sabato 24 settembre 2016

Eutanasia permessa di un minore

  
        A lungo il sogno, che molti prima e con me anche, hanno carezzato, che sia possibile, uomini forte volendolo, avvicinare l’utopico cielo di ogni bene alla terra, a questa nostra proprio, così carente, ho mantenuto nonostante le evidenti smentite, vera positività nel mio ateismo. E quale? Che sia possibile dare a ciascuno secondo i suoi bisogni, con risposta sua adeguata alle personali possibilità a beneficio di una società di giusti verso gli altri e se stessi. L’ho sostituito alla mia conversione, con quello dell’“innamorato dell’amore e della libertà”, secondo una felice definizione della Fallaci, perché candidato mi sento a quell’amore e già nella sua libertà! Ma libertà da che? Sicuro da tutto ciò che fa da ostacolo al suo sogno di bene già qui diffuso e scambiato tra gente di tutti liberi dall’egoismo, tentazione di tutta la vita di qui. Ma per me ci può essere desiderio di libertà da altro ancora, da sofferti ricordi. Sono ormai un vecchio medico, non più attivo, se non per i consigli che distribuisco a tutti, anche non esplicitamente richiesto, alla mia quasi quotidiana passeggiata, così come quest’età mi permette. Ma nella vita mi sono trovato di fronte a ben altre richieste esplicite o tacitate forse per ritrosia, forse per paura di un diniego. Ripenso a un particolare malato terminale, mio primo vero caso estremo, e lo rivedo inchiodato alla sua croce, che soffre ogni dolore e ne urla e morire non ne può. Io mi spendo tutto a lenirgli tanto strazio e me lo permette l’uso di un farmaco che ben conosco e ben funzionò anche con mia madre, io allora studente che s’affannava agli ultimi esami perché ella mi vedesse medico e non poté essere. Parto col mio malato da una dose bassa e dapprima sembra funzionare assai bene, questo paziente s’addormenta sereno alla fine di una giornata di buona tregua e mi ricorda il sonno dolce, anche se mai lungo abbastanza, di mia madre dopo la somministrazione serale. Ma già occorre aumentare la dose! E un giorno il paziente s’addormenta e così rimane senza lamentarsi più. Coma da dose eccessiva? Non certo dalla raccomandata! E io mi scuso, amareggiato e vergognoso di un inesistente mio errore, con i parenti suoi e qualcuno commosso per l’onestà mia, mi abbraccia e mi sussurra, Duttò meglio accussì, cioè dottore meglio così! Ho da allora sempre sospettato che intenzionalmente qualcuno avesse usato quel farmaco più del consentito e raccomandato da me, anche quando di lì a poco il paziente morì. Eutanasia? Forse! Non avrei dovuto fidarmi? Lo penso oggi pure, e poi in casi analoghi sono stato più prudente, ma mi chiedo, proprio mai accadde d’analogo, io involontariamente favorendolo, con l’aprire le braccia mie e gli occhi al cielo, come a dire che più non m’era possibile? Quando dopo il primo terribile sconvolgente episodio ne parlai a un vecchio medico, questi mi rispose che forse qualcuno aveva posto davvero fine alle sofferenze del congiunto e alle titubanze tormentose della mia anima e che se in futuro mi fossi deciso per la bella dolce morte per un paziente in irrimediabili sofferenze, mai alcuno avrebbe dovuto saperlo, il confessore nemmeno, visto che diventato ero un seguace del cristo, ma il dio soltanto! E mi raccontò un episodio della sua vita di giovane medico del tutto simile al mio e accaduto in ospedale. Per niente un luogo in cui potevano venir risolte situazioni estreme! Poi  altro mi confidò e mi persuase che le mie pene di fronte alla sofferenza autentica sono nella pietà di ogni vero medico, e che non si è veri medici se cinici! Così mi sentii autentico buon medico, se non per le mie capacità, almeno per la pietà che tanto spesso ormai mi ingombrava l’anima, da farmi piangere dentro la mia impotenza di fronte al male tanto più agguerrito. Sono ancor oggi riconoscente al saggio medico, che, sperando nel perdono, certo ritroverò tra i giusti. Ma intanto come negare che il problema dell’eutanasia è cruccio di ogni buon medico, che tutto si spenda a lenire sofferenze estreme, mai del tutto bastevoli i farmaci? E tanti oggi sono! Mai somministrerò il veleno! È nel giuramento di Ippocrate! Ci aiuti il signore, grande medico, cui occorre star dietro. E preghiamo che ogni nostra azione sia volta al bene di chi di noi si fida e si lascia tenere per mano, bambino ridiventato!



lunedì 19 settembre 2016

I vinti d’amore


Invito a ripensare al cristo morente sulla croce. Egli è non solo abbandonato, come la più parte di noi nell'esperienza estrema, ma è l’abbandonato. Egli ne chiede il perché senza risposta alcuna. Il dio suo e nostro più non v’era. Proprio quello della fede sua, condivisa dai suoi correligionari, che gli aveva permesso operare “mirabilia”, assente, perduto per sempre! Ma egli gli rimane fedele, sa che è il dio del perdono, e lui lo imita perdonando gli aguzzini suoi, quelli che gli si erano fatti nemici e gli altri tutti tentati dal male o uomini del male. E così si lascia morire sperando che la sua rivelazione suprema d’amare i nemici sarebbe rimasta nel cuore degli uomini dopo la sua scomparsa. Affermazione che tra quel popolo che vedeva nemici gli altri tutti, l’aveva reso inviso, apparente debolezza e non coraggio di scrollarsi di dosso il giogo romano, la sua. E con lui muore tutto, l’amore di privilegiato dal padre, sì l’amato in un rapporto speciale, perché muore con lui il vecchio dio, sì il padre suo! E che gli resta in quegli ultimi istanti se non il suo povero disperato amore umano, quello di noi tutti, che interroga e non ha risposta quando più e più s’esalta il buio di fuori e dentro? E così nella notte che s’infittisce, muore gridando! Ma non contro al dio che con lui muore, ma al dolore che ogni uomo patirà ancora e ancora nella morte. Ma il suo amore è così forte che il dio- amore gli si svela facendolo risorgere. Sì, il solo dio possibile, che tutti ama e perdona. Allora che altro dirò? Ripeterò i concetti espressi a un amico forse più di me in notte incipiente. Sì un qualcosa, che ritengo essenziale! Io intendo dalla morte del cristo che deve essere questa la nostra condotta imitativa. “ Homo homini deus”, è questo, dopo il cristo, lo scopo della vita tutta. Ma i più di noi, io certo tra questi, lo attueranno pienamente solo nella futura. E che in altre parole?  Vedere il vero dio attraverso gli altri, gli indegni di qui anche, che per l’amore suo da loro avvertito per  tramite nostro, tali non rimarranno! Io non so per certo che ci sarà la sconfitta del tempo e quindi rinnovata questa possibilità di completamento del pur sempre poco qui realizzato nel bene, lo spero dalla consapevolezza sofferta di mediocre soldato del cristo, nell’illusione forse di aver capito  qualcosa dal cuore suo. È questa la mia fede, non ne posso avere altre, ritornerei quello che sono stato fin da bambino! Né anche so se lui c’è oltre questa storia umana tanto travagliata e incerta, e la mia personale a tratti tanto buia, così anche non so del solo dio possibile per lui, quello che solo l’amore per gli altri sostanzia, già qui e niente altro, non parole, non incerti atti, non rito alcuno! Ma questo sperato al di là di questo tutto che mi imprigiona, ha permesso vivere d’amore a persone come Cottolengo, che ha amato i nostri nati più sfortunati, e madre Teresa, che ha assistito, vestendosi tutta d’amore, i morenti a Calcutta, e sicuro tanti altri, che spesi si sono per gli ignorati ultimi di qui, i senza più voce, dal troppo gridare anche in questo imitatori del cristo! Quindi ho speranza fondata già qui di quel qualcuno, che ha permesso e permette anticipato l’amore del cristo per gli altri uomini, proprio tutti! Sì, quello del cristo, uomo che si è lasciato uccidere, continuando ad amare i nemici suoi! Allora sarà possibile anche per un mediocre suo, quale mi riconosco, amare tutti come lui ha amato, i più spregevoli di qui anche, e sono tanti quanto i pusillanimi e i tiepidi, subenti le angherie o l’indifferenza loro, almeno o più ancora! Allora amerò chiunque, anche chi qui m’offende, mi perseguita, m’uccide, proprio come lui ha saputo amare, perché lui me ne darà l’occasione, la forza, la volontà, l’amore necessario. E l’amore sarà lui e il suo dio, se saprò vederli in tutti! E loro due non potranno essere né più, né meno dell’amore! Tutti saremo resi capaci di avvertire, capire col cuore, cioè con l’anima tutta, quest’amore, l’amore! Un amore che non potrà che essere reciproco, scambiato, donato e ricevuto in dono, lui avendo raccomandato l’amore ai nemici perfino, che più non potranno essere se non vinti d’amore! Insomma è certo che l’inferno c’è, sta in questo mondo, ma la speranza pure del perdono per noi tutti sedotti dal male e postuma la visione chiara, qui e di là da anticipare per i nostri occhi miopi tramite gli uomini tutti, del dio e del suo cristo!



sabato 3 settembre 2016

Che significa amore?

Tante le cose che conosco appena o che del tutto ignoro! Ma anche se ho tuttora assillo per le appena sapute e vergogna della mia ignoranza, alcuno, credo, di lor carenza o mancanza, mai mi chiederà conto. Ma certo non sarà così dell'amore. Non tanto del ricevuto, immeritato per lo più, ma del non saputo donare! Quello che spesso s'annuncia come sentir vago, che uscirmi da dentro vorrebbe per crescere nella consapevolezza sua, credo, ma impulso spesso tacitato, sì soffocato, forse pensato sconveniente e imbarazzante, come son tutte le manifestazioni istintive! Che è l'amore? Mi si potrebbe chiedere, e risposta certa non avrei! Ma, credo, proprio questo sentire che sta nell'intimo, che imperioso chiede di venir fuori, debba misurare qualcosa…. La ricchezza o povertà di un cuore, di questo mio, che pur ha amore, ben poco forse. Io non so dirlo! Ma so che quando questo qualcosa trattenuto, scarso o appena di sé avrà mostrato, della provenienza sua farà demerito, sì di quel cuore da cui a stento è pur uscito. Spero non m'accada! Altrimenti di me si dirà, Quello nella vita sua da egoista è vissuto, molto ha avuto, poco ha ricambiato!
Ma se restringo la benevolenza e la disponibilità al singolo, forse avrò più indulgenza di giudizio, ché qualcuno devo aver pur amato, oltre la madre, il padre, il fratello mio, quando lo star suo in disagio l'attenzione colpito pur m'abbia! Perché quando il desiderio di ben fare e dire ho concentrato su una sola persona, ho sentito il bisogno di doverlo, seppur cautamente, manifestare. Ma è allora che innescato s'è un processo di induzione reciproca che vorrei saper analizzare e poterne dire. Così nell'amore per una donna, o per dirne con più cognizione d'esperienza, per questa mia donna. Ecco, se do, so dal sentire mio per questa che io m'aspetto che il donato mi ritorni in qualche misura... E , meraviglia!, mi ritornerà davvero e aumentato addirittura! Sì, la risposta sua supera sempre l'atteso! Così questo accadermi mi sprona ad aumentare, per dimostrare l'apprezzamento mio, l'impegno a farle conoscere di più del mio celato, racchiuso in cuore pudico del sentir suo. Ma questo indurrà lei a darmi dell'altro più ancora, del suo bello, che racchiude, preziosità del cuore suo. E questo ogni volta dar di più, arricchisce per primo chi lo dona, e certo lei sente aumentare in sé l'affetto che mi donerà alla prima occasione! Perché l'iniziativa alla maggiorazione è ogni volta per prima la sua risposta, cui la mia d'adeguarsi tenta.
Se tutto questo abbia un significato che noi due trascenda, non so per certo, ma sento che la bella del cielo è così, una che si spende tutta. Se le si dà appena, ridà dal cuore suo gonfio d'amore, più e più ancora! Che? Del nuovo, del prezioso, del bello, affinché la vicinanza sua sia percepita come singolare fonte di bene, unica e irrinunciabile!