A
lungo il sogno, che molti prima e con me anche, hanno carezzato, che sia
possibile, uomini forte volendolo, avvicinare l’utopico cielo di ogni bene alla
terra, a questa nostra proprio, così carente, ho mantenuto nonostante le
evidenti smentite, vera positività nel mio ateismo. E quale? Che sia possibile
dare a ciascuno secondo i suoi bisogni, con risposta sua adeguata alle
personali possibilità a beneficio di una società di giusti verso gli altri e se
stessi. L’ho sostituito alla mia conversione, con quello dell’“innamorato
dell’amore e della libertà”, secondo una felice definizione della Fallaci,
perché candidato mi sento a quell’amore e già nella sua libertà! Ma libertà da
che? Sicuro da tutto ciò che fa da ostacolo al suo sogno di bene già qui
diffuso e scambiato tra gente di tutti liberi dall’egoismo, tentazione di tutta
la vita di qui. Ma per me ci può essere desiderio di libertà da altro ancora,
da sofferti ricordi. Sono ormai un vecchio medico, non più attivo, se non per i
consigli che distribuisco a tutti, anche non esplicitamente richiesto, alla mia
quasi quotidiana passeggiata, così come quest’età mi permette. Ma nella vita mi
sono trovato di fronte a ben altre richieste esplicite o tacitate forse per
ritrosia, forse per paura di un diniego. Ripenso a un particolare malato
terminale, mio primo vero caso estremo, e lo rivedo inchiodato alla sua croce,
che soffre ogni dolore e ne urla e morire non ne può. Io mi spendo tutto a
lenirgli tanto strazio e me lo permette l’uso di un farmaco che ben conosco e ben
funzionò anche con mia madre, io allora studente che s’affannava agli ultimi
esami perché ella mi vedesse medico e non poté essere. Parto col mio malato da
una dose bassa e dapprima sembra funzionare assai bene, questo paziente
s’addormenta sereno alla fine di una giornata di buona tregua e mi ricorda il
sonno dolce, anche se mai lungo abbastanza, di mia madre dopo la
somministrazione serale. Ma già occorre aumentare la dose! E un giorno il
paziente s’addormenta e così rimane senza lamentarsi più. Coma da dose
eccessiva? Non certo dalla raccomandata! E io mi scuso, amareggiato e
vergognoso di un inesistente mio errore, con i parenti suoi e qualcuno commosso
per l’onestà mia, mi abbraccia e mi sussurra, Duttò meglio accussì, cioè
dottore meglio così! Ho da allora sempre sospettato che intenzionalmente
qualcuno avesse usato quel farmaco più del consentito e raccomandato da me,
anche quando di lì a poco il paziente morì. Eutanasia? Forse! Non avrei dovuto
fidarmi? Lo penso oggi pure, e poi in casi analoghi sono stato più prudente, ma
mi chiedo, proprio mai accadde d’analogo, io involontariamente favorendolo, con
l’aprire le braccia mie e gli occhi al cielo, come a dire che più non m’era
possibile? Quando dopo il primo terribile sconvolgente episodio ne parlai a un
vecchio medico, questi mi rispose che forse qualcuno aveva posto davvero fine
alle sofferenze del congiunto e alle titubanze tormentose della mia anima e che
se in futuro mi fossi deciso per la bella dolce morte per un paziente in
irrimediabili sofferenze, mai alcuno avrebbe dovuto saperlo, il confessore
nemmeno, visto che diventato ero un seguace del cristo, ma il dio soltanto! E
mi raccontò un episodio della sua vita di giovane medico del tutto simile al
mio e accaduto in ospedale. Per niente un luogo in cui potevano venir risolte
situazioni estreme! Poi altro mi confidò e mi persuase che le mie pene di
fronte alla sofferenza autentica sono nella pietà di ogni vero medico, e che
non si è veri medici se cinici! Così mi sentii autentico buon medico, se non
per le mie capacità, almeno per la pietà che tanto spesso ormai mi ingombrava
l’anima, da farmi piangere dentro la mia impotenza di fronte al male tanto più
agguerrito. Sono ancor oggi riconoscente al saggio medico, che, sperando nel
perdono, certo ritroverò tra i giusti. Ma intanto come negare che il problema
dell’eutanasia è cruccio di ogni buon medico, che tutto si spenda a lenire
sofferenze estreme, mai del tutto bastevoli i farmaci? E tanti oggi sono! Mai
somministrerò il veleno! È nel giuramento di Ippocrate! Ci aiuti il signore,
grande medico, cui occorre star dietro. E preghiamo che ogni nostra azione sia
volta al bene di chi di noi si fida e si lascia tenere per mano, bambino
ridiventato!
sabato 24 settembre 2016
lunedì 19 settembre 2016
I vinti d’amore
Invito a
ripensare al cristo morente sulla croce. Egli è non solo abbandonato, come la
più parte di noi nell'esperienza estrema, ma è l’abbandonato. Egli ne chiede il
perché senza risposta alcuna. Il dio suo e nostro più non v’era. Proprio quello
della fede sua, condivisa dai suoi correligionari, che gli aveva permesso
operare “mirabilia”, assente, perduto per sempre! Ma egli gli rimane fedele, sa
che è il dio del perdono, e lui lo imita perdonando gli aguzzini suoi, quelli
che gli si erano fatti nemici e gli altri tutti tentati dal male o uomini del
male. E così si lascia morire sperando che la sua rivelazione suprema d’amare i
nemici sarebbe rimasta nel cuore degli uomini dopo la sua scomparsa.
Affermazione che tra quel popolo che vedeva nemici gli altri tutti, l’aveva
reso inviso, apparente debolezza e non coraggio di scrollarsi di dosso il giogo
romano, la sua. E con lui muore tutto, l’amore di privilegiato dal padre, sì l’amato
in un rapporto speciale, perché muore con lui il vecchio dio, sì il padre suo!
E che gli resta in quegli ultimi istanti se non il suo povero disperato amore
umano, quello di noi tutti, che interroga e non ha risposta quando più e più
s’esalta il buio di fuori e dentro? E così nella notte che s’infittisce, muore
gridando! Ma non contro al dio che con lui muore, ma al dolore che ogni uomo
patirà ancora e ancora nella morte. Ma il suo amore è così forte che il dio-
amore gli si svela facendolo risorgere. Sì, il solo dio possibile, che tutti
ama e perdona. Allora che altro dirò? Ripeterò i concetti espressi a un amico
forse più di me in notte incipiente. Sì un qualcosa, che ritengo essenziale! Io
intendo dalla morte del cristo che deve essere questa la nostra condotta
imitativa. “ Homo homini deus”, è questo, dopo il cristo, lo scopo della vita
tutta. Ma i più di noi, io certo tra questi, lo attueranno pienamente solo nella
futura. E che in altre parole? Vedere il
vero dio attraverso gli altri, gli indegni di qui anche, che per l’amore suo da
loro avvertito per tramite nostro, tali
non rimarranno! Io non so per certo che ci sarà la sconfitta del tempo e quindi
rinnovata questa possibilità di completamento del pur sempre poco qui
realizzato nel bene, lo spero dalla consapevolezza sofferta di mediocre soldato
del cristo, nell’illusione forse di aver capito
qualcosa dal cuore suo. È questa la mia fede, non ne posso avere altre,
ritornerei quello che sono stato fin da bambino! Né anche so se lui c’è oltre
questa storia umana tanto travagliata e incerta, e la mia personale a tratti
tanto buia, così anche non so del solo dio possibile per lui, quello che solo
l’amore per gli altri sostanzia, già qui e niente altro, non parole, non
incerti atti, non rito alcuno! Ma questo sperato al di là di questo tutto che
mi imprigiona, ha permesso vivere d’amore a persone come Cottolengo, che ha
amato i nostri nati più sfortunati, e madre Teresa, che ha assistito,
vestendosi tutta d’amore, i morenti a Calcutta, e sicuro tanti altri, che spesi
si sono per gli ignorati ultimi di qui, i senza più voce, dal troppo gridare
anche in questo imitatori del cristo! Quindi ho speranza fondata già qui di
quel qualcuno, che ha permesso e permette anticipato l’amore del cristo per gli
altri uomini, proprio tutti! Sì, quello del cristo, uomo che si è lasciato
uccidere, continuando ad amare i nemici suoi! Allora sarà possibile anche per
un mediocre suo, quale mi riconosco, amare tutti come lui ha amato, i più
spregevoli di qui anche, e sono tanti quanto i pusillanimi e i tiepidi, subenti
le angherie o l’indifferenza loro, almeno o più ancora! Allora amerò chiunque,
anche chi qui m’offende, mi perseguita, m’uccide, proprio come lui ha saputo
amare, perché lui me ne darà l’occasione, la forza, la volontà, l’amore
necessario. E l’amore sarà lui e il suo dio, se saprò vederli in tutti! E loro
due non potranno essere né più, né meno dell’amore! Tutti saremo resi capaci di
avvertire, capire col cuore, cioè con l’anima tutta, quest’amore, l’amore! Un
amore che non potrà che essere reciproco, scambiato, donato e ricevuto in dono,
lui avendo raccomandato l’amore ai nemici perfino, che più non potranno essere
se non vinti d’amore! Insomma è certo che l’inferno c’è, sta in questo mondo,
ma la speranza pure del perdono per noi tutti sedotti dal male e postuma la
visione chiara, qui e di là da anticipare per i nostri occhi miopi tramite gli
uomini tutti, del dio e del suo cristo!
sabato 3 settembre 2016
Che significa amore?
Tante le cose che conosco
appena o che del tutto ignoro! Ma anche se ho tuttora assillo per le
appena sapute e vergogna della mia ignoranza, alcuno, credo, di lor
carenza o mancanza, mai mi chiederà conto. Ma certo non sarà così
dell'amore. Non tanto del ricevuto, immeritato per lo più, ma del
non saputo donare! Quello che spesso s'annuncia come sentir vago, che
uscirmi da dentro vorrebbe per crescere nella consapevolezza sua,
credo, ma impulso spesso tacitato, sì soffocato, forse pensato
sconveniente e imbarazzante, come son tutte le manifestazioni
istintive! Che è l'amore? Mi si potrebbe chiedere, e risposta certa
non avrei! Ma, credo, proprio questo sentire che sta nell'intimo, che
imperioso chiede di venir fuori, debba misurare qualcosa…. La
ricchezza o povertà di un cuore, di questo mio, che pur ha amore,
ben poco forse. Io non so dirlo! Ma so che quando questo qualcosa
trattenuto, scarso o appena di sé avrà mostrato, della provenienza
sua farà demerito, sì di quel cuore da cui a stento è pur uscito.
Spero non m'accada! Altrimenti di me si dirà, Quello nella vita sua
da egoista è vissuto, molto ha avuto, poco ha ricambiato!
Ma se restringo la benevolenza
e la disponibilità al singolo, forse avrò più indulgenza di
giudizio, ché qualcuno devo aver pur amato, oltre la madre, il
padre, il fratello mio, quando lo star suo in disagio l'attenzione
colpito pur m'abbia! Perché quando il desiderio di ben fare e dire
ho concentrato su una sola persona, ho sentito il bisogno di doverlo,
seppur cautamente, manifestare. Ma è allora che innescato s'è un
processo di induzione reciproca che vorrei saper analizzare e poterne
dire. Così nell'amore per una donna, o per dirne con più cognizione
d'esperienza, per questa mia donna. Ecco, se do, so dal sentire mio
per questa che io m'aspetto che il donato mi ritorni in qualche
misura... E , meraviglia!, mi ritornerà davvero e aumentato
addirittura! Sì, la risposta sua supera sempre l'atteso! Così
questo accadermi mi sprona ad aumentare, per dimostrare
l'apprezzamento mio, l'impegno a farle conoscere di più del mio
celato, racchiuso in cuore pudico del sentir suo. Ma questo indurrà
lei a darmi dell'altro più ancora, del suo bello, che racchiude,
preziosità del cuore suo. E questo ogni volta dar di più,
arricchisce per primo chi lo dona, e certo lei sente aumentare in sé
l'affetto che mi donerà alla prima occasione! Perché l'iniziativa
alla maggiorazione è ogni volta per prima la sua risposta, cui la
mia d'adeguarsi tenta.
Se tutto questo abbia un
significato che noi due trascenda, non so per certo, ma sento che la
bella del cielo è così, una che si spende tutta. Se le si dà
appena, ridà dal cuore suo gonfio d'amore, più e più ancora! Che?
Del nuovo, del prezioso, del bello, affinché la vicinanza sua sia
percepita come singolare fonte di bene, unica e irrinunciabile!
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