proprio non può. È uno che ben sa quanto in certe situazioni di bisogno la solitudine acuisca le necessità e le faccia più urgenti e pungenti e che serve anche che l'altro s'apra e parli fidente, svelando l'intimo suo e ciò che vi fa paura o tormento. È senz'altro un buon compagno, quest'uomo disposto anche all'ascolto, per chi nel bisogno ha fortuna di incontrarlo, che dà quel che ha in generosità completa, scevro da calcolo gretto. Eppure santo non è. Cioè non è un personaggio eccezionale del bene, è solo come già detto non comune, raro appunto, tra noi, tutti mediocri facitori del bello e del buono, qui proprio in un mondo di sempre preponderanti apparenze, falso. Ma non è innocente, non è innocuo, così non potrebbe agire in un mondo di prevalenti furbi ed egoisti, è piuttosto chi, incontrato, sconvolge col comportamento suo ogni consolidato criterio di giudizio. È uno che sa cosa cela un cuore, perché il suo ha a lungo scrutato, quali le tendenze, quali i compromessi, quali le tentazioni, quali le necessità. E non se ne sta passivo, difende i propri diritti e così quelli di chi veda calpestato nella sua dignità, perché stretto dal bisogno, limitato dall'ingerenza prepotente di altri, limitato dal male che qui tutto corrompe, limitato dall'ipocrisia e falsità dilaganti. Insomma è il nostro un speciale, sempre da me vagheggiato, eroe, attivo, operoso che sempre è disposto a soccorrere chi ne chiede l'aiuto o invece chi vi rinuncia e a lui pare se ne stia rassegnato attendendo il peggio senza nulla sperare. E se io sono uno che prega dir dovrei a quel dio di cui aspiro l’incontro nel perdono e nella bontà, Signore fammi essere così almeno un po', non un passivo idealista lamentoso del mondo troppo cattivo, ma uno che non lo calunnia, e dà il suo per migliorarlo e lo fa anche nel quotidiano con le sue piccole azioni di bene, per chi è nella necessità, nell'impotenza del bisogno, perché significano molto o almeno sono qualcosa di opportuno nell'indigenza sua. E quando uno è come me avanti negli anni con la vita che vuole addormentarsi nei sogni suoi e che sente i suoi tentativi di coerenza scemare sempre più e farsi sospirose lamentele, che dirà? Ancora, Signore fa che sia stato un po’ almeno, così! Tanto ho visto, tanto ho ascoltato e mi sono accorto che ci sono troppi nel bisogno anche solo di conforto, che viene opportuno anche con parole buone sapute dire, oltre che con la concretezza dei fatti. E proprio qui è il bisogno oggi più di ieri, i nostri, poveri più ancora, e i migranti, che s'aggiungono sempre più numerosi con i tanti problemi che portano! Non dimenticherò facilmente l'immagine sui nostri quotidiani del piccolo migrante morto, sulla battigia di una spiaggia turca e quella del poliziotto pietoso che, raccoltolo, tra le braccia lo tiene! Gridano queste immagini! Ma, ancora mi chiedo, vero ho fatto del mio meglio fin qui nella mia vita? Sicuro più ancora avrei potuto, ho cercato di mettere la mia volontà anche scarsamente determinata, la mia intelligenza seppure limitata, al servizio del po’ di buono che dentro avevo e forse ho, ancora desideroso di venir fuori, e combinar ancora qualcosa nel bene. Spero che questa mia vita proprio inutile non sia stata, ho fatto poco, ho fatto molto, l’ho fatto pensandoti, signore, nel bisogno, ché tu qui sei rimasto e in tutti sei negletto! È stato bastevole a guadagnarmi la tua comprensione e il tuo perdono? Ma sappi che penso già ci sia chi faccia, e bene, ciò che ho trascurato, chi generoso dà del suo o vi spende fatica e ingegno, completando il mio appena, comportandosi come il mio vagheggiato eroe. Forse è così che deve essere, che la bontà riceva nuova forza e intelligenza e per quanto poca e timida sia stata del singolo l’azione, ci sia chi vi supplisce. Allora tu non dovrai giudicare solo il mio forse davvero poco e scarso, ma la volontà, il desiderio che anche qualcun altro ha messo nel mio tentativo, e nella mia vita sicuro sono che ci sia stato, non so se del cielo o di qui! Forse la mia piccola donna, che tutto m'ha dato generosa tanto che così buona con me nessuna è stata, perché ha sicuro riempito il mio scarso sacco fino a stiparlo delle sue azioni buone. Io ora a te ne chiedo attenzione, ne verso il contenuto ai tuoi piedi, avvertendoti che il bello e il buono che vi vedrai non è tutto mio. Forse complice è stata nell'accrescerlo a dismisura, la madre tua dolcissima, che ha trasformato in fatti di bene le mie sincere parole per lei, parlando al cuore di quella sua ancella perché agisse spinta dal suo stesso amore! Potenza d'amore della preghiera! E dirti altro non so, ma forse tutte le parole stanno per diventare inutili!

martedì 1 settembre 2015

Fugiens hora


La fugiens hora è, ne dice Orazio, il fuggevole momento propizio, quello che al singolo viene in modo imprevisto tra molti altri grigi senza molto significato, che storia non fanno. Invece improvviso si apre il possibile e quello che ne verrà resterà indelebile nella memoria. Io qui parlerò soprattutto d'amore, esso si presenta in una fuggevole ora, sarà quello vero destinato a durare e che prelude al divino o fuggirà col mutare dell'ora, per farsi scialbo ricordo o invece indelebile? Solo il tempo lo dirà! Ma è qui più ancora, dirò cosa l'amore di donna possa fare! Ecco mi rivedo ragazzo, la vita è ormai quasi tutta di ricordi, con i molti problemi della mia prima giovinezza, e quella, di cui a lungo ho vagheggiato l’incontro, ora me ne dà l’opportunità. Sento d’istinto che è occasione da non perdere e le dico qualcosa e lei mi risponde fingendo meraviglia, ma poi non celia più, ché forse altro non attendeva. Ecco, ho perduto quelle parole, ma la memoria ne ha conservato il sorriso accompagnatore dell'ascolto e della risposta! Ed è sensazione che oltre ad essere rimasta ha in sé qualcosa che venir deve dalla latebra che il cuore cela, quasi di arcano, che esprimere non so. Ma assai simile fu a quando per la prima volta strinsi la mano a questa donna, in una presentazione formale, e qualcosa dentro mi suscitò un che ancora, forse come brivido. Nulla del dopo, seppure assai dolce vi è paragonabile, né la prima vera parola d’amore, né il primo bacio che l’accompagnò. Fu vera novità, avventura di anime quel primissimo atto che ci avvicinò! E nessuno potrà togliermelo, né volontà perversa che sparire qui fa l’amore, né, assurdo che lo voglia, quella che alle nubi comanda che vengano a far uggioso il giorno o smagliante nei colori suoi, che il sole dona, sì, quella del cielo. Lo dico possibile, ma credo sia donna che dalla sue stelle promuova l’amore e credo voglia che nel cuore rimanga, anzi più ancora, che voglia lo prepari alle sue indicibili grazie. L'amore divino ha un suo preludio nell'umano, se vero amore! Sì, più ancora credo che senza il suo vigile provvedere per amore, io, chi amo, fino a chi appena conosco saremmo tutti perduti! Ma forse se la vita qui si farà impossibile ella ne permetterà la fuga alle stelle, a loro mondi idonei! Sarà a breve? Ché quest'aria è avvelenata, e l'acqua, così il cibo! Ma in questo mondo, anche c'è la stupidità di chi, non tollerando la prossimità del diverso per colore, credo religioso e altro, fa più brutta la vita! Sì, se sarà il momento propizio occorrerà io fugga alla stelle! Io ho avuto dolce in me quella strana primigenia sensazione che mi aprì all'amore e descrivere non so, ma ella proprio, speranza mi dà che sarà per me più ancora, ché dell'altro cela il significato suo arcano. Che? Se quando, dopo il lungo viaggio di qui tra molte brutture, che anche da sé l'uomo, caparbio, prepara e attua, mi ridesterò con una sensazione simile al brivido che provò il mio cuore, capirò d’essere finalmente nel luogo che estingue ogni pena e dove sarà l’incontro con lei, la bella sospirata fata che vi regna. Spero anche che luogo sia per ritrovare la donna mia e quell'altra che prima mi venne, se conservato avrà geloso il mio piccolo dono di averla avvicinata in un giorno di primavera a dispetto della mia timidezza, afferrata l’ora fuggente. Perché queste due donne? Sono state come farfalle su piccolo insignificante fiore di campo, ma quanto diverse! Della prima dir non posso molto, sì mi venne come vaga farfalla fa talvolta che qui o lì pare posarsi, nella primavera di fiori novelli, finché crede che il suo fiore tra tanti abbia trovato. Altro vero dir non posso di quello che questa metafora esprime. Breve l’incontro, breve l’amore, anche se a lungo preparato e sognato, tutto in un’ora fuggita nella mia amarezza! È quella che prego compenso abbia a quest'ultima infelice ora della sua vita, là proprio tra le stelle, dove forse dono dalla lor fata avrò di rivederla, come era nei miei sogni di ragazzo! Della piccola donna mia potrei dire molto, ma tutto riassume ancora una metafora, venne farfalla tenace con le zampette sue legata allo scelto fiore, né la staccò il vento, né pioggia vi poté, ché essa più tenace proteggerlo volle e attese il sole. E così ella ha dato senso compiuto a questa espressione biblica, foemina circundabit virum. Sì, questo fa la donna per l’uomo, nei suoi diversi ruoli di madre, di sposa, di colei che sempre si interpone tra il mondo e il suo amato, se vero amore è il suo. E mi chiedo, Perché importanza ha l’amore di donna in chi guarda ancora come sublime miracolo le stelle e se ne incanta? Io, credo anzi che, a dispetto dell'età, sia proprio quest'amore che così me le faccia vedere nella meraviglia. Esagero? Io non so perché il dio le abbia volute così come io le trovo, fiammelle per l'incanto d'un cuore semplice. Deve averle fatte e subito trovate belle, anzi deve averne provato brivido. Quello mio di adesso non ha nulla di divino, è simile a quello dei miei approcci d’amore, che il cuore allora intenerì e ora ancora intenerisce, guardandole a lungo in notti d’estate, fuori di città da luogo propizio, quando gli occhi si velano tanto che, a palpebre appena schiuse, le osservate mi fanno corona di luccichii. A me piace pensare che volute le abbia la bella del cielo. Come falena fa nel volo suo notturno in un prato che un cielo tutto trapunto della sua luce appena illumina, così ella talvolta va per i suoi fiori. Quali sceglie? Quelli, credo, che guardano in su incantati delle mille e mille fiammelle che vi brillano e se ne innamorano. Ecco cosa può fare qui l’amore di donna, invitare alle stelle per innamorarsene e innamorare la tutta bella, come fiore che guardi in alto alle stelle da cui ella talvolta scende! Chi, se non è amato guardarle può e restarne sempre ammaliato? Perché? Forse perché a quei brillii, aggiunti si sono proprio occhi di donna in notti di sogno! Donna non fuggita, ma rimasta nella prosaicità delle cure che il quotidiano domanda per l'amor suo. Ma è ormai la fugiens hora per l’amore terreno ed esso non si lascerà fuggir l’occasione della possibilità di sublimarsi nel divino! Sì, tutte le cose che vivono nella mia speranza vogliono mutarsi per eterne vivere nel mio sogno e la vita, pure essa per farsi novella, sembra non attendere che l'assenso, allora afferrerò l'attimo, o piccola compagna mia, da sempre le stelle aspettano il nostro amore, ché vero la bella le ha fatte per noi e quelli come noi, che hanno cuori sognanti! E come farò? Piccolo ero e stupido e mi dicevo, tendendo le braccia al cielo, forse dai nostri monti le potrò toccare! Se possibile sarà tornare a quella ingenuità, ecco vero sarà la mia fugiens hora e lì t'attenderò, io insignificante fiore di campo e tu farfalla che di nuovo se ne innamora!

giovedì 27 agosto 2015

La mia Sonia





Questa realtà com'è? Mi chiedi, dolce compagna mia. E io, Nessuno può dare una risposta per tutti valida, è sempre interpretata. E nel giudizio soggettivo gioca il presente con quello che ci dà o ci nega e l'avvenire che vorremmo carico di tutte novità gradite, ma sarà anche tutt'altro, e ruolo vi ha soprattutto il nostro passato con le esperienze sue, belle o brutte. E le mie, molte le ricordo sgradevoli, per stupidità, per ingenuità o per sorte ria! Ma tu mi stai di fronte e ora appari pensierosa, ché forse una risposta diversa attendevi. Al solito gli occhi tuoi dir vorrebbero le tante cose del cuore tuo, tutte stipate, ché mai le sveli, forse le temi incomprese o pensi, a torto, siano di quelle che, venute alla luce, subito vi scemano, svanendo nella delusione di coloro a cui qualcosa ne dici e s'attendono molto. E sicuro anche le favole del cuore celi, quelle che ci vedrebbero in fine protagonisti felici e contenti vivere, che questi tuoi occhi raccontar vorrebbero per lasciarle colorare dalla fantasia mia. Ma sai che fanno gli occhi tuoi, pur tu nulla dicendo? Invitano ad evadere nel sogno per liberarmi da ogni fatto atteso, che se gradito slargherebbe di gioia i nostri cuori, ma se tutt'altro, ci farebbe paura e a loro tristezza. Perché tanto temere il tutt'altro? Nulla interpone alla durezza del presente, rendendolo sgradito, alle angosce passate, che come ombre ci seguirebbero dappertutto non lasciandoci respiro, e alle incertezze, ombrose tanto, dell'avvenire da avvelenarci la speranza dei nostri cuori. Ecco, occorre non pensarlo, perciò insieme sognare! Ma per sognare insieme, serve varcare una soglia e vi restiamo dubbiosi al suo limitare. E' una favola da te suggerita che invita a tanto, iniziata come tutte, c'era una volta...Perché entrarvi, perché non farlo? Il dilemma! E vi entriamo, curiosi rompendo l'indugio, e lì abbiamo sensazione che altri occhi ci guardino e ci invitino a proseguire in un mondo tutto di vividi colori, come è quello di ogni favola, ché i sogni con te, credo, si somiglino tutti, e vi sono essenze e fiori e dolce canto d'uccelli, e volo di farfalle innamorate e noi a tenerci per mano per percorrere sentieri appena segnati tra alberi annosi. Ma tutto anche invita a sostare per consentire che mille particolari si lascino osservare. E lì un mondo di piccoli esseri si svela, che si cercano forse per proseguire la via loro congiunti come noi facciamo, o forse per amarsi. E allora ho la sensazione che tu già conosca questi luoghi del sogno, e solo in apparenza lasci ti conduca, come di essi tu fossi vero selvaggia, ma visitati certo li hai da sola in sogni solo tuoi, sicuro guidata dagli occhi belli di quella del cielo che sappiamo che ora ci osservano senza essere visti e di noi, ancora amanti, hanno tenerezza. Ma che dirmi vuoi più ancora, dal momento che questo tuo segreto, nel cuore serrato, ho intuito? Che in te c'è un mondo meraviglioso insospettato e tutto da scoprire? O più ancora, che tu sei come la dolce Sonia, che conforta chi il delitto di aver sciupato la propria vita ha commesso e ora deve attendersi giusto castigo? Sì, sei la mia dolce Sonia! Io ti pensavo donna che dà l'amore che la sua diversità fisica le suggerisce e che natura anche ai suoi scopi destina, ma che spesso oltre andare non sa. Ma tu vuoi per me di più, tu mi inviti all'amore casto e a non fermarmi ad esso. Infinito è questo amore novello che mi dischiudi, è quello della occhi belli e teneri il cui sguardo ci accarezza dal cielo e non vediamo, ma che tu certo conosci, è quello anche del figlio suo, il redentore di tutti da questo mondo malvagio, sì dello stesso cristo, è amore divino. E io vi sono come iniziato. Dove mi condurrà? Lui sembra dirmi che la favola tragica d'ognuno ha vissuto e rivive, ma forse di più sull'amor suo redentore dal male e io sconsolato ti guardo e cerco aiuto perché non intendo! Ma ora qualcosa d'estraneo ci scuote e avverte che è tempo di riprendere contatto con ben diversa realtà. Ecco, usciamo dal sogno, frastornati un po', ché occorre riabituarsi alla fioca luce di qui e io ti guardo incantato, sei proprio come la santa Sonia che segue l'amor suo nelle dolorose vicissitudini del riscatto dopo il delitto dell'usuraia, che pure io ho ucciso, sotto altra forma. Sì, questa vita che a me poco ha dato e pagata vuol esser a usura come il male, che ha dentro, l'obbliga a chiedere. Sì, questa vita lunga, ma pur breve tutta intrisa delle lacrime mie di come appena ieri e invece sono già tanti anni trascorsi da che piccolo ero! Ma anche fatta di sogni inappagati e caduti, dovuti cadere a questa realtà matrigna con altre lacrime. Quella che ora vorrebbe assaporassi l'amaro di una condotta tutta fallita e a questo mi sono ribellato e liberato. Sì, ho ucciso la vecchia usuraia, la mia vita costretta in questa realtà! E se reo sono è di aver provveduto tardi. Sto ora in una novella favola, come già tutta passata l'antica, ma se vero morta sia, non so. Io so solo che non sono ancora alle stelle della tutta bella, ma credo sia per te che ella vuole io resti qui ancora un poco. Come non so, ché vita più non ho! Allora questo è certo un sogno, quasi postumo creduto, concesso da quella che lo può, e come rifugio ho le braccia tue e negli occhi tuoi le tue favole di cui l'anima mia si ciba e altro disdegna! Sono stato, sono fortunato! Tu vero sei come Sonia, una piccola santa e io, stupido, tutt'altro ti vedevo una donna comune per un uomo mediocre, qual senza te mi sentivo! Ma che significa vederti come la Sonia di Dostoevskij? Che io, come lo studente punito, sopravvivo alle miserie mie solo per te! Ma se quegli occhi noi non guardassero, d’altro distratti, anche per solo un poco, sarebbe un’altra storia, il sogno comune non ci sarebbe stato, né favole raccontate, affinché l'altro più belle le avesse rese attingendo alla sua fantasia, la vita mia tutta trascorsa mediocre e rea, nessuna mia azione per cambiarla, nemmeno tardiva, e io nella provvisorietà, che forse il nulla ben meritato precede. Entrambi saremmo perduti, ché tu, piccolo angelo, tentata saresti come falena, che attratta da luce d’un lume in molto buio, a quello muore, mentre quella luce si va spegnendo! Sì, madre non smettere di guardare a quest'amore!