venerdì 27 febbraio 2015

E m’addormento…







Se in notte tutta di stelle guardi il cielo, e qui non puoi farlo che dall'alto, come t’accadrebbe se con me t’attardassi ai nostri monti, ché allora le luci soffuse dal basso delle cittadine che s’affacciano a questo golfo non disturberebbero il tuo incanto, ecco, dopo uno sguardo che tutto abbracciar vorrebbe, se tu ti soffermi in una piccola parte, allora meravigliarti dovresti di come, lì gli occhi profondendo, vi appaiano deboli nuovi piccoli splendori, che si aggiungono ai primi ammirati. Questo a me accade se a te penso ché lontana t’ho, quando pensieri, altri ne richiamano belli, a quei primi indugiando. E me li suggerisce rivedere, con gli occhi del cuore, l’armonico inserirsi della fisicità tua tra le cose belle di cui cura hai, piante e fiori del tuo giardino, e risentire, come nel cuore ancora facciano eco, le parole tue che tentano dir a me, eterno stupido, quel che di prezioso l’anima tua svelarmi vorrebbe, ma muta. Ma se per quella del cielo tentassi d’analogo, e ne ho più ancora assetato il cuore, da che aiutato potrei essere? Non parole mi dice, né mai l’ho udita e vista se non nella vaghezza di fortunati sogni lontani, che richiamare più non posso. E il volto suo, pur assai bello in quelli e sfiorato, diafano vuol farsi, come vago s’è fatto il sorriso della madre mia o della piccola, tutta capelli d’oro, dell’infanzia lontana, pure essa ormai forse solo sognata. E le parole loro sono ormai senza fonemi, come quelle della bella che a me, ragazzo, sotto le stelle mi diceva amore. Ecco più nulla so, più nulla ricordo di certo, tutto vuol prendersi il buio del passato e il silenzio suo. E allora gli occhi chiudo quando tu serena accanto mi dormi, ma né sonno viene col sogno atteso di lei, né il cuore i palpiti suoi chetar vuole, e più ansia ne ho. E le parole della preghiera recito stentate…e che accade? Ho come penoso senso che svaniti tutti siano i riferimenti che a star qui mi legano, sì come di distacco o più ancora di morte imminente, e paura mi prende che qui debba lasciarti, anche se tra affetti tuoi certi. È incubo, è più ancora, panico? Sì timore libero, senza vere nuove motivazioni, oltre l’età e la malattia. Ma certo sono che se ella alle sue stelle mi vuole, io impreparato sono. Non che tempo non sia, lunga la vita mia, ma io la sento vuota, senza vero qualcosa di degno per lei. E allora che le dico?


Io non ho che piccola cosa autentica da offrirti, che stretta geloso ho tenuto la vita tutta, l’amore per la mia piccola donna. Ma anche in questo non ho forse dato che poco per ricevere tanto? Sì, ovunque vedo la mia insufficienza, e come vero malato d’egoismo, mi giudico ingeneroso in tutti i fatti passati. Ma temo anche che il male a volte mi sia sfuggito, con fare e dire, omessi o eccessivi. E ora che i nemici, veri o presunti, sono quasi tutti al perdono del figlio tuo, posso forse da solo perdonarmi di non aver nemmeno pregato ché o si ravvedessero, o esentati fossero dall'odio, motivato o no, sempre buio dell’anima? E poi d’aver pensato che altro inferno non v’è, se solo qui i bambini piangono, ma così forse errando. E poi tanto altro! Guariscimi l’anima allora, per te tardi non è mai! Anticipami il perdono! E poi chiamami a te, ché, risanato, possa lì subito amarti! E vi attenderò che all'amore mio s’aggiunga quello certo innocente della donna mia, che tardare non vorrà.





E a te che tranquilla dormi che sussurro? Domani qui a godere del sorriso tuo ancora starò, mi significherà anche il placet della signora divina, ché la preghiera mia ascolto ha avuto, sì, che è tempo di risanamento. Sarà lungo o breve? Sarà per il necessario! Comunque forse mi consentirà di dirti molto, quello che ti ripeterò afono tra le stelle! E m’addormento…

martedì 17 febbraio 2015

Paura del nemico










Quando da me amore verrà vero donato e non atteso come se dovuto mi sia, e quando vero capace sarò di includere nel mio progetto di bene il nemico, ecco allora sarà il mio paradiso. Pareva lontano e mi sarà corso incontro! Parlo di un compito arduo, ma comandato da colui a cui vero è riuscito, per cui m’assista il cielo, deboli le sole mie forze! Ma intanto chi mi può essere nemico? Io non parlo di me stesso, tiepido talvolta nelle iniziative di bene, o di chi m’è di occasionale inciampo nel mio cammino al bene. E lo fa per pochezza d’animo, per faciloneria e noncuranza delle conseguenze di un suo atto o perfino d’una sua parola. Ecco cado, ma rialzare mi posso e guardare oltre o altrove. Ma piuttosto di chi s’ostina che modifichi, restringendole fino anche ad annullarle del tutto, le mie aspettative di luce, di pace, di gioia. Anzi di chi per malefica volontà tanto tenti di nuocermi che io ridotto mi veda a stare appena. E più che dalle sue reali possibilità di realizzarmi il buio intorno e il silenzio che ne verrebbe, dalle quali è umano aspettarsi mi difenda, con la fuga almeno, colpire più ancora mi senta fino all'angoscia dall'ostinazione sua perfida, che toccare mi faccia fin dove nel male l’uomo possa, senza provocata giustificata ragione, o senza mancanza o offesa patita da punire. Sì, fin dove spingersi possa l’uomo nel male gratuito, da pura antipatia o più ancora da cattiveria, dettato! Ma quand'anche vero così patissi, molto il perduto, il dovuto perdere, ecco possibile sarebbe il superamento dell’amarezza del vissuto, includendo ancora nello sperato il non potuto raggiungere. E quello del male desistendo, o efficace la distanza da lui, interposta da me, ecco la possibilità del perdono, che sfuggir non mi dovrebbe, e che nelle aspettative rinnovate includere mi faccia perfino il suo bene, cioè non escludere dall'orizzonte delle mie cose andate a buon fine la constatazione delle cose buone ottenute dalla sua vita. Cioè non cadrò nell'errore, già suo, dell’invidia, ma sarò felice di quanto di bene gli capiti, che favorirò nella misura del possibile, cioè io favorirò, se dato mi sarà conoscerla, la sua speranza. Sarà questo superamento del risentimento, a cui tentato potrei essere, l’amore verso l’antico nemico? Forse non bastevole ancora, ma un tentativo autentico d’attuarlo, sì. Ma pensiamo a un caso estremo, un ostinato mai dimentico degli infruttuosi tentativi di danno passati, li rinnovi, persistendo nella volontà sua dell’annientamento mio, e io fuggir più non possa o trovar schermo, allora a me trasferirà efficace il male della rabbia sua. Potrò decidere di soccomberne, mi compenserà il cielo! Ma che farò se coinvolto nella personale rovina vedrò chi amo? Cadrò sicuro nel baratro della perdita del dio! Ma guai a chi mi costringa a reagire e che peccare mi faccia, lo attenderebbe certo un più buio abisso dal quale solo la bontà del dio richiamarlo potrà nella durezza del perdono suo. Io qui restando, perdonare non avrò potuto e rispondere col bene alle provocazioni del male, ché non la vita mia rubata mi sarà stata, ma le ragioni sue, quelle che l’amore solo dà per continuare a restarvi! Questa la paura mia del nemico vero. Ma che sarà se molti cedono alla paura e tutti loro vedono nemici quelli di un’altra collettività, di un’altra religione, che sembri minacciarli, la guerra? E l’inferno di qui più ancora spalancherà la bocca sua e, famelico, ingoierà quanti più, buoni e reprobi, giusti e ingiusti, innocenti vittime o no e persecutori o carnefici loro, fedeli dell’unico dio e presunti infedeli! Ed è d’oggi questo pericolo! Ecco, la bella signora molte cose brutte trattiene nella rete della nostra preghiera, eppure talune le sfuggono e qui cadono, non trattenute dalle maglie di quella, non fitta abbastanza! Mai troppo è pregare!

mercoledì 11 febbraio 2015

C’è sempre una bella





Sai, forse davvero la bella delle stelle c’è! Altrimenti voi donne, qui spesso angeli senz’ali, almeno nella realtà dei cuori che v’amano, da dove verreste? Forse è ingenuità esprimermi così, ma io mi sono uno che ne vive e anche di sogni tanti,come a chi da sempre innamorato, certo accade! Allora ecco come lo dirò. Quasi come contadinella, dimentica del raccolto suo, vaga per la campagna va e lascia cader fiori dal cesto, che briosa fanno la via sua, così di simile ella fa delle stelle sue. O anche, come donna felice dei fiori raccolti, che la mano stringe, la apre ché il vento via da sé li porti,forse pensando ad amore lontano, così ella le preziosità sue gelosa reca, ma lascia le sfuggano. E se così, cos’altro dir di te posso, piccolo fiore? Anni sono che guardo i tuoi occhi, eppure l’anima tua leggervi non so. Resta mistero il cuore di donna! E se una dice, e m’è accaduto, mai lasciarti potrò, ella certo non mente, ma poi potrà scordarsene e come ad altro fiore farfalla, vaga andare. Ma tu se farfalla sei, ti penso diversa. Tu come falena, che va speranzosa nella notte a fragranze che allora si dischiudano, entrata sei in questo cuore in cui luce sol tu scorgevi e, incantata, più uscirne voluto non hai. E come talvolta farfalla prudente non è, e l’ali sue brucia se troppo alla luce s’avvicina, così di simile t’è forse accaduto, ché angelo rimasta sei, ma senza più ali. Allora forse è così, ho qualcosa, un niente forse, una piccola luce per te sola, ma per te così intensa da abbagliarti e abbandonarti ad essa. Oh fosse vero! La vita non mi parrebbe trascorsa invano, piccola farfalla della notte ho attratto e nel cuore ancora l’ho celata, preziosa! No, forse meglio esprime il nostro star l’una nel cuore dell’altro l’immagine di piccola lucciola, che luce ha fatto dove non v’era e v’è rimasta. Ma perché, che v’attende da così tanto? Forse che i tanti pensieri per lei sola coagulino e ne venga una piccola altra a lei simile, che vero felice la faccia. E così indugia da tanto, ma c’è una bella delle lucciole e, lei volendo, lo sperato accadrà! Ma ora qui solo sono tra questi miei vagheggiamenti d’amore e vi indugio come solo da ragazzo m’accadeva d’averne un qualche diletto. Un solitario su ramo spoglio, indugia in un canto breve e languido, e il verseggiare suo somiglia ai pensieri miei per te, fatti di poche parole che per lo più pronunciate non vengono, ma che tanto vorrei che quella delle stelle al cuore le rapisse e nel tuo le mettesse. Le stipasse anzi, ché lusinga d’altri non vi abbia spazio mai. E tutto grigio s’è fatto il cielo, preludio di ombre imminenti, e così va un altro giorno e la vita tutta trascorsa vuol farsi, inutile e fredda tutta senza il tuo calore. E oggi è giorno particolarmente triste, ma della paura delle foibe io non ho ricordo alcuno perché piccolo in fuga allora. E ora come, che sono e da che fuggo? E tu tardi ancora e io freddo ho senza che nulla l’attenui. È freddo di mancanza, è freddo d’assenza, è freddo nell’anima, e ansia mi prende come che tu tornare non possa. Ma c’è una bella tutta amore, ti proteggerà e guiderà anche se tornar dovessi a cuore che ella chiamato abbia alle stelle!