sabato 14 novembre 2015

La nuova guerra






Commovente perfino è il coraggio dell'uomo che ha fede nel dio di tutti e che, nonostante la sua precarietà d'uomo d'oggi, dopo gli sconcertanti avvenimenti di Parigi, può guardarli senza minimizzare il pericolo che tutti corriamo, senza illudersi di non star nelle premesse di una guerra sofferta, non voluta, che l'umanità tutta forse estinguerà. Contro chi? I fanatici che blaterano di un dio che affatto non conoscono. In questo mondo, che già ci fa grama la vita, ché tutti subiamo le assurde ragioni del male, da sempre presente, qualcuno impone, aggiunge la funesta idea che si possa raggiungere il dio e viverne la vita, procurando la propria e l'altrui morte con un atto scellerato, ma che c'è chi definisce martirio. I coinvolti volentieri fuggirebbero questa follia di chi distorti ha mente e cuore, ché non sacrifica sé per il benessere e l'altrui vita, ma forzosa e prematura si ostina a rendere la sua e l'altrui uscita dal mondo. Non segue il comando divino di amare i nemici e così lo nega. Perché? L'odio per il nemico è da sempre. L'odio si mantiene da se stesso, la novità è l'amore che svela il dio e richiede l'aiuto suo per mantenersi a questo mondo, tutto intriso di malvagità. Chi non ama, nega le ragioni, mai facili da comprendere, del dio, lo rende inutile, lo fa proprio uscito da una favola, come diventa il nostro libro sacro senza il cristo, che ci ha svelato la novità e necessità dell'amore verso tutti, inclusi i nemici. Colui che non ama alimenta l'aspetto mitico del dio, e ne fa un dio di vendetta che non sa, né vuole perdonare. C'è un inferno metafisico in cui il nostro estremista crede di avviare chi qui spende la vita, sicuro gaudente e blasfema, perché fondata sul dolore e la povertà dei più, mantenendo così l'inferno di qui che tutti coinvolge? Forse c'è, ma fa contraddizione, ché implicherebbe la persistenza del male nell'oltre, accanto al bene perciò solo parzialmente trionfante, con necessità di una nuova catarsi. È bene che resti minaccia, orrore ai reprobi tutti, che più che essere puniti avranno bisogno di perdono, rendendoli il dio capaci di capire di aver speso male la propria vita e averne vergogna. E il nostro estremista, che si crede esentato, forse perché si ritiene puro custode del vero, e ci dichiara assurda guerra, cosa non sa? Se l'amore è qui negato, è proprio perché c'è ancora chi odia sé, odiando gli altri. Se il dio è colui che dà la vita e la vita non si ha che per lui, non può essere da lui la novella per chi si dà e dà ad altri la morte e non combatte così i nemici del dio, ma gli si fa nemico. Più di ogni altro necessiterà di perdono per averne la vita postuma! Ogni superbia di aver capito ragioni del dio diverse dall'amore è come ogni viltà che lo fa negletto, spregiandolo nel povero e in chi sbaglia peccando, mentre tutti siamo poveri e peccatori, eppure lo abbiamo nel cuore! E chi ci uccide è il dio che uccide! Ogni tentativo di ignorare la necessità che abbiamo dell'amore e della vita, altera il senso dell'esistenza, nega la meta sognata, la visione del dio, fa più incerto e buio il cammino qui e più precaria la condizione di uomini. E quelli che così fanno sono il nemico, da amare, ma da cui anche doversi difendere!
Contraddizione dell'umanità illuminata dal cristo, ma costretta alla inevitabile ferocia della guerra!

domenica 8 novembre 2015

Povertà







La povertà, tanto giustamente aborrita, almeno ai suoi livelli più bassi, o è per qualcuno una condizione di vantaggio, quasi privilegio, offrendo più chiara sensibilità per uno scopo prefisso, oppure , annullando anche i sogni, rimane una condizione estrema che avvilisce corpo e mente e svuota i cuori perfino, una iattanza. Ma intanto chi è il vero povero? Certo chi è limitato dalla scarsità dei mezzi suoi e la vita spende insoddisfatta, grama, carente in tutto. E' uno che poco o nulla ha da offrire dalle ristrettezze sue, ma brama ricevere, anche se poco attender può dalla comune umanità, che ha forse in minor misura gli stessi problemi. Sì, la sua è vita avara di felicità e incline al dolore. Ma è proprio tutta negatività la condizione di povero? Qualcosa favorisce e, se sì, che? La salute dell'anima! Chi è alla sequela del cristo deve farsi povero, vivere dell'appena, come riuscì a Francesco. Solo chi si libera di ogni necessità, non resta più condizionato dal mondo e dalle cattivanti illusioni sue, che tengono l'anima legata in basso, come l'indigenza fa del corpo. L'invito del cristo è rivolto a tutti, essere uno che lo cerca e, ramingo, non sa dove posare il capo, né ha la sicurezza perfino di un po' di pane. E di che vive? Vive d'amore, del cristo lo stesso, che non è amore per un particolare oggetto, ma inteso è a raggiungere tutti e tutto, aspirando all'amore metafisico dell'afflato col dio. Colui che ha ricevuto l'invito e un po' lo ha seguito e poi vi ha rinunciato, pur continuando a dirsi uomo del cristo, fermandosi a un amore particolare o peggio sedotto dagli allettamenti del mondo e le opportunità che offre agli scaltri, fatalmente finirà per somigliare tanto al porco che si rotola nel suo sterco incapace di venirne fuori, ché indegno del cielo s'è fatto. Ecco non crede più nel dio, in quello immanente negli altri e nel cuore suo e in quello da raggiungere nella morte di cui comincia ad aver paura, e se dice il contrario mente, mentre il povero ha la tentazione del timore della vita che non gli risparmierà nuovi stenti, ma sempre confida che l'amore divino lo aiuti a superarli. L'amore è per lui farmaco, che gli fa tollerare le difficoltà di vita, l'indifferenza e stupidità dei più e la paura del dio mitico vendicativo, che non perdona. Il suo è un dio povero come lui, che di tutto s'è spogliato, e vede perennemente a pendere nudo su una croce, cercando anche da lì ricambio d'amore da tutti! Egli ha permesso il male e ha costretto l'uomo alla libertà. Libertà di essere per lui, libertà di fare, agire da egoista, come egli non sia. Nulla del cielo si rivela a chi non s'affatica a cercarlo dalla condizione sua di precarietà e di bisogno, anche estremi! Francesco predilesse la povertà, l'indigenza, spogliandosi non solo metaforicamente, ma nella sua scelta al popolo tutto volle mostrarsi nudo come è il cristo sulla croce, e cercò il dio in tutti e in tutto, e tutto gli parlò della sofferenza degli esseri e delle cose tutte, prigioniere del male. Sperò di trovarlo nella sorella morte! Fu un vero asceta, cioè chi perennemente cerca l'oltre e nell'amore per tutti e tutto, come ha comandato il cristo. Oggi ci sono i bari, quelli che dicono, nulla sapendo delle cose del dio e quand'anche qualcosa sanno le loro sono frasi vuote, non vissute nel contenuto, e perciò in ogni caso essi spacciano menzogne sul dio. Sono scandalo, inciampo per quelli che lo cercano dalla piccola o grande indigenza loro, sono solo spighe vuote senza chicchi, ostentano sicurezza, pensandosi accetti al dio, mentre solo chi lo ha nella mente e nel cuore, tanto umile è che fa come la spiga piena, china il capo dal tanto che ha, sullo stelo suo, non dritta perché testa vuota come l'ha il saccente delle cose del dio. Ecco chi è dunque il vero povero, che spera d'aver destino tra le stelle, chi si sente privo non solo di mezzi materiali, ma sente pesante la propria inadeguatezza, l'insidia dei propri limiti, lo scemare delle forze nel logorio degli anni nell'operare il bene e non cerca il dio in un libro per quanto sacro e ne blatera, ma in tutti gli altri e li ama disperatamente, non escludendo i nemici, comando divino! E può ben dire, Ecco io ho un vantaggio su te, sporco ricco saccente, che ingrassi di quello che altri poveri e umili danno per quelli che peggio stanno, e così tradisci il vero dio e il suo pater patrum, il novello Francesco. Tu vesti ricchi paramenti alle cerimonie perché così credi di onorare il dio povero, invece di cercarlo in tutti amandoli e aiutandoli nelle difficoltà di vita, mentre meni vita tutt'altro che indigente. Io ti disprezzo, non ti odio, spero che il dio ti perdoni subito, così l'amore mio sarà completo, tu da immondo promosso a semplice nemico! E posso ben dire a me stesso e a tutti, Cave hominem unius libri! Lo interpreta come più gli conviene, per conservare geloso ciò che rinserra, ma che la morte gli strapperà, mentre leggere non sa il libro della vita!