Quanto
strana la vicenda del cristo! Chi lo vide, chi lo ascoltò, chi toccò
le sue vesti, per lo più non gli credette, invece chi non può
vederlo, chi non può ascoltarlo, ma solo leggere di lui se ne può
perfino innamorare e farsi suo discepolo, anche se non meno pavido
dei suoi di allora, che via fuggirono alla sua cattura. E grida
questo cristo abbandonato, il suo grido inarticolato attraversa i
secoli e misura l'abisso senza eco in cui il suo dio l'ha lasciato,
facendone un perduto. E noi nell'attesa forse solo simili siamo a chi
inutilmente sta a scrutare la via per l'arrivo di Godot. Ed è
dramma quest'attesa infinita di qualcuno, di cui si ripete sulla
scena del mondo, Domani verrà! E la vita, che attende che la novità
si manifesti, scorre intanto insulsa e piatta e non mutano i disagi
della mente e del corpo! Invece quel chi che viene letto vuole che
sia percepita un'attesa diversa, in cui la speranza non si stemperi,
ma alimenti, riempia la vita! Occorre daccapo ascoltarlo, vederlo,
toccarlo, ma con le orecchie, gli occhi, le mani dell'anima! Solo
così sarà lui proprio l'atteso, Gesù, e non un indeterminato
mister Godot, simile a quello di Beckett, che solo si attende per
occuparsi di qualcosa e il tempo più ancora non annoi nel suo
scorrere apatico. Sì, deve essere diversa l'attesa del cristo, la
vita deve farsi impegno e, se sofferenza, questa sia giustificata,
compresa, perdonata perfino, ma anche fiducia soprattutto. Solo così
solo apparente sarà il non senso della vita!
lunedì 31 luglio 2017
giovedì 20 luglio 2017
Fede e amore
Ma
che sono fede e amore dovuti al dio? Esigenze dell'anima che nessuno
sa ben definire, ma s'avvertono dentro e restano incomunicabili! Così
dico di possederle, ma se voglio chiarirmele, non ne colgo l'essenza,
la verità loro resta celata! Ecco, posso dire a questa donna, certo
sono che tu abbia verso di me d'analogo al mio sentito per te! Ma
questo mio sentire, che certo ha di simile, ma niente d'identico, ha
un senso, una ragione. Ho l'esigenza di scusare la mia pochezza, la
mia ignoranza, la pretesa di essere dabbene, la mia incapacità di
venirne fuori dalla mediocrità e ben gestire i fatti della mia vita,
e lo posso solo, riconoscendo angusti i miei limiti, commiserandomi,
amandomi perciò. Sì, devo pur perdonarmi e dovrò perdonare il dio,
confermarlo nell'amore, poiché sono i miei gesti e le mie preghiere
senza palese contraccambio d'amore! E di che perdonarlo? Di tenermi
tuttora separato, distante, di farmi dubitare del suo apprezzamento,
di farmi avvertire la pena della inutilità d'essere fin qui vissuto
e perfino d'aver amato! Possibile tale pretesa? Nulla è impossibile
all'amore, che se non raggiunge l'armonia, la sogna, la pretende per
averla pregustata! Così al problema del dio, rispondo convinto, Solo
nella prospettiva dell'amore c'è questa persona! Cioè devo amare
me stesso, la mia piccola donna, gli altri tutti, le cose, i fatti
del mio mondo, gli sgradevoli e penosi anche, e solo così superare
queste apparenze e aprirmi al dio, per la certezza di finire nel suo
oltre, ecco la fede dall'amore, non nel nulla, unico escluso, ché
appigli non dà all'amore!
lunedì 17 luglio 2017
Credere, non credere
Tutto
mi sta accadendo come se abbia una dicotomia che mi divide il cuore.
Due parti, due ospiti della parte migliore della mente, due sue
convinzioni profonde, condizionanti il comportamento di fronte al
mistero del dio, indifferente quando non ostile, oppure dimentico e
bonario, ingiusti entrambi e vorrei chiarire perché. Non so bene la
ragione della loro convivenza fin qui nella lunga via percorsa, e per
chiarirmela le penso dialoganti. Che si dicono? Non posso saperlo,
non posso averne conoscenza, solo congetturarlo e lo faccio ritenendo
sia solo una parte a parlare, l'altra tacere, forse attonita,
inibita, tutta presa nell'altra, quella che vorrei addirittura sappia
guardare nel futuro. Quale parte allora? Penso quella che ha prevalso
nei miei ricorrenti giorni bui, ora, forse per rivalsa, stanca d'aver
invano lottato, l'immagino dire all'altra, questa sempre alla fine
invitta, vera “araba fenice”, Siamo nella stessa persona
tendenze, consapevolezze opposte ma uguali, per dignità e storia e
avremo lo stesso destino, ché il dopo ci divide qui solo! Non sarò
io a gloriarmene né tu potrai averne coscienza, se nel nulla
entrambe finiremo, avverato il mio pessimismo sul senso della vita
qui. Mentre se il tuo sognato si realizzerà, non dovrai vergognarti
col tuo dio che io qui sia esistita, se ti sono stata accanto nel tuo
passato, anzi se parlare potessi testimonierei il tuo imbarazzo, la
tua sofferenza, ma non potrò, ché colui che si sarà predisposto
all'accoglienza di chi ci ospita, certo di concedergli perdono, più
non ci distinguerà. Perciò nemmeno dovrai chiedere perdono
dell'incredulità ricorrente, di me, ché peccato non è stato se
talvolta t'ho sopraffatto, ché colpa non hai se temporaneamente la
parte più debole sei stata, e non ne ho io nemmeno, se quanto accaduto con la
durezza sua, ha permesso io prevalessi, ma di ben altro temo pentirti
dovrai!
Ecco,
così alla parte scaltra attribuisco frasi, considerazioni sensate,
benché essa ritenga che alcuna ne abbia qui e il suo coesistere con
la parte avversa lo dimostrerebbe, unico senso nella generale
mancanza! Allora mi chiedo, S'è conservata solo per ammonire l'altra
della loro precarietà? Visione, congettura in fondo ottimistica,
perché ancora mi chiedo, Non è pur sempre un pericolo per l'anima,
la parte che l'invita a non credere, una tentazione giustificata se a
questo mondo troppi infelici non hanno ragioni per credere e vedono i
credenti, non in sofferta meta dopo periglioso mare d'affanni, in
fortunoso approdo, ma baciati da fortuna loro negata da un fato
ingiusto? Sì, forse la migliore dimostrazione di interessamento, di
solidarietà, la migliore “humanitas” sarebbe non credere per
empatia, farne il solo fondamento del diritto all'incredulità!
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