domenica 24 febbraio 2013

Soldato innamorato


Stanotte tornata sei nei miei sogni, come uscita mi fossi dal cuore. Ma i bei sogni son favole che dalle tue stelle vengono e da lì scesa vero forse sei, bianco l'abito casto e velati i neri capelli, bello ma assai pallido il viso con neri occhi lucenti. Quella, te subito creduta nel sogno, ha voluto la stringessi, forse ché illusione non ne pensassi, e permesso m'ha che le mie audaci le sue piccole labbra socchiuse sfiorassero. E sai che m'ha detto in questo sogno beato, come vero tu fossi dopo anni d'attesa? Che io sono sì il suo bel soldatino da sempre, ma che preoccupata è di me quando solo lasciarmi deve, se è per bisogno o conforto lontano chiamata, che qualcuno danno mi rechi, forse come ingenuo troppo e fragile. E ha continuato quel te sognato, che allora due possibilità ho, o girare per il mondo con gli occhi suoi, nel cuore suo ospitato, e di tutte le bagattelle di qui occuparci, o attenderla fiducioso e sereno, quando ella sconsigliate me le abbia per la crudezza loro, e che allora la piccola donna donatami fatta sarà cooperante alla custodia mia. E' stato un lungo complicato sogno, ché quando me ne svegliavo, riprendeva dallo stesso punto interrotto. Io non ricordo però altre cose dette, eppure molte altre cose lì accadute sono, forse perché inebetito, tanta la bellezza del tuo personaggio! Ma il cuore mio le serba gelose da te credendole e, se non lo smentisci, me le rivelerà quando occorrerà le sappia. Che ti dirò ancora dopo tante emozioni? Io qui donna talvolta incontro, sì bella, e sicuro giovane troppo, il che rimanda alle tue stelle una migliore sua conoscenza, che un po' ha gli occhi tuoi, ma tristi sempre, e io un po' me ne stordisco, pensando ai tuoi, proprio come stamattina è stato, vedendovi i recenti in sogno mostrati. Ma poi, solo, alla mia preghiera incessante ritornato, le mie due donne nel cuore, per quella e per l'amor suo contrastato, pregar un po' ho potuto. Ma più ancora occhi come i tuoi ha la fidanzatina mia d'un tempo, ma io più nulla ne so, e mi punge il cuore il ricordo di tanta bellezza in donna sì cruda, con me almeno, e forse questo la madre mia intuendo, non la vedeva nella felicità nostra. Delle altre più non so, né voglio, e la già bambina della spiaggia, l'unica volta che s'è mostrata di recente, scuri occhiali aveva e gli occhi suoi non ho potuto ben notare, e s'è fatta anche bionda(sic!), nero castani i capelli suoi nel mio ricordo. L'ho smarrita daccapo...Ma tutte le donne amate, anche per gli occhi loro le ho, e quando, giovane con questa mia, allora ragazza, alla sera scoloriva il cielo e di mille e mille brillii s'accendeva, ella, che ancor di te mi scalda, di me innamorata, gli occhi lucenti suoi mostrava a incoraggiarmi, timido forse intuendomi, per, solo moderate però, effusioni di primo amore. E così già t'amavo com'ella voleva. Oh quanto t'ho amato, vicaria questa piccola donna! Io però anche so che provano i mistici, l'afflato tuo ricambiandoti. Questa me lo rinnova più oggi che l'amor è quasi sempre casto, un po' di necessità, la mia, un po' per scelta sua. E te lo dono, come, quando? Nella preghiera accorata, alle cose di qui soffermandomi, quando il dolore intuito di ogni creatura ti prego mitigare. Sai cos'ho perso di questa donna in fondo? L'infanzia sua innocente, benedetta da te, ché forse mia l'hai destinata da sempre. La piccola, occhi belli cerulei e capelli oro, di quell'epoca mia prima, ho da allora lontana, forse già fino alle stelle, e le coetanee mie, insulse parevano e deludenti, mentr'io amor ne cercavo più che di generose effusioni, che non dispiacevano, fatto anche di tanti sogni condivisi. Sai, una coppia v'è di antica unione, son sempre insieme dal liceo almeno, raro è, come oggi, che incontri lui solo o la donna sua, gentile sempre e bella ancora. Ecco che manca ai ricordi miei, una lontana promessa d'amore scambiata fin da bambini, che ancora si viva. Quell'altra, occhi neri solo dai ricordi della mia adolescenza, questo m'ha rubato col diniego suo antico, che l'amore mi continuasse, fiorito puro e ingenuo per lei fin da bambino. Ma per questa mia così avresti pensato il suo amore per me, ed era ragazza, ma come bambina restata. Ma dopo tante amarezze non potevo che dubitare di tanta gioia, e forse gustato non l'ho appieno, anche se inguaribile sognatore. Sì, qui di simile più nulla torna, indurisce e disincanta il cuore, il tempo, e corre! Ma quando tu ci vorrai alle tue stelle io con questa mia, la stessa età avrò e ricominceremo e completeremo del qui mancante, la favola nostra. Oh sì proteggi questa mia perla fino ad allora! Soldato non di lotta sono ma d'amore, difendo, innamorato, le due regine mie! Et dico vobis, sponsae meae aeternae estote!

venerdì 22 febbraio 2013

Un posto in cui dirsi amore


Se lo stradello della borbonica polveriera inferiore percorri, esso è tutto baciato, in giorni sereni come questo, dal sole, dolce la brezza che su viene dal mare. Qui già la ginestra spinosa vuole ricoprirsi di giallo e i folti cespugli di euforbia le infiorescenze lor verdi preparano, e già tra le prime margherite e anemoni, i crochi, araldi di primavera, e gli asfodeli che, sbocciati, bombi richiameranno a far dolce brusio, e ciuffi verde tenue di orchidea. Questi, occhi esperti richiedono a esser notati, alcuni con timido stelo che già sale su a recar le infiorescenze sue, che rosa saranno nella varietà qui predominante, per far la meraviglia di chi qui sosterà innamorato. Sì qui, non da solo come me, ma diranno amore a chi la bella sua vi reca, prima che quella per verba, forse vincendo la timidezza sua lo manifesti, come tu certo per me faresti, già con gli occhi belli parlandomi. E così tra queste cose belle di prima primavera, scender puoi a una quota sulle falesie che lo sfavillio di luce sul mare tranquillo quasi carezzare potresti. E' posto per giovani innamorati in cui sostare con te, ché giovane ti fa amore. Qui, seduti sul muretto, che fiancheggia il lastricato e vi fa sponda al rapido degradare del chinale fino all'abisso delle falesie, staremmo un po' a raccontarci storie recenti e antiche e a guardarci, liberi i nostri pensieri, che correre forse vogliono ai ricordi. Tanti i nostri! Ecco, ricordi? Ti direi. Ché ci son di quelli che ci vedono sì insieme, ma l'uno sospira all'altro lontano e questo, chissà dove, lo pensa e sospira, ricordando la tenerezza sua. E forse a simili ricordi di tristezza un po', separati allora per brev'ora, il bel viso veleresti ed io per toglierteli di mente, un timido bacio ti darei come facevo su far della sera, trepido innamorato, ai nostri primi approcci. E tu, sorpresa un po' anche ora, come allora eri della mia audacia, sorrideresti radiosa, e ti direi. Oh sì, innamorami più e più di te e, tutta brividi, chiudi gli occhi tuoi al contatto delle labbra mie sulle già rese umide tue, come allora facevi lì nel luogo e nel tempo dei nostri primi amori, nei momenti di vero abbandono, vinta la nostra timidezza. Ecco, davvero ora sei la ragazza d'allora e i tuoi capelli non sono più d'argento e io li bacio per esser stato troppo oso a consolarti del troppo, così da te giudicato, concesso. E ora che a questo mio sogno invitata t'ho, tu veder dove è nato forse vorrai. Ma richiamarlo dovrai nel tempo che sarà, io vero lontano ad attenderti chissà dove tra le stelle. Riverrai anche solo con la mente a questi luoghi, allora riassapora il profumo ancor tenue di queste essenze, rievoca gli stridii dei lai dei gabbiani volteggianti sulle falesie, e rivedi lo sfarfallio di luce sull'acqua in una mattinata tersa come questa di imminente primavera. Tutto ancora ti sussurrerà le mie parole e se ne piangerai, un po' accorata, il vento dal mare bacerà le tue lacrime per me. E rincuorati, ché lucciola, che parla amore coi brillii suoi, t'aspetterò! Dove? Là, nella gioia che trabocca dalla felicità della fata che ritrovare ci farà, insegnandoti la via delle stelle.

mercoledì 20 febbraio 2013

Salomone


Della compagna mia davvero tutto non so, né altra vita concessa ne esaurirebbe la fantasia che ha nella relazione nostra d'amore. Normalmente le facezie mie l'inducono al riso, ma spesso anche le cose dette più serie. Non che frivola sia, ma è convinzione sua che caparbio mi sia anche di fronte fatti assurdi. Così io facezie dico o spontanee o talora per reazione, subendo i motteggi suoi, con i monotematici miei, che pungono sulla gelosia sua assai nota. Tutto oggi è iniziato, compunti alle quotidiane notizie sul recente fatto d'orrore, dettato da folle gelosia all'assai famoso atleta che, vintone, ha infierito truce sulla bellissima sua e ora, vile, tenta salvarsi negando l'evidenza. Ma poi per reazione a tanto accoramento, le ho chiesto se la sua gelosia non potesse spingerla a qualcosa di simile. Mi ha consigliato di non frequentare donne giovani e meno alla passeggiata, che talora non accada che innamorarmene possa, perché pur qualcosa la spingerebbe a tanto. A tutte le congetture mie fondate sulla patente sua gelosia ha risposto che sufficienti non sarebbero, non rimaneva che la sofferenza mia, che tanto accorata l'ha per il diniego d'altra donna, or molto non è. Allora tra il serio e il faceto mi ha risposto che lontano tanto dal vero non ero più, ché l'ipotesi della dolce morte, pur avanzata da me immaginandola disperata per mia malattia estrema, si sarebbe resa necessaria per non vedermi di simile ancora soffrire. Poi alla affermazione sua abbiamo riso moltissimo a lungo, ma la giovane coppia che ci vive in casa al piano inferiore, non s'è allarmata dello strepito, ché sa di noi che anche i litigi finiscono nel ridere. Ora a me fa ridere che ella non scherzi affatto, convinta delle affermazioni sue, ride poi dell'assurdo che le sfugge e che io argutamente le faccio notare. Così ora, ma ella giustifica l'ipotetica sua risposta dettata da empatia estrema, forte il suo amore per me, così ai nuovi motteggi miei si deve ridere ancora. Ora storiella biblica dovrò raccontare, sperando che la bella che tanto turbamento le ha provocato, da risentirne fino a oggi, la legga, difficile diventato dirgliela de visu o con altro mezzo, ma lo faccio per tutti quelli che pazienza ne avranno d'ascolto. Di Salomone si diceva che sessanta erano le regine e ottanta le amiche concubine, ma una gli molceva il cuore più d'ogni altra tanto da invocarla, “veni sponsa de Libano, veni!”. Ora pare che attribuire a lui la sublimità del “cantico de' cantici” sia antico abuso per esigenza di ebraica e di cristiana esegesi. Ora io, che non son Salomone, ammesso che di simile ardore capace sia stato per invocare amore da quella donna, ché dal cuore ridiventato bambino, compulso a tanto sia stato, le chiedo: credi tu, bella signora, che metterti volessi tra le mie regine, e sol'una v'è con quella del cielo, o tra le concubine, vuota quella parte della reggia mia? Ecco l'equivoco, che sbrogliato andrebbe! Quello volessi non offrirle amore casto, spiegherebbe il comportamento suo recente analogo a quello antico. E quale? Ragazzo ero ed ella con me, e un fortunato amichetto piccola storia d'amore ne aveva avuto, a dispetto del risaputo interesse mio per la stessa. Ora quello ne piangeva, accorato, l'abbandono, di fronte a me e all'amico che aveva permesso il mio incontro con la bella. E aveva voluto gli promettessi vendetta, ché pur'ella soffrisse le pene d'abbandono. E io, perché cessasse tanto dolore, qualcosa di rassicurante dovevo avergli detto, se non promesso, ché quella al ballo di fine estate del nostro appuntamento, chiarificatore dell'amore reciproco diventato, mi ignorò, uccidendomi il cuore. Or io non sono affatto guarito, non da quell'amore, forse innaturale a lungo e all'insaputa covatomi dentro e sol'ora vero spento, ma dal mio atteggiamento eccessivo, sempre compassionevole verso i meno fortunati, ché ho nella storia mia qualcos'altro di simile. Accadde molti anni dopo, non per frivolezze d'amore giovanile. Collega v'era di me assai meno giovane, che presentarsi doveva al giudizio del nostro consociativismo, giudicarsi dovendosi la competenza sua con quella di un mio amico di vecchia data, del quale avevo nel passato favorito l'ingresso nel consesso, magnificandone l'intelligenza e preparazione. Ora vero io nulla potevo, in disgrazia caduto in quell'ambiente di ottimi ritenuti, né certo i giudicanti sarebbero stati parziali, ma quello piangeva paventando l'abbandono della bellissima sua, che sol con lei l'aveva per l'intelligenza, a dir suo. Io, che nessuno ho mai sopportato veder piangere gli augurai di vincere, la simpatia mia non andando a nessuno, entrambi ugualmente amici, ma l'empatia inconfessata certo a lui. Finì, anche se poi tornò dopo anni, l'amicizia con l'altro, che vinto poi aveva. Ecco questo è il mondo nostro dell'ambiguità e del sospetto della temuta interferenza malevola, e a questo male diffuso io non mi rassegno, ché danni antichi e recenti sempre ne ho avuto. E dico a questa compagna, fuggiamo tra i nostri monti, in attesa che la bella del cielo ci rapisca alle stelle. Luogo c'è, in cui adito, nascosto, ché coronato d'essenze, introduce a profondo antro. Lì temperatura confortevole v'è tutto l'anno. Inconveniente v'è di ratti famelici notturni, ma abbiamo il nostro magnifico gatto che li terrebbe a bada. Pipistrelli v'abitano innocui e tu potresti vederne le teorie uscirne al crepuscolo e tornar per l'imminente giorno. A noi, patiti della natura, non dispiacerebbero affatto e forse metafora farebbero di quel che lasciato avremmo in queste bassure. Un affollarsi di oscure presenze, che seminano il male in questo mondo che ne è recettivo. Ora, così proprio a questa mia donna parlando con convinzione, sì, fuggiamo e viviamo di solo amore, a questa assurda proposta di viver in antro, ella non può che ridere e mi indispettisco e voglio farle di simile, così l'ilare disputa d'oggi, continua! Ma devo rassegnarmi, giullare d'amore diventato son per queste due, la terza mancata, e forse non per sua completa difalta, a tanto spasso!

lunedì 18 febbraio 2013

Favole d'amore








Se tu, bella di questi giorni brevi, eterea ancora nei sogni miei, potessi con me esser presa da un incantamento, pietosa con noi la fata dei sogni, vorrei che ella entrar ci facesse in una mia favola. Ecco proprio qui fovea fa il bosco, tutta di novelle essenze coronata, ché già veder ne potresti primi fiori odorosi in questa piccola radura. Qui letto v'è di foglie, ché il vento ve le raccoglie anche lontano cadute, e da basso sale l'eterna canzone del mare. Tu allora in ninfa mutata vorrei ne facessi con me alcova. E se il gelo di queste notti serene ci sorprendesse, tu dimentica di chiedere agli dei tuoi per me non eterna primavera, come già la bella Aurora scordò di fare per l'amante suo, ma la vita che ella chiese, là, vinto dal freddo il cuore mio vecchio, più che da affannata lena d'amore, mi ritroveresti accucciato accanto a te. Ti dispereresti, pur io stella divenuta dei sogni tuoi nel tuo cielo migrata a dirti ancora amore coi brillii suoi. E tu stranita di dolore, dimentica forse saresti di quest'uomo che accanto ti vive, uscito di favola, senza riconoscerlo, ché d'esser fuggita con lui solo in un sogno avresti scordato e pure la fata buona a consentirlo, e quella della fiaba vissuta ti parrebbe la sola realtà, né ti risponderebbero gli dei, tutti di quell'epoca lontana, in cui illusa di vivere t'avrei voluta, ma solo per piccola ora. Ecco il rischio per cuore troppo innamorato, ché così m'illudo sia il tuo, di entrare nelle favole mie, non più uscirne! Sì, forse lì viver sublimate concretezze d'amore e non sapervi rinunciare, o sognare di perder l'amato e, vinta dal dolore, resa incapace d'uscirne. Proprio come in questa che raccontata t'ho, incauto presagendo la disperazione tua come nevrotico fa talvolta, immaginando la dipartita sua nel dolore di chi resta. Ma se questa è forse favola eccessiva, malata un po', da nevrotico appunto, dettatami dall'intimo folle piacere di immaginarti in insania per dolore, ti prego non rinunciamo al sogno per tema di suggerirne uno ad esito indesiderato, pensiamone insieme uno più bello per goderne! Ecco te ne do traccia, i particolari, che lo faranno bello, li lascio alla ricchezza della fantasia tua. Che qui tutt'intorno sia già primavera inoltrata e io t'abbia fatto un nuovo letto, lì nella stessa vallea, ma tutto di petali di fiori di questo chinale or pensato tutto di variegate fragranze dipinto. Lì t'addormenterai contenta dopo gli affetti nostri in effusioni cangiati, ché l'aria tutta aulente ci farà da narcotico, umani restati, e con me nello stesso sogno sarai, complice la bella delle stelle. Allora forse ella, pietosa, non vorrà che più ce ne svegliamo e in lucciole sue mutati verremo! Sì, questo cuore ha per te tante favole, tutte con meta tra le stelle. Tu ne conosci! Ma favola vorrei per tutti gli amori, una super-favola che tutti li destini all'eternità. Ecco, noi tutti cerchiamo un tu per un io. Potrà accadere in maniera sublime, parrà allora di toccare la pura bellezza, la pura bontà, e questo amore è il più fortunato!O sarà illusione di luccichii e presto prosaico diverrà, un che di cui contentarsi, uno stare per tutti i giorni. Comunque uno stare, rimanere per l'altro. Così ci si potrà accorgere che l'altro completa il proprio sé. Sì, l'umanità dell'altro, seppure deludente, può diventare preziosa, basta accettarla nella realtà sua, amarla qual'è. Ma sarà amore ricambiato nella misura che il deluso non faccia pesare la delusione sull'altro e questo cerchi di andare incontro ai suoi sogni delusi, se non infranti. Così sarà un amore meritorio, perché non esclude la sofferenza, dell'uno ad accettare la povertà dell'altro e di questo a migliorarsi. Io so che così entrambi attingono all'amore della fata, ne sono degni, ed ella li ricompenserà, ché permetterà rivivano là dove vive, il luogo, lo stato, il tempo del perfetto amore. E allora qual'è la favola? Che l'itinerario d'amore terrestre qual ne sia la fortuna, quale la sua storia, anche solo mediocre, svegli un profondo bisogno, che ha l'anima come irrinunciabile, che è la necessità del sogno e della favola nella vita e che il vero senso di questa vita sia soddisfarli per raggiungere la felicità. Tutti ne hanno diritto e la felicità c'è in qualche dove, non è dal niente venuta e non ritorna al niente, è bel sogno sognato, realtà anche per gli scettici, almeno finché ci saranno sognatori che l'agognano. E la fata dei sogni, anche per questi è, e noi, se già premiati, siamo con lei, almeno finché c'è chi, sognando, ci farà vivere d'amore. Vivere di un sogno, ché altri viva per quel sogno! Ecco la favola bella, almeno finché c'è chi inventarsela potrà o rinnovarla. E sognando del bello, del buono, del bene, questi saranno la realtà anche per gli scettici, dove? Ma lì da dove pensiamo, noi al contrario fiduciosi, vengano i sogni, l'amore, dalla fata e dalle sue stelle, che sono gli amanti già stati! Io vedo metafora di tutto questo in chi, vecchio, vive il suo riposo grazie al lavoro del giovane e con i suoi consumi in parte anche lo consente, mentre chi ora lavora spera un giorno di raggiungere questa condizione, garantita dal lavoro di altri. E diciamolo chiaro, in fondo il bene sognato, e noi fiduciosi crediamo ci sia chi lo suggerisca, lo aliti su questa terra desolata e gelida, mentre altri solo illusione ne pensa, mitologia del quotidiano che la mente si inventa, ché aiuti a vivere, ad accettarsi nella mediocrità propria e altrui, fa sì che per i primi almeno fondata ne sia la speranza che esso sia! Altri non sanno dirne il destino, altri ancora, gli scettici appunto, morto lo fanno, così l'amore, che forse sol bene condiviso è, con la morte, unica finale dura verità. Ma ecco il completamento di questa favola, valido per tutti, anche per gli scettici: ella, la fata, che è fonte dell'amore, noi con le belle storie d'amore ora dette e ridette a recettivo cuore, ma poi solo suggerite nei sogni sognati, tutti facciamo vivere chi sogna amore, per viverne!







E ti dirò che cosa m'ha suggerito questa conclusione, amara un po', come da scettico venuta. Io ti faccio sognare per vivere già ora del tuo sogno! Quando smetterai di sognare, io smetterò di vivere, e nemmeno viver potrò tra le stelle! Tutte le spegnerai, cessando di credere alle mie storie!

sabato 16 febbraio 2013

Retori d'oggi












Mentre nel tempo antico apprezzato era il retore, ché in fondo era chi ben esprimeva i concetti che voleva partecipati e condivisi, cattivante ed efficace risultando il discorso suo nella agorà, oggi piuttosto retorica è strumento malevolo atto a irretire. C'è retorica nei fatti d'amore? Forse solo enfasi, chiaro il rituale alle donne tutte, che ne hanno intelletto. Comunque si tratta di un bel dire favole, che l'altro brama in prologo d'amore. Assai diverso è il gioco di chi perora una causa col sotterfugio retorico del ben e bel dire, povera la sostanza delle cose espresse o taciute. Oggi è quasi sempre un politico che adopera l'arte sua per trascinare ignari all'entusiasmo. E li vedi far promesse, sicuri d'aver il bandolo o la chiave per risolvere molte o tutte le questioni che ci attanagliano, e non ci sarà vaglio di intelligenza che vi si opponga efficace, tanto domina la suggestione. Solo in seguito la realtà, restata dura, mostrerà quanto sciocchi si sia stati a credere agli artifici verbali. Né tutti si sveglieranno dalla ubriacatura, ma con ostinazione cercheranno attenuanti o negheranno le evidenze. Il retore potrà esserne ridimensionato, ma per questi resterà idolo. Ma se falsa e grave è la retorica, comune linguaggio della politica, perché ingannevole condiziona il destino della comunità, lo è assai di più in religione. Qui è l'anima, il suo futuro con te ad essere in forse per colpa dei retori, succubo lo sprovveduto. Anche qui incanto di parole, un saper dire favole, con l'aggravante talora dell'ipocrisia di chi si mostra buono senza esserlo. Certo il povero avrà a seguirli molte attenuanti nel cercar perdono dopo l'abbaglio, ma dovrà dolorosamente ricredersi. Il perdono potrà venirgli formale ancora dall'immorale e l'invito alla fiducia, alla speranza da chi ha l'animo arido, disincantato, senza più la fede. Tutto ciò non può che far tristezza a chi ti cerca onestamente e far scadere questa ricerca appassionata nell'aderire a quella mitologia del quotidiano, cui pur sospettandone l'inconsistenza, non si rinuncia pena la disperazione. Sì anche qui, o maggiormente ancora, le cose, i fatti sono indocili e non si arrendono a chi, anche inconsapevole, ha cercato non di vivere nella verità, ma nel fascino delle parole altrui, insidiose e ingannevoli. Come affrancarsene? Si può sempre con forza ripetersi che nessuno ha il diritto di interporsi, falso con parole false da saccente, tra te e lui, sprovveduto credente. Questo potrà sempre gridare: aiutami madre! E tu l'udrai e gli darai il soccorso che potrai. Ora io sono vecchio e lontani sono i giorni in cui gridavo alla mamma, ma sai che vantaggio mi da la stupidità della senilità? Io non ti distinguo più da lei e ti grido come bambino facevo impegnato nel gioco, mamma preparami merenda! E a te griderò accoglienza quando ti porterò l'unico bene della mia vita, questa piccola donna, tutti canuti i bei capelli nero castani, madre, figlia, sposa, amica.

giovedì 14 febbraio 2013

Paura dell'amore






"Non possum" disse un tuo santo a chi avrebbe voluto completa l'opera sua di sua mano. Vinto era dal tuo amore e preso, rapito, assorto tutto nel misticismo suo in risposta all'afflato tuo. Ma io mi chiedo, può cuore umano aver paura dell'amor tuo fino a respingerlo? Paura quel cuore non del danno, impossibile, ma di essere inadeguato a tanta inesplorata ebbrezza? Ma intanto mi chiedo, può di simile accadere nell'amore umano? Sì, temere il concretizzarsi, pur agognato, della speranza di contraccambio. Io ricordo, bambino e adolescente, questo temere quando pur avevo potuto esprimere il mio con incerto babillage alla bella dei miei sospiri nel bel tempo nostro. Un saggio ha definito quasi con le stesse parole due sentimenti, paura e speranza, momenti di questo tipo di innamoramento. Entrambi come stati provvisori dell'animo, la prima, tristezza, turbamento proprio dell'amante timido di non farcela, la seconda come gioia, aspettativa di sogno ricambiato. Momenti che in quest'ordine appunto si succedono nei primi innamoramenti, ma quando invertiti nella sequenza, speranza che sfocia nella paura di deludere la persona amata, allora potrà prevalere la tristezza della rinuncia, che non più temporanea potrà sfociare nell'infelicità se altre scelte saranno sbagliate. Io avuto non ho storia d'amore che con poche donne, sempre rimasto deluso un po', però sempre affascinato dalla psicologia peculiare, mai capita appieno, ma spero che niente di simile abbia suggerito a donna innamorata nel tempo mio migliore. Ma io stesso ne sono rimasto vittima, sempre sentitomi inadeguato proprio a questo ultimo amore e perciò al tuo, che esso certo vicaria. La sua e la tua può essere stata speranza, aspettativa di vero bene e gioia da condividere con me proprio, che io ho delusa. E tu puoi con lei aver avvertito il tuo amore in fondo come disprezzato, sì trattati inadeguati con deficiente risposta allo stesso modo, il suo tenero umano e il tuo soave divino, se vero è che in sogno antelucano, presagente il vero, m'hai invitato ad amarla per amarti. Cioè non solo m'hai invitato al tuo, ma suggerito m'hai come ricambiartelo devoto, dando tutto il mio a questa donna. E io invece v'ho fatto paura e tristezza. Paura almeno d'aver sbagliato a cercarmi e invitarmi al sogno e tristezza di rifiuto. Ché tu, come lei, non accetti mediocre amante, ché il vostro sembra amore che si dona per primo generoso, e poi si debba ricambiarlo esclusivo e totale, sì come vivere si debba di esso solo. Dimmi, hai pianto come questa ha fatto della stupidità mia? S'è allora avverato quello che diceva mia madre, che la mia intelligenza m'avrebbe fatto ostacolo nella vita, e specie di donne fatto capire poco o nulla. Poi io, che in fine ho capito che non si deve che col cuore percepire, senza analizzarlo, un sentimento tanto forte e irrazionale, ho tentato di supplirvi con risposta almeno appassionata, insufficiente forse, ed ella se ne è contentata, almeno così sembra ora dopo anni, e tu? Ma se con lei non è abbastanza questa passione, qualcosa di cui contentarsi, certo non lo è con te. Ma questa ha sempre risposta d'amore, è femmina tenace e non rinuncia a me, è ostinata, vuole me solo, m'ama e gelosamente, allora tu devi esserlo. Non posso essere amato più di così e a voi m'arrendo, ché bello è quest'amore fortunato. Ma io dovrò imparare ad amare e dovrete insegnarmelo. E questa fa del suo, come non fosse già tardi, e tu? Ma capito che l'avrò, e urge che sia così, breve questo mio tempo, come mio solo bene, come mio tutto, io dirò il mio molto modesto “non possum”. Non per interrompere del mio importante, ché nulla v'è così, ma che avrò di quel santo la stessa determinazione a volere viver d'amore e di solo sogno questi giorni brevi e, se tu vorrai, l'eternità tutta. E tu stracciami il cuore, lascia se ne cibi avido il cuore suo e che diventi in lei sua palpitante briciola, linguaggio, balbettio per viva emozione di vero amore. Non ho altro modo d'amarvi!

martedì 12 febbraio 2013

Patiendo et orando







Tanto misera la condizione umana da pensarsi gettata nel tempo e nello spazio a subirne conseguenze di dolore, perennemente esposta alla necessità dei bisogni, alle conseguenze degli atti suoi, quasi sempre inadeguati, alle strettoie della miseria e della fame, della solitudine, della malattia, della morte. Chi allora vero riesce a dare un senso, un significato, un valore alla vita sua precaria e breve, che non trascorra subito nell'oblio, come le cose tutte al primo vento del tempo? Qualcosa di nobile da ricordare in tanto squallore! Forse vero tale è il gesto di questo vecchio buon papa, tanto provato dalle vicende della nostra chiesa, navicella delle procelle. C'è un tuo disegno in questo gesto di tuo amante, che egli ha intuito?Forse verrà un papa nero dalla tua martoriata terra d'Africa, o un rinnovatore, che cambierà la tua chiesa, risolvendo gravi problemi come il fine vita, il celibato dei preti secolari, l'ingresso delle icone tue alla missione sacerdotale. Sì, quella più che di presiedere preghiere corali e rinnovare il dramma della croce, che di per sé si rinnova in chi soffre e ne soccombe, è piuttosto di ascoltare, comprendere, perdonare nel nome del figlio tuo tanta umanità che il bene, il bello, il buono neglige, capacità che precipua è, naturale dote delle figlie tue. Ecco, in certe situazioni non è tanto eroe chi muore per la causa, ma chi sapendo di dover morire come tutti senza dignità, muore nella causa, a vantaggio, a sostegno d'essa. Esposta come in tutti accade al logorio del tempo, la dignità viene recuperata nel coraggio di riconoscere i propri limiti e nel dare un valore, dalla generosità del proprio gesto, non transitorio alla propria presenza qui. Così ha fatto questo vero padre, ha rinunciato alla sua posizione, molto potere, molte angustie, tanto servizio, con una decisione che ha richiesto umiltà e libertà interiore. Quest'uomo vecchio, fragile, forse malato si ritirerà a pregare per noi, egli che fin qui ha sollecitato a pregare per lui. Non possiamo che rispettarlo, non possiamo che amarlo. C'è chi pensa che da croce non si scenda, non si deve né si può invero, ed egli la sua la terrà ben stretta, appesantita più ancora da questa sua generosa rinuncia. E noi accompagneremo questa sua eroica decisione, patiendo ed orando, e tu, madre sua dolcissima e nostra, con noi.

sabato 9 febbraio 2013

Libertà e preghiera







Ecco, qualcosa di sconvolgente accade, e noi vogliamo pregare. Ché lo facciamo? Abbiamo certezza d'ascolto, il tuo, e pregare per il beneficio dei coinvolti, aiuta nel superamento dell'angustia. Sì, tu stai in chi ne soffre, vicino o dentro e saperlo dà conforto, e pregare è saperlo, scoprirlo e perciò ringraziarti. Pregare, non farlo, è scelta della libertà propria dell'uomo. Ma innumerevoli casi della vita ci pongono in questa necessità, dover scegliere. Noi speriamo nel retto discernimento e per questo ancora preghiamo, ché tu ci illumini. Sì, ché niente e nessuno è vero d'aiuto. Abbiamo nella libertà la possibilità di scegliere giusto, cosa che comporterà la risoluzione del fatto, il superamento, il guardar oltre ciò che ci ha coinvolto e sconvolto, talora erroneo stimato, creduto danno minore,ma che poi ha mostrato la crudezza sua, o di sbagliare completamente. E' facoltà personale, risorsa, ma anche fardello, compito che gravoso rende il vivere sulle onde spesso procellose della sorte, che quasi mai al singolo sorride benigna. Utopia, οὐ τόπος, è luogo che non c'è, così qui non v'è tempo né posto, quando e dove la realtà non faccia pressione facendoci subire la durezza sua e il peso della libertà pur affidataci preziosa. Ecco, più che invitati a ogni passo, noi siamo costretti alla libertà. Sei tu, il dio, che con la permissione del male ci costringi a scegliere responsabili, e noi sceglieremmo il bene se fosse sempre chiaro qual'è. Né serve a molto una volontà ferma, decisa, un carattere forte appunto, ché averla volta a uno scopo, può destare ammirazione per l'ostinato perseguire il ritenuto giusto, buono, vero, ma quasi mai approvazione. Ché quello che si persegue con tanta determinazione e forza, può rilevarsi ingiusto, cattivo, falso. Se vogliamo essere uomini morali, dabbene, degni dell'altrui rispetto e del tuo sguardo o dell'ospitarti, bisogna riconoscere che non è ciò che appare che conta e che non è semplice volgersi o scegliere il bene, è essa scelta drammatica e tragica talora. Richiede quello che non si ha,ma che tutti possono pregare sia da te lì lì concesso. Ecco all'apparenza una personalità debole, fiacca, senza valore la riterresti, contraddittoria, inaffidabile. Eppure difronte all'urgenza del decidere ha forza morale, sa scegliere il bene, ché capisce qual'è, cosa rara nell'immediatezza. E ovunque lascerà traccia indelebile dell'operato suo e la memoria lo farà grande e a lungo rimarrà l'eco delle sue parole, prima ritenute non senso. E' il solo degno di te, di portarti in giro per il mondo, è lui il santo, il benedetto! E noi, e io? Siamo, io proprio lo sono, quelli della scommessa delusa, nella necessità non ci siamo mostrati all'altezza del compito, accampando un destino avverso, ci siamo abbandonati alla sconfitta, ci siamo lasciati trascinare dagli avvenimenti avvilenti. Ma un perdono, un dio, un aspetto, una manifestazione del solo dio, ci deve essere per noi pure, e per me, che ho la vita tutta storia d'errori, ci sei tu, amore anche per noi! E io lo sento, lo avverto, lo tocco quest'amore. E' tutto concentrato, coagulato negli occhi della donna mia e tra le braccia stringerla voglio casto, come fossi tu!

giovedì 7 febbraio 2013

Uno strano rito







Oggi nuvole grevi ricoprono il cielo tutto, livido è il mare scosso dal libeccio e sol corto orizzonte permette allo sguardo la foschia. Breve il mio giro tra le cose che la recente pioggia ha reso vivide e declinerò a breve verso il sottostante santuario, ché riparo mi offra dalla minacciata pioggia, così la raccomandazione della compagna mia a non confidare sull'ombrellino di fortuna. E prego in questo mio passeggiare e qui o lì posar lo sguardo, al solito o nella lingua dei santi tuoi, o, più accorato, nella mia. Ma presto i pensieri miei sfuggono al recitativo e vogliono porti questioni alle quali da sé pur dovranno rispondersi, ma io confido che tu mi illuminerai. Ecco, sapere di te, credo, più sia ricordare. E che? Certo i momenti in cui ti ho sentita vicina, rimasta a spartir le mie pene per tanti avversi accaduti. Ma io non voglio pensare che, al confronto, il presente sia assai povero, sì,non voglio che la tristezza di tanta solitudine, mi svaluti la certezza di te. Così scaccio i pensieri più bui suggeriti dalla paura, che certo ha radici nel mio passato, ma che l'oggi promuove e amplifica. E che la fa? Son le cose che tutti angosciano in tanta incertezza, crisi economica, precarietà e assenza del lavoro per i giovani, fanatismi che suggeriscono violenza, odio razziale, e altro, ma più in me i problemi della mia età, che m'avviliscono la speranza. E quale? Che, “te deprecante”, la sofferenza non sia disgiunta dal superamento! Che cioè metafora sia, questo che m'accade, completa della morte del figlio tuo seguita dalla sua resurrezione. Ma a volte tale è l'apparente tuo disinteresse, che si sarebbe tentati a una sfida, lo scambio dei ruoli, tu non più spettatrice ma quella che gli eventi subisce in vece nostra! Ma presto questa proposta rivela l'assurdo suo, un abisso di dolore è il tuo, ché per nulla sei esentata e altrove guardar non puoi, ché dappertutto son disgrazie umane, né tener gli occhi avvallati puoi o chiusi a lungo per il tanto piangere e gridar di qui. Mai cuore come il tuo ha dovuto sopportare tanto, ché ogni dolore t'appartiene! E ci scopriamo in uno strano rito. L'accaduto a te e al figlio tuo si attualizza, come recitassimo una sacra rappresentazione, e finiamo con voi due in uno strano epilogo, in una tomba in attesa della resurrezione, che però tarda. Vi stiamo vivi e ne usciamo, paradosso, da morti.


Ma questi pensieri davvero bui finiscono al santuario. Ma la speranza mia di sostare e rinfrancarmi un po' in chiesa va delusa. E' tutto già chiuso, è mezzogiorno! E' proprio vero, “nulli certa domus”!

martedì 5 febbraio 2013

Cronaca di una mattinata












Oggi giornata è stata di molti incontri e alcuni qualcosa di te suggerir hanno voluto. Dapprima le tre giovani amiche, che vengono alla passeggiata a condurre i cani loro e con le quali dolci son sempre i conversari. Poi una gattina leziosa, che mi ha riatteso nello stesso posto di ieri, ma sol oggi non più s'è nascosta timida tra l'erba, e i miei approcci cauti hanno avuto successo, ché s'è lasciata accarezzare. Poi ovunque mi ha seguito, talvolta intralciando i già incerti passi miei per strofinarsi alla mie gambe. E io, pede cata pede, perdona questo mio greicismo, condotta l'ho fin su alla comunità gattaria del buon Orazio, sotto proprio al mausoleo.







Lì distratta s'è tra tanti incontri e a me più non ha pensato. E poi lo sguardo s'è soffermato alle tante cose belle di lì. Così accorto mi sono che il mare ad orto era tutto un lago di luce. Il brillio finiva non dove all'orizzonte il cielo lo bacia, ma sulla estrema isola del nostro golfo, che come montagna dal mare par che sorga. Poi fin giù allo stradello che alla antica polveriera inferiore conduce, son sceso e mi sono impigrito in un bagno di sole. Ma presto un falco ha rotto la solitudine mia e i miei pensieri vaghi. S'è appollaiato vicinissimo a scrutarmi severo, ma dopo breve indugio, via è volato. Ne sono rimasto affascinato e turbato, e anche intimorito un po', ché pareva l'anima dentro leggermi volesse. Tutto è stato come fugace contatto con chi par voglia dirti e vi rinuncia, lasciandoti dubbioso. E come se quello fosse stato invito a chiedermi dall'onestà mia, nascondi qualcosa ancora?, io, che tutto t'ho detto, come bambino che dall'ingenuità sua svela, per scrupolo di omettere l'importante, perfino l'insignificante al suo confessore, riconfessato ho tutta la mia vita al figlio tuo. E gli occhi subito mi si son velati e poi mi s'è rigato il viso e perdono ancora gli ho chiesto, non per il poco coraggio, ma per l'assenza di quella ostinata intraprendenza, che solo la santità o la mancanza di scrupoli dell'uomo cattivo, sanno avere, e che conduce spesso al successo. E ricordar le cause della mia poca fortuna, ingenuità, fiducia mal riposta, dabbenaggine, che la mia meta pur giusta, hanno compromesso, impedendo che egli con me fosse vincente, mi ha rattristato, scoprendomi così tante carenze. Sì, madre, mai santo né uomo che dalla cattiveria si volga al bene, sono stato, ed è pur vero che la bontà sua per me ha dovuto soffrire, ancora perdendo. Oh lo fossi stato! O madre, se sapessi meglio dirti, meglio spiegarti, lo farei, ma non so farlo, allora ti prego dall'ira sua “a te sim defensus in die iudicii”. Ma pur forte l'amarezza dei miei ricordi, vividi e opprimenti, vincer non ha potuto la dolcezza che questa natura ha voluto trasmettermi e l'ora trascorrer non voleva, ché il tempo pure fermato s'era a tanto incanto! E io, rivedendo ora questa mattinata, che con l'incontro con quella icona tua che sempre sospira s'è ben conclusa, tanto mi riprende dolcezza, che supplice ancor ti sono. Fa che quanto ancor mi viva, io stia con questo mio piccolo solo amore tra queste cose belle e vi muoia, gli occhi suoi nei tuoi trasmutando!

sabato 2 febbraio 2013

Non svegliarmi!







Tanta la sospirata gioia della presenza tua che quella d'alcuna donna di qui, durasse l'attesa dalla vita tutta, ne reggerebbe confronto. E dolci mi guardano gli occhi della donna mia e leziosi mi invitano al sogno, e prometter sembrano che vi sarai. E se vero così sarà, è allora mia fortuna che qualcuno qui suggerir possa un tal sogno. E le brillano gli occhi nella penombra e invitano a chiudere i miei. Ella mi si addormenterà a breve accanto e forse nello stesso mio sogno sarà. Ma al mattino apparente dormiente la ritroverò e a concretezze la inviterò. Protesterà per il sonno interrotto, ma poi tra le braccia mie s'abbandonerà felice. Ecco, è così il mondo della tenerezza nostra, sogni che poi coagulano in altri sogni. Oh sì, mistero c'è nell'amore umano, surroga il tuo divino e ne suggerisce, ne anticipa la dolcezza e la bellezza . Che altro se non questi occhi innamorati, i tuoi che certo lo sono, mi potrebbe suggerire lasciandomeli prefigurare? Ed è dolce quest'amore che il tuo vicaria. E mi chiedo se tutto non sia illusione, e mi rispondo, possibile che quel che suggerisce promettendo qualcosa di tanto, nemmeno ridursi potrà a qualcosa di poco, sopravvivendo? Sì, non è già amore per amore, questo tanto e almeno poco del tuo, perché dovrà farsi niente? Possibile debba perdersi nel nulla quest'incanto? Ma allora perché questa me lo realizza se lo inghiottirà il mai stato? Perché lo stesso destino dovrebbero avere il sia pure appena e il già nulla? Perché l'amore vicario che dà generoso tutto se stesso e la sua bruttura contraria, quella che l'egoismo pretende, dovranno finire allo stesso modo, farsi nulla, come mai stati? Perché la stessa cosa diverranno l'aver intravisto bellezza e bontà e l'aver toccato, vissuto i lor contrari? E se così inutile questa vita, perché viverla se vero al nulla prepara? Ma perché allora questo miracolo dell'amore umano, che vie via fino dal nulla vien fuori, come ogni cosa di questo mondo, e a quello ritorna? E perché bello lo diciamo se dovrà svanire e perché ora la bellezza? Proprio vero è allora che pazzo sono a sognar di te anche a occhi aperti! Ma dolce assai è la follia mia e mi fa dir afono a quest'amore, e mi capisca il cuore suo, taci parole umane, taci sospiri, non svegliarmi!

venerdì 1 febbraio 2013

Pare già primavera







Nella ricerca di te certo poco importanti sono le sensazioni e le conclusioni del passato, che spesso mal ricordo e, se positive, possono evocare un presente assai povero al confronto da lasciarmi sconcertato della pochezza sua.


Né del futuro che venga a portarti mi posso contentare, che atto di fede è e verso il quale se corro ansioso di riscontri, essi forse andranno delusi. E per evitare l'ansia penso che irromperai improvvisa in questa vita, qui invitata da tanto, ma, chiedo, ti percepiranno allora questi occhi di cuore tanto provato che l'attesa avrà reso più deboli e insicuri? Non resta che il presente. Ecco io percorro solitario lo stradello preferito nelle passeggiate, che su mena alle postazioni dei cannoni che difendevano da indesiderati approdi nelle guerre del passato. Mi soffermo un po' alle essenze che vi fanno ghirlanda, ché subito bolso ho il fiato. Han messo già novello abito e presto la ginestra spinosa si ricoprirà di giallo e dai ciuffi di asfodeli candide infiorescenze spunteranno a deliziar i bombi, ma già notar puoi umili rari crochi, che parlano arcano linguaggio di imminente primavera. E mi si slarga il cuore che neri iridescenti calabroni si cerchino e il pettirosso saltelli di ramo in ramo verseggiando a nascosta compagna. Ecco come amo i piccoli fatti della mattinata mia! E già ho visitato i pesci dabbasso alla vasca antica, che alle briciole che la compagna ha lor preparato timorosi e rari a galla son venuti. E or che incantato rimango a tanto, mi chiedo che cosa sia amore se questo non ho, così soffermandomi, quasi pio, alle cose tutte. Lievi cerco di poggiar le piante su erbette novelle e muschio e i sassi del selciato sfiorare senza sovvertirli con la punta del bastone, che quest'erta m'allevia. E' il modo mio intenzionale di nulla mutare, cauto procedendo, ché non ne fugga l'incanto qualcosa mutando, per goder di quello che qui appare qual'è. E ti penso nel respiro delle cose tutte di qui, cui avido orecchio protendo. Me lo dice la pace che ho nel cuore, che proietto sulle cose e quelle l'accolgono lasciandosi veder in una prospettiva novella che ad altri, meno attenti e sereni, negata sarebbe. E' vero io non so altre vie se non l'amore che a te conducano. E questo ha nell'attimo l'efficacia di coglierti avvertendo l'afflato che alle cose avide dell'attenzione mia nella meraviglia, affidi. E così t'amo e ti colgo intuendoti lì lì, cara dolce mia illusione! Ecco, così io vivo di te, vivo d'amore! Amore che non ha parole o forse le ha tutte, ma senza fonemi, sospiri piuttosto da queste cose belle d'annunci di primavera. E che dirò oggi alla donna mia? Mi accoglieranno gli occhi suoi, e io non avrò parole ma sospiri. Se ne contenterà? Non penserà, maliziosa, che d'altre donne i sorrisi son qui fioriti e che me ne rammentino gli occhi suoi? Ma ella non può sapere che mi taccio incantato, ché te vedo pure in occhi, attenti ai pensieri miei, che interrogarli vogliono, gelosi. Ma essi sol favola vivono e ad essa non sa trattenersi il cuore e risponde amore per amore!