Sapersi
vedere in chi ci accompagna o semplicemente ci sta per un po'
accanto, è come amarsi nell'altro. Perché? Intanto è far proprie
le sue pene, le sue gioie, le piccole o grandi sue necessità di
vita, le sue ansie e speranze perfino, se intuite o condivise. Allora
venirgli incontro in qualche misura, discreti, accorti a non
offendere la sua sensibilità, è venirsi incontro, provvedere anche
a se stessi. Perché tutto ciò che si supera, avversità concrete o
presunte, lor paure, debolezze, è come superarle anche per sé,
conquistando nuova sicurezza, nuove possibilità, dischiuse nella
serenità riguadagnata. Così ancora è per la gioia di essere,
avvilita dalle circostanze, che va ridestata in chi ci sta davanti,
anche col manifesto nostro interessamento per lui, e in noi col
sentirsi capaci di farlo. Infatti è come venir in contatto, nella
meraviglia, con un se stessi non conosciuto, dalle capacità
insospettabili, perché solo allora sperimentate nelle loro
possibilità di successo nel bene. Allora come non amare questo nuovo sé più
completo? È scoperto per l'altro e nell'altro, perché aiutarlo è
risvegliare quanto sopito o avvilito, già posseduto, cioè quanto
scopriamo di noi in fondo è già in lui, novità sconosciuta, comune
ad entrambi. Allora conoscerlo è conoscersi di più e meglio. È
come essersi conquistato nell'altro, essersi più umanizzato!
venerdì 28 settembre 2018
domenica 23 settembre 2018
Chiedersi del dio
Quand'ero giovane e insegnante, per introdurre i miei studenti ai misteri della probabilità, facevo l'esempio di una pallina lasciata cadere al centro di un pavimento diviso in settori. Preliminare era convincersi dell'impossibilità di prevedere il settore in cui si sarebbe fermata la biglia dopo caduta e rotolamento. Poi a ciascun settore, con l'esperienza, si sarebbe potuto attribuire una diversa misura della possibilità d'accadere! Troppi infatti i fattori da valutare nel determinismo del fenomeno, pallina caduta e sua fermata! Così suo peso, sua altezza di caduta, suo impatto con memoria del materiale da costruzione anche del pavimento, attrito nell'aria, tranquilla o no, e nel rotolamento.
Ora tutti si chiedono e chiedono del perché della vita, e nelle domande sul dio è come chiedersi chi abbia lasciato cadere biglia e osservatore, mentre nella fisicità del fenomeno appena descritto possono essere la stessa persona. Eccoci lasciati cadere in questo mondo a osservare quanto capita e ci capita! Perché tanto in basso rotoliamo confusi e quando, dopo la fermata, ne usciremo? La mia risposta è che occorra convincersi della necessità di chiedere perdono a chi lo ha voluto. Di che? Del pur dovuto, perfino nella precarietà e nell'indigenza personali, e nella solitudine, che non esenta nessuno, a quelli accanto, sì sul molto richiesto, sulla scarsa risposta e sul molto trascurato. Perfino occorrerà inginocchiarsi di fronte a chi, forse col nostro irresponsabile comportamento, abbiamo stimolato, indotto a farci del male! Perché? Star tutti insieme e uniti dovremo nell'amore del dio! Prepararsi già qui alla memoria di quei trascorsi grigi o bui, è iniziare sì a lacrimarne, ma anche a pregustare la gioia del ritrovamento in quell'oltre tutto d'amore, immancabile l'ingresso, di chi già qui si è amato. Ed io tanto vorrei ritrovare la pallina con cui quell'uno m'ha lasciato cadere!
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