lunedì 18 agosto 2014

La felicità del dio


Quando lontano nacque quest'amore, pregai. Ché lo feci? Tu nel futuro delle creature, che il figlio t'affidò, leggi, e forse lo fai per più amare nel presente quelle tra esse più fragili, che necessiteranno, peccando, di perdono, cioè credo tu anticipi l'amore che al perdono segue nella legge tua. Io ti pregai ché il destino nostro ignorassi, così che viver potessi, ignara come noi, la dolcezza di quest'amore, giorno per giorno. Questa, come la nostra, la possibile dolcezza a te offerta da un povero amore umano, ma tu stessa ne sei dono. Come, quando? Io penso che, quando accada che tu sola a dire amore rimanga, l'amore terreno, e non tutto solo umano, ché è da te condiviso, smarrendosi o perdendosi, tu ne divenga la sola dolcezza per quello che, solo lasciato, altrimenti completo infelice resterebbe abbandonato. E nella misura del tuo dono, sempre discreto, appena apparente o misconosciuto, se non la felicità, quella che umanamente egli riponeva, a torto però, tutta nella concretezza dello stare all'altro vicino, verrà almeno la serenità che ad altro amore indirizzi con maggior fortuna, che meno effimero s'accenda o che, duraturo, tanto lo consoli nell'attesa di venire insieme dove vivi. Allora quella dolcezza, che solo apparentemente l'altro assicura, è tua anche o in gran parte e non solo nella situazione estrema mo illustrata di fine amore, ma nella normalità anche. È come se tu in quel viver fortunato di stabile amore, modo trovassi per l'uscita sua dal cuore tuo che ne trabocca. Ma se questo è vero, è come se in ogni piccolo bene, non solo in quello che chiamiamo amore, che qui pur realizziamo a dispetto del male diffuso, tu cogliessi, in questa lotta, l'opportunità di versarvi del tuo e nel positivo esito più ancora, cioè aiuto dai e condividi, accresci anzi, la gioia nella vittoria. Tutto accade come se ciò che vogliamo tenacemente, non lo desiderassimo in solitudine, e concretizzatolo, il nostro non restando sterile gesto, tu vi abbia attivamente contribuito per farlo vincente, noi però offrendoti il modo per farti palesare quello che ti gonfia il cuore! Ecco l'uomo in ogni sua epoca riceve l'invito al bene. Vi può però restare indifferente, sordo, da egoismo tutto preso, ma se vi radica il seme come in terreno recettivo e vi si fa pianta, tu fai sì che fiorisca e dia frutto! È ben strano questo tuo amore, è ambivalente, lo vuoi per noi tutti e per te stessa, ché t'urge che dal cuore t'esca e uscendotene, meraviglia!, il restato ne risulta accresciuto! E quello umano com'è? Fa di simile! Vuole pur esso uscire, manifestarsi per un tu... e quel cuore, ottenuto il desiderato, si trascura, pensa più all'altro, arriva ad amareggiarsi, angustiarsi, parendogli di non saper assicurare il dovuto bene all'amato, ma non avverte diminuzione della sua felicità se realizza di più quella dell'altro, anzi la sente accresciuta. Oh quanto simile è davvero a quel che ti accade! Ma v'è un aspetto tuo solo. Quale? So che t'amareggi se quanto offri non è accolto. E la via al dono si chiude se gli amanti rinunciano all'amore o più ancora se quei cuori non sanno amarsi, ché uno può includere sì l'altro nel suo interesse affettivo, ma, egoista, non sa sacrificare nemmeno un po' del bene, che gelosamente rinserra, per la felicità dell'altro! Ma quando il tuo bene è accolto, fa come lievito in pasta, accresce l'amore, e tu stessa ne avverti accresciuta la tua gioia. Ecco allora cosa t'è peculiare, io oso dire che hai bisogno di noi per essere felice! Non lo sei da sola senza noi, nemmeno nella corte celeste! Sì, la felicità nostra fa la tua, sempre nell'amore ristretto a due, e più in quello che gli altri tocca, perfino o più ancora se coinvolge nell'afflato i nostri e tuoi nemici, pronuba tu stessa col tuo e nostro perdono! E il dolore pur tanto presente? Misura nel nostro luogo, nel nostro tempo la tua infelicità. Sì, quello che t'accade mi fa dire, L'uomo è necessario al dio perché felice sia! Paradosso della fede!

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