sabato 30 agosto 2014

Sant'Agostino che dice?




Sant'Agostino afferma che il dio non è l'autore del male, ma lo permette! Perché? Mi chiedo, e non ho risposta! Ma la chiedo a tutti, chi la sa o intuisce che sia la giusta, ne parli! Io solo congetturo!


Ecco, svegliati siamo stati in questo luogo, quasi tutto dolore, e piccoli, indifesi ci siamo trovati a stare tra tutti agguerriti, e quelli con noi piccoli, pure, e talvolta spietati con i più deboli, a far di lor presenza più incubo! E cresciamo, e a paure vinte, paure s'aggiungono, e turbano i ricordi, amari i fatti dalle antiche permessi, che svanir del tutto non vogliono, e agitano la vita, la condizionano, facendoci insicuri nei passi nostri. Pochi tra noi capiscono che aumentare qui il tanto disordine non si deve e pena sincera sentono dei meno fortunati e degli inconsapevoli della scoperta loro, ché questi ultimi solo egoismo guida e così non esitano a calpestare i deboli nella lor corsa vana verso il nulla. E li chiamiamo santi. Scomparsi, li preghiamo, ché da dove pensiamo vivano nella pace, finalmente raggiunta, aiutar possano per noi rimasti, la fatica del vivere, donandoci un po' del coraggio loro. E non importa che non siano da tutti riconosciuti venerabili, bastano i personali, buoni in vita con noi, un fratello caro, la madre amorevole, il padre, severo talvolta, sempre buono in segreto, e altri pochi. Noi tutti, i comuni, mediocri nello spirito restiamo talvolta la vita tutta, e abbiamo bisogno di capacità donata per capire le ragioni del bene. C'è qui proprio, soffocato, negletto spesso, agognato più ancora! A tutti il dio, che presto postuliamo almeno vivere nel cuore dei pochi buoni, crediamo consapevolezza doni prima o poi, ché senza fine è l'eternità cui tutti siamo chiamati, ed è questa fede che fa la speranza, che diciamo beata. E sarà, risvegliata la consapevolezza della colpa per il male accresciuto, un chiedere perdono dalla sofferenza subentrata, dono pur'essa, e dal pianto, a chi male si è fatto e al dio così offeso. Sarà già qui, per i recettivi, perciò ravveduti, o procrastinato alla comprensione del bene, per i duri di cuore! E ne verrà pace e subentrerà risposta d'amore! Quindi c'è una sofferenza giusta, quella dalla quale chiedere perdono! E il dio? Chiederà perdono alle creature tutte per averne permesso la vita qui, tormentata, stentata in questo reale, tanto ingiusto inferno, questo mondo, buio anche sotto al sole o le altre stelle, quelle che dicono, inutilmente ai più, amore! E a tutti chiederà l'amore dovuto a lui, che per primo ha perdonato per poter amare tutti! E sarà il solo amore, quello scambiato, inutile la sopravvivenza del male! Sbaglio? E non è qualcuno apposta venuto a dircelo che tutti, i nemici specialmente, amati vanno? E ne è morto, vinto dall'odio, non potuto convertire e tanto accorato da sentir l'insuccesso come colpa, sì, vinto dai dovuti perdere nonostante l'impegno tenace, quelli che il dio degli eserciti obliato non volevano! Ha perdonato, pendente dall'infame croce, ma di più ancora ha fatto, ne sono certo! È stato tanto umile da chiedere perdono del male che gli veniva fatto, nemico dai suoi visto malgrado gli sforzi suoi, sì, da quelli nell'errore rimasti. E il dio, se c'è in un suo luogo, più di lui non può essere! Perdona e chiede perdono, ama e chiede amore! E ha sofferto, qui venendo, da poter dal dolore chiedere perdono, ché in lui il dolore di tutti e di sempre coagula, sì, durerà per lui finché ci sarà chi ne è tormentato! E lui intanto grida pur ora da novella croce, ché qualcuno ne rinnova l'infamia, La speranza vostra vana non è, c'è il padre mio e v'ama, così com'io ho tentato, sì, d'amare tutti! Non scacciatelo dai vostri cuori!





E noi disperatamente pure lo amiamo, ché, nemici, tentazione abbiamo di vederlo così, nemico!

giovedì 28 agosto 2014

Risveglio tra braccia di donna










Come a volte accade che da cielo tutto minaccioso nell'aria greve d'autunno, insperato s'apra uno squarcio e da lì luce filtri che ridere cominci a far le cose tutte, e poi quello s'allarga finché il sole tutto inondi di sé, così a me si fa da che chiuso era. E non è per le parole aspre, confuse avvertite, da questa ostinata piccola femmina, ma per l'inatteso sorriso suo, tregua al pianto, che posso riavermi. E ora so d'improvviso perché la favola dice che il dio solo non volle restasse l'uomo e un angelo dal primitivo suo corpo trasse, ché con lui a spartir gioie e pene stesse, e lo separò da chi restò maschio, esso venuto fuori femmina. Solo le femmine sono capaci di tanta tenacia, vincente quasi sempre, se amor le pungola! Quanto m'è durata la follia? Molto, poco? Sempre troppo, se pianger ha fatto piccolo fiore che, tutta spiegata la corolla, al caldo sole di questo amore, sonnecchiava felice! Ma se tutte le malattie tristi sono, uguali negli effetti non sono per chi le subisca e per chi vi assista. Così le terribili, di poca o nessuna speranza, lasciano l'infaticato amore dei rimasti, nello sconforto più cupo ed estremo, ché spesso la miseria s'aggiunge a far più pesante il pianto! E che faceva, da che distratto era il dio di misericordia per scordarsene? Troppa forse la bonarietà sua facilona che lasciati li ha alla deriva, ad andar per stenti senza conforto, come qui vanno, dai più presto scordati, i trascinati via da tanti dolorosi accaduti, non più di cose divenuti, a caso vagare tra le bagattelle disordinate e mutevoli del mondo! Possibile che qualcuno ardente di rabbia contro al cielo chiuso più non sia e vinto, alla mercé di tanto strazio che si fa pigolio, più lacrime non abbia e rassegnarsi debba a pensar di essere nulla e di non meritare nulla, indifferenti o sdegnati da tanto fastidioso brontolio gli uomini e il dio loro? Credo che il solo nostro cristo possa, dall'umiltà sua, rispondere a tante recriminazioni delle ragioni dei tormentati di qui, spietata la vita a trattarli come anime già perdute in un inferno anticipato! Pensiamolo nell'ultima sua ora pendente dalla croce infame. Egli affida la tutta lacrime al discepolo amato ché per madre la tenga, sola ormai al mondo! E poi perdona i detrattori suoi. Ma fa di più, e sono parole incomprensibili biascicate nell'agonia penosa, chiede perdono! E di che? Di aver suscitato odio e non amore! Il dio chiede quanto dà, sempre! Ama e chiede amore, perdona e umile perdono domanda! Ecco, ci dirà, già perdonato t'ho e soltanto t'amo! E, mistero dell'amore, vorrà sentirselo dire! Quell'amore che lui vuole grande ed eroico non limitato a chi palesemente ci ama, ma voluto caparbiamente per i nemici perfino! E lui così proprio sembra divenirci, nemico, nelle ore di miseria più fosca! Ecco questo povero amore umano, non lo vedi altrimenti andar alla deriva e farsi piccola cosa, se immotivato restasse privo di tanto compito? E solo lui, fattosi il più umile degli uomini, grande lo vuole, tanto che al termine della giornata terrena ad esso poter chieder perdono del male permesso a far la sofferenza delle creature tutte! E non vedi quest'amore, altrimenti star trascurabile moto del cuore, cosa da femminuccia, tra le cose di assai poco conto, o invece, ché assai più le femmine sanno per intuizione, tra le più riposte, quelle che sfuggono ai saccenti di qui? E tra esse pensosa, miserella s'è fatta la malinconia mia...Vieni piccolo amore, sollecito, lascia che negli occhi tuoi, puri restati, a me si specchi il vero! Il dio è l'umile, sa cos'è il perdono, anche quello che si chiede, che non è detrazione di quello che si dà, ma motivazione, Io posso concederti quel che per primo ti chiedo! Pensiamolo così bontà completa, ché tutto sia carità! Il resto del sapere è follia! Ecco che dirmi vuoi!

martedì 26 agosto 2014

Una brutta malattia







Oggi stanca è l'alba, sembra poco avanzi, così pure è scialba e fiacca l'anima mia già svagata, fatta ora molle e imbelle, con molti sospiri senza oggetto per cui vibrare empatia e con tacito, inconfessabile desiderio di inoperosità, da notte agitata, quasi insonne, sonnacchiosa or ora ridestata. E l'aria a occaso s'è fatta scura, greve. Pioverà? Ma già mi piove dentro, e fredda e sporca è l'acqua dal cielo interno, quello della mia speranza e della mia fede, che spezzate mi appaiono. Presto mi farà ghiaccio intorno e lo proietterò fuori e mi si chiuderanno, sbarrate dal gelo, le vie con cui questo piccolo amore al cuore mio viene, solerte vigilando, questa piccola donna ché la salute, anche fisica, non mi si rattrappisca. E quanto tortuose sono quelle che dal cuore mi partono! Ché, della salute sua ansioso, cerco di raggiungerla, e da lì le persone vicine, e più in là quelle che relazione, anche solo labile, abbiano con la vita nostra, ora umbratile e scontrosa divenuta. Così serpiginose sono quelle vie che al cuore da lì mi tornano, ma più ancora le più vicine, quelle che dal cuore suo mi vengono, sì, queste rendo inconsapevole le più difficili, quasi che a dispetto avessi ogni, pur agognato, aiuto! E mi singulta anche il cuore fisico, che attenzione pretende, e scuro più ancora dentro fa il mio vissuto con rantoli d'angoscia, e mi nega, con la follia sua, quel che di vita tenta fiottarmi da chi bene mi vuole, luce e calore dalla generosità dell'amore! Sì, ben misera s'è ridotta la vita mia, ché non ha freno, non ha pudore, mi fa vergognosa presenza, questo desiderio di rinuncia e di morte. Sì, mi marcisce dentro nell'avvilimento la vita, e sconcia è questa vigliaccheria che di quelli verso cui l'amore è comandato, e fra tutti prima a questa piccola donna dovuto, mi fa disinteresse, e mi divora, ché la colpa sua tutta sento, nonostante il torpore che fuori manifesto. Ma abbrutita l'anima non ho d'egoismo, ché tanto vorrei di bello e bene almeno per chi m'ama, ma il poco che pur m'esce mi costa immane fatica! Quando, mi chiedo, assillato che svolta radicale ci sia, ne uscirò, quando mi sgroviglierò da questo male, che di tutto mi fa noia e immeschinito mi fa in rassegnazione passiva e mi svela, mi fa sapere che ogni speranza è vana e inutile, troppo brutto questo mondo? Io interrogo il mio lontano sapere medico e del figlio, che assai più ne sa, cerco consiglio nella terapia, ma rimango in torbidezza molle e l'ozio anche morale mi ingoia nel fango suo! Al dio ho chiusa la porta, ma spero, paradosso, che lo stesso entri come fece dopo la resurrezione ai pavidi suoi rinchiusi in segreto, porte e finestre sbarrate, venendo. Ma gli occhi luccicosi di lacrime trattenute, che facile pietà velano della donna mia, mi riaccendono, e strano lo constato, sempre meno timida, la speranza. Quale? So, come indubitabile certezza abbia all'improvviso, che presto griderò di meraviglia, ché l'attenzione di tutti attirare vorrò, ché in noi e per noi due, che solo amore fa vivere, il dio avrà fatto miracolo, sì, fiorire ancora il bene a gloria della misericordia sua! E i nostri cuori ancora ospite dolcissima avranno la madre sua! E già sento tremare la farraginosità che dentro creata mi sono, ché pregusto la tenerezza sua di madre e amica amorevole, che vi farà dimora sua stabile. E se violenza occorre a che la pace riconquisti da questa depressione che m'attanaglia, io la prego di permetterla. Sì, lo sforzo eroico della mia piccola donna, che sanato da questa brutta malattia di mente mi rivuole accanto, conquisti con violenza l'intimo mio, ché rinserrata ne ho la porta. L'abbatta! Ma so che come un severo, più di ogni altro duro, rimbrotto sarà stato, gridata a sorde orecchie l'intenzione sua, ma poi dolcezza ne avvertirò, ché è così ogni cosa che da lei mi viene, e intanto saprà scuotermi forte le ubbie e gli echi di tomba che dentro mi fanno paura, fino a tacitarli. Così la tutta bella al fine dentro avvertiremo vita serena novella donarci, tutto perdonato, anche quest'ora buia, che, non voluta, sia stata da me passivamente mantenuta, e riamati come qui di più nessuno può essere. Ecco, mi scuoto, ritrovata un po' di dignità, il giorno quasi tutto passato è, declina, sbrigati fa violenza alla malattia mia, piccolo amore!

venerdì 22 agosto 2014

L'offesa al dio







Ecco, dico a questa donna, felice d'orgoglio che il tanto sentimento provato ella proprio mi ricambi, T'amo nei tuoi ricordi e nelle tue speranze d'oggi, t'amo, del tuo volto fisico innamorato, e più ancora della pace tua, che vi traspare. E ogni giorno ti voglio più bella e così ti trovo e serena, e la voce tua è canto e distinguerlo saprei melodioso nella polifonia che intorno mi facessero altre donne, quando fossero prese di me anche non innamorate, ché tu sola vero lo sei e, il dio lo voglia, ancora lo sarai!





Le faccio così lusinghe d'amore o tradisco intima aspirazione alla pace e l'illusione che lei sola possa darmela? Sì, sempre gemma la pace da cuore puro e crea un incanto d'amore intorno, che può diffondersi operoso a far esultare quelli che gioire ne possono. E io così felicità ho da questa piccola femmina e pace al cuore inquieto, assetato di lei, assetato d'amore! Ma la pace che florida aiuola la terra tutta fa, fiorir deve sì dall'amore, ma dalla giustizia anche e promuoverli. Ma come è raro qui l'amore e mille ostacoli incontra, così non s'afferma la giustizia e spesso anelito rimane la pace, che da sé non fiorisce dalla terra brulla, infeconda d'incuria, amore mancando. Solo ove vive sicura, la pace sorriso è di speranza, e, coronata di bellezza, disseminar può il bene, e la terra ne esulta, feconda divenuta, e fa fiori e dona frutti, ché la pace vi disposa amore, lo stimola, lo accresce, lo diffonde ed esso ne diviene araldo, o meglio aurora, che briosa di luce e aulente di novelle essenze, l'annuncia. Ma oggi la pace non può starsene quieta a far frutto di bene e d'amore, non si conforma più alla natura sua, non dice suadente, non parla dolce, non fa carezza, grida sebbene afona per il troppo farlo. Troppi i secoli bui nel suo nome e anche col suo nome chiamati, Tacito latino lo diceva con Tucidide greco, i deserti desolati lasciati al passaggio su floride terre della imbestiata umanità, fatte risuonare di bramiti di belve, non di canti di uccelli in amore. Non le ha certo giovato, non l'ha alimentata l'andar per secoli dei cristiani a far lor conquiste dopo faticate effimere vittorie. Quante morti, quanti pianti nel nome del dio per i facitori di quella pace! Proprio non possiamo dire di lor fatica: “Beati pedes evangelizantium pacem!” Ed ora di simile fanno i lupi d'oggi nel nome dello stesso dio, diverso il nome suo gridato. E noi inorridiamo allo spettacolo, per mera ipocrisia i particolari crudi risparmiati, del novello suo cristo sgozzato. E ci dicono che il boia è stato un occidentale alla legge dell'amore pur educato. E non può aspettarsi che di peggio, chi fa consistere nel rito la prossimità al dio invocato e non in una azione di bene collettiva, azione spesso pagata, ma non partecipata dagli ipocriti di sempre! Così venne inutilmente il cristo, muore pur'oggi, ma non capiamo il suo sacrificio. Venne, non a testimoniare la legge nuova dell'amore ai nemici, ma a sanare, ci dicono, una altrimenti incolmabile offesa dell'umanità tutta ai primordi fatta al dio, al padre suo! Immaginifica spiegazione dell'orrore di allora e di sempre, o forse no, ha del vero, se la morte sua coagula quella dei tanti innocenti bambini e delle madri loro, che avviene oggi pure come offesa vera al dio. Forse soltanto le donne predisposte sono alla comprensione del vero, lor sanno ragionar d'amore. Così due nostre giovanissime sono andate in mezzo all'odio, dimentiche delle lusinghe di maschi coetanei innamorati, tra i novelli barbari ad amar l'amore, e far concreta la nostra sola speranza, l'amore del dio non fuggito via dall'infamia qui tanto diffusa! Le protegga il dio misericordioso, si frapponga tra la ferocia e tanto candore! E il dio mitico, che alimenta la barbarie d'oggi, fugga nel nulla e lasci scornati i credenti suoi. Il male non proviene dal dio, mai! Gridatelo in tutte le universe lingue, non è voluto dal dio, mai! Né alla vendetta per un'ingiustizia pur cocente patita, può rispondere, rancoroso non è! Qui non guida eserciti, né mai lo ha fatto, mai ne è stato il dio, illuso chi pensato lo ha altrimenti, ché la natura sua è amore e non può smentirsi anche nel luogo del non amore, in questo basso inferno!

mercoledì 20 agosto 2014

Un sogno beato







Perché è così difficile riconoscerci e volerci in semplicità? La difficoltà non è in te, ché io mi muovo sotto lo sguardo tuo tenero e anelante di donna e di madre, ma è di comprensione per me. E di che? Forse in questi monologhi, che ti vogliono in ascolto, io solo annaspo e velo la mia insipienza con tante parole, e ciò che mi angustia di più. Ma il cuore mio non è inaridito, non s'è dissecato, non vaneggia nella boria dello stolto, non è stupido fino ad ammantarsi di sterili acrobatismi da intellettuale fasullo, non fa come l'egoista che il piccolo bene, che fortuna gli ha elargito, rinserra geloso ed è sempre sospettoso degli altri tutti, che affamati invidiosi vede a torto, e tentare cupidi di impadronirsene, non ha in seno livide fiamme rancorose per gli autori del male subìto, che lingueggiano dagli abissi dell'odio per chi ignora del perdono la legge tua. Ma tutto lacrimoso è d'amore per te, per i fratelli, temprato dai dolori di sempre e sostenuto dalla speranza di un giorno senza nembi nel cielo ottenebrato di questa umanità sofferente. E sai allora cos'è d'ostacolo per me? Che io comprender non so l'eccessività del dolore, che fa la mia e l'altrui miseria, una lunga teoria di fatti sconcertanti che proprio lasciarci non vogliono. Io ti ho già detto che il nostro dolore ti fa infelice! Forse è già così tutto riassunto per i fatti passati, e anticipato per quel che ci accadrà, ripetendosi dall'infamia della croce fino ad oggi e oltre. Il dio soffre, fino a morirne, del male che l'ostinata mano dei reprobi di ogni epoca stimola e guida. Ed egli per un piccolo tempo si ritira dal mondo, morto! E da qui forse l'insensato eccessivo dolore dei rimasti di ogni epoca, sì temendo, assente il dio, l'abbandono di ogni uomo a se stesso e alla follia sua. È concluso, infatti mi chiedo, questo tempo di lui nel sepolcro o lo viviamo ancora con te, fatta da lui madre dei dolori nostri? Sulla scena dei terribili fatti d'allora durò un tempo limitato l'assenza sua..., ma non sono per il dio le ore di un giorno come tanti anni per gli umani? E qui intanto guerre, epidemie, catastrofi naturali che l'incuria umana ingigantisce nei danni loro, cattiveria folle di uomini verso sé stessi e le creature tutte! Sì, il male è rabbioso e il dolore resta inconsolato sul fragile guscio dell'esistenza in un mare d'odio! E chi sono io? Sono uno che qui grida con te il dolore suo e di tutti! E qui dura da sempre la sacra rappresentazione del venerdì santo, che a me, bambino, terrore incuteva per le lamentazioni delle processioni d'allora. E continuano nel nostro sud ai giorni nostri lunghe processioni di devoti autentici e di ipocriti e tu in effige condotta sei da questi ultimi a far l'inchino ai capi dei malvagi. Ma tu non t'inchini, non rendi assurdo omaggio al male, ma amorosa ricordi al reprobo che dolorosa sarà la via sua al perdono, ma che tu non l'abbandonerai! Tu sei la sempre solidale a quelli che soffrono e al dolore che pur dovrà essere di quelli che dei patimenti dei fratelli si fanno coautori, loro per primi vittime del male, che qui coagula nel, forse solo mitico, maligno! E io sono nel tuo disperato e talora incompreso amore, vita qui durando. Combattuto, stremato, già vinto forse, ma non arreso! E i parolai scettici di qui mi dicono che nel mito vivo. E io rispondo, Ne ho calore, conforto e credo ci sia, per me anche, una del cielo, che completi col suo il pianto nostro, il mio! Non ne coagula questa mia donna, e più concreta presenza accanto non ho, l'amore, che se è gioia, ad essa non si ferma ma si profonda fin dove dolore lo trascina? Allora io dico a te, donna tutta bella, Noi non stiamo l'uno nell'altro nella tenerezza soltanto, come anche con questa mia donna soltanto non è, ma nel dolore anche, quello che la vita esosa pretende le sia reso in cambio del poco bene concesso! E se questo mio con te non è il beato sogno in cui l'innamorato, e quanto lo sono!, prega l'amata, che spera vero tornata alle braccia sue, di non destarlo tanto l'incanto, ed è invece mendace, beffardo sarebbe e io mi ci agiterei dentro per svegliarmi e non potrei! Ma poi a che svegliarmi dovrei?

lunedì 18 agosto 2014

La felicità del dio


Quando lontano nacque quest'amore, pregai. Ché lo feci? Tu nel futuro delle creature, che il figlio t'affidò, leggi, e forse lo fai per più amare nel presente quelle tra esse più fragili, che necessiteranno, peccando, di perdono, cioè credo tu anticipi l'amore che al perdono segue nella legge tua. Io ti pregai ché il destino nostro ignorassi, così che viver potessi, ignara come noi, la dolcezza di quest'amore, giorno per giorno. Questa, come la nostra, la possibile dolcezza a te offerta da un povero amore umano, ma tu stessa ne sei dono. Come, quando? Io penso che, quando accada che tu sola a dire amore rimanga, l'amore terreno, e non tutto solo umano, ché è da te condiviso, smarrendosi o perdendosi, tu ne divenga la sola dolcezza per quello che, solo lasciato, altrimenti completo infelice resterebbe abbandonato. E nella misura del tuo dono, sempre discreto, appena apparente o misconosciuto, se non la felicità, quella che umanamente egli riponeva, a torto però, tutta nella concretezza dello stare all'altro vicino, verrà almeno la serenità che ad altro amore indirizzi con maggior fortuna, che meno effimero s'accenda o che, duraturo, tanto lo consoli nell'attesa di venire insieme dove vivi. Allora quella dolcezza, che solo apparentemente l'altro assicura, è tua anche o in gran parte e non solo nella situazione estrema mo illustrata di fine amore, ma nella normalità anche. È come se tu in quel viver fortunato di stabile amore, modo trovassi per l'uscita sua dal cuore tuo che ne trabocca. Ma se questo è vero, è come se in ogni piccolo bene, non solo in quello che chiamiamo amore, che qui pur realizziamo a dispetto del male diffuso, tu cogliessi, in questa lotta, l'opportunità di versarvi del tuo e nel positivo esito più ancora, cioè aiuto dai e condividi, accresci anzi, la gioia nella vittoria. Tutto accade come se ciò che vogliamo tenacemente, non lo desiderassimo in solitudine, e concretizzatolo, il nostro non restando sterile gesto, tu vi abbia attivamente contribuito per farlo vincente, noi però offrendoti il modo per farti palesare quello che ti gonfia il cuore! Ecco l'uomo in ogni sua epoca riceve l'invito al bene. Vi può però restare indifferente, sordo, da egoismo tutto preso, ma se vi radica il seme come in terreno recettivo e vi si fa pianta, tu fai sì che fiorisca e dia frutto! È ben strano questo tuo amore, è ambivalente, lo vuoi per noi tutti e per te stessa, ché t'urge che dal cuore t'esca e uscendotene, meraviglia!, il restato ne risulta accresciuto! E quello umano com'è? Fa di simile! Vuole pur esso uscire, manifestarsi per un tu... e quel cuore, ottenuto il desiderato, si trascura, pensa più all'altro, arriva ad amareggiarsi, angustiarsi, parendogli di non saper assicurare il dovuto bene all'amato, ma non avverte diminuzione della sua felicità se realizza di più quella dell'altro, anzi la sente accresciuta. Oh quanto simile è davvero a quel che ti accade! Ma v'è un aspetto tuo solo. Quale? So che t'amareggi se quanto offri non è accolto. E la via al dono si chiude se gli amanti rinunciano all'amore o più ancora se quei cuori non sanno amarsi, ché uno può includere sì l'altro nel suo interesse affettivo, ma, egoista, non sa sacrificare nemmeno un po' del bene, che gelosamente rinserra, per la felicità dell'altro! Ma quando il tuo bene è accolto, fa come lievito in pasta, accresce l'amore, e tu stessa ne avverti accresciuta la tua gioia. Ecco allora cosa t'è peculiare, io oso dire che hai bisogno di noi per essere felice! Non lo sei da sola senza noi, nemmeno nella corte celeste! Sì, la felicità nostra fa la tua, sempre nell'amore ristretto a due, e più in quello che gli altri tocca, perfino o più ancora se coinvolge nell'afflato i nostri e tuoi nemici, pronuba tu stessa col tuo e nostro perdono! E il dolore pur tanto presente? Misura nel nostro luogo, nel nostro tempo la tua infelicità. Sì, quello che t'accade mi fa dire, L'uomo è necessario al dio perché felice sia! Paradosso della fede!

sabato 16 agosto 2014

Il risveglio







Ecco, la vita mia tutta in un sol gesto, la già stata, riassunta, e quella da venire, prevista. È questo tuo, la carezza che ora mi fai! E ti dico, Eppure per felice che tu possa rendermela, lasciarla dovrò forse per la trepida attesa di te che, sola, tutta racchiuderla puoi nella tenerezza, la avuta e condivisa e la nuova che il gesto tuo promette bella, tutta di suggestioni d'amore! Ma senza te il mondo mio tutto dissolto sarà, sì proprio questo di tanti fiori che, dischiusi, tu presente, ora ridono per me. E le stelle, per te lucciole che stanno a dirsi amore nelle notti estive, forse non più vedrò luccicose presenze, ma nemmeno sterili globi ridotte, che di nulla parlar sappiano a cuori amanti. Ché forse questo cuore solo un lungo sonno avrà e senza sogni, ché talora sognando, non s'accorga della presenza tua, fatua, nebbiosa apparenza da ricordi suggerita. Né forse quella del cielo venirvi vorrà, che talora l'avido d'amore mio cuore, blasfemo, non la voglia tuo surrogato, per quanto in vita prezioso preludio tu ne sia stata, sì, proprio a lei, suadente invito! E allora? Forse la condizione mia somiglierà allo star sospesi, gente così vista da me, medico, molte volte, incosciente, all'apparenza in attesa che di lor la vita vero completa si ricordi o la morte li rapisca, ma spesso nel torpore sentore avendo di quel che accada intorno o si dica, specie se sia voce di persona cara ad essi sussurrata. Allora tu pensami, parlami, non smettere mai! Non rinchiuderti nei ricordi o nei sogni in cui, se desiderato, certo verrò, ma a farti temporaneo diletto, che in lacrime muterà il risveglio. Sì, non illuderti che così la mia vita continui per te e in te! Ma, se vuoi proprio, sogna, anticipa quel che mi accadrà tu venendo alle stelle! Quando al mio nome sussurrato gli occhi riaprirò al tuo sorriso!





Ecco queste le mie fantasie, espresse con un linguaggio cui la fisicità, che qui i sensi attiva, fa da supporto, ma che qui solo è sicura. Qui chi sogna di persone care scomparse, le rivede conservate le fattezze che in vita avevano, né altro modo c'è. E quando la tutta bella vagheggiamo, simile concretezza le attribuiamo, pur mai veduto, né descritto da altri il corpo suo di donna, che nella natura del dio risorto assunto fu e divenne luminoso, quanto bello. E forse a questo destinati siamo, che un supporto, in cui l'anima alberghi, sciolta da questo groviglio mortale che ora l'avvolge come pece fa di cavo, essa trovi al fine, redenta che sia la carne, che la rivestiva, da colui che subito con sé la madre volle. Allora di simile sarà per questo mondo, ricordato solo come sito di tutte meraviglie, obliate le brutte e opache cose sue, e saranno ancor loro, le amabili, che gli occhi ridonati riempiranno, più ancora che prima, ché egli le cose tutte rifarà nuove e più belle! Favole? Ma quando accadrà che, per chi ha fede, concretizzino? Il mondo continua con le leggi sue immutabili e tutto il promesso forse sarà solo alla fine del tempo, quando il male verrà ucciso, qui ora despota. Ma forse no, sta già avvenendo! È questo lo sperato che parteciparti voglio. Sì, quando tu chiamerai, il mio nome pronunciando tra le stelle, la larva mia sonnacchiosa si desterà e rivedrà il nostro mondo incantato, ricreato lì lì insieme al tuo sorriso. Io non avrò sentore del tanto tempo trascorso, assopito in solitudine, e stupirò al racconto delle pene tue nel tempo restate non consolate, ma quelle proprio, autentico l'amor tuo sofferto, saranno state stimolo a ritrovarmi. E io mi risveglierò nel tuo amore, come anche qui, dormendo, accade che tu dai sognati mi richiami alla realtà della dolcezza tua. Così sarà per noi ancora in quel luogo, in quell'epoca, ora forse lontani, ma fatti per il solo amore. Non diciamo che solo amore è il sorriso, già qui, di quella del cielo quando accada di vederla, sognando? Farà di simile, in un suo modo peculiare, al risveglio mio da te voluto e sarà il sorriso suo ad accoglierci, ricreando il tuo, in un momento, un'ora, un tempo nuovo, e in un dove in cui tutto il promesso d'amore debba accadere, per noi soli manifestando ella come e quanto ami!

giovedì 14 agosto 2014

L'assunta







Quando vidi la bella venirmi incontro, serpeggiando tra i cespugli fioriti del chinale, mi dissi, Ecco a chi donare il cuore! E quella, appena sicura che udirla potessi, Non sono a chi donar qualcosa devi, ma, io stessa dono, l'ho per te. Ti piacerà! E anche disse, Ecco trasformo questo tuo tramonto, imminente la sera, soffusi di nebbia i colori che languono, in limpida aurora di vita novella! E tutto cominciò a colorarsi di nuovi e più intensi colori e s'abbellirono i cespugli d'un verde acceso su cui, appena nuove, gemme s'aprirono... e perla di prato, lì lì spuntata, si chinò a cogliere e me la offrì, credo perché ne avessi diletto. Poi pudicamente, mi invitò a riposare con lei d'ogni affanno che leggeva nel cuore angustiarmi e mi raccomandò che la margherita donata non lasciassi mi fosse rapita, durando qui ancora la vita. E sedemmo sull'erba tenera, e lei, audace, mi carezzò il viso quasi lacrima asciugar volesse, e permise che di simile le facessi, le dita indugiare tra i neri suoi capelli... Poi disparve, senza osato avessi un bacio, con sé portando l'incanto del mondo novello lì lì sciorinato. Ecco quali fantasime ha talvolta la mente mia, osa sognare quella nel cielo assunta e la sogna innamorata! Io vero non so se mai la vedrò e così proprio, star languida a consolarmi del cuore le pene, ma, vecchio, sogno talvolta cose simili che la tocchino, sempre sfiorandola appena, e anche mi piacciono le favole e me le racconto come bambino facevo, troppo brutta quell'epoca lontana. Poi a questa margherita, vero donata e so da chi, che ben tengo stretta ché non me la porti via vento o la dissolva sole, come fa con mattutina apparenza nebbiosa, quasi di sogno lei pure fatta, ne partecipo e i sogni sognati pure. Ed ella non si meraviglia dell'ingenuità mia inguaribile, d'eterno bambino, anzi dalla storia luccicosa, che con dovizia di particolari racconto, pare aver godimento d'amore. Davvero vorrei estro di cantastorie e saper della tutta bella tali cose, da toccare, di ognuno che ascolti, almeno un po' il cuore! Ma non ho per ora altri sognati belli, per me e la donna mia almeno, come il mo mo detto e di inventarli fantasia non ho, né etico sarebbe. E allora? State nella pace sua, tese le orecchie ad ogni sussurro, gli occhi, i sensi tutti pronti ad ogni carezza, e addormentatevi così. La vedrete! Seducente l'innocenza sua, carezzevole il sorriso e suadente, melliflua la voce sua! E proprio non occorre essere vecchi come me, ma la fede sì!


“ Caro Christi, caro Mariae”. Ecco perché è l'assunta! E vederla, toccarla, è sradicarsi dalla miseria dell'ora e del luogo, è dono che squarcia le nebbiosità, in cui cieca è l'anima! E altro non dico, e forse non so!

martedì 12 agosto 2014

L'invito







Tutti sanno che la morte ci sta davanti, come minaccia, possibile ad ogni passo. Anzi la si può ritenere probabile, imminente addirittura, in situazioni estreme come malattia senza rimedio, vecchiaia abbandonata, amore prima ricambiato e poi perduto, ché tutte, credo, producano tali sensazioni di sgradevolezza, simultaneo panico, fino a temere di essere senza futuro. In realtà come ben diceva Seneca tutti l'hanno alle spalle, non tutta però ché quella fisica per tutti accadrà. Ma credo alludesse a quella dello spirito, che inizia con le disillusioni e la consapevolezza di stare in un mondo ingannevole, falso, di sole apparenze, ma di comune tolleranza tra esseri che sempre più numerosi vi brulicano, convenuta, accettata, ché troppo sgradevole non sia il rimanere tra gli altri, e troppo apprezzata la solitudine. Ma estraniarsi dal mondo, rifiutarlo, sarebbe, credo, un ingenuo tentativo di esorcizzare la morte che reca, come chiudere gli occhi alla realtà sgradevole e pensare possibile una vita diversa in cui i sogni siano permessi e non continuamente disturbati dallo stare tra gli altri, invadenti fin troppo. E per la morte che completa la prima quale strategia, proprio alcuna possibile? Duro per tutti, credo, il piccolo passo finale perché tutta passi, si completi! Allora che occorre? Credere! Nell'uno che ha detto, “ Ego sum resurrectio et vita, quisquis credit in me etiam si mortuus est, vivet!” E che vuole, che chiede, perché credergli sia un bene prezioso da conservare gelosamente, la vita tutta? Vivere un sogno, il suo, l'amore! E lo vuole diffuso. Includa tutti gli erranti, invischiati in miseria radicale, la morale anche e di più quella che la fortuna matrigna elargisce a piene mani. E più ancora i tanti che aumentano il male già tanto diffuso, e fanno più ingiusto il mondo e fosco. Egli ci vuole tutti impegnati nel difficile compito del perdono e dell'amore rifiutato, da riproporre senza stancarsi. E questo è sogno, assai diverso dai propri evasivi, è sognare, ma a occhi aperti, farmaco allo spirito che langue e iniziato ha a morire. Lo spirito scosso può riscattarsi, uscire dal torpore di premorte, sì impegnarsi nel sogno suggerito, e sperare, alla morte fisica inevitabile, che ben vi debba essere un luogo diverso, un tempo tutto nuovo che si rinnovi, che gli permettano, ridonato il supporto alla vita sua, di continuare la favola bella dell'amore. Egli lo ha promesso! E mi importa, sì a me, l'invito a questo sogno?

sabato 9 agosto 2014

Volere l'amore







“Vos dii estis”. Comprese fin in fondo, chi ne profetizzò, l'affermazione, e udita, fu recepita, nell'importanza sua? Il mito che ne racconta non permette di capirlo... Ma in che dovremmo agire, come comportarci, da meritare un simile destino, la capacità alla fine di fare e dire proprio come il dio farebbe? Come potremmo se al momento solo scimmie imitatrici, o non più di marionette, sollecitate a muoversi da invisibili fili, tali le convinzioni nostre, che sospette d'errore possono essere, siamo sulla scena del mondo? Lo faremmo, credo, sforzandoci a dispetto dell'insuccesso, nel rapportarci agli altri, perdonando e amando come solo lui sa fare. È la risposta da dare a tutti nella sequela di chi è venuto a dircelo. È ciò che deve caratterizzarci come araldi di una specifica novità di comportamento, coerente col nuovo credo, e di comprensione del dio. Ne abbiamo idea giusta solo imitandolo, iniziando a fare di simile al banditore suo. Alcuno che lo tenti, impegnandosi completamente, non potrà non dirsi cristiano, seguace suo, testimone, apostolo, in quest'epoca tanto nefanda. E testimone di che? Dell'orrida violenza che gli fu fatta da chi capir non volle, né vuole ancor oggi, un'umanità imbestiata che all'albero dell'infamia lo volle appeso, e lo appende, facendo ancora e ancora violenza all'innocente. E quanti bambini, è la cronaca di quest'orrido comportamento, sono violati , uccisi nelle guerre d'oggi, tutte, come quelle di ogni epoca, definite giuste, necessarie nell'urgenza dei frenetici che attuata ne vogliono l'infamia? Una giustizia vendicatrice però pensata da sempre restauratrice di ordine e valori. Ma quali, se da raggiungere e restaurare sono attraverso l'infamia? Sì, tutte le guerre sembrano far scherno sghignazzante alle vittime loro, anche ai piccoli, rubati per la fossa alle tenerezze materne, quando solo prevale la rabbia ferina di nuocere senza limiti, senza distinzioni, senza nulla più d'umano. Ma son proprio questi manigoldi autori di misfatti, ormai quotidiani, che più obbrobriosamente scatenano la rabbia loro sempre eccessiva, sproporzionata all'offesa che può mancare addirittura, che vanno perdonati! Non v'è posto nell'etica nuova per il risentimento e, per quanto giusta possa sembrare, la vendetta. L'anima nostra avrebbe solo fronzoli di belle parole e frasi non volute capire fin in fondo, ma nulla avrebbe di grande, d'eroico, di nuovo, che invece fanno la pretesa di chi per primo le pronunciò in una coerenza spinta fino al marchio d'infamia, quando lo appesero. Ma noi che ci vantiamo della sequela, non siamo fantasiosi isterici, non ingigantiamo il sofferto, chiediamo al dio di darcene la capacità di imitazione, oltre alla volontà d'amare l'immeritevole, iniziando dal difficile perdono, dolorosa scelta per un'anima che il dolore abbia ulcerato. È ingenuità di pensarsene capaci appena aiutati un po', è follia? Forse... Ma è quello che lui vuole, oggi lo dobbiamo a lui, agire come farebbe lui nell'offesa, e a ben vedere è sempre lui l'offeso, e ci grida dentro come fa dalla croce sua ripiantata qui o là, dove la vuole l'orrore. Solo così saliremo a meriggiare, piccoli noi stessi fatti e oltraggiati come lui, più ancora oggi, perché saremo finalmente nella sua luce a star con lui, bambino per noi tornato, tra le braccia consolatrici della madre sua. Angeli, dii fatti addirittura, profezia del serpente! Ecco, devo proprio chiedermelo questo punto, è forse questa mia, quasi frenesia dionisiaca, cioè follia da invasato, gabellata per misticismo? No, se posso ridirmi, Sono onesto, piccola comprensione ho delle cose sue e forse poca fede, ma so qualcosa che mi sforzo di comunicare. Cioè che “in bono”, nel piccolo bene che almeno dentro so d'avere, avvertito concreto, e là fa santa la speranza che lui sia luce, appena oltre quest'orrore di tenebra, che qualcuno s'ostina a diffondere, c'è, consiste, risiede la mia dignità di uomo e di cristiano e mi farà vincere il male, con la legge del suo amore, anche se ancora e ancora perdere dovessi, fin la vita! E se follia v'è, è questa, non tanto sapere di poter perder e ostinarsi, sì il volere nonostante, sì a dispetto della sconfitta probabile, ma dirsi, Ecco se a te, fratello dell'ombra, devo perdono, il male che mi fai ha già perso, ché io ti rispondo con l'amore, ha già vinto il bene! Mai aspettarne ravvedimento però e contraccambio se l'amore segue al perdono, avverranno solo tra le stelle! Vita cristiana è lotta ché quest'offerta s'affermi ed è da duemila anni che dura!

giovedì 7 agosto 2014

Lui te ne darà la forza







Tanto diffuso il dolore qui che lo stare a questo mondo diventa un gravare dell'anima fino a un fondo tetro in cui non v'è che miseria d'abbandono, lontana la luce come a chi in un pozzo cada. Ecco, io grido a te, dio sconosciuto, da tanta desolazione, appassionatamente ti invoco e questa umiltà implorante, cui non dai risposta, pur s'attende che tu il tuo cuore dischiuda e ne lasci un po' di luce in questo groviglio di tenebre sull'anima mia confusa... Oh quanto vorrei che tu non fossi solo un'idea di questo cuore umiliato, ma appena una consistenza avessi, poco più del nulla, in un qualche dove al di là di queste mondane inconsistenze! Bastevole sarebbe, un generoso farsi vedere e dire, anche senza parole, un amoroso attendere una, anche piccola, risposta d'amore, e me ne verrebbe un chiarore caldo che disgela e fa palpitare la speranza e forse rifiorire tutt'intorno la vita con vera capacità ridonata d'apprezzarla. Io amplificherei l'appena e lo donerei sopratutto a chi più piange inconsolato. Oh quanto essere vorrei un piccolo fiore innamorato della luce, che al mattino la corolla umettata di rugiada distende al giorno che viene! E invece mi son fatto come cieco, invano palpita l'iride desiosa, ché cerco una luce particolare che solo gli occhi del cuore possono avvertire, quella che appena intravista tutto di sé inebria, la tua! Ed è questo solo desiderio che mi nobilita, piccolo uomo ero tediato d'egoismo e poi il dolore disturbante questo incerto peregrinare fin da bambino, che tanto m'ha straniato da farmi pauroso di tutto, del bene perfino e dell'amore che ne viene. Nell'amore tentar si deve di rispondere, contraccambiare, ma come fare se dentro non c'è che il nulla o sol ciò che l'egoismo detta a difesa di quello? Ed è esigente l'amore di donna pur offerto, vuole appagate le aspettative sue...Potrebbe salvare, ma giudica, valuta, soppesa, vuole chi già ha qualcosa, che forse lei solo vede bello e prezioso. Ma ci si può innamorare della perenne incertezza che ci toglie dignità d'uomini e ci fa fantocci di derisione? E quando fuggito via l'amore, non rimane che la vanità del tempo che calore mai dà, né consola e su cui sbatte, mare scuro, ansiosa di prenderci la morte e il suo nulla. Perciò nessuna vera gioia terrena, se non s'apre la pupilla dell'anima e tu solo, piccola luce, aprirla puoi venendo da qualche dove, e se non avvertita, nonostante l'invito che appunto amore ti fa, nulla vale la vita e lo spirito intristito ne muore. E io finché respiro avrò ti cercherò, nell'umiltà e nel dolore per poter dire, trovata che t'abbia, a chi nonostante l'inadeguatezza e con quasi nulla ricambiato, pur m'ama e m'è rimasto accanto, ma sopratutto ai disperati d'odio per me, ma anche a chi come me soffre del tuo silenzio, Lui c'è , allora fa quello che ho da sempre tentato dalla mia pochezza,“vince in bono malum”! Abbi fede, lui te ne darà la forza!

martedì 5 agosto 2014

Digressione di sogni



Digressione di sogni


Oh quanto vorrei tornasse quel sogno d'amore, in cui ti rividi ragazza, lunghi i capelli castani con qui e là insistenza d'un colore più chiaro, come soffusi di biondo! E il vento che vi indugiava amoroso, lieve agitandoli e il sole che ti faceva aureola d'oro, come se di visione mistica si trattasse e tu mi significassi quella del cielo. E mattino era e la marina lontana tutta brillava e tu calma parlavi una lingua che però non capivo. Ma ondulate erano le parole, suadenti e il suono loro faceva più incanto! Forse è così che ti ricorderò, spento il mio mondo di qui, nella mia attesa trepidante là nel luogo del solo amore, che la mia fantasia accesa colloca tra le stelle. Lì la madre verrà a deliziarci del sorriso suo e il figlio suo altre parabole simili a quelle che diceva in vita dirà, soave soave, per prepararci alla nuova vita tra gli angeli suoi...





Ecco, qui l'anima mia, sempre bambina rimasta, si ciba di simili favole e non di virtù che certo non ha, né vorrebbe se quelle le mancassero. E tu in esse sempre sei, o protagonista o piccolo fiore atteso e bianco, anche ignorata l'aiuola da dove tu possa spuntare. Da te spesso viene rimprovero di star dietro a cose del passato, di quando tu non v'eri, brulla e nera la terra prima che da essa nascessi..., ma quelle donne, quei fiori allora protagonisti, mi piace vederle anticipatrici tue, come m'avessero sempre detto, coscienti dell'inadeguatezza loro, Ecco verrà la giusta che t'appagherà! Non voglio vederle come occasioni di tristezza, responsabili con me di sogni caduti, che però poi coagularono in quel che ancora dura bello con te. Quello senza te è piuttosto un tempo da recuperare alla memoria, anche se può sembrare stranezza, vaghezza tentare di disegnarti con le fattezze di altre, ma si fonda sulla certezza che in tutte ben essere dovevi. Perché? È coerente con la fede che abbiamo in una vita ridonata in cui tutto sarà ripresentato in un presente eterno, per essere rivissuto e perdonare talvolta o più spesso dover chiedere perdono...Insomma io non rivivo il passato, deluso dal presente, ma occorre che lo riveda preludio della vita con te, quella di ora e quella di dopo. Mi accade qualcosa di simile a quanto m'accadrà tra le stelle, quando starò ad attenderti, lì la certezza che avverrà quel che sogno, riunirmi a te, qui ora il tentativo di pensare la mia vita uno stesso unico sogno, prima d'attesa di un appena accennato, vago te, perciò nell'incertezza di persona non ben delineata, poi realmente vissuto, e dopo, nel luogo del solo amore, d'attesa ancora, certa però nell'esito suo. Io non so dirtelo meglio e davvero poco m'importa di svelarmi come inguaribile ingenuo rimasto, uno che svegliarsi non ha mai voluto dal sogno che viver gli hai fatto, per affacciarsi a una realtà dura spesso e ingrata. Però rimango anche ora alla scommessa pascaliana, perdere nulla contro l'aver tutto. E tu sei il mio tutto. Se non potessi ancora averti, meglio il nulla! E allora voglio vederti presente da sempre, e forse solo povera illusione me lo permette per i tempi lontani, ma credimi è dolce pensarti come sempre stata per me solo. E se vero, piacendo alla padrona delle stelle, quest'amore continuerà là dove ella vive, avrò continuità nella gioia, recuperato ad essa anche il lontano deludente passato. Allora lascia ti veda così, chioma fluente, occhi da sospiro...

domenica 3 agosto 2014

Dietro al banditore divino







Quando due, conoscendosi, si innamorano, perché quello che nasce possa dirsi veramente loro piccolo bene, è necessario che quello che uno sente palpiti col cuore dell'altro. Cioè che l'altro, recepito quel sentire e volere, li faccia propri, moti del proprio cuore. Così l'altro diverrà irrinunciabile, perché davvero pensato, avvertito complementare al proprio sé. E ne verrà un estendere la propria sensibilità, cioè non solo vedere, sentire, percepire anche con i sensi dell'altro lo stare a questo mondo, ma averne lo stesso giudizio, apprezzamento, fiducia o riserva. “Una amare, una sentire!” Così a questa donna dissi, Ché proprio un nostro bene sia questo guardarci negli occhi e sospirare, io palpiti degli stessi tuoi palpiti e lo stesso avvenga per te! Ecco solo così sarà un amore, il nostro, e vivremo il nostro piccolo mondo di due!





Ma qualcuno è venuto e ha raccomandato che quello che così si crea non resti limitato, ma la pace che ne viene abbia la massima estensione. Ma questo volere, recepito, presto diviene un'esigenza problematica. Perché? Un cuore innamorato è pur sempre il sentire, il desiderare, il volere, che l'altro cuore ha arricchito per amore, educandolo alla mitezza, affinché gli ripugni l'invidia, rancore non abbia, né rimorsi non lo intorbidino, e si specchi sereno nei ricordi, come di primavera fa cielo limpido su tranquillo mare. Questo cuore, avvertito imperioso il suggerimento, desidera che quel che ha, quel che pare canti di felicità, venga fuori per diffondere la gioia che, tanta, gli sembra più non poter trattenere, ma intoppa nella diffidenza diffusa di meno recettivi cuori umani. Sì, presto quel cuore che tenta la generosità, constaterà che il miracolo avvenuto tra due, esso e l'altro cuore amante, non è facilmente ripetibile, mancando la fiducia, rara per le vie ombrose del mondo! E allora diventa eroico il tentativo, un voler ostinato d'accoglienza di ciò che si propone generosamente e che incontra rifiuto quasi sempre. E resta feroce l'aiuola del mondo e vani gli sforzi che l'amore offerto sia ricambiato, e perciò la trasformi in lembo di cielo, perché perfino occorrerebbe i nemici, subdoli o dichiarati, includere nel tentativo generoso di diffondere l'amore! E questi, fauci bramose hanno e apertamente ghignando o celando le intenzioni vere, tentano di distruggere la pace raggiunta ed espongono i due cuori amanti, che riposavano l'uno nell'altro, a disconoscersi, ad allontanarsi, perdendosi, senza più ritrovarsi! E la ricchezza dentro, che diventare voleva strumento di bene, svelando a tutti che la vita è amore, invilisce, si rattrappisce, s'estingue perfino, tanto viene da essi avvilita! Sì, i nemici tentano di vincere, prevaricando, ricambiando con odio perfino, l'amore offerto, affinché quel cuore ben disposto non senta più il grido del banditore divino. Questi in vita sua fu ostinato e coerente fino all'abominio della croce, che i detrattori suoi gli prepararono perché tacesse. Ma lui perdonò, ché sempre dal perdono iniziare deve l'amore per i nemici! Ci invita a questo, grida dentro per questo,vuole, pretende questo, l'amore che includa i nemici col rischio di perdere quella pace che dal fortunato rapporto a due è iniziata. E sempre mi ripeterò, Palpiti il mio cuore degli stessi tuoi palpiti, dio dentro, ma sorreggi la mia debolezza! Fa che non mi risvegli, uscito da quest'inferno, là dove spero tu sia, con angosciosi rimorsi delle troppe omissioni. Invece i miei ricordi di questa vita siano sereni, per potermi dire, Spesso, tentando l'amore da te voluto, posso aver perso, ma un piccolo amore di donna sempre accanto m'è rimasto, e da quello ho potuto ritentare! Sì solo questo importa, l'atteggiamento, divina ostinazione od ossessione addirittura, non il successo, che neppure tu avesti, peregrino sulla terra!

venerdì 1 agosto 2014

L'ultimo paradosso della fede.







Quanti accomodamenti la mente escogita per giustificare lo scarso dinamismo nell'affermare la legge dell'amore, che esso abbia la massima estensione possibile, sì, includente i nemici perfino. Colui che così vuole, vigliaccheria non tollera, ché disse, Ecce nova facio omnia, e nell'opera sua gli necessitiamo, ché egli mani non ha più se non le nostre, e passi non può compiere se non portato, e vuole che da tutti lo conduciamo! Oh quante volte e nella vita tutta mi sono ripetuto, Tu senza lui nulla sei! E balenare ho visto nel cielo dell'anima mia con le parole del comandamento suo, come un barlume, un lampo, e assenso gli ho rinnovato e mi sono ripetuto, O eroe per lui o vigliacco inguaribile! Certo le esigenze della carne di cui, come tutti, per ora anche sono fatto, m'hanno fatto pesantezza, avvilito la volontà di diffondere il bene, ché egoismo m'hanno suggerito piuttosto e non generosità, da cui partire o ripartire di fronte agli intoppi, le incomprensioni, gli scherni che scoraggiano il più paziente degli impegnati. E sì, o si è sospinti da un anelito che mai si placa verso le vette dello spirito, o invischiati si rimane nel fango che tutt'intorno fa l'autocommiserazione, il piangere sui propri fallimenti, e forse più ancora l'accampar scuse di fronte al manifesto insuccesso, sì i flaccidi accomodamenti nei ripensamenti del giorno dopo. Insomma o accumuliamo un tesoro di cui avidi che s'accresca essere occorre, o rimaniamo ai livelli bassi di tiepidi restati, quelli che, incontrati nel cammino, lui anche oggi vomiterebbe sicuro. Allora niente viltà, niente furberie! Adesione completa senza riserve occorre! Ma se, nonostante il tentato onesto impegno, scemi di comprensione del vero dovuto rimaniamo, insipienti per sterilità spirituale, nulla di veramente buono nella nostra storia, non costruttori di una reggia d'amore, non tesoro di cui andar fieri, solo il nulla se non le piccinerie degli interessi personali, limitati al sé e a quelli definiti i cari degli affetti propri, allora, se vero con lui incontro ci sarà nel suo luogo del tutto amore, perdono occorrerà umilmente chiedere del fallimento della vita tutta. E ci verrà concesso, tutti, in qualche misura, nemici suoi, perché non dalla sua parte completamente, se non indifferenti od ostili, ai quali lui per primo ha esteso l'amore. E noi pure, sebbene mediocri, saremo sotto cieli nuovi e su terra nuova, e proprio perché indegni, paradosso!, ci sentiremo i più amati, ché molto ci sarà stato perdonato! E allora? Allora chi è questo che ci grida dentro e in vita sua roventi parole usò per i flaccidi, e ora gli accoglie tra gli asfodeli eterni insieme ai veri meritevoli d'amore, con più amore addirittura? È colui che ha infaticabile nostalgia di tutti i pellegrini d'amore, i coscientemente sordi al comando suo pure, anzi di più! È il suo supremo paradosso? Non so, ma non è l'unico! Tutto sarà nella luce, lui lo vuole, anche la nostra anima ombrosa e le cose che nella penombra del tempo sono restate scure a causa nostra! Ecco passa il fiaccheraio, nessuno lascia a terra, ché è l'ultima corsa, stanchi ormai i cavalli da troppo attaccati alla divenuta sgangherata carrozza, ora stracolma, e pure noi raccoglie! Dove ci porta, se non a lui? Infatti a questa domanda risponde suadente la sua favola che questo suggerisce, Non è forse l'amore mancato un debito contratto con lui, non è forse giusto che sia preteso il saldo suo? E non c'è pure la colpa per la sofferenza non alleviata, nemmeno tentato il soccorso, l'indigenza negletta, possibile non si debba render conto dell'ogni volta aver voluto guardare altrove? Ma a chi, se non a lui? Lui il negletto nel povero cencioso o nel malato! E la sofferenza subita, il male, anche patito nella vita tutta, non merita consolazione, anche solo postuma? È proprio debole la pretesa di compenso dopo una sofferenza a lungo patita? Ma a chi chiederlo, se non a lui? Ma c'è di più. Quelli che restano sulla scena del mondo non possono pensare ai trapassati come rimasti vittime di una presunta colpa di mitici antenati, che sprigionato ha il male, hanno appunto bisogno di una favola più sofisticata. E si dicono, Qualcuno ben parlerà chiaro al fine fuori della tetraggine del tempo e lì asciugherà le troppe lacrime versate e dirà, ridonati novelli sensi, che la sconcezza del passato con la sua perfidia, troppo spesso aggiunta, o resa più velenosa dell'ambientale, dall'uomo stesso, più non torna, non segregati e resi innocui, ma pentiti i tanti autori di misfatti! Sì, ecco la fede, c'è in un qualche dove, chi è capace di tanto, ci deve essere il dio fuori del cuore umano e quello che dentro abbiamo e ci sollecita amore deve essere lui stesso! Con lui si sono contratti i debiti d'amore. Egli non è però esoso strozzino, al contrario dà e dà molto, sicuro molto più dello scarso ricevuto, ché qui anche è pensato povero e negletto in chi lo è, ma molte lacrime verseremo nell'accorato pentimento delle tante omissioni da inguaribile egoismo qui suggerite, o peggio qui da velenosa cattiveria tormentati! La sola paradossale giustizia del dio questo pretende e tutti renderà capaci di tanto, d'essere meritevoli di perdono, bastevole il pentimento anche postumo! Ma in fondo non è tutto paradosso? Sì, lo stare in quest'inferno, dove troppo spesso è colpito l'innocente bambino non il reprobo adulto, con dentro il continuo gridare coi miti suoi di uno, che pretende di anticiparci il dio, dal linguaggio eccessivo, iperbolico da orientale del tempo suo, che poi vorrà solo perdonare i nemici suoi, noi per primi, i mediocri suoi seguaci! E intanto urla, ormai afono, senza più voce, qui il dolore e non s'attenua con la favola bella della compensazione postuma e forse solo chiede al dio di restare un'idea del cuore, che come tutte muoia con la carne, perché questo nella vita ridonata potrebbe pretendere, stipato di troppe lacrime trattenute, di perdonare e non di cercare perdono! Ecco l'ultimo paradosso il dio da perdonare!