lunedì 31 luglio 2017

Aspettando Godot


Quanto strana la vicenda del cristo! Chi lo vide, chi lo ascoltò, chi toccò le sue vesti, per lo più non gli credette, invece chi non può vederlo, chi non può ascoltarlo, ma solo leggere di lui se ne può perfino innamorare e farsi suo discepolo, anche se non meno pavido dei suoi di allora, che via fuggirono alla sua cattura. E grida questo cristo abbandonato, il suo grido inarticolato attraversa i secoli e misura l'abisso senza eco in cui il suo dio l'ha lasciato, facendone un perduto. E noi nell'attesa forse solo simili siamo a chi inutilmente sta a scrutare la via per l'arrivo di Godot. Ed è dramma quest'attesa infinita di qualcuno, di cui si ripete sulla scena del mondo, Domani verrà! E la vita, che attende che la novità si manifesti, scorre intanto insulsa e piatta e non mutano i disagi della mente e del corpo! Invece quel chi che viene letto vuole che sia percepita un'attesa diversa, in cui la speranza non si stemperi, ma alimenti, riempia la vita! Occorre daccapo ascoltarlo, vederlo, toccarlo, ma con le orecchie, gli occhi, le mani dell'anima! Solo così sarà lui proprio l'atteso, Gesù, e non un indeterminato mister Godot, simile a quello di Beckett, che solo si attende per occuparsi di qualcosa e il tempo più ancora non annoi nel suo scorrere apatico. Sì, deve essere diversa l'attesa del cristo, la vita deve farsi impegno e, se sofferenza, questa sia giustificata, compresa, perdonata perfino, ma anche fiducia soprattutto. Solo così solo apparente sarà il non senso della vita!


giovedì 20 luglio 2017

Fede e amore


Ma che sono fede e amore dovuti al dio? Esigenze dell'anima che nessuno sa ben definire, ma s'avvertono dentro e restano incomunicabili! Così dico di possederle, ma se voglio chiarirmele, non ne colgo l'essenza, la verità loro resta celata! Ecco, posso dire a questa donna, certo sono che tu abbia verso di me d'analogo al mio sentito per te! Ma questo mio sentire, che certo ha di simile, ma niente d'identico, ha un senso, una ragione. Ho l'esigenza di scusare la mia pochezza, la mia ignoranza, la pretesa di essere dabbene, la mia incapacità di venirne fuori dalla mediocrità e ben gestire i fatti della mia vita, e lo posso solo, riconoscendo angusti i miei limiti, commiserandomi, amandomi perciò. Sì, devo pur perdonarmi e dovrò perdonare il dio, confermarlo nell'amore, poiché sono i miei gesti e le mie preghiere senza palese contraccambio d'amore! E di che perdonarlo? Di tenermi tuttora separato, distante, di farmi dubitare del suo apprezzamento, di farmi avvertire la pena della inutilità d'essere fin qui vissuto e perfino d'aver amato! Possibile tale pretesa? Nulla è impossibile all'amore, che se non raggiunge l'armonia, la sogna, la pretende per averla pregustata! Così al problema del dio, rispondo convinto, Solo nella prospettiva dell'amore c'è questa persona! Cioè devo amare me stesso, la mia piccola donna, gli altri tutti, le cose, i fatti del mio mondo, gli sgradevoli e penosi anche, e solo così superare queste apparenze e aprirmi al dio, per la certezza di finire nel suo oltre, ecco la fede dall'amore, non nel nulla, unico escluso, ché appigli non dà all'amore!

lunedì 17 luglio 2017

Credere, non credere


Tutto mi sta accadendo come se abbia una dicotomia che mi divide il cuore. Due parti, due ospiti della parte migliore della mente, due sue convinzioni profonde, condizionanti il comportamento di fronte al mistero del dio, indifferente quando non ostile, oppure dimentico e bonario, ingiusti entrambi e vorrei chiarire perché. Non so bene la ragione della loro convivenza fin qui nella lunga via percorsa, e per chiarirmela le penso dialoganti. Che si dicono? Non posso saperlo, non posso averne conoscenza, solo congetturarlo e lo faccio ritenendo sia solo una parte a parlare, l'altra tacere, forse attonita, inibita, tutta presa nell'altra, quella che vorrei addirittura sappia guardare nel futuro. Quale parte allora? Penso quella che ha prevalso nei miei ricorrenti giorni bui, ora, forse per rivalsa, stanca d'aver invano lottato, l'immagino dire all'altra, questa sempre alla fine invitta, vera “araba fenice”, Siamo nella stessa persona tendenze, consapevolezze opposte ma uguali, per dignità e storia e avremo lo stesso destino, ché il dopo ci divide qui solo! Non sarò io a gloriarmene né tu potrai averne coscienza, se nel nulla entrambe finiremo, avverato il mio pessimismo sul senso della vita qui. Mentre se il tuo sognato si realizzerà, non dovrai vergognarti col tuo dio che io qui sia esistita, se ti sono stata accanto nel tuo passato, anzi se parlare potessi testimonierei il tuo imbarazzo, la tua sofferenza, ma non potrò, ché colui che si sarà predisposto all'accoglienza di chi ci ospita, certo di concedergli perdono, più non ci distinguerà. Perciò nemmeno dovrai chiedere perdono dell'incredulità ricorrente, di me, ché peccato non è stato se talvolta t'ho sopraffatto, ché colpa non hai se temporaneamente la parte più debole sei stata, e non ne ho io nemmeno, se quanto accaduto con la durezza sua, ha permesso io prevalessi, ma di ben altro temo pentirti dovrai!

Ecco, così alla parte scaltra attribuisco frasi, considerazioni sensate, benché essa ritenga che alcuna ne abbia qui e il suo coesistere con la parte avversa lo dimostrerebbe, unico senso nella generale mancanza! Allora mi chiedo, S'è conservata solo per ammonire l'altra della loro precarietà? Visione, congettura in fondo ottimistica, perché ancora mi chiedo, Non è pur sempre un pericolo per l'anima, la parte che l'invita a non credere, una tentazione giustificata se a questo mondo troppi infelici non hanno ragioni per credere e vedono i credenti, non in sofferta meta dopo periglioso mare d'affanni, in fortunoso approdo, ma baciati da fortuna loro negata da un fato ingiusto? Sì, forse la migliore dimostrazione di interessamento, di solidarietà, la migliore “humanitas” sarebbe non credere per empatia, farne il solo fondamento del diritto all'incredulità!