mercoledì 28 novembre 2012

Viltà







C’è in taluni di noi una negatività, un sostrato che induce a nuocere a sé e agli altri, per lo più misconosciuto, riconosciuto nella pericolosità sua nel raro superamento, ma che nel quotidiano è tendenza, soggezione, attrazione per un comportamento vile, che predilige il debole, non il vero forte o virile, e che su altro più debole farà sfogo. Sì, è debole costui, lo spinge qualcosa che ha dentro, lo destina al male, ché quel che fa, inquina, prevarica, distrugge. E perché anche vile? Vile è colui che non si attribuisce la colpa degli errori, delle difalte, dei misfatti suoi. Mi accade, se ne giustifica, perché è retaggio che ho d’infanzia infelice in cui ho subito violenza, mi accade perché ne è responsabile l’ambiente vissuto, la mancanza di lavoro, le ristrettezze in cui vivo e faccio vivere i miei, che mi fanno angoscia, o perché mi divora questa società ingiusta che mi vede succubo inerme, o non è colpa mia, ma della natura che ha voluto così fossi, o perché l’eredità, non voluta, porto di antenati a me simili. E così altre responsabilità addotte, ma tutte esterne al sé, mai assumendone una in proprio, sebbene in forma dubitativa che l’attenui, dicendo, forse è anche mia la colpa, ma... In fondo, dice, io non sono libero nelle azioni mie, perciò non ne sono responsabile, libero ne risponderei a me stesso e agli altri, ma così non posso, ché qualcosa c’è in me o m’agisce da fuori e ingloba e divora la persona mia in fondo buona, e mi spinge al riprovevole. Ma è questa viltà di fondo che lo segue a ogni passo che sta ad ogni ora in tutti i giudizi suoi, in tutti i comportamenti, che forse è la prima e unica radice del male che gli vien fuori. E vero gli attosca la vita, e lo vedi tradire l’amico, non tener patto alla parola data, chinar la testa e la schiena al più forte, far rivalsa delle frustrazioni sue sul più debole che gli capiti. Eccolo avvicinarsi lubrico alla donna sua e se le fa carezza questa è equivoca, ogni sussurro non è languido d’amore, ma borbottio che rimprovero palese e aspro, immotivato, eccessivo sempre, può diventare improvviso, e ogni lusinga non celebra bellezza d’amata, non è dolce approccio di concretezze d’amore, ma presto scade in latrati osceni o violenta lussuria. E poi ecco d’improvviso, sobrio o no che sia, il più ancora, la rabbia, un nonnulla il pretesto, e quella ne diventa vittima, e cade, se ne scampa, in un abisso fosco. Non sa uscirne, è soggiogata, vinta dal male, la nostalgia accorata della dignità perduta di donna e della libertà, che pur aveva, la consuma in una malinconia che mai la lascia, anzi più e più fiacca la fa. Non è più sicura di nulla, non potrà mai sentirsi un attimo tranquilla, riposare, ché teme torni, e tornerà, la violenza del vile, che le ha fiaccato ogni resistenza, ne subirà ancora l’assalto e al nuovo accanimento sentirà ancor più l’anima sua sgretolarsi, vacillare sempre più la speranza, già tanto rosa dal dolore nella carne e nell’anima, di affrancamento, riscatto da quel male che le sta accanto, sì ella gli vive, gli dorme accanto. Oh potesse gettar via quel residuo d’amore per l’indegno che pur sente, sradicarlo dai penetrali più profondi del cuore e fuggir via! Ma quello intuirà i tentativi di disimpegno e farà più infernale la rabbia sua e raddoppierà gli assalti. Chi l’aiuterà se non tu, madre buona? Le cingerai robustamente la rocca dell’anima e le darai la forza per il distacco dall’orrore, dalla pietosa convivenza con un debole vile, non degno al momento d’amore, ma di perdono per l’anima sua laida. La violenza a una donna non è violenza a te, al dio? Chi la fermerà se non tu sola? Ché la raffica della violenza si abbatte e inesorata da sé non cede, ché talora fa di peggio, coinvolge i piccoli in una furia nefanda. E quand’anche risparmiati ne siano, la serenità è persa per loro, vivono in un incubo, litigi, parole oscene e pianto, tanto pianto della pur bella, dolce e sacra madre loro, oltraggiata, abusata, violentata, e ne avranno conseguenze tristi per la vita tutta. O madre, fortifica le donne tue, falle reagire a tanto scempio, irraggiale della benevolenza tua protettrice, frapponiti tra loro e la vile rabbia che le insidia e fa loro dolore morale più, e fisico! Oh, come e quanto ulula questo nemico, affamato va per divorare, vile, il debole, e debole è l’icona tua! Dalle rifugio sicuro e solitario, allontanala dal carnefice suo. Ecco, di notte o di giorno, in vigilia o nella festa, nel dolore o nella gioia, nel riposo o nel lavoro, nello svago o nell’impegno, sempre troverai una che si inginocchia a ringraziarti, com’io faccio per ciò che so dalla benevolenza tua risolto in bene e in bello. Vedi sarà perché più m’accorano certe notizie nel quotidiano, sarà per l’età mia che mi predispone, ma mi sento coinvolto e smarrito e triste, ché so che violenza a te facciamo dalla viltà nostra di maschi frustrati e impotenti, le donne nostre nella miseria nostra trascinando. Finirà mai la viltà, radice di tanto male?

venerdì 23 novembre 2012

Un canto solitario







Oggi che il sole tutta la boscaglia indora, alla sosta tra gli alberi udir potresti raro canto accorato d’uccello solitario e ne verresti incantata se con me fossi, come io ne sono. Perché lo fa? Distratta la compagna sua da altre cure presa, o forse disinteressata al momento del tutto ad approcci d’amore, ché non è tempo di far novello nido, né di prologo d’amore. Se così, allora che fa questo cantore su questo leccio nascosto, che ora acute note per l’aere terso spande, e poi un po’ sosta, forse di altro cantore lontano attendendo risposta, ma né io, né lui forse, ne sento alcuna, e poi ancora riprende melodia solitaria d’amore? Sì, ne è ben lontana l’epoca e competere non deve il canto suo con quelli rivali e l’amor suo, per ora smarrito o distratto, forse ritroverà solo riaffacciandosi primavera. Ma ora a chi o a che canta? E non succede di simile a me? Tu presa sei dalle cure tue, che forse solo brevi momenti d’abbandono ti consentono, e io non so coglierli e quel che simile a canto di solitario uccello, l’amore mi detta al cuore, resta forse inascoltato. E come per quest’uccello e l’indifferente compagna, che di noi fan metafora, ché apparente il suo canto è perso, ché a me solo qui par far delizia, ché compagna udir non può il verseggiar suo languido o non vuole, così fa palpiti vani questo cuore e le parole che ne traboccano, come in voce canzonata espresse, tu forse non odi o non vuoi, ché dalle incombenze tue talora non ti distraggano. Nostalgia mi fanno della donna lontana, rimpianto della primavera nostra, che non più sarà, mentre le cose tutte qui l’attendono novella. Ma,meraviglia, accoglie questo cielo il canto languido d’amore del solitario cantore e i sospiri miei pure e so che ovunque sia la donna mia ne fa specchio con gli occhi suoi, inazzurrandoli. Così mi piace pensare che a lei vadano queste note languide e i languori miei di innamorato, che questo cielo suoi fa, se ne appropria, ne fa colore e li trasmette a chi l’ama ed ama. E t’ama questo tuo cielo e così questo cantore amoroso il canto suo appassionato è a te proprio e alla mia che indirizza ignaro, ché per vaga bella del cuore suo improvvisa questa melodia. In tre così innamorati siamo di voi due, ché l’una amando l’altra donna s’ama! Sono le sue parole tutte appassionate e mi chiedo, te ne ho mai dette di simili nel mio povero linguaggio umano, nel recitativo o cantandole? Avrei dovuto, almeno al tempo delle mie prime illusioni, quando certo bambina, con me bambino, t’eri fatta per non perderne alcuna e dell’ingenuità loro meglio apprezzarne l’incanto. A chi le ho dette, a qual cuore le ho balbettate, per chi le ho sprecate? Ma or questa donna mia ascolta le canzoni mie d’amore, ma piccoli non siamo né ingenui, ma sicuro un giorno avremo la stessa età, quando, dove? Quando chiamare vorrai l’amore nostro alle tue stelle, maturo il tempo suo forse già. Ecco, lei si fa attenta alla voce mia e brevi brani nel vernacolo dei poeti nostri e musici le sussurro, quando? Quando più recettiva mi pare e mi sento canoro, io allora le ripeto quelle melodie antiche e lei trova la voce mia calda e intonata e so che il cuor suo le canta all’unisono. E tu? Non m’hai forse detto, raccomandandomi l’amore per questa donna, che tutto quello che le avrei fatto di bello e di buono sarebbe stato per te? Allora ascolta la canzone mia d’amore, te la veicola questo canto accorato d’uccello, che spande l’armonia sua tra queste frasche, ché si profumino le note sue alle inflorescenze di rosmarino ed erica prima di salire al cielo, avido di tanta melodia. Ecco, le note sue all’aria vanno e su le porta il vento dolce, cariche dei pensieri miei senza parole, senza peso, senza importanza forse, ché solo richiamo d’amore sono di un innamorato per il quale più tempo forse non hai. Ma come la bellezza di questo canto, cui affido la mia povera melodia per te, ché pur canta questo cuore innamorato, perdersi non può inascoltata, tanto è sublime, così se è per te, le note sue devono raggiungerti,ché le fa sue il tuo cielo e d’azzurro le colora. Perché parla, canta questo cielo innamorato! E a te certo riesce tradurre le variazioni del suo colore in note armoniose e mi piace pensare che anche la donna mia lo possa, a lei donata tal virtù d’ascolto. Allora pure io così posso carezzarti il cuore e lambire il suo lontano, i languori del mio affidando a queste note! Ma intanto velati ho gli occhi, ché tristezza mi fa questo canto, sapendo la donna mia oggi più lontana. Ma tornerà e tu con lei! Ma intanto vi dico, guardate il cielo!

mercoledì 21 novembre 2012

Un amore sognatore







Come quando sulla spiaggia, ora deserta, vedi bambino aquilone condurre e correre, ché dalla corsa sua prenda vento che lo sostenga, finché corrente d'aria che su salga lo porti sempre più in alto fin alle nuvole sognate, ché a quelle altezze e oltre vorrebbe andasse, e spago gli dà se sente tendersi il filo a volergli sfuggir dalle dita, e pur giù rimane dopo tanto correre, ma il cuore con quello va, così di simile faccio io. E la farfalla che conduco a far vago volo sopra i pensieri miei per te, più e più si innalza a cercarti, mentr'io per te certo novello bambino, sulla spiaggia deserta dell'anima mia corro, ché quella ne prenda vento e non crolli il volo suo ai pensieri bassi, cupi d'angoscia, che il silenzio tuo spinge a venir fuori dalle latebre, che quelli attoscate hanno, più riposte del cuore. Lungo e breve a un tempo l'arenile della mia corsa solitaria, lungo tanto che luogo bastevole a contenerli trovino i tanti miei pensieri per te, ma pur tanti da ripercorrere tutti nella metafora della corsa, in fretta ché la mente non se ne distragga da continue altre sollecitudini presa, ma pur tutti affollati, accalcati, stipati nella pur breve distesa che correre essa può per il tempo breve che le resta di questa vita. E già mi s'avaccia il cuore e ne ho bolso il fiato più che di corsa fisica si tratti, perché ansia mi prende notando di quanto spago, di quanto desiderio ho pur liberato il mio aquilone, pur trattenendolo ancorato al cuore mio, ché non fugga alle stelle senza con sé questo mio portare. Oh quanto poco spago hanno ancora le mani che lo trattengono e quanto alto di volar quello chiede! Come farò? Staccarmi dovrò da questa bassura, salire ai monti dello spirito e poi? E poi tu vedrai vaga farfalla che al lungo filo che le pende reca appeso un cuore. Essa è l'amore che m'ha rapito, l'altro che reca con sé è lo scrigno dei miei pensieri per te, le tante parole che mi traboccano da dentro. Quelle stesse parole che dico e ridico a questa donna, raccontandole le mie storie , favole di bambino per una in fondo pur'essa bambina, che sempre attenta ne è, come se vero prestasse le orecchie sue per il tuo ascolto, e tu per gli occhi suoi vero mi guardassi, il brillio dei tuoi prestandole a far belli i suoi sotto le stelle. Vedi quante illusioni di te ha per lei questo tuo eterno bambino! Oh quanto fortunato son che una disposta sia all'ascolto e imprigioni nel suo cuore le mie parole per te! Come fanno i soli per natura o per destino a sperare che non si perdano le parole della preghiera loro nell'immane spazio, che si è frapposto tra noi e la bontà del dio, ripieno di dubbi, paure, peccati? Ma forse femmina attenta doni ai soli meschini, quelli che dubitano delle capacità recettive tue delle istanze loro, ché le credano da quei cuori amplificate. Oppure quando troppo inspessito spazio separatore s'è frapposto per lor difalta, da vero attenuarne i gemiti. E' allora che occorre che altre orecchie li recepiscano e te li trasmettano ben più puri cuori. E, mi chiedo, che più di quelli di donna innamorata possono? Ecco io mi sono debole così, non mi posso star solo, dubiterei di te, frapponendo nuovo spazio a separarci, spesso, untuoso, gommoso da respingermi, stipato d'angoscia e buio, che mi si farebbe intorno come quando scoprirmi dovetti, bambino, solo nella vita. Ecco, tu sai questa mia debolezza, nulla mi fa spavento di più, nemmeno le vessazioni, e tante ne ho subite, nemmeno il dolore, e tanto amareggiato m'ha fin da bambino, quanto il rimanere senza questo tuo angelo buono. Finirò mai di lodare questa donna? Non posso, ché è di te che dico, lei lodando! Ma io non esagero se dico che, di tue grazie piena, vero angelo era ragazza, ma le ali ha dovuto perdere per potermi ricambiare amore. Un amore vedi che non ci lascia e chiede d'esaltarsi là fra i mille e mille brillii tuoi. Ma se di nuove ali è degna, da te le avrà, e sicuro mi ci condurrà, vera farfalla cui legato ho questo cuore, leggero pur stipato di tanti sogni! Oh quanto bello è questo nostro amore sognatore!

lunedì 19 novembre 2012

Saper il tuo nome







Come quando all'inverno l'onda furiosa, detriti, a lungo sballottati, alla spiaggia getta, e verrà chi la rena ripulirà delle indesiderate presenze, così fa l'onda del tempo con i nomi nostri, mutevoli e lievi perfino al fiatar dell'attimo, e li porta nell'aridità delle cose neglette e presto scordate. Così sarà del mio nome che questa realtà triste presto rifiuterà e se ne vendicherà con l'oblio. Ombra quasi è già del nulla, ma qui mantenuto dal solo amore, tuo e della piccola donna mia, e ne fate per esso solo, nome di luce, impedendogli che diventi già ombra e fioca eco, vibrante nei cieli da lontananze infinite a cercar risposta da te, affinché lo pronunci per dargli vita novella. E del nome tuo nulla so. Chi sei, bella sconosciuta, che invoco da mane a sera? Mi chiedo, e mi rispondo, quella che venuta è nei miei sogni, e fata è voluta rimanervi delle favole che mi dico nell'addormentamento, come la madre mia mi insegnò, ché del buio più non temessi il mistero, le stesse che talvolta dico a quest'amore, reinterpretando la realtà ben misera, colorandola di fantasia, riscaldandola di passione. Oh questo piccolo amore, che approdar mi fa in un mondo docile alle richieste mie e che labile e indistinta fa questa realtà dura e triste, chi me lo toglierà? Mai me ne vorrò risvegliare, mai vorrò che la fiaba sua finisca. Ecco fa specchio questa tranquilla polla della superficie sua, che alito alcuno increspa, è come la donna mia che fa specchio di te, e poiché già l'immagine tua bella agli occhi miei rimanda, fare non potrò nel culto apparente delle mie chimere, come Narciso, che, contemplando il sembiante suo allo specchio di una polla, se ne innamorò, dimenticando sì del mondo la pena, ma così si distrusse, ninfa del bosco invano per lui sospirando. Io non dimentico, mi astraggo talvolta dalla realtà del mio quotidiano e mi ripiego nell'intimità mia. Lì ci sei tu, più che nelle cose, ora tutt'intorno a me in questo bosco, triste un po' d'autunno, e lì questo piccolo amore porto tra le nuvole e oltre. O sì, direi di me, per farmi interessante agli occhi tuoi, io mi son uno che vive d'amore, del tuo e del sogno di questa piccola donna, con lei nella gioia, con lei sola nel dolore. Ecco io la porto dove dislaga all'infinito l'orizzonte, più che sulle montagne del golfo ci trovassimo, un posto speciale che ho nella mente e nel cuore, in cui le anime nostre s'aprono, impennano le ali loro e spaziano, inazzurrando per i cieli tuoi interminati. Ma come ti chiameremo, ché tu venga e ti mostri? Diremo, vieni bella dei sogni nostri, vieni fata, occhi e capelli neri? Basterà? O sapendoti e sperandoti la divina, la madre del dio, diremo il nome convenzionale tuo? Perché a noi, che sublima amore, non dici quello con cui gli angeli ti chiamano? A quel nome tutto ci palpiterà nel ritmo riconsacrato del tuo amore e la nostra povera umanità indiandosi sublimerà alle tue stelle, non è quel tuo nome, quello dell'amore eterno? Non porta esso dove la verità risplende, dove rigoglia il bene, dove l'innocenza sorride? O diccelo, languidiremo nell'ascoltarlo e i cuori nostri, che t'amano, estasieranno a labbreggiarlo! Diremo allora, aspra s'è fatta l'ora, mai possiamo saziarcene di ripeterlo e di gustarlo, avidi in tenerezza d'amore, palpito dopo palpito vibrando per lei sola, la bella del cielo, i nostri cuori! E a quel nome s'inchinerà l'universo tutto, innamorato! O sì, pronunciarlo in umiltà, sentirti presente a lampeggiare amore dentro di noi! Sublimità da angeli!E non lo siamo! Ma in questa speranza pur si cheta il balbettio delle mie labbra, la mia incessante preghiera, ma fa gemiti ancora questo umile cuore, di te innamorato!Li odi tu? Dicono, amore! Ti chiamerò così.

sabato 17 novembre 2012

Occhi d'incanto







Oh quanti occhi di donna stamattina! Ma è gli occhi tuoi che incontrar e saper leggere vorrei, se li mostrassi, mistero presagito del dio! Ma sol occhi di umana, non di donna divina vedo, e nel nero loro leggervi vorrei almeno la speranza di te, invito a guardarvi, invito a non farlo per tema di scorgervi e non trovarti! Ecco, io sono altrove in altra epoca e questa che porto nel cuore ove vada, ha i suoi vent’anni e io di più, che ci diciamo nel chiacchiericcio di innamorati? Non ricordo più nulla, non so più nulla, eppur tanto diciamo! Oh quanto tempo fa! Eppur questa il nostro primo bacio ricorda e le parole che premisi all’audacia e le tante dopo, e le sue anche! Miracolo d’amore! Io ormai, interrogato sui fatti del passato, perfino mi ritrovo a confabulare, e ne provoco delusione, meraviglia, preoccupazione. E delle cose dell’oggi, non faccio quasi subito di simile? E delle donne mo mo incontrate alla passeggiata, che ne so nella mente, che ne è rimasto? Vaghi sorrisi, vaghe parole o cenni di saluto e poi più nulla, se non occhi che guardano e sfuggono, sperati i tuoi. E della nuova amica, m’accade di simile? E miei pensieri sulla vicenda sua amara, storia di tristezza, d’abbandono, sono poi stati espressi chiari? Io davvero più non so, spero solo che delusa non ne sia stata, per avermi aperto il cuore. Una volta sapevo dire, rincuorare, invitare alla speranza, ma adesso di tutto subisco la pena e me ne accoro e, sebbene molto ho dentro, non so più come tirarlo fuori, come quando timido bambino ero, e alla bella della spiaggia nulla dir potevo, e mi si rattrappisce questa ricchezza, come allora, in una latebra del cuore, restando inoperosa. Perché questo m’accade? Sarà l’età che mi rifà come bambino o forse ché tutte di te recano, icone-specchio tue più o meno fedeli, e io per queste è a te che penso da mane a sera e a nessuna so dire le parole che più non oso per te, fidandomi che tu legga in questo cuore, inutili e fuorvianti fattesi le mie parole tutte! E dopo i tanti occhi di oggi, ora nell’addormentamento ancora occhi di donna, neri occhi appassionati, i soli nella memoria di oggi, come più volte i tuoi vero sognati, tutt’uno con le pupille loro, occhi di incanto! Siamo alla battigia, ma è lei, la precedente fidanzatina che vero così li aveva, o la fata di quei momenti era questa piccola donna mia, che di simili ha ma solo al buio? Nel buio erano quegli incontri, e lì piccole stelle parevano nel brillio riflesso delle miriadi del cielo, gli occhi suoi, come molte volte accadde di questa, occhi fatti per il cielo, che or stringere un po’ vorrei e non trovo, attardata alla incombenze sue. Io più non so, ché tante volte ve le ho portate, sebbene in epoche diverse, speranzoso d’effusioni. Ecco, io vero non so più distinguerle, ma quante allora le carezze e forse altre cose d’amore, che più ben non so! E ancora non sapevo quanto le donne tutte ti significano e così è di te proprio che tra le braccia avevo un po’! E pur tanto diafano s’è fatto quel corpo trepido di giovane donna da non più vederlo, eppure ne sento ancora calore e palpiti! Ma se ha ora la consistenza del sogno quella della tenerezza d’allora, tu proprio puoi essere stata e ora mi fingo così e ne sorrido. Oh quanto proprio instupidito m’ha questo nostro tenero amore! Ma perché niente so più e mi sfuggono le parole che ora mi fingo tu dicesti, piccolo amore? Ma quelle dei veri sogni sognati, forse antelucani e divinatori, quando pur visitato hai la mente mia, quasi tutte le so e lì i veri occhi tuoi, neri e belli e di simile i lunghi capelli. Ma il corpo tuo ora è pur’esso diafano alla memoria e non ne risento che l’abbraccio tenero,e come scordarlo! Ma sol ben ricordo che piccola vi eri, di foggia moderna gli abiti tuoi e l’acconciatura, e di suono soave le parole tue, lente pronunciate ché nella memoria mi rimanessero! E quasi tutte conservate le ho. Perché? Forse è che questa donna ne sa dir di simili e le tue risento, anche perché le pronuncia dolce e lento e così me le richiama d’assonanza. Chissà!Sì, finché amore non langue s’attarda la vita, e io gli occhi tuoi continuerò a sognare, innamorato, occhi che anche questa donna ha nel buio, occhi che continuerò a credere di poter incontrare alle passeggiate, e vero incontrati stamattina, ché occhi pure sono della novella amica mia. Eppure la sorella nera dovrà sorprenderci e se lo farà quando abbracciati in lena d’amore, spero entrambi ci prenda. Sono parole di vecchio, ma sono pur di sogno, sono pur d’amore! E tu sei quest’amore, altro non conosco!

giovedì 15 novembre 2012

Oggi nel bosco







Tace oggi il bosco in molte presenze sue, ma al vento da orto pur stormiscono le frasche antiche e ondeggiando i grandi alberi, scrollano le cime loro, disperdendo le ultime caduche foglie. Ma sui rami spogli nuove sembrano mo mo nate, ché frotte di ultimi gruccioni, vocianti a questi raduni, prima del loro tardivo volo verso il sud più caldo, qui tentati ancor sono di indugio, attardati nel chiacchiericcio come in oasi pellegrini. Ma ad occaso di questo promontorio, v’è bonaccia e qui rare bianche farfalle potresti ancora vedere su essenze di erica e rosmarino andar con vago volo or su questa, poi su quella delle infiorescenze loro. E non sarebbe che cuor gentile solleticato non possa esserne ché altre lusinghe maliose alla sensibilità sua ne vengono da fargli incanto. Ecco, la piccola blatta vedresti alle opere sue intenta, e là limaccia attardarsi sui funghi e più in là vistoso colorati bombi, ancora far burberi brontolii alle stesse essenze occupati. E ancora tarde formiche qui o lì ancora semi cercare, disperse dalla recente pioggia le lunghe loro teorie. Sì, mai troppi i semi stipati, ché pur verrà inverno! E tutto a me fa tenerezza, anzi amore, come brama di palpitare armonioso mi prenda con le cose tutte di qui sol apparente sopite in questo strano tiepido tardo autunno. E sol ora ben so come chi senta carità e la fa, cammini in umiltà tra creature tutte sorelle e peregrine tutte, ché dura è loro questa terra. Sì, è solo d’amore assetata l’universa vita ed esso invilisce se non diventa energia, insterilisce se non volto al bene delle creature tutte, tutte coinvolte e tutte da te amate, volute da te alla vita. E solo l’amore è potenza restauratrice o conservatrice, mentre il formalismo morale dei novelli sofi tu via spazzerai se non brucia amore nei cuori con rinata fiamma. Sì, “ fides sine operibus mortua”. Amore comandi per l’uomo e per le creature tutte, che cose non sono, non sono senz’anima, perché sanno chi o che amare. Prima, ripeti ai cuori duri, i piccoli e i deboli, i miseri tutti e i minacciati dalla cupidigia. Le creature lo sono, l’uomo lo è nella precarietà sua, e i piccoli suoi di più! Occorre far sangue, vita della tua volontà d’amore, ché di sangue vive la vita e senza amore non v’è vita! E che di me, madre, che fin qui attardato mi son d’egoismo? Fa il pensiero mio realtà e non lasciarmi più a lungo sofo acchiappanuvole! Scioglimi in umana simpatia verso tutti e tutto, ché la tua sola verità m’urge, quella che mi sveli nell’amore. E questo mio piccolo amore è tutta la comprensione che ho di te. Oh quanto ho voluto piccola donna da amare e se vero è che data me l’hai, lasciamela ancora, ché quasi di turgida giovinezza novella ancora più e più l’ami. Finché vita mi lasci e oltre, “amor vita vitae ”.

mercoledì 14 novembre 2012

Un frettoloso rientro







Tranquillo è oggi il mare dabbasso sotto chiaro cielo e pigre onde s’adagiano alla battigia e così delusi pensieri fanno alla mente mia, stanchi. Ma come quelle fan di sé dolce carezza alla rena, così forse di simile le parole mie dolce suonano al cuore tuo. Ma quanto farebbe a me parola tua! E io neppure fiatarne vorrei l’attesa, improbabile la risposta, ché le pazienti parole pur languono senza palese riscontro d’ascolto. Son ora quasi senza più motto ai tuoi piedi e certo ancora m’illudo se, trepide, le pupille mie si levano a cercar le tue, ma si sperde lo sguardo in tanta immensità di cristallino cielo e m’abbaglia l’intensa luce. Non mi resta che questo cuore e l’abbandono a cercar i palpiti del tuo, cui rispondere all’unisono. Ma di te nulla! E sento farsi miseria tutti i sogni miei e la mente languirmi accasciata, ché né le tante verità pur apprese ricorda, né certezze più ha. O quanto pur buio mi serra questo cuore e vi fanno angoscia gli sparuti ricordi del passato con le difalte sue e arido avverto questo presente e scuro l’avvenire! Tanto può la solitudine! Ecco se mai ancora richiami tuoi appassionati a questo cuore saranno, l’anima mia rigenererà per te, ma se ucciso il silenzio tuo me l’ha, ti prego lasciami morirne, più non guardarmi! Ho in questo cuore stipato tanto amore e assetata ne è la donna mia, ma senza il tuo che le dirò, che la farà sognare ancora? Oh quanto son solo e disperato! M’avessero distratto da te e da lei languidi occhi di donna, sorriso di saluto, dolci vaghezze d’amica incontrata, ella percorrendo gli stessi sentieri per la meta sua, saprei che m’ha incantato e la mia preghiera ora riprenderei accorata, ma fiacchi e cupi questi pensieri tutti vogliono farsi e rattrappita tutta ne ho l’anima, in una latebra nascosta. Devo tornare alla mia donna, mai quello che dico è per lei superfluo, senza importanza e se la chiamassi con un pretesto, miracolo della modernità,dolce suono ne verrebbe così dalle parole sue, ché tenera e attenta si farebbe alle mie. Devo tornare! E le onde dabbasso pigre s’adagiano e io a questa risoluzione meno triste sono, ché sciocchezza le dirò a giustificare al brevità della passeggiata d’oggi, non ho trovato amici e m’è presa noia, ecco così. E intanto ancora guardo dabbasso e tristi onde s’adagiano, significano qui l’assenza tua, ma tu a breve parlerai le sue parole e sorriderai il suo sorriso!

lunedì 12 novembre 2012

Dir favole







Sai, io mi son uno che favole dice alla donna sua e tu sempre la fata ne sei. Perché lo faccio, vero so? Voglio forse che con me evada nel sogno, ché duro è il presente nostro e meglio per noi sia ripiegare nel passato, che pur mo fa nostalgia e tanta ai nostri cuori? Sì, dev’essere così! O forse perché penso che il nostro avvenire, qui in misero pellegrinaggio, sarà tanto ancora, e che per renderlo docile al sentimento nostro, pur occorra addolcirlo col linguaggio mellifluo della fiaba? Ma non verrebbe comunque il momento del risveglio che le fiabe tutte dissolve? Allora mi chiedo, è forse invece che lo faccia ché così si può essere dimentichi di ogni preoccupazione terrena, pensando che tu, madre delicata e sollecita, provvedi comunque ai piccoli tuoi? Ma,ancora mi interrogo, la realtà che viviamo è poi così brutta e triste, che annullarla, distruggerla vorrei perché mi fa risentimento, ed esimerne un po’ questa donna, e non trovo di meglio che a schermarla, sia trasportar lei nell’irreale? Sì, da volerla reinterpretare, e sol per lei, in chiave fantastica! Ma io credo e lotto perché continui la mia bella favola con lei, forse pensando che il mondo nostro non è da subire passivamente, ma va modificato, pure precorrendone la trasformazione, in bello e buono possibili, col sogno. Io non nego affatto a vita di qui le crudezze sue e che feroce è quest’aiuola e non fuggo nella mia intimità in cui solo lei invito, gli altri lasciando fuori. Non m’affretto forse, deserto dovendo traversare con tanti compagni, all’oasi confortatrice pregustandone la frescura, pensando che se tu nel sogno con noi cammini, ci elargirai pietosa l’aiuto tuo materno in tanta aridità disseccatrice? Io non coltivo simili chimere, che la realtà subito sopraffa con la crudezza sua, sono ancora più ingenuo e faccio più ancora e forse per questo pietosa vero largisci al fine l’aiuto tuo di madre. Ma almeno non ho un culto egoistico del mio star solo con lei in uno stoltissimo sistema di vita, sogno di coinvolgerti e così tutti quelli che amo e altri pure. Nulla distruggo, creo sì castelli sospesi ancora in aria, ma, ecco l’ingenuità vera, modifico, preparo l’ambiente che li ospiti edificati nella concretezza, ché dimora diventino già qui per chi amo, e sono tanti, e non solo! E mi prefiguro nella mente ciò che edificare vorrei e ne partecipo quest’anima e tutto dipingo con colori accesi, ma so che è lei che li accende, esaltandomi la fantasia. Ecco proprio così, mi esalta quest’amore, ma non lo chiudo in uno scrigno, solo in una favola anticipatrice di cento concretezze, forse che non saranno mai, qui almeno. E tu? Tu ripassi tra noi, ecco il vero sogno, umile pellegrina del dio, bussi a questi cuori, aspetti, implori di star nel sogno nostro che, svelato, sorridere vero ti fa per la tanta ingenuità. E fata ne vuoi essere di questi sognatori, che garantisca l’approdo già qui o nel tuo mondo alla mia mongolfiera che nell’aria mo mo ancora si libra. Oh quanto v’ho messo! Ma pur alleggerirla dovrò ché voli alto! Ricordi vi sono, rimpianti pure, nostalgie tante del nostro mondo di due, e vi fanno forse zavorra, ma gonfiata è appunto dell’aria dei sogni, aria riscaldata dalla passione nostra, dall’amore, vero fiore della nostra vita! E forse già va oltre le vette di questi nostri monti alle tue stelle, ché sale, sale, non disdegna forse ogni approdo nelle bassure? Ecco, così la mia mente si prefigura la fuga in due alle tue stelle, la colora, la fa palpabile e questa favola bella appesantisce gli occhi miei quando dolce brusio già fa questa compagna che, stanca,forse fin dalle premesse addormentata s’è, dolce per lei il suon della mia voce! E dirai, vissero così, già qui felici e contenti questi due amanti sognatori e che vendetta credette di farne la realtà di qui se non insieme portarmeli proprio alle mie stelle?

domenica 11 novembre 2012

L'amore casto







Se letizia n’hai al cuore dalle parole mie, non so, ma lo spero dalla risposta d’amore che ne ha questa piccola donna, specchi i suoi degli occhi tuoi. E vivo io della stessa gioia che do, l’anima avvertendo sgrovigliarsi dalla miseria che al mio cuore fa, e il buio, questo mio tempo ultimo. Sicché più ne do più esso dentro mi rigoglia e ne trabocca questo povero mio cuore. Esuli amanti qui siamo e aspettiamo lo schiudersi della nuova vita. Ma niente spunta dalla nera terra se non in travaglio di pianto e lacrime amare, e come dopo la feconda pioggia alla sua luce sole richiama e ne viene fuori al tempo suo l’odoroso giglio a far profumata la via, simile fragranza spanderà questo nostro fiore d’amore là tra le stelle. E tu sei la pioggia nostra e tu il nostro sole, ché non appena cenno fai, e la risposta tua non può essere che d’amore, più e più ne palpitano questi cuori, ché essi reciprocamente s’esaltano di novello ardore. Che sono le altre gioie di qui se non effimere e figlie del nulla? Le lasceremo alla terra, ché solo la gioia d’amore passar potrà con le anime nostre, altrimenti nude, la cruna d’ingresso alle tenerezze del tuo lucciolaio di stelle. E di simile accadrà alle cose tutte umanamente le più care e sacre, resteranno al di qua, lì inutili orpelli!Sì, la vita nuova donata, si schiuderà come giglio, ingioiellandosi di bellezza eterna. Non vedi qui questi esuli pellegrini d’amore, sbiancati dalla nostalgia del cielo dove certo la mia piccola stella è nata e compagna sua avrà, tu volendolo, fata di questa storia? E’ l’alba appena, dura e agitata ne è stata la notte, e già pregusterei la serenità che mi dà passeggiare tra le tenui fragranze del bosco e i dolci conversari con novelli amici o antichi, ma non vi andrò, ché il cuore mi fa tumulto dentro. Ho pregato, madre, che da questa mia pena mi liberassi, ma scorno poi ho avuto a chiederti così tanto, non ha risposto al santo suo, il figlio tuo, ti basti la mia presenza, e io non ho la tua? Ecco ho tra le braccia questa donna, che non lesina stamattina i baci suoi e tu stai nei suoi occhi belli e tu sei i suoi occhi e io ne ho conforto, e le rispondo facendole carezza e questa brivido le da. Mi chiede ora perché così le risponda nella tenerezza e io, sorridendole, che lo faccio ché delle effusioni sue non si stanchi, ché, pur casto, l’afflato appaga il cuore, assetato! Così quest’amore, oggi di necessità casto, fa preludio a quello che sarà ove tace il tempo. Sì, qui forzoso, lì comandato. Né l’eros di qui ci farà rimpianto, ché è da te la pienezza d’amore, qui larva, lì farfalla. O farfalla leggiadra che le eterne perle del tuo prato visiti, ché ne ridano d’amore al tocco tuo soave, ti prego rimani, fa vibrare di quell’amore questo cuore stanco e vecchio, altrimenti il delirio suo, più lasciarmi vorrà!

sabato 10 novembre 2012

Preghiera dalla banalità







Talvolta, luce mia, ho momenti come di smarrimento e vi fanno pausa i miei pensieri per te. Sono abbandoni, ore banali in cui m’è più facile rifugiarmi nel si dice, si pensa così dei fatti di questa vita. Cioè sono in difetto di risposte mie, non ho idee personali da sottoporti e mi faccio pigro, protetto, fiancheggiato da quelli che hanno solo, e su tutto, giudizi mutuati, anzi solo opinioni, sì e pure prese a prestito, luoghi comuni cioè, perciò apersonali e senza molta responsabilità. Così mi ritrovo in un mondo di superficialità, anche sciocca e vana e non so uscirne senza tuo aiuto. Ma cos’è che ora affido al si dice? E’ ancora e sempre la presenza qui del male. Perché più questo problema m’assilla, più nel vago mi rifugio, temendone e che mi diventi drammatico e banale a un tempo. Che ne dicono i più, tra quelli che pur dicono aver la fede in te? Ecco, le creature tutte sono create libere, ma solo l’uomo ha il discernimento, capire quando e quanto e come la sua libertà interferisca con quella d’altri e far sì che non vi procuri danno, eccessivo almeno. Viene da questo pensare un’idea del “quare”, perché il male ci sia, o non è comunque limitarsi lo stesso al “quia”, alla constatazione che c’è, alla quale io sembro confinato? Io vorrei meno libertà e più esenzione, per i bambini almeno! Sai, madre, qui ci sono bambini che chiamano oncologici! E lo dico all’attenzione del figlio tuo che anche medico qui è stato. E non v’è niente che ci garantisca, prigionieri siamo della concretezza e banalità del male che violenza ci fa. Ma duro perfino trovo l’invito all’amore, quello del figlio tuo nella chiamata sua, fatta di povertà, rinunzia e dolore. E par egli amare di gelosia ombrosa e non esenta dal male mai, anzi la vita chiede di essere pronti a rischiare e perdere, né ci vuole a metà, e chiede si lasci ogni altro interesse e affetto, completamente impegnati nella causa sua, che poi è portarci tutti a te. Ed egli ha pur pianto le lacrime degli uomini, e sicuro lo fa ancora e con te, ma saperlo quanto addolcisce le nostre? E la nostra pretesa di gioia già un po’ qui, quanto allora è fondata, non resta così avvilita? E saper che la vita s’eternerà, vero aiuta questa? E ancora dicono qui, ecco per tutti occorrerà passare le strettoie della sofferenza, come una cruna d’ago, ma nessuna paura abbiate, tu e il figlio tuo starete ad attenderci appena oltre! Ma vero conforta questa vita, saperlo, aver questa speranza? Ecco ai più fortunati, già qui briciole di quest’amore e a me tante, rimedio alla mia mediocrità perfino, da averne vero coraggio, gioia anche un po’, tutta immeritata! Ma quanto ancora lascerai che alla salute mia provveda questo piccolo cuore di donna? E che sarebbe, senza lei, della mia speranza del tuo cielo, e poi non m’hai tu stessa invitato ad amarla per amarti? Sì, quasi comandato quest’amore! E se tu inesorata, inappagata dalle mie preghiere non sei, né puoi contraddirti, significherà forse che, a garanzia d’amore per te, sarò io a lasciarla per brev’ora, primo chiamato ai tuoi asfodeli campi, là tra le stelle? Oh vero così tu voglia! Ecco questi i pensieri miei forse solo mediocri, quelli che restar mi fanno alla superficialità dell’ignaro, che teme persino l’audacia di capir di più o d’esser troppo oso perfino nella speranza. E se son sciocco e pusillo, così forse mai passerà la banalità mia di quest’ora, banalità di sentirmi nel male! Ma avrà forse vantaggi sentirmi tra quelli così stretti,anchilosati, mitigherà la venuta del dolore? Ecco io non ho requie e l’anima m’oscilla tra il patetico e il tragico. E se bontà ho, s’è pur fatta sospirosa e melliflua e argine non fa alle minacce del male, né per me , né per questo mio piccolo amore, né per chi amo. E sono tanti in questo mio cuore provato! Tentata essa è d’idealismo, di retorica e non vuol farsi più fattiva, più soccorritrice dei meno fortunati e dire che mi pungola e tanto, il desiderio di esserti utile in questo comunque mio tempo breve. Né prudente e risparmiatore di forze mi sento e spendermi per te vorrei senza paura. Ma temo, frastornato così, di restare nella nebulosa intenzionalità, senza atti concreti, senza il mio bene, piccolo che sia, poterti donare. Allora lasciami un po’ esser chi vince, e vincere per te. E se vero è che questo mio solo amore, piccolo, umano mi difende e dà forza, tu non permettere che la paura di perderlo mi lasci nella timidezza inoperosa. Sì, lasciami con esso correre alla tua luce, così il mio fare sarà come venuto da invito del figlio tuo,forse già avuto e non capito, sì del suo interesse fammi ancora degno! Oh sì, egli mi chiederà pur poco e sicuro non di lasciare quest’amore, non mi vuole ormai nella radicalità dell’abbandono d’ogni altro affetto umano e sa che di questo vivo, ma quanto pur duro resta questo invito al suo per il tuo amore! Il dio di tutti pare fatto proprio così!

mercoledì 7 novembre 2012

Preziosità negletta







Mentre io non so vero quanto mi conosca, ma cerco che l'autocritica nell'autoanalisi non mi faccia scadere nell'autocommiserazione, degli altri ancor meno so, a meno che non mi venga detto. Sol tu leggi i cuori tutti e del mio sai prima che formulati siano i pensieri suoi con le parole, ché anche dal mio silenzio traspare a te quello che talvolta m'accora. E' il saper d'un sogno finito, d'un dolore novello, di un'angoscia che passar non vuole, d'uno smarrimento dietro a falsi luccichii, e del male, che mai lasciarci vuole, la pena e l'ostinazione sue. E or di giovane donna ho saputo qualcosa che di triste celato ha. Che m'aveva colpito? La sua bellezza dolce e schiva, velata appunto di tristezza! Certo dell'altro la conoscenza può restare opinione, uno sfiorarne appena la psicologia e in superficie, ma se cuore permette ad altro di appena guardarvi, ci si può accorgere quanto i pensieri, in latebra stipati, siano più belli di quanti ne vengano fuori dal conversare, pur piacevole, sui fatti anonimi dell'oggi che nemmeno storia faranno in nessuno d'essi. Allora in quella confidenza novella ben ne vengono fuori fremiti di ricordi, palpiti di nostalgia per chi s'è amato e talvolta pur ancora s'ama, sì accorati rimpianti! Cosa questa donna ha da far meraviglia? La fiducia che continua ad avere negli altri e tuttora nell'uomo suo, che pur a lei sembra voler rinunciare. A una che ama i monti, vicini al tuo cielo, a una che ama gli animali e le cose belle della natura! Possibile che si lasci andare tanta preziosità e gentilezza? E io farò mai di simile a te, bella del cielo, e alla piccola donna mia, tua icona preziosa? Ignaro son delle cose celesti e di qui anche, ma stupido no. Almeno ne spero esente l'oggi mio e il poi! E proprio oggi un'amica cara m'ha detto di storia d'abbandono ancora, e di sua bella figlia la pena, pur dopo lungo e apparente ben stare in due. E allora che dire a queste giovani di analogo destino, col loro mondo di due che par volersi sciogliere? Ricordate e sperate, ma vivete nell'oggi, in quello di ieri che spira ancora dolce afflato al vostro cuore, in quello del presente che spero sereno vi guardi, in quello di un domani forse anche imminente, che la felicità che il cuor vostro merita e desidera porti, e abbiate pietà dei vostri maschi stupidi! Ma io pur pregherò che la nuova bella amica recuperi all'affetto suo, cuore che ancora amore detta al suo, e se no che maschio migliore, amabile, com'è certo, la trovi! E per la giovanissima della nuova storia di stupidità maschile, dirò nella stessa preghiera, basta soffrire, si guardi ella dentro, si guardi intorno, è forse ancora un presente piatto e vuoto, ma ecco è già domani con le novità sue, tutte belle! Sì, che entrambe amino il passato col bello che ha loro dato, ma guardino al presente e ne sorridano, e al domani che nell'oggi matura, portatore di sicura miglior fortuna e certo di felicità. Son forse troppo oso a chieder possibile tanto, signora del cielo? Ma in preghiera si può, e talora l'insistenza ingenua come di bambino, ceder ti fa!





lunedì 5 novembre 2012

Il mio ubi consistam







Io non posso davvero dir di te, ecco interim la vedo, interim solo la sogno. E quest'asinello va, trotta verso l'ignoto, un ciuffo di fieno irraggiungibile ha davanti a sé, ma sa che breve è il tempo suo e allora vorrebbe cogliere il giorno, vivere di quel che il presente gli da e contentarsi dei piccoli sorrisi dell'amor tuo, che pur sono, o forse esso solo se ne illude. Perché sempre l'oltre e non fermarsi, non amare le cose e le persone dell'oggi, perché travalicare nell'immaginativo le certezze e i valori pur presenti? Ecco è autunno ormai, sempre più numerose le nuvole che da occaso corrono ai monti nostri e or da basso veder puoi la fatica immane delle onde che si stemperano alla battigia, l'ardore loro è, e poi a breve non più, e qualcuna va più oltre delle altre con corsa più lunga e più spiaggia della spuma sua bagna e poi lo stesso muore, ché la rena sua la consuma. Non c'è un perché etico che vadano così precipitose, corrono in affanno la loro breve vita e non ne sanno il perché, e così di simile paiono accavallarsi quelle del cielo, effimere presenze nella altrettanto affannosa corsa ai monti e per lì più che altrove dissolversi, il lor carico versandovi. Oh quanto pur inutili son questi miei pensieri per te, bella sconosciuta! Oltre ne resti. E pur muoiono su questa tua icona, la lambiscono e nemmeno questo suo mistero colgono, eppure ancora si illudono di cogliere il tuo! E' amarti questo? Oh vero lo fosse, t'avrei già amata come nessuna vantarsi può!Eppure questa piccola mia domina mi rassicura, tu, dice, hai me! Oh sì, ripetimelo una, cento volte al giorno! Dimmelo con le tue parole, dimmelo con le tue dolci movenze, dimmelo con gli occhi tuoi, dimmelo anche coi tuoi silenzi! E' piccola, la trovo bella fuori e dentro, eppure continua a parermi com'è la spiaggia per le onde e le vette del golfo per le nuvole o il ciuffo di fieno davanti a quest'eterno asinello. Io non la so, io non la raggiungo e si frangono i pensieri miei e falsa sublimità mi par la pretesa di non fermarmi al reale apparente e correre verso l'immaginario del più profondo, ché neppure la fantasia coglierne può il segreto che ella racchiude, e svela di sé quel che vuole. Poco, molto, non so, rimane il mio sogno animoso come polla, sorgente anzi, saliente del tuo mistero. E allora questo tuo svela un po'? Ed ella ora che la vedrò, pietosa dell'angoscia mia, forse parrà dirmi, fermati sono io l'ubi consistam tuo, godi ad ora ad ora il fiottar lieve della vita, lasciati andare al giocondo sorriso delle cose tutte nelle loro prospettive sempre novelle e fascinose, non ascolti i maliosi palpiti di un cuore che sta per te solo? Perché quest'ansia tutta tua di trasformarti, di elevarti, di purificarti? Se uomo sei degno del mio piccolo cuore, lo sei per la madre in cui speri, lascia che, le mani nelle mie mani, sereni pellegriniamo al suo cielo. Non si avverte insieme più lieve ogni fatica, e l'ansia non si stempera, e ogni amarezza non si fa più dolce? Ecco ascolta, palpita con noi l'universo all'amore suo, questo che mo mo per noi ella crea, ed esso par inneggi armonioso alla gioia di essere, ed essere proprio per noi, com'ella certo vuole. Allora vivi senza troppo tormento, non lasciarti vincere dall'assillo di soverchie cure, esasperazioni, paure, vivi in sereno gaudio quest'attesa. Vivi di me e per me! Verrà la madre, il dio anche per te, contentati ora di questo solo piccolo ma vero amore, è un po' del suo!


E io vorrò crederle e già, pur ancora da lei lontano, sento la vita che urge e rigoglia già nell'ascesa.


Oh sì verrò e con lei alle tue stelle!

sabato 3 novembre 2012

I tuoi sorrisi


Nella vita di ognuno, qui, tra molti altri, c'è senz'altro un periodo, lungo quel che basta al suo superamento, in cui è preminente l'amore per l'io, per il proprio sé. La realtà è illusoriamente riferita al “solus ipse”, all'individuo, e gli altri, ogni altro, tu stessa,madre cara, recitano solo una parte, attori in questa visione onirica del tutto. Tutti vi hanno un peso, nel ruolo loro designato dal sognatore, ma solo quello che l'individuo desidera, né più né meno, perché in fondo solo ne resti accresciuto quel mondo personale, creduto, illusione, di per sé già ricco e godibile e niente, né alcuno lo diminuisca. Non v'è donna che possa amare uno così preso dal proprio mondo di uno! Per essere amati occorre essere capaci di amare oltre il sé, addirittura di esser felici nella misura in cui si è capaci di realizzare la felicità dell'altro e non perché si ha o si è, o molto conosciuto e pensato, e quasi sempre poco realizzato in concreto. E per amare te,madre dolce, dirò quanto altra donna vi possa. Come? Se in qualche misura il bene che sei e il bello che t'è proprio, l'amor suo tenace al suo innamorato, al fine svela. Una ragione in più di superamento della fase acerba, se si desidera un tu della cui presenza e prossimità arricchire la propria umanità, altrimenti ristretta, anchilosata, ripiegata, in angusto orizzonte, quello ignaro del vero amore, che tu sola sei. Chi conosca appena cosa s'agiti in cuore d'uomo sa che questa fase narcisistica d'amore improprio, esclusivo ed eccessivo di sé, è inconciliabile con la speranza, che in te riposa. Quella di affrancamento dai tanti lacciuoli che trattengono l'anima tanto gravata qui, così che essa mai possa maturare in spirito e vero raggiungerti. E' tutto il male questo? No, molto v'è più ancora dell'egoismo. Ma è pur vero che non v'è contraddizione più palese che continuare a pensare la vita in termini solo personali e volertela affidare! Agire così è restringersi, sì, è porsi limiti fittizi, è rimanere al di qua, nelle cose, attaccati alle cose, non mirare al tuo cielo, privarsi d'ali per raggiungerlo. E quest'avere attenzione morbosa al proprio sé, è anche tendenza a diffidare, a difendersi da tutti e tutto, e al volerli considerare e ridurli sempre a mezzo, per una maggiore affermazione del proprio io, nessuno altro potendo amare. E il permanervi, il non scrollarsi di dosso l'egoismo, ha certo motivazioni profonde. Perché se è quasi un periodo obbligato di crescita, il perdurarvi è immaturità, nevrosi, morbosità che deforma la realtà col credere possibile che all'idolo del proprio sé, tutto possa essere asservito, sacrificato e il tuo amore anche. Ma illusione, ché questo, se anche appena intravisto, subito così si perde, e non v'è maggior iattanza! E molti dicono sia piuttosto un traguardo morale il dissolvere il proprio sé in una comunità che faccia del disinteresse personale e dell'amore per l'altro la sua peculiarità. Ma quale delusione! Perché è proprio in mezzo a gente con questi ideali che sorgono le difficoltà maggiori. C'è molta ipocrisia in questi che si dicono tuoi, ché assai pochi accettano le difficoltà del singolo, che pur chiamano fratello, e le prendono su sé per alleviarne la soma. Tutto spesso si esaurisce in assemblee tra di fatto estranei, tenute in luogo convenuto per un rito di preghiere corali. Efficaci? E' questa la fede nel suo acme? Spesso non scade perfino nel motteggio il presunto interesse per l'altro in disgrazia, da parte di chi, rimasto in fondo quel che sempre è stato, è pronto perfino al sogghigno alle difficoltà di chi ne ha invidiato da sempre la nascita o la fortuna? Ma senza questi inciampi estremi di vita spirituale, bagattelle di persona cattiva in cui sempre imbattersi si può, qual sia la comunità cui s'accede, pur sempre in quella uno ignora molto di quello che gli prega accanto. Né ne immagina le angustie in questi tempi difficili o l'inedia perfino, né le angosce momentanee o quelle retaggio di sempre di cose infelici passate, ma mai trascorse del tutto. Ciascuno perciò sembra stare per sé, ritornato all'atteggiamento riprovevole che si pensava superato, e proprio di fronte a te, eccessivo prudente, quasi tornato diffidente di ogni altro, che ben non si conosca. E' un microcosmo che riproduce lo star qui in solitudine. Allora non è diverso lo starne fuori in condizione forse di indigenza maggiore, di disagio anche morale privi della fittizia sicurezza di star in un gregge, di malattia perfino in rischio d'abbandono, purché questo stare in disparte, venga addolcito dalla speranza di te, e come lo può essere se non coagulata in un piccolo amore di donna? E questa ha sì amore di sé, ma non quello morboso, ché a se stessa non s'è fermata, ma ha cercato un tu di cui occuparsi. E se ella è uno degli angeli tuoi prestati a questo mondo, di simile è pronta a far per gli altri. Ma uno solo ha scelto per la completezza d'amore. E' un segno della tua benevolenza averla così? Dai di simile a tutti i devoti tuoi? Forse tutti ricevono un'opportunità simile, ma ne passa il καιρος, il momento giusto, non la si riconosce e quella va via e si gravita verso altre, ma quelle nulla danno, ché forse nulla in sé di grande posseggono, inutili a sé e all'altro. Stare allora in un vero mondo di due, è più che desiderio ancora tutto da appagare, anzi non è più tensione per una mancanza o carenza di ciò che s'agogna, tender braccia verso un bene che non si possiede ancora, ma è già un avere, anzi è una via breve e rapida, è salire su un ascensore divino, direbbe la piccola Teresa, al tuo mondo. Sì, è già avere di te un po'! E poi non passano amando le ombre tutte, e la strana follia del ritorno dell'egoismo, cui sempre tentati si è, non tramonta vero amando? E se bello è il corpo di questa mia donna e lo ritrovo immerso in questa aulente natura, perché l'ammiri, non muove forse alla bellezza tua? Ma questa è bella più ancora dentro, e io seppure ti vedessi, come saprei, senza lei, quanto più bella sei in te stessa? Non occorre allora saper di donna di qui per te, donna celeste, tutta amare? E per amarti non occorre saper che è l'amore? E poi, qualcuno mi smentisca se più ne sa, che sono le donne se non tuoi sorrisi? E poi maschio che è, se non messaggio di una madre per un'altra donna, e d'amore, ma volto a te sola, bella sconosciuta?

venerdì 2 novembre 2012

L'amore novello







Che è amore, madre? E il tuo è diverso da questo tenero di donna? Ecco le mie domande se tu usa fossi a risposte chiare. E io vero so l’amore di donna, e il tuo distinguere so da quello di questa? Se fossi l’uomo antico e questo, che ho appena avuto tra le braccia, le ali avesse, certo bruciate le vedrei alla fiamma dell’egoismo mio. Ma la falena attratta dal lume di questo cuore, non pregherei forse si fermasse prima del vetro bollente della boccia che ne racchiude luce e ardore, difesa dal vento e dalle tenebre, che talora non accada che la brucino, più che il calore, le fantasime tante della mente dei miei pensieri vecchi, lì stipati? Ma ora che sbiaditi i dolorosi ricordi, c’è stato l’uomo nuovo, e ora questo solo vecchio s’è fatto, uno che mendica da questa sua donna un po' di sicuro affetto, che ne vorrebbe di più, se ella del suo, tutto gli ha già donato? Forse solo che l’amor suo da te attinga e che riaccenda l’ardore in questo lume che solo sfarfalla ormai e fioca luce, e fa come di quelli che poco alimento estinguer vuole. Così che la fiamma antica, rinnovata dell’olio suo, irraggi pur essa di te in questo buio! E dico a questa donna, palpiti il mio amore nel tuo cuore giovane e immune restato, e sarà nostro ancora, vero umano e divino un po’, come la madre, commossa da tanto rinnovato ardore, lo sublima del suo! Amore che vuole sì il bene mio, ma che il suo sia e soprattutto, e da lei nato e a lei tornato, ella più di me lo estenda a tutti e così si completi nella carità tua. Ma come lo potrà davvero? Ha invidia quest’amore? No, l’aborre e così ogni rancore, ché ombra d’odio non ha e detesta ogni malignità. Ella da sempre così lo vuole e ora questo cielo, tornato sereno, specchiarsi può in me, ché ella addolcisce le asperità mie e tersa ne fa l’anima, ché sensibile e recettiva la vuole e levigata tutta e bella così, come ella è agli occhi miei. Ed essa per lei s’è fatta specchio, prende da voi due e rimanda la luce. Così la tua luce non si ferma al suo cuore, va oltre. Perché esso vorrebbe parlare sì le tante parole nostre, ma anche e più le tue, se ben le sapesse, quelle che di conforto siano alle anime che il male stanca e richiamarle alla vita dal torpore di troppe ombre. E tanto più oggi che nuova tempesta la terra della libertà ha devastato, immane! Come lo potrebbe, mi dico, se non con l’esempio del nostro piccolo umano bene sublimato dalla presenza tua, invitandole all’amore simile? Sì,ciascuno ritrovi se stesso nell’altro e così la forza di ricominciare nella devastata terra d'America! Sono in questi piccoli amori tenaci, cuori che anche fanno la tua speranza di efficacia, di passione che sa mutare, rincuorare, riaccendere come fa primavera al tempo suo, che le cose richiama alla vita ora tutte sopite d’autunno o morte come ha fatto là deserto inverno precoce. Tu hai voluto quest’amore per noi uomini, l’hai protetto negli immancabili momenti bui e ne hai gonfiato questi due nostri cuori e fecondi ne sono, ché più del sole hai fatto in loro, che messi nuove spinge alla sua luce e tepore nei campi, che la tua pioggia tenue e salvifica e l’umana fatica irrigui abbiano reso. E tutt’altra pioggia recente ha strapazzati e poi inteneriti questi nostri cuori! Ma passata è anche per noi la tempesta e ride oggi questa donna mia, la pupilla sua è serena e rispecchia la mitezza del cuore suo. Ma della dabbenaggine mia ha pianto! Ma ora ha daccapo la mansuetudine dell’arresa alle insistenze di questo cuore sincero, ha compreso, ha perdonato e riama fiduciosa! E la dolcezza sua fa gentile tutt’intorno a noi aiuola di mondo feroce, ché di simile accada ad amori smarriti e da te ritrovati e vivificati, passata anche loro tempesta, metafora certo di passate incomprensioni! Vuole ella vi abitino novelle erbe e fiori che dischiudano alle albe tue e di loro fragranza inondino frettolosi viandanti da effimeri ben altri luccichii attratti, ignari del lembo di cielo creato qui dal nostro piccolo mondo di due, un mondo di bene, di bello, di buono, ora rinnovati. Li induca a soffermarsi a guardare ai particolari di che, tenerezza d’amore ha arricchito terra, altrimenti nera e spoglia. Ecco questo potrà ogni piccola donna innamorata di simile a questo, senza la sua, fragile uomo e inutile, e tu la sostieni, e fai che questa mia non ascolti il facile motteggio di gente vana e invidiosa, che violenza vuol fare al suo cuore!Oh tu non voglia! Sì, forse tu nemmeno interromperai quest’amore nostro rinato, seppure per breve ora ancora, ma questa degli asfodeli prati del cielo perla vorrai e che la farfalla sua lì continui le attenzioni a tenero suo piccolo fiore di campo! Ecco, ora quest’amore mio si fa preghiera e s’esprime con le immagini sue care di cui questo cuore s’è ripieno nella stagione bella, tutta trascorsa. Ma oggi che le sono un po' lontano, vedo nel ricordo questa piccola donna come alone abbia, proprio come sia piccola luce in nebbiosa notte. Ché tale ho il cuore lei mancandomi! Come se davvero le traspaia la presenza tua, che io percepisca da occhi solo umani, deboli miopi, appena e indistinta come in magica atmosfera immerso, che mi renda possibili giochi di illusione e fantasia. E mi torna assai vivida un’immagine che altre volte ha abitato questo cuore. Io or mi sento davvero farfalla su tenero fiore e tu, bella signora, accanto distesa, aliti e questa coppia così unita ondeggia, cullata al soffio tuo e ne sorridi. Mistico è già quest’amore, spiriti liberi siamo, già tuoi uccelli, accolti nel tuo mistero? Ma davvero non so, tanto mi fa l'anima tutta assorta in questa sua immagine, che andarsene non vuole, ritorna e nuovi particolari mostra, tu continui a cullarci e le mie parole, preghiera pur tanto accorata, si fanno brusio e gli occhi belli chiudi e t’assopisci. Sogni tu, e io pur dormo e di te sogno? Tu non puoi che sognare amore!E se un po’ m’hai nel cuore, fa davvero novello questo povero nostro amore umano, chiamalo alle stelle!