mercoledì 26 novembre 2014

Iddio mio!







Se vero è che il bene è eterno, infinito, e sta in un suo luogo, oltre la finitezza delle cose di qui, la loro temporaneità, asceta è colui che tenta di raggiungerlo con i mezzi che lo star qui, attuale sua precaria condizione, gli consente. Ricerca del bene metafisico, qui presenti soltanto sue parvenze, che pur ne sono preludio e invito, è sicuramente anche tentativo di libertà dai contrasti del vivere qui, paura, dolore, morte! Ma è più ancora. Perché? Aspro ne è il cammino con impedimenti a ogni passo, ma deve essere continuo superamento del realizzato e mai appagamento, anche d'averlo reso disponibile per gli altri, se vero è che se si ha qualcosa, ne va condiviso il godimento e, se si aspira al bene, ne va condiviso il sogno, atteggiamento, richiesto dalla natura di ciò che si agogna, che chiamiamo amore. E il raggiunto va tenuto nel cuore, mai svelato! Sarebbe come se il seguace di Epicuro, asceta che cercò la libertà col raggiungimento del piacere metafisico, avesse la tentazione di fermarsi ai mille richiami, che il proprio sé ha dagli allettamenti del mondo e tenti di goderli, illudendosi di libertà, a scapito della liberazione degli altri, ignorando che quanto si ha di godibile, è permesso da un mondo ingiusto, che molti calpesta, affinché il fortunato possa sorridere o ridere sotto al sole, in un particolare piacere appunto. E, come seguaci così degeneri meritarono e meritano tutt'oggi, ché ancora e sempre ci saranno gaudenti, l'appellativo di porci, che si rotolano nel fango del loro stesso sterco, così nell'impegno al bene, alcuni meritano solo d'essere chiamati ipocriti, molti tra i frequentatori di preghiere corali! Chi sono veramente? Sono quelli che ostentano il bene raggiunto. L'hanno solo per se stessi e quelli più strettamente prossimi, e così non si curano dei più, e perdono l'anelito al bene e, rimanendo nel proprio hortus conclusus, perdono l'anelito all'amore, illudendosi di viverlo, avendolo così limitato! Non è questa la ricerca del bene, non è questo l'amore cui aspiriamo o avvertiamo, cercando colui che chiamiamo il dio. È vero, questi pur sta nelle piccole cose, successi, atti, però conseguiti o spesi a vantaggio di tutti. Solo così si cammina e non si sosta, pensando ai pochi raggiunti, quando molti sono ancora esclusi, non richiamati da alcun invito o che deliberatamente rifiutano il nostro interesse. Cioè chi non smette di agognarlo forse l'ha già, nel cuore almeno, ma certo il dio sfugge a chi è pago del bene conseguito, o con linguaggio del suo cristo, a chi guarda indietro, e così, per farlo, sosta!





Allora cercare il dio è inappagamento, e può essere mortificazione, tormento anche, ma non ci si può contentare del conseguito a prezzo di tanto impegno e forze spese, occorre che, anche se piccolo, il bene raggiunto abbia la massima estensione! Io devo includere nel mio raggio di sole, chi mi è strettamente vicino, ma pure chi m'è o si mantiene distante, per incomprensione, per invidia, per odio. Sì, chi mi è nemico! È questo, credo, il richiesto, stante la natura dell'oggetto d'amore. E come il vero asceta epicureo sta contento del suo poco e vive nascosto, l'asceta del bene s'appaga sì del poco e ne vive, ma pur esso ha messo a disposizione di tutti, pure di quelli che non l'amano e lo disprezzano, e vive nascosto. Non certo nel suo sé, ma schermato dal tenace suo impegno, discreto sempre, che mai ostenta, sempre anzi è umile e si ritiene inadeguato, insufficiente, per il suo compito, essere per tutti. È la sua insoddisfazione del raggiunto, e lo fa correre quand'anche vecchio, ché il suo cuore metaforico giovane è sempre ed entusiasta del bene e detta amore per tutto e tutti. Ecco nuove storture, angosce, impedimenti tanti. Ci sostenga allora la preghiera! E io che dirò, Sono già vecchio, timoroso di danno e mi minaccia, o già mi insidia, il dolore autentico, forse mi possiede, mi stringe dappertutto. Sono già nell'abbandono e nelle sofferenze del cristo? Non so, ma almeno, come lui, amo nonostante, disperatamente! E che dirò al dio? Perdonami! Mi sono addormentato sulle mie disgrazie e non sono stati bei sogni! Passato è forse il tempo dell'amore per tutti, ché forse nulla ho da donare ancora. Donabo me ipsum! Ho detto, e ora ripeto nell'angoscia! Ma ho bisogno d'aiuto, ho bisogno d'amore, di questa mia donna, di te! Tu non sei tra le stelle, forse stai nel mio cuore inappagato e deluso, stai nella mia solitudine, stai nel mio dolore, stai nella mia malattia e starai nella mia morte! Ti invoco con Francesco, Iddio mio, iddio mio!




giovedì 13 novembre 2014

La misura dell'amore



Dorme questa natura, stanca di aver tanto speso di sé, qui nel bello per tutto il tempo appena trascorso. Ora riattende stabile il bel tempo, né l'inganneranno suoi effimeri anticipi, ma, venuto l'atteso, sarà per essa qui ancora primavera, ché tutti ne godano! E sarà incanto di foglioline verde novello su alberi e cespugli, di erbette e fiori, e ne sarà variopinto il chinale, di ronzio di bombi affaccendati, di nettare vogliosi, di canto di saltellanti uccelletti innamorati e inseguirsi vago di farfalle in giochi d'amore. Così fa la vita tutta qui e altrove, sembra sopita ora, così l'umana che pare sonnolenta attendere tempi migliori, quando ora tutto le fa noia. Ma forse esercita la virtù della pazienza, che, se è tregua consigliera del forte, che freme e solo attende l'opportunità d'agire per più certo successo, può divenire tentazione d'accidia per il pavido debole, che tema di perdere pur il poco, che lo stare tra molti agguerriti, gli abbia consentito di trattenere a sé. Ma nella vita religiosa, col pungolo che di continuo fa alla coscienza del buono l'amore del dio, la pazienza è sempre colpevole se troppo temporeggia, fa allora resistenza, quando non ostacolo, al successo dell'azione del bene, ché stimola la sempre guardinga reazione del male, che arma i suoi tanti nemici. Né giustifica l'inazione la minaccia al proprio sé, quando prema l'urgenza di chi soffra e cerchi il benevolo atteggiamento da chi intuisce possa mitigargli la pena. Sì, l'amore divino non sa, né può attendere, le sue necessità vogliono, pretendono risposta, totale e pronta! Sì, non si può essere attendisti o peggio rinunciatari all'incalzare del male coi dolori e danni suoi. L'attendere è sempre sospetto di tema di coinvolgimento, ed è almeno tiepidezza, se non vigliaccheria. Questo è un mondo di troppi indifferenti e vi prevalgono quelli che eludono la propria responsabilità con mille pretesti, alla cui opportunità finiscono essi stessi per credere, tali la loro ragionevolezza e sensatezza, ma sempre deludono chi da loro molto o poco s'aspetti. Chi altri? Essi tradiscono anche la paziente fiducia di considerazione e di benevolo aiuto di chi assista al trasformarsi progressivo della propria favola, in farsa di vita. Tanto da apparire risibile, nei risvolti suoi spesso tragicomici, ai ridanciani superficiali, ma che, quando d'improvviso tragica diventi, quegli stessi rinserra nel cantuccio loro di vigliacchi inani, vedendo da quali mali la sorte, al momento, li risparmi. Lo dico dalla mia esperienza di vita, anche se riconosco non sia mai lecito indurre conclusioni generali dalle personali vicende difficoltose, quando non palesemente dolorose e penose. Né m'è lecito pensare al dio, che, pur buono, non mitighi il danno, né ne contrasti la causa all'origine. È dell'affamato di giustizia pensare al dio, come a chi mai parla, mai si giustifica, mai chiede perdono! E si arriva a perdere la fede, com'è accaduto bambino, ragazzo e ancora da adulto. È dolorosa esperienza di molti, quando l'impotenza di fronte a certi fatti estremi, morti, malattie, di persone care, tradimenti, raggiri, da persone in cui fiducia era stata riposta, induca la sensazione di star chiusi in un serraglio in cui, follia e ragione, indifferenza ed empatia, indecisione e pronta risposta, odio e amore, si equivalgono di fronte allo spadroneggiare del male e nel silenzio del dio, complice o indifferente tentati di pensare, tanto rende folli il dolore vissuto! E allora si grida a lui, e io, disperato, l'ho fatto più volte, tentazione demoniaca! Perché, perché non sono morto io e non è stato risparmiato il fratello caro di sicuro più buono, perché di quel male non sono morto io e risparmiato chi amavo, perché quella malattia non ha preso me e risparmiato persona cara, perché in quell'inutile lotta sono sopravvissuto ed essa non m'ha annientato? Perché questa vita mediocre fin qui mantenuta, perché non ho rotto la mia testa con colpo possente contro al muro del male, perché il mio, ora inutile, tanto sapere non l'ha scalfito nemmeno? Una risposta sola, Il dio mi ha in quelle ore, quei giorni, quegli anni abbandonato! Ma poi l'ho ritrovato e lui, scacciato, ho avvertito corrermi incontro, e mi son detto, La mia passata follia era forse giustificata, anche se eccessiva, m'è ora comprensibile, ma lo è anche scusabile o perdonabile? Non ho forse calpestato volutamente l'amore del dio? Ma ora daccapo spero nell'amore rifiutato più volte, sono stato un ribelle, sono ora un soldato, debole ormai, ma determinato a che in questo muro s'apra una breccia e l'ostinazione durerà fin a che forza residua duri! Non voglio più stare solo a guardare e, se io stesso vittima, nulla m'aspetterò, e richiederò poco, forse solo un appena dalla dolcissima donna, che mi vive accanto. A null'altro chiederò, sapendo quanto difficile sciogliere l'egoismo ostinato imperante, e quanto venale spesso è dei medici l'aiuto. E il dio che nemmeno allora parlerà? Pretende l'eroismo dell'amore, mi dirò! Vuole che il tempo ci faccia tutti santi! Dove sarà che si attui questa sua pretesa? Qui, per quelli che spenderanno la vita per contrastare e attenuare le conseguenze che ci vengono dall'unico vero problema, il male! Dopo, per un tempo personale, per i più, quelli tra cui sono, colpevoli di aver rimandato quel problema, accantonato sine die, il che è abitudine del pavido, sì, l'attendere che altri si spenda, e tutti siamo così in qualche misura, sempre attendiamo che altri faccia! Ma c'è qui chi vince la paura della probabile sconfitta, altri, e sono tanti, che si rassegnano a restare succubi rinunciatari. Allora penso nella mia, forse fallace, eterodossia, che sarà comunque il perdono e l'amore palese, già qui per quelli che riesaminano la propria vita alla luce di quanto qui possibile, divenuti capaci di bene, per i più, e lì mi vedo, quando ulteriore tempo sarà dato di là, perché continui a parlare la propria coscienza fino al ravvedimento, permettendo così s'entri nell'eternità, vera meta e destino di tutti! Ma fino a che qui si resta, che fare? Pregare occorre, ché il dio ci illumini su una cosa fondamentale, nella nostra azione o nella nostra rinuncia, sono sempre implicate persone, sono i sofferenti, in cui il dio soffre! L'indugio ne aumenta la pena! Chiedo al dio di fortificarmi il cuore, per correre incontro ai bisogni, non attenderli a portata, tutto fa necessità, tutto urge nel dolore! Non tarderà che con misura, pigiata e scossa, ci sia dato il vero cibo dell'anima, l'amore suo! Ma ci accorgeremo solo allora che anche qui era donato, anticipato nella fiducia che il dio già aveva, garante una persona per amore, da noi e da lui riamata! E sta anche in questa sua capacità di avallo per solo amore, il perché la donna mia verrà dove starò ad attenderla! Sì, la misura è già colma, riempita da chi qui ci ama! Ma sarà anche pigiata e scossa, e traboccherà!

martedì 11 novembre 2014

L'amore malato



Quando l'amore umano è autentica passione, sia pure al momento appena così, o contenuta, oppure già grande, è sempre aperto a crescere in un processo sempre più inclusivo, fino a vedere il mondo tutto in dipendenza dalla persona, che lo suscita o lo rinnova. Allora, piacevole ossessione, anche le cose consuete son viste nuove e anche se la frequentazione le ha fatte trite, son ora non più logore, ma daccapo degne di considerazione, e lo sguardo le riconsidera soffermandosi su una loro bellezza, mai prima considerata e goduta e c'è la meraviglia della scoperta e disappunto per la passata disattenzione. Allora si è perfino contenti di star nel proprio presente felice, un mondo incantato. Mentre normalmente è il futuro che s'attende portatore di serenità o felicità se fino ad allora disattese. Che ha di sbagliato un simile sentire nella gioia? Solo di essere per una persona sola! E dal momento che è ristretto, limitato, è cieco, ché null'altro vede, considera, apprezza, degno di condividere il proprio. Quello invece che nulla e nessuno esclude è l'amore per il dio, è sempre un amore da partecipare! Il mondo tutto dovrebbe occupare mente e cuore se c'è l'amore divino, mentre fuggire dalla realtà, che ne fa supporto, o dal presente, è come ammettere di non saperlo trovare nelle persone del proprio consueto e sperarlo sempre altrove o dopo, una inconsapevole negazione che lui sia qui proprio, appena oltre le apparenze delle cose tutte, occhieggianti sulla scena del mondo. Questa inquietudine taciuta, negata perfino, ma che fa capolino anche come apparente bizzarria di comportamento del religioso che tenta d'amare, svela un animo non sereno nel profondo e, sotto apparenze contrarie, un cuore infelice. L'amore, se corrisposto, non deve essere infelice, non sarebbe amore! Io lo so come esperienza di vita! E che il dio ami ognuno, chiunque faccia per fede assioma dell'esistenza sua, sa per certo. L'amore per il dio è sempre ricambiato! Ma come guarire se malato è proprio l'amore, come quello di chi l'attende dal futuro, o lo cerca in altri luoghi e non guarda il presente? Al Nehustan è attribuito il potere di guarire tutti i malanni. Per questo male dell'anima, lo potrebbe il cristo innalzato sulle nostre sciagure? Ma il serpente di bronzo di biblica memoria ha da tempo perduto ogni potere, è così pure del cristo? Sì, a meno che non lo si porti appeso, piantato nel cuore il legno suo! Così si può tornare a vivere l'amore del dio nell'attualità del presente, nella consapevolezza che c'è chi completa, prendendolo su sé, l'appena nostro, sia ogni turbamento psicologico, ma anche ogni malanno del soma, per darci almeno nella tregua dal male la possibilità dell'amore. È tributo a questo amore speciale, come lo è la passione in quello ristretto solo a un particolare tu. Sperare che così vero sia, è poter tornare a vivere! C'è qualcuno che sempre completa il nostro appena, perfino l'amore dovuto a chi lo dona generoso! Sì, proprio ogni carenza colma, che come peso avvertiamo, e lo fa il novello serpente innalzato su una croce, ma piantata in noi! E il dio più che padre, è allora come madre amorevole che si avvertirà. Una madre è sempre prodiga per i figli suoi, anche per i malnati o che la sorte così ha reso. Sempre v'è del degno e dell'amabile in tutti loro, nonostante tutto, sì, quel che altri vi vede tanto carente. Si ha così sentore di qualcosa di cosmico che tutto prende, considera, abbraccia, ama. Solo grandi amanti, come lo furono Francesco e Bonaventura, ne sono stati vero capaci. Ma tutti dovremmo avere un amore che non procede verso un dove e un allora, ma che permetta di riconciliarsi con le cose e il mondo attuale. È il nostro scopo dello star qui proprio nella precarietà di umani. Amar gli uomini, le creature e le cose tutte, quand'anche palesi nemici visti, dovuti proprio così considerare! E allora sia pure l'amore umano ostinato e intenso, ma più ancora di come lo è il cieco, quello che null'altro desidera se non chi ha scelto, ma simile a quello dei nostri grandi mistici, perciò non più ristretto a persona o fatto o cosa particolari, e allora sarà la luce della generosità completa e non più l'oscurità dell'egoismo! E avremo conferma del dio già qui, venuto a trasformare questo basso inferno, in cielo e proprio con l'amore nostro!

venerdì 7 novembre 2014

Il prezzo dell'amore



Un prezzo c'è in ogni conquista. E ci sono uomini tanto discreti che si preoccupano che nessuno sospetti le rinunce e le sofferenze per quel fine. Perché? Forse vogliono che quel che celano resti geloso possesso del proprio sé, non lo si banalizzi, e lo mettono tra le cose più riposte, che solo al dio possono svelarsi nella preghiera, quando venga non formale, ma impulso irrefrenabile dal proprio cuore a dire, anche se per alcuna chiara risposta! Così a lungo è stato per me, nella preghiera ho sospirato, nella preghiera ho pianto, nel silenzio del dio! E solo dopo anni ho confidato a quella che sempre m'è stata accanto e sempre amorevole, il perché dei turbamenti e avvilimenti quasi tutti legati alla precarietà del lavoro, ai tanti detrattori e usurpatori incontrati, nemici allora, e ora, ché forse ne sono capace, da amare, comando del dio! E ricordo, momenti bui, ore, giorni vissuti sì insieme ma non nella mia consapevolezza di condividerli completamente, creduto ben celato il perché di tanta angoscia. Ma lei nel suo segreto molto sapeva per quel che mi sfuggiva, o intuiva, e tutto forse pensava prezzo dovuto per la vita vagheggiata e ostinatamente voluta con me, e l'accettava. E mi confidò, in risposta al mio svelarmi, che allora si diceva convinta che tutto già onestamente facessi per assicurarle il meglio possibile e che null'altro le fosse lecito chiedermi se non per la felicità promessa, nemmeno per un po' di serenità dovuta. Così, senza altri oneri aggiunti, da potermi illudere che se ne stava ignara, tranquilla a badare ai piccoli nostri. Ecco come sono certe donne, fanno rinuncia del sognato, del vagheggiato, prioritario quello dell'altro. Ma che c'è in uomo amante? Non c'è alcuno che non sogni di superare contrasti e avversità ed essere capace di assicurare il bene dell'amata, da qui, specialmente nell'oggi difficile, i conflitti tra desiderato e vissuto e le amarezze nella vita a due! Questo nell'amore umano. E poi, c'è un sentire più ancora? Non c'è tra gli umani chi non si sia soffermato, ammirato dello stellato delle notti serene! Ridono quegli splendori, occhieggiano, trasmettono, dice la mia donna, un messaggio d'amore. E lo dice a occhi velati, che le fanno arruffo di quelle luci. E io ricordo che ne chiedevo alla mamma, bambino, e alla ragazza dei primi sogni poi. Ma nessuna dirmi sapeva più che questa. Pensa ella a una fata delle lucciole del cielo. Ché me lo dica non so, ella crede al solo amore umano e come bambino mi vede cercare la bella del cielo, ché la fiaba sua mi racconti e vorrebbe riuscissi ad averne qualche sicuro sentore, tanto vuole, credo, il mio bene e la pace mia in questa mia ultima età. E so qualcosa, è per me essere, per quella che non riesco a vedere, come il mare, se lei pensare posso come il cielo. Ed è esperienza pur essa di qui quando per donna irraggiungibile si senta amore. Si incurva il cielo all'orizzonte, il mare sembra lambire, toccare, baciare, ma bisogna essere bambini per crederlo davvero. Lo sono stato, lo sono di nuovo? E ricordo le sere a prima estate di tante lucciole a far di luce lor richiami d'amore e quelle del cielo a far bordone coi brillii loro, nel silenzio o appena nel brusio di mille piccole vite. Perché prendere si lasciavano solo le prime? Eppoi le nuvole dei giorni d'autunno a correre e rincorrersi verso i nostri monti, bianche o soffuse appena, non nere come le minacciose, che nei giorni brutti venivano a pianger, più che sui coltivati, sui nostri crucci di ragazzi sempre innamorati e tutti, un po' almeno, della stessa bella del momento. Eppoi le prime parole d'amore balbettate e le risposte timide, frettolose, essenziali, Sì, tu pure lo sei per me, ciao! E la mia, piccola e ossuta, sempre mi lasciava con un po' d'umido su una guancia del suo nasino più che delle labbra sue. Era l'incerto suo arrivederci, ché la madre non voleva s'attardasse e io solo avevo ragione di mia timidezza al buio! Quanti ricordi, quante parole, quanti sospiri! E mi chiedo quale il significato, quale il messaggio, nel bilancio che ne faccio ora, dopo tanto mio vissuto? Ora credo di saperlo, il dio ci ama attraverso gli altri e i nemici sulla strada della vita sono lo scotto da pagare, ma affinché a lui sia gradita, sopratutto con questi, amandoli, vuole ricambiato l'amor suo! Ma questa risposta mia non è molto diversa nel significato, anzi forse è assai simile a quello che scrivono le stelle e che questa mia donna, desiderosa nel suo segreto che l'ami per l'eternità, legge. E mi dice che parole sono e non umane, ma assai simili alle nostre d'amore. E io le credo! Hanno in loro il comando del dio, scritto fin dalla fondazione del mondo. A che, mi chiedo, occorre rinunciare per un amore sì grande? Alla vita ria? Certo, ma quale prezzo pagare per raggiungere la fata sognata, se nemmeno serve star nel tormento dell'irraggiungibile e nella sofferenza del mai potuto capire, il cielo appunto con quello che v'è scritto con le stelle sue. Qualcuno l'ha chiarito, ha detto, autorevole, che occuparsi serve a confortar tristezza e bisogno negli altri, sempre presenti per ben più prosaici motivi, e lo ripete proprio a noi nella precarietà della vita d'oggi. E allora la bella fata verrà già ora in chi torna bambino, anche se solo nel sogno, più in là per chi non rinuncia a tormentarsi con congetture e a ripensar alle non conclusioni dei saggi, che tanto dicono e molto ne hanno scritto. Solo i piccoli le sono graditi, sono ingenui abbastanza, vedono lucciole le stelle e non rinunciano a tentar di prenderle, saltando!

mercoledì 5 novembre 2014

Di più nemmeno il dio può



Quando qui proprio, tra questa esuberante natura mi trovo, or quasi tutta assopita, sempre un po' rivado all'epoca lontana in cui trepidante e timoroso la ragazzina dei sogni vi attendevo. E le dicevo, balbettando d'emozione, quello che mi suggeriva la bellezza sua acerba e più gli occhi suoi. Ma presto sento velare i miei e poi me ne sto triste a pensarla sola tra le stelle, sperata vaga ancora di me. Non ho avuto fortuna con lei duratura, ma nemmeno nessun'altra che assimilare possa in amore a questo mio piccolo attuale sogno, che so mi guarda, pur quando lontano, con occhi che fin nell'anima san farlo! E niente le taccio. Ma quando l'amore casto verrà comandato, forse l'una per mano l'altra condurrà a sentir poesia dal mio amore sol per loro conservato geloso. Così oggi, ché umidi già sento gli occhi, dalle stelle sarà meglio scendere a cose all'apparenza prosaiche. E penso che tutto ciò che qui vive ha in sé il sufficiente per assolvere un precipuo compito. Non è però che imperfezioni non nascano in quest'epoca nostra che tutto attosca, ma cosa non adatta alla sopravvivenza credo non duri che poco. Nella vita dell'uomo c'è di simile, ma egli pietoso mantiene spesso chi qui è chiamato alla sofferenza, ché complesso e misterioso è quel che dentro gli batte, il cuore metaforico più del fisico! Ma pensiamo all'uomo quasi perfetto in cui soma e mente rispondano bene alle esigenze della vita d'oggi, se ne sta contento? No, se vero uomo non se ne sta alla ignoranza presuntuosa che contenta i più, quelli, e son tanti, con opinioni su tutto, mai ragionate considerazioni! Anzi si permette il privilegio, che altri non può suggerirgli, di sentirsi inadeguato, imperfetto! Inadatto perciò a rimanere tra gli altri perché dubbioso delle capacità sue, anche psicologiche. E quand'anche dura critica l'assolva, egli continua a vedere l'esistenza sua qui come problema. Perché esserci, quale lo scopo di viverci e il fine ultimo della vita delle cose tutte sotto al sole? Ecco così sa di non sapere, antica la saggezza cui così approda! Nozioni sempre nuove dalla scienza, ingarbugliamenti, sotterfugi, arruffi della politica e dell'economia, carenti in un mondo di fatto sempre più ingiusto e complicato, di più reso così dalla tecnologia, che illude di semplificare, ma lo rende sempre più da sé dipendente. Ed è allora che il nostro sente in sé acuirsi un ideale di perfezione e scopre avere un'esigenza non comune, non si contenta del mondo dei privilegi che appaga i più, sa che è costruito sulla miseria di moltissimi altri. Egli comincia così a permettersi il lusso di una morale! Troppi gli esclusi, i dovuti restar poveri e malati. Ma così, pure lui vive una malattia pericolosa, il sentirsi responsabile, di un mondo malato di indifferenza o d'abbandono. E gli farà ulteriore tristezza lo scoprirsi asservito, legato a cose divenute irrinunciabili nel suo privilegio. Meglio sarebbe stato star contento come gli stupidi, che s'adagiano sui vantaggi della modernità, mai chiedendosi da quante lacrime sia mantenuta! E allora come uscir da questa morsa che tanto attanaglia? Deve accadere qualcosa d'analogo al mio sentir amore per una, ora tra le stelle! Ecco cosa, lui postula un dio, anzi il dio, ché se è per sé, è per tutti. Allora ecco la vita sua diventare morale, vuole l'incontro con quel tu, occorre prepararlo! Ora non è certo più felice, ma sereno, sa che tutto ha un senso. E poi arriverà ad innamorarsi del suo sentire, non solo, allora avvertirà l'esserci del dio tra le cose di qui, ma, meraviglia!, che quella presenza non è un'idea della mente, accolta con geloso possesso dal suo cuore tormentato, ma crederà che l'essere suo sia di per sé, in un suo luogo, oltre le cose tutte e le apparenze loro. È allora che il dio diventa assioma, verità evidente di per sé che di nulla dimostrazione abbisogna! Ed è allora che ha della sua speranza un'immagine assai diversa dall'iniziale, non dubita, ora sa che illusione non può essere, è amore oltre il visibile, è amore che solo una sensibilità a lungo educata, anche nella sofferenza, può cogliere, è amore per tutte le cose sotto al sole e lui ad esso si uniforma. Ama! Non è più Narciso, innamorato dell'immagine che stagno tranquillo gli rimanda e lo fa indifferente alle pressanti richieste di ninfe amorose. No, fa dell'amore la sua sola ragione di rimanere. Non è più chi la sola ombra sua vede e accarezza, non dialoga più con solo se stesso. Sa che la voce del dio, per quanto distorta, gli giunge dagli altri, e l'immagine dell'uomo, per quanto imbruttita dal peccato, è il volto del dio. Sì, ama ora e accetta il rischio del rifiuto degli indegni, ma che più ne sarebbero bisognosi, ama perfino il nemico! E di più nemmeno il dio può. Ama noi!

lunedì 3 novembre 2014

Uscir di sotto le coltri


Oggi tutto addormentato sembra questo bosco, assai diverso da quello che apparirti poteva, se attento, fin a questi giorni di insolito mite autunno. Quando ancora avresti potuto imbatterti in pigra lucertola ai soliti agguati rinunciare per starsene al sole ed ella stessa far da preda incauta alla infida biscia. E uccellino saltellante acute note ad ignota amata indirizzare, da altre cure forse distratta. È la vita che qui faceva capolino a dirci che aspetta tempi migliori e ora rintanata sta a mo' di timida freddolosa formichina. Di simile miglior tempo aspetto forse io? Non dorme la vita del mio spirito? Sta sotto coltre che a lungo le ha preparato la scienza con le conclusioni sul come delle cose di qui. Ne è talvolta uscita sonnacchiosa a guardarsi intorno se giorno albeggiasse, ma tutto nel buio ancora trovando, ha preferito di sotto tornare e sognare. Star sotto la scienza è smettere di tormentarsi sul perché ultimo del fatti e stare alle leggi che li governano. Ma è per me almeno, anche sognare al riparo dei suoi tanti come vadano qui le cose, e sentirmi nostalgico come se una realtà diversa avessi intravisto e smaniassi voler tornare alla vista sua. Non è così che qui nascono le favole sull'assoluto, ché per esso si vive nelle pastoie e nella povertà di valori del relativo? Scialba questa realtà, sta nell'effimero, copia ingrata è forse della realtà originaria che madre le è stata, essa proprio causa, ma fine anche di tutto ciò che vive e muore sotto al sole. Ecco da qui in questa speranza, nasce il confabulare sull'ignoto. Non sono di questo accusati perfino i testi sacri? Ecco l'uomo si trova gettato qui del tutto impreparato, senza garanzia alcuna di sopravvivenza, frustrati le aspettative e i desideri, e vola con pensiero agognante un mondo promesso da altri visionari. Ne è tutto preso, anticipa, descrive il suo sogno e questo è un confabulare, far mito. Certo è comprensibile volersi rifugiare oltre quest'epoca minacciosa, quando incerta è la vita, deluso il cuore e stanca la mente. Ma altri disperati aderiscono al suo bel dire, dimentichi che qui tutte le affermazioni anche le più sensate, vanno vagliate col dubbio! Allora perfino il cristo non ne è esente, è possibile smentirlo? La sua storia sa di verosimile, ma che con suo sacrificio venga pagata un'offesa primigenia all'incommensurabile dovuto al padre suo e nostro, è pretesa dogmatica. Ma non il suo invito ad amare i nemici qui proprio, con l'amore che fa precaria vita nel nascondimento. E quelli che vi si agitano intorno e vociferano che significano, se non indifferenza sempre e odio talvolta? Sì, io devo amare i nemici miei e perfino non più nascondere, tacere l'amore. Questo anzi va gridato! È questa affermazione così grande che passa la coltre di ogni relativismo, si staglia verso il cielo, lo fora, va oltre, raggiunge il postulato dio, gli dà consistenza e figura, lo scuote, lo fa uscire dal sogno dei buoni! Rende così giustizia a un perché del tutto. C'è il dio e il suo cristo l'ha svelato, ché dimenticato dai più era sotto la coltre della scienza e della tecnologia sua, ha dato speranza agli ultimi e meno inospitale ha reso questo mondo! Egli vuole lo si invochi per quello che è, amore! Qui c'è anche questa sua presenza, ma l'amore va comandato. Allora pregheremo per averne la capacità, non limitata, ma estesa fino all'umanamente impossibile, perdonare e amare chi calunnia, tradisce, odia, uccide! Sì, tutto ha fondamento spirituale, la scienza è tappa, il fine sta oltre, è ancora problema, ma non più tormento, dello spirito umano e lo sarà finché de visu col lui staremo, l'amore, il dio!

sabato 1 novembre 2014

Il dolore e la morte perché?



Proprio come quando qui a percorrere vieni i sentieri del bosco di questo chinale di buon mattino e ti imbatti in corpicino straziato di ratto o riccio o di altra piccola creatura morta e ne fai pietosa culla tra le foglie tante, che tutti spogli fanno molti degli annosi alberi, così almeno o più ti rattrista sapere che qualcuno uscito è di sua e tua vita. Anzi ne fai culla con le considerazioni blande della cerimonia che fa bordone al pianto dei suoi più vicini e ricordare ne vuoi i momenti significativi e belli della vita sua, che soli richiami alla memoria. Certo non fai come i più, che alla fine pietosi lo assolveranno comunque, che non potranno non chiedersi che ne è stato di sua vita, non tutta, ché sol il dipartito ne aveva ricordo, ma quella che lor memoria dei fatti più recenti conserva. E colui che ne indaga si chiederà, È trascorsa noiosa nella monotonia di giorni tutti uguali, o allietata è stata da eventi, che scossa l'abbiano per renderla più degna? Ha egli visto tramontare gli ideali giovanili, che tanti conservano geloso possesso a lungo, e così è vissuto disincantato e triste, o ha lottato che qualcuno s'affermasse ed è accaduto che se ne allietasse nella vittoria? È egli vissuto di piccoli intrighi nel quotidiano o esistenza retta, conforme a sani principi del viver in società o morali, ha condotto con tenacia? È stato vittima di infamie o con calunnie e delazioni ha molestato il prossimo suo? Così di simile tante altre domande al fine di tracciare un profilo morale dello scomparso, anche se poi cederà alla retorica del cordoglio che di tutto assolve, negando l'evidenza perfino, anzi ne magnificherà le poche azioni di bene e di altre confabulerà. È il rito che accompagna pietoso il trapassato, garantito indulgente nell'immediato, come mesta poesia alla sua ultima dimora certa, quando è bene per tutti che un'immagine realistica ceda a una mitica cucita lì per lì per conforto dei rimasti soprattutto. E quelli che credono, sono persone che giustificano l'atteggiamento consolatorio per gli straziati dal pianto e pietoso per lo scomparso, pensandolo sincero asceso al perdono del dio. Così esse invitano alla rassegnazione pensandolo eletto a una vita migliore. Ma è tutto vero sperabile, o s'osa troppo? Davvero il dolore e le pecche di una vita avevano un senso, non erano fortuiti incidenti in un percorso, sperato semplice se non addirittura esentato, che una divinità permissiva aveva disseminato di inciampi superabili privilegiandolo, o piuttosto manifestazioni dell'ottuso male di qui, che fa vero scura questa valle? E il dolore dei testimoni di quei fatti talora tragici che senso v'aveva, e le creature mute spettatrici di tanto, quando amiche vero addolorate, che senso v'aveva il loro partecipe dolore? Allora o c'è una preziosità nella vita di ciascuno che spesa va a vantaggio di tutti, o c'è, assurdo, il disagio, la sofferenza patiti per il solo sogghigno dell'autore dell'infamia fatta subire! O, con linguaggio diverso, il cristo, che soffre e muore, anticipa o ripete la vita di ciascuno, oppure l'amarezza per il dolore e il vuoto che lascia ogni morte sono non senso! Possibile che niente di qui segua un ignoto piano che, per quanto irto di difficoltà penose, conduca tutti al meglio e alla luce, visto il buio qui prevalente? Sarà vero qui anche, quel che vale in logica, che vuole la totalità degli eventi a caso, che qui fanno danno e morte, che non un evento dello stesso tipo sia, ma al contrario che una ragione tutta riposta abbia, nota solo a chi ha fatto il tutto tanto carente e brutale, ma anche un dove in cui fa capolino l'amore? E torna spinosa la domanda, Perché quest'inferno unico e certo? Lo sanno i defunti? E perché non lo dicono almeno per cenni? Chi soddisfa e se ne sta cheto, se qualcuno ripete, saccente, che dolore e morte sono nelle leggi della natura e occorre accettarli con animo forte e rassegnato? No, forse è solo nell'apparenza così, una coerenza coi fatti angosciosi che vi accadono, ché dietro c'è dell'altro. E io, che mi struggo come testimone partecipante, io stesso vittima, del dolore delle creature tutte, lo chiamo, il dio!