mercoledì 28 novembre 2012

Viltà







C’è in taluni di noi una negatività, un sostrato che induce a nuocere a sé e agli altri, per lo più misconosciuto, riconosciuto nella pericolosità sua nel raro superamento, ma che nel quotidiano è tendenza, soggezione, attrazione per un comportamento vile, che predilige il debole, non il vero forte o virile, e che su altro più debole farà sfogo. Sì, è debole costui, lo spinge qualcosa che ha dentro, lo destina al male, ché quel che fa, inquina, prevarica, distrugge. E perché anche vile? Vile è colui che non si attribuisce la colpa degli errori, delle difalte, dei misfatti suoi. Mi accade, se ne giustifica, perché è retaggio che ho d’infanzia infelice in cui ho subito violenza, mi accade perché ne è responsabile l’ambiente vissuto, la mancanza di lavoro, le ristrettezze in cui vivo e faccio vivere i miei, che mi fanno angoscia, o perché mi divora questa società ingiusta che mi vede succubo inerme, o non è colpa mia, ma della natura che ha voluto così fossi, o perché l’eredità, non voluta, porto di antenati a me simili. E così altre responsabilità addotte, ma tutte esterne al sé, mai assumendone una in proprio, sebbene in forma dubitativa che l’attenui, dicendo, forse è anche mia la colpa, ma... In fondo, dice, io non sono libero nelle azioni mie, perciò non ne sono responsabile, libero ne risponderei a me stesso e agli altri, ma così non posso, ché qualcosa c’è in me o m’agisce da fuori e ingloba e divora la persona mia in fondo buona, e mi spinge al riprovevole. Ma è questa viltà di fondo che lo segue a ogni passo che sta ad ogni ora in tutti i giudizi suoi, in tutti i comportamenti, che forse è la prima e unica radice del male che gli vien fuori. E vero gli attosca la vita, e lo vedi tradire l’amico, non tener patto alla parola data, chinar la testa e la schiena al più forte, far rivalsa delle frustrazioni sue sul più debole che gli capiti. Eccolo avvicinarsi lubrico alla donna sua e se le fa carezza questa è equivoca, ogni sussurro non è languido d’amore, ma borbottio che rimprovero palese e aspro, immotivato, eccessivo sempre, può diventare improvviso, e ogni lusinga non celebra bellezza d’amata, non è dolce approccio di concretezze d’amore, ma presto scade in latrati osceni o violenta lussuria. E poi ecco d’improvviso, sobrio o no che sia, il più ancora, la rabbia, un nonnulla il pretesto, e quella ne diventa vittima, e cade, se ne scampa, in un abisso fosco. Non sa uscirne, è soggiogata, vinta dal male, la nostalgia accorata della dignità perduta di donna e della libertà, che pur aveva, la consuma in una malinconia che mai la lascia, anzi più e più fiacca la fa. Non è più sicura di nulla, non potrà mai sentirsi un attimo tranquilla, riposare, ché teme torni, e tornerà, la violenza del vile, che le ha fiaccato ogni resistenza, ne subirà ancora l’assalto e al nuovo accanimento sentirà ancor più l’anima sua sgretolarsi, vacillare sempre più la speranza, già tanto rosa dal dolore nella carne e nell’anima, di affrancamento, riscatto da quel male che le sta accanto, sì ella gli vive, gli dorme accanto. Oh potesse gettar via quel residuo d’amore per l’indegno che pur sente, sradicarlo dai penetrali più profondi del cuore e fuggir via! Ma quello intuirà i tentativi di disimpegno e farà più infernale la rabbia sua e raddoppierà gli assalti. Chi l’aiuterà se non tu, madre buona? Le cingerai robustamente la rocca dell’anima e le darai la forza per il distacco dall’orrore, dalla pietosa convivenza con un debole vile, non degno al momento d’amore, ma di perdono per l’anima sua laida. La violenza a una donna non è violenza a te, al dio? Chi la fermerà se non tu sola? Ché la raffica della violenza si abbatte e inesorata da sé non cede, ché talora fa di peggio, coinvolge i piccoli in una furia nefanda. E quand’anche risparmiati ne siano, la serenità è persa per loro, vivono in un incubo, litigi, parole oscene e pianto, tanto pianto della pur bella, dolce e sacra madre loro, oltraggiata, abusata, violentata, e ne avranno conseguenze tristi per la vita tutta. O madre, fortifica le donne tue, falle reagire a tanto scempio, irraggiale della benevolenza tua protettrice, frapponiti tra loro e la vile rabbia che le insidia e fa loro dolore morale più, e fisico! Oh, come e quanto ulula questo nemico, affamato va per divorare, vile, il debole, e debole è l’icona tua! Dalle rifugio sicuro e solitario, allontanala dal carnefice suo. Ecco, di notte o di giorno, in vigilia o nella festa, nel dolore o nella gioia, nel riposo o nel lavoro, nello svago o nell’impegno, sempre troverai una che si inginocchia a ringraziarti, com’io faccio per ciò che so dalla benevolenza tua risolto in bene e in bello. Vedi sarà perché più m’accorano certe notizie nel quotidiano, sarà per l’età mia che mi predispone, ma mi sento coinvolto e smarrito e triste, ché so che violenza a te facciamo dalla viltà nostra di maschi frustrati e impotenti, le donne nostre nella miseria nostra trascinando. Finirà mai la viltà, radice di tanto male?

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