giovedì 27 agosto 2015

La mia Sonia





Questa realtà com'è? Mi chiedi, dolce compagna mia. E io, Nessuno può dare una risposta per tutti valida, è sempre interpretata. E nel giudizio soggettivo gioca il presente con quello che ci dà o ci nega e l'avvenire che vorremmo carico di tutte novità gradite, ma sarà anche tutt'altro, e ruolo vi ha soprattutto il nostro passato con le esperienze sue, belle o brutte. E le mie, molte le ricordo sgradevoli, per stupidità, per ingenuità o per sorte ria! Ma tu mi stai di fronte e ora appari pensierosa, ché forse una risposta diversa attendevi. Al solito gli occhi tuoi dir vorrebbero le tante cose del cuore tuo, tutte stipate, ché mai le sveli, forse le temi incomprese o pensi, a torto, siano di quelle che, venute alla luce, subito vi scemano, svanendo nella delusione di coloro a cui qualcosa ne dici e s'attendono molto. E sicuro anche le favole del cuore celi, quelle che ci vedrebbero in fine protagonisti felici e contenti vivere, che questi tuoi occhi raccontar vorrebbero per lasciarle colorare dalla fantasia mia. Ma sai che fanno gli occhi tuoi, pur tu nulla dicendo? Invitano ad evadere nel sogno per liberarmi da ogni fatto atteso, che se gradito slargherebbe di gioia i nostri cuori, ma se tutt'altro, ci farebbe paura e a loro tristezza. Perché tanto temere il tutt'altro? Nulla interpone alla durezza del presente, rendendolo sgradito, alle angosce passate, che come ombre ci seguirebbero dappertutto non lasciandoci respiro, e alle incertezze, ombrose tanto, dell'avvenire da avvelenarci la speranza dei nostri cuori. Ecco, occorre non pensarlo, perciò insieme sognare! Ma per sognare insieme, serve varcare una soglia e vi restiamo dubbiosi al suo limitare. E' una favola da te suggerita che invita a tanto, iniziata come tutte, c'era una volta...Perché entrarvi, perché non farlo? Il dilemma! E vi entriamo, curiosi rompendo l'indugio, e lì abbiamo sensazione che altri occhi ci guardino e ci invitino a proseguire in un mondo tutto di vividi colori, come è quello di ogni favola, ché i sogni con te, credo, si somiglino tutti, e vi sono essenze e fiori e dolce canto d'uccelli, e volo di farfalle innamorate e noi a tenerci per mano per percorrere sentieri appena segnati tra alberi annosi. Ma tutto anche invita a sostare per consentire che mille particolari si lascino osservare. E lì un mondo di piccoli esseri si svela, che si cercano forse per proseguire la via loro congiunti come noi facciamo, o forse per amarsi. E allora ho la sensazione che tu già conosca questi luoghi del sogno, e solo in apparenza lasci ti conduca, come di essi tu fossi vero selvaggia, ma visitati certo li hai da sola in sogni solo tuoi, sicuro guidata dagli occhi belli di quella del cielo che sappiamo che ora ci osservano senza essere visti e di noi, ancora amanti, hanno tenerezza. Ma che dirmi vuoi più ancora, dal momento che questo tuo segreto, nel cuore serrato, ho intuito? Che in te c'è un mondo meraviglioso insospettato e tutto da scoprire? O più ancora, che tu sei come la dolce Sonia, che conforta chi il delitto di aver sciupato la propria vita ha commesso e ora deve attendersi giusto castigo? Sì, sei la mia dolce Sonia! Io ti pensavo donna che dà l'amore che la sua diversità fisica le suggerisce e che natura anche ai suoi scopi destina, ma che spesso oltre andare non sa. Ma tu vuoi per me di più, tu mi inviti all'amore casto e a non fermarmi ad esso. Infinito è questo amore novello che mi dischiudi, è quello della occhi belli e teneri il cui sguardo ci accarezza dal cielo e non vediamo, ma che tu certo conosci, è quello anche del figlio suo, il redentore di tutti da questo mondo malvagio, sì dello stesso cristo, è amore divino. E io vi sono come iniziato. Dove mi condurrà? Lui sembra dirmi che la favola tragica d'ognuno ha vissuto e rivive, ma forse di più sull'amor suo redentore dal male e io sconsolato ti guardo e cerco aiuto perché non intendo! Ma ora qualcosa d'estraneo ci scuote e avverte che è tempo di riprendere contatto con ben diversa realtà. Ecco, usciamo dal sogno, frastornati un po', ché occorre riabituarsi alla fioca luce di qui e io ti guardo incantato, sei proprio come la santa Sonia che segue l'amor suo nelle dolorose vicissitudini del riscatto dopo il delitto dell'usuraia, che pure io ho ucciso, sotto altra forma. Sì, questa vita che a me poco ha dato e pagata vuol esser a usura come il male, che ha dentro, l'obbliga a chiedere. Sì, questa vita lunga, ma pur breve tutta intrisa delle lacrime mie di come appena ieri e invece sono già tanti anni trascorsi da che piccolo ero! Ma anche fatta di sogni inappagati e caduti, dovuti cadere a questa realtà matrigna con altre lacrime. Quella che ora vorrebbe assaporassi l'amaro di una condotta tutta fallita e a questo mi sono ribellato e liberato. Sì, ho ucciso la vecchia usuraia, la mia vita costretta in questa realtà! E se reo sono è di aver provveduto tardi. Sto ora in una novella favola, come già tutta passata l'antica, ma se vero morta sia, non so. Io so solo che non sono ancora alle stelle della tutta bella, ma credo sia per te che ella vuole io resti qui ancora un poco. Come non so, ché vita più non ho! Allora questo è certo un sogno, quasi postumo creduto, concesso da quella che lo può, e come rifugio ho le braccia tue e negli occhi tuoi le tue favole di cui l'anima mia si ciba e altro disdegna! Sono stato, sono fortunato! Tu vero sei come Sonia, una piccola santa e io, stupido, tutt'altro ti vedevo una donna comune per un uomo mediocre, qual senza te mi sentivo! Ma che significa vederti come la Sonia di Dostoevskij? Che io, come lo studente punito, sopravvivo alle miserie mie solo per te! Ma se quegli occhi noi non guardassero, d’altro distratti, anche per solo un poco, sarebbe un’altra storia, il sogno comune non ci sarebbe stato, né favole raccontate, affinché l'altro più belle le avesse rese attingendo alla sua fantasia, la vita mia tutta trascorsa mediocre e rea, nessuna mia azione per cambiarla, nemmeno tardiva, e io nella provvisorietà, che forse il nulla ben meritato precede. Entrambi saremmo perduti, ché tu, piccolo angelo, tentata saresti come falena, che attratta da luce d’un lume in molto buio, a quello muore, mentre quella luce si va spegnendo! Sì, madre non smettere di guardare a quest'amore!

martedì 25 agosto 2015

Il bene di qui e di là




Ho ripreso a pensare e a dirmi. Dedico questo primo scritto dopo la pausa, sperato non lungo e noioso, alla signora Nunzia Cloin, amica cara, olandese per nascita ma qui tornata, perché vi ha le sue radici e gli affetti suoi.





Io qui tenterò di dire che è l'amore qui e quel che credo sarà nel suo luogo, raggiunto dopo questa vita. Noi nulla presagire possiamo di quello che l’oltre questa vita ci riserva e quelle mie saranno solo congetture, quelle però di un cuore che ha fede. Forse non sarà l'aldilà come il nirvana. Quello che, raggiunto, comporterà, per i saggi di quella visione, l’estinzione degli affanni della mente con le contraddizioni sue, come gli egoismi che tutto al singolo riferiscono, come le scelte con la loro necessità di prendere qualcosa e altra scartare, come tutte le vanità che s'affannano che il successo venga e il male ne resti lontano, che qui tanto l’hanno occupata. Allora nemmeno la visione del vero interesserà il nuovo stato raggiunto, una sorta di pace, che tutto quanto qui affanna, guarda con distacco, per ritrarsi, ma senza compiacimento alcuno dell'indifferenza raggiunta, in sé. Sì, la nostra è una visione molto diversa da quella che tutto risolve nel nirvana. Noi crediamo che non saremo tentati a nuove rinascite, da ciò che irrisolto è restato, una vita basta, aspira sì ad essere completata, ma nel solo bene, e tornare qui non servirebbe perché in questa realtà l'amore, che lo dona, è limitato, quello di qui soltanto presagire fa la dolcezza che non può dare completa. Tutto ciò che non è amore non avrà luogo nello stato futuro. Qui intanto che è amore? È essere per l’altro, almeno nella misura del suo sentire per chi vi si confronta nel bene, o più ancora. Ma così aprendo a un inesplorato sentire, che sondare tutto non si può, ma lo si tenta. È quest'assillo del raggiunto che non basta, che fa l’amore per l’altro prima che per se stesso, che solo così resta nobilitato, non è cioè egoismo. Così l’amore limiti non ha, proprio come il bene che vuole per l’altro, che qui rimane di necessità inappagato, ma nel suo luogo, raggiunto, cessate le angustie dello star qui, sarà possibile attingervi come a una fonte infinita che noi chiamiamo, il dio. Alle inesauribili richieste di bene, da lui inesauribili risposte! È chiaro perciò che non è la nostra una visione di indifferenza, come nell'atarassia cui aspira il religioso orientale, anche verso il vero, la cui conoscenza invece si auspica perché la si postula che si risolva nel bene, il cui anelito a raggiungerlo per l’altro prima e quindi per sé chiamar vogliamo amore. Insomma, se io per te, piccola donna, cerco il bene, a dispetto delle tante limitazioni e opposizioni, quelle che lo star con te qui mi contrastano, e non desisto per difficile che sia raggiungerlo, io ti amo. E se vero è quest'amore, più ancora vorrò il bene per te nel luogo in cui cercarlo potrò, senza necessità di soste per stanchezza e non vi sarà delusione per la finitudine di quello che qui prometteva senza poterlo dare, e non smetterò finché il tuo cuore trabocchi per tutto il bene versatovi. Ma credo che come il bene è infinito, così la sete del tuo cuore estinguer non potrò, e sarai tu che ne lascerai uscire un po' del bello e del buono stipatovi, e lo farai per il beneficio degli altri tutti, che di simile provvedono, ognuno per un cuore particolare, quello qui, in questa vita, già amato, e così sperimentando quello che a me accadrà, donare il bene a te e attraverso te, a tutti gli altri. Sarà proprio imitare il cristo che già qui, in questo mondo di vili apparenze, versa del suo in me perché d’esso inondi il tuo cuore e tu tenti di simile con altri recettivi cuori. Insomma sarà ancora forse tenersi per mano come qui facciamo, ché l’altro si tranquillizzi e stia sicuro, ma per una via davvero senza fine, ma senza inciampi su ostacoli che qui il male pone e in cui la bella delle stelle si mostrerà per incentivare la volontà di ottenerla, perché lei stessa è il bene! Oh quanto amarti dovrò per questa piccola mia donna e così tentare di raggiungerti, o bella di queste notti d'incanto di mille e mille brillii, innamorata, già qui, di questo mio fallace cuore!

lunedì 10 agosto 2015

La preghiera





Forse una piccola premessa è doverosa. Io per me sono uno alla continua ricerca del dio, che cercherò qui o là , in me o negli altri, finché forza avrò. Qui mi occupo, in uno scritto lungo che spero non annoi, del male. Mi chiedo da dove viene e qual è l’ufficio suo, il suo perché. Concluderò che gli ultimi che crea, i poveri veri, quelli senza più nulla, così numerosi oggi tra noi, e vi vedo anche i migranti, è possibile aiutare se la pietas, conservata pure nella personale indigenza, è sostenuta dalla preghiera. È tutto per questo mese, buone vacanze!










Parte prima


È specialmente dei parolai di qui che sempre hanno opinioni, ma superficiali, su tutto e ne dicono, spesso neanche richiesti, dire che l'uomo vero mai rifiuta il suo ruolo, quale sia, o di vittima di soverchianti forze negative, o di combattente, impegnato a lottarle senza tregua e talora fino al sacrificio. E qui proprio, in questa scena che è il mondo, che si svolge il dramma di ogni uomo, vero, grande moralmente, o piccolo, e di tutto ciò che gli vive accanto, coinvolto, ché onnipresente è il male. Perché e chi altri lo può affermare? Chi tende ad esaltare l’uomo e quindi se stesso, separando il giudicato vero dal mediocre, da cui se stesso desidera distinguere. Si tratta soprattutto o di chi mai vittima vera è stato, pur rimasto perdente, e solo vaga idea del dolore estremo subìto ha, o di chi è solo presunto impegnato combattente e perciò uno che ancora capito bene non ha il nemico. Perché che è? È duplice nell’origine sua, c'è il male insito nel mondo stesso, ambientale, che è nella fisicità sua, e c'è l'aggiunto, perché la cattiveria, l'egoismo, la malizia ingannevole, spinti, estremi di certi tra noi, vuol venir fuori e aumentarne la durezza. Quanto al perché proprio ci sia il male rimane a me mistero. Sant’Agostino afferma che il dio non ne è l’autore, ma lo permette. Ma allora da dove viene, se c’è più ancora nell’operato suo, perché egli, il dio stesso, lo subisce? Forse è già insito nello spazio e nel tempo, creati? Ecco, ci sono cose vicine o lontane, altre passate, attuali o che stanno per venire all’attenzione, distinzioni che mi obbligano a un giudizio, perché tutte non possono essere ritenute dalla mente pur ampia, le lontane come le vicine allo stesso modo da esaminare nei loro dettagli, il che privilegerebbe la vicinanza, o ricordate e rivissute, o considerate nell’importanza loro nell’oggi, o anticipate se future. Alcune saranno da considerare e ritenere meritorie di attenzione, altre da accantonare o da scartare. Ecco è già qui in nuce il male, nella distinzione che precede scelta? E io che credo? La possibilità del male era stata certo prevista da chi ha voluto l’altro da sé, il mondo, l’universo di tutte le cose che gli sono distinte, e che il cristo ne facesse necessità di riscatto, redenzione dell’umanità tutta e delle cose di cui essa vive, nel suo destino coinvolte. Ma, accantonato il dilemma di dover considerare anche altre spiegazioni, intanto osservo che tutti abbiamo dentro la stessa tentazione che il nostro, quello che da noi viene, prevalga o almeno susciti attenzione, e io non sono esente da questa vanità, questo invitarmi deve alla prudenza, le mie sul male restano solo congetture e se vi insisto troppo vittima io stesso ne resto, il male m’avrà preso attraverso la vanità appunto. Ma dico anche che se si è mediocri in tutto, come mi sento anch’io in momenti come questo, vi sono tra noi quelli che, per quanto ne sia assai limitata la potenzialità loro di nuocere altrui, aggiungono il loro piccolo contributo alla malvagità così tanto diffusa. Perché lo fanno o è loro permesso? Si estinguerebbe forse questa parte notevole di male se non ci fossero apporti continui? È mostro che di continuo va alimentato? O si ci deve sentire cattivi per avere nostalgia della bontà? La più parte di noi però si ritrae timorosa alle prime avvisaglie di nuove, immaginate più crude e dure tribolazioni, e il singolo si augura o che lo si risparmi o se non lo può essere, sia breve il coinvolgimento e superabile da se stessi, tanta poca è la fiducia che chi gli è vicino lotti per lui, rischiando il suo. L'altra, dei meno pavidi, si prepara inquieta e attende fremente l’opportunità di lotta. Dovrà difendere il suo o, se più impegnata e convinta d'un ruolo irrinunciabile, la collettività. Come sarà la battaglia? Lunga ed estenuante dall'esito incerto o breve, cedendo presto una delle parti, la soverchiata, o deciderà l’esito la resistenza della soccombente, che avendo pur appena speranza di vittoria, al momento perdente, reagisce orgogliosa. Naturalmente con questo linguaggio una qualche personalizzazione del male è implicita, come non bastasse sia qualcosa, ma debba essere qualcuno, con puntigliosa volontà di sopravvivenza nel tempo anche. È perciò pensabile come persona, cioè individualità, come lo è il dio, che lo ha permesso e come lui spirituale, cioè senza fisicità pur questa essendone il solo mezzo espressivo? Chiaro non è il perché vi debba essere, cosa o persona che sia, ma certo il dio lo ha creato perché svolgesse il suo ruolo essenziale. Quale io non so! Affinché forse sempre ci sia chi neghi ed altri dubitino, spinti appunto dal male, che lui, il dio, sia il fine ultimo delle cose? Ma è un fatto che la negazione continua ne mantenga invece in altri la speranza, anzi la fede, certezza, dice san Paolo, delle cose che fanno la speranza. Come se il male abbia duplice valenza, contrastante e favorente la fede, o come se il dio voglia essere negato, ma anche sperato e sospirato, e questo avvenir possa solo nell’appena mantenuta vita, tanto contrastata, avvilita e precaria quella di tutti, oggi! Ecco questi sono da sempre i termini del dramma, c’è un supporto per i brulicanti protagonisti, per sua natura insidioso, il mondo, c’è chi più scabro lo rende perché vi si inciampi in poca luce. È dell’uomo la cattiveria! E ben lunga è la teoria delle vittime sue, ma è un privilegio del credente sapervi vedere in ognuna il cristo sofferente!






Parte seconda





C'è quindi oltre a chi subisce e a chi promuove il male, anche chi ne è tanto stremato che vaga, frustrato, senza speranza alcuna e meta. Tanti sono oggi qui i poveri, gli ultimi che vivono sempre più numerosi negli stenti, in questa lunga contingenza sfavorevole del paese, che c’è nonostante l’ostentato ottimismo di certi politici e le chiacchiere loro. Ma penso anche in particolare a chi costretto sia a fuggire dagli orrori di una guerra, dalla fame estrema, dalle vessazioni di una dittatura e fortunosamente sia ora qui da noi tra i disperati nostri. Sono tutti ultimi, quelli che senza più forze, senza aver trovato stabile ricovero, in fine giacciono, inane ogni sforzo, rassegnati. Finirà, si ripetono, questo giorno di minacce o già di dolore e forse un'alba più benigna sorgerà. Nulla credono, ché niente sperano loro venga dall'alto, sarà domani il puro caso, la pura legge dei fatti imprevedibili a essere favorevole o no. Ecco qui uno di questi, che fa, che dice? È annichilito, il male lo ha trasformato in un antieroe ripiegato, rannicchiato, tutto raccolto in sé, tremebondo nella presunta sua assoluta debolezza subentrata al subìto, in una attesa spasmodica in cui sarà la dea bendata a decidere, ché a lui non resterà che accettare ogni fatto, ogni esito, ogni destino, ché nulla potrà venirgli dalla protesta al mondo e al cielo pur accorata e gridata e a cui ha finito per rinunciare, persa con la voce, la speranza d’attenzione. È chiaro che questo piegato dal male va inserito nella speranza del credente e poco importa se lui attribuirà alla sua dea capricciosa un esito diverso, positivo, ascoltata invece la preghiera dalla bella del cielo. Dove e tra chi vive i suoi stenti? Qui proprio dove è nato e ha vissuto parte della vita sua, discreta e poi decaduta, oppure v’è arrivato sfidando l’infido mare che separa la sua costa dalla nostra e da noi proprio, che nella vita conserviamo, talvolta solo apparente, migliore fortuna, venuto a rinfoltire la schiera dei nostri poveri il cui disagio estremo viene a condividere. Occorrerà però più ancora, convincerlo che il suo atteggiamento fatalistico non danneggia lui solo. Ne restano coinvolti tutti quelli che gli sono accanto, o, se nessuno gli è rimasto, che occorre comportarsi come se chi sperava in lui continui a guardarlo, come attenda ancora qualcosa, anche solo il riscatto della memoria, con la miglior fortuna sua. È difficile che queste considerazioni non facciano alcuna breccia nella diffidenza sua. Perché questa si conserva? È vero, ormai o sta come da estraneo nel suo paese, è un nativo sfortunato, o proprio è nuovo disgraziato, raggiunto fortunosamente l’ospitante, e aprirsi dovrebbe alla speranza, ché quello che con i nostri miserabili condivide è qualcosa o già tanto se vero nulla aveva, altrove vivendo. Ma spesso respira un’aria di sospetto, quando non di palese ostilità, anche da chi è come lui povero, che pensa l’intruso gli rubi qualcosa o molto. Ma tra noi anche i buoni ci sono, che la pietas conservano anche nella loro personale miseria, cioè la capacità di sentir propri i problemi che l’altro angustiano e volervi rimediare. Che farà chi tra questi nel volontariato o in altre opportunità offerte al suo impegno, contatta il nostro misero, quello di qui o il pervenuto dalla sua povertà a quella un po’ diversa che lo ospita? Forse insisterà perché capisca che al pessimismo del vissuto, che va incontro alla morte spirituale prima che fisica, occorrerà opporre l'ottimismo del volere il nuovo, l’altrimenti, sì così che si voglia fortemente la vita, anche solo mediocre, ma che qualcosa di degno conserva per tutti. Anche per lui e qui, sebbene scarse le opportunità, quelle che molti che ci governano tendono a riservare ai nativi, talvolta vittime in peggiori condizioni degli arrivati da lontano! Anzi occorrerebbe fargli osservare, e ora restringo allo straniero le mie considerazioni, appellandosi alla intelligenza sua, che se è difficile penetragli dentro e convincerlo, smontandogli idee ben radicate, significa che è stato capace di erigere una barriera efficace di diffidenza all'altrui inopportuna e importuna insistenza, e che una analoga potrebbe fargli scudo efficace verso il male, forse cominciando dal volerlo vero contrastare e così sentirsi, suo malgrado, vivo, attivo ancora. Dove? Qui proprio in questo paese con tanti problemi già per i suoi, ma che pure lo ha accolto e in cui un suo contributo al benessere di tutti, non è preteso, ma atteso. Piano, piano l'irriducibile cederà, lusingato perfino lo si è, e tutti conservano pur nelle situazioni estreme un po' di vanità. Comincerà col chiedersi da dove venga all'altro tanta serenità e fiducia, visto che pure lui sta nella precarietà, e che sciocco non pare, e perché a lui si interessi, visto che è straniero di altre consuetudini e convinzioni, che ha dovuto accantonare solo per sopravvivere, ma che può riprendere per farsene difesa, e che soprattutto niente ha per il contraccambio! E piano, piano ne capirà il segreto. È la preghiera!

domenica 9 agosto 2015

Toppe sull'umanità



Con quante toppe occorrerà l’anima rammendare se la lacera la necessità di coerenza! Quella che essa sente dovere avere verso i suoi principi, che le danno fondamento come unità di persona, nella distinzione che mantener vuole tra bene e male, buono e cattivo, vero e falso, lecito e illecito, quando sollecitata è a frettolose decisioni che la vita impone, nella corsa sua spesso insensata, se non folle. Che tanto somiglia all'apparente fretta di chi desidera raggiunger la campagna e frusta i cavalli suoi per poi, raggiunta che l’abbia, con la stessa alacrità e impegno subito tornare indietro. È riflessione lucreziana sulla inquietudine e stupidità del comportamento umano. Quel cuore critico, che pone a sé la necessità della coerenza, non sente di dover salvare la forma sacrificando la sostanza, farebbe allora come la natura fa. Essa conserva la forma di questo bosco, alberi, cespugli, muschi, creature frequentatrici,… e non dà importanza alla lotta che in spazio ristretto c’è non solo tra specie concorrenti, ma tra individui affini, per la sopravvivenza. Sembra solo interessata che il tutto continui, ora l’aspetto complessivo assai simile a quello che era poco o assai prima. Una coscienza umana non può far di simile, salvare a ogni costo l’aspetto del suo spazio, chi vi coabita e le lor convinzioni e cose. Dovrà giudicare, scegliere, sacrificare qualcosa o a molto rinunciare, se ha scelto la difficile via che tenta percorre nell'agire come essere morale. E sarà sempre in lotta col sé accomodante di dentro, mai del tutto spento, e con la disapprovazione di uomini, che nulla del sé disposti sono a sacrificare, o addirittura del dio declamato, ma falso, da chi lucra o mangia col mestiere di ipocrita. Ma non lo farà nella rigidità dei suoi principi, se è uno che ama sé e chi e quanto lo circonda. Eviterà sterili lotte, privilegiando il dialogo per concordare correzioni dell'esistente, o iniziative per accogliere novità, cercherà consenso nel combattere dannosi sprechi, distruzioni inutili, per preservare dal danno il bello e il buono che già ci sono e potranno avere nuovo rigoglio, per la buona convivenza e il piacere di appartenere a una comunità, che preserva la vita e gli aspetti suoi belli. Ma poco importa che il salvato differirà alquanto nel suo aspetto dal prima, non avrà egli mantenuto la forma, ma salvata la coerenza, e soprattutto non avrà che agito nel dettami dell'amore, che prudenza e buon senso suggeriscono. Insomma c’è un’arte nel vivere, nello stare al mondo senza compromettere il proprio sé coerente, con quelle ragioni di fondo che vi fanno buio, che per quanto a volte semplici e allettanti, distorcono la via del virtuoso o del non ancora tale, ma che tenta di esserlo. Sono pur sempre le ragioni del male le opponenti al buon agire, intese alla perdizione, in senso disumanizzante, prima che peccaminoso comportamento in senso religioso, seppure al momento sembrino arricchimento della propria esistenza, una via breve al consenso e al successo, e quindi invito a percorrerla. Sia modello all'azione nostra il cristo che con tutti cercò il dialogo e non s’arrese di fronte alla caparbietà, e vi tentò la dolcezza, ma preferì soccombere alla malvagità e non far con essa patto. Era una società di religiosi, nel tempo difficile dell'oppressione romana, di aderenti e praticanti con le stesse regole uno stesso credo, ma benché unico il linguaggio, quanto diverso il significato delle stesse parole! Per lui sempre d’amore, per molti altri divenute di odio! Perché il buono e il giusto diventano pesi per una comunità e finiscono odiati dall'intolleranza? E questa è un’epoca assai simile, ma da che è vessata l’umanità tutta? Forse dalla legge del profitto che impone il capitalismo invitto, che se qui lascia vivere sebbene nell'appena indigente, altrove e per pochi, permette una vita tranquilla aperta fino agli agi spudorati. Comanda il denaro, approva o condanna, esenta o vessa, qui permette, altrove sanziona, è plutocrazia, regge il mondo comunque, anche larvatamente, nel formalismo di leggi pur liberali e ai politici dell'oggi il compito di promuovere cauti cambiamenti senza sovvertimenti, con molte chiacchiere, affida. Ma giustifica questa incurabile malattia che affligge l’occidente, e che attosca l’umanità nostra, che ci siano lotte e lacerazioni nel nome dello stesso unico dio? Quanto diverso è l’agire che egli suggerirebbe! Invece qui intolleranza, altrove contrasto fino alla morte di presunti infedeli o atei, negata la convivenza di uomini con altri, di comportamento sì assai diverso, ma giudicato ad arbitrio di intollerabile blasfemia, anche se l’indigenza di molti lo rende di necessità virtuoso, mentre il vizio è possibile solo nella ristretta classe dell'opulenza, classe assai diversa dalla nobiliare d’un tempo, chiusa, essa è invece aperta affinché i novelli furbi e senza scrupoli, se successo hanno, vi abbiano accesso. Intransigenza per ora di pochi, quella che si oppone a questo mondo perverso, il nostro, ma che comporterà o già sta comportando tempesta, sì terrorismo, guerre, massacri di gente indifesa e innocente perché povera e smarrita di fronte alle novità, quali siano. Queste a torto in questa nostra società in apparenza evoluta, anche ora intese sono tutt'altro che buone, se non sono di immediata utilità a combattere l’assillo del vivere quotidiano nella vita stentata e monotona dei più, e vengono contrastate acriticamente. Ed è un problema del vivere di oggi così alla giornata, ché i più coscienza non prendano del pericolo che li minaccia, troppo impegnati nell'immediato, che prevedere non sappiano il loro dopo, anche assai prossimo, e stanno in un perenne oggi negli angusti limiti che impone la sopravvivenza. Ma taluni dei più disperati, ma meglio informati, forse sperano addirittura in uno sconvolgimento venturo. In cui chi nulla ha, avrà nulla perdere, fatta salva la vita, e poco da temere, ma che poco o tanto guadagnerà raggiunto un equilibrio diverso, inserito nel nuovo da perfetto ipocrita. Tutti in verità dimentichi della legge dell'amore! I promotori di misfatti, perché colpiscono non i ricchi che hanno tempo e mezzi di fuggire in posti più protettivi e sicuri, i poveri soprattutto, colpevoli della sola diversità di credo. Ma anche quelli della reazione alla provocazione che l’ordine, le consuetudini, le abitudini vengano turbate o sovvertite, e che s’adoperano che nulla cambi almeno dei privilegi dei dominanti pur nell'apparente sconvolgimento e portati sono da lor rabbia a far di peggio. Sì, tutti scordato hanno che il dio parla il solo linguaggio dell'amore, ogni altra parola è aggiunta, viene dall'uomo e dal fondo scuro di questo mondo! Ecco sarà un’umanità con tante toppe dopo tante lacerazioni, se il dio le concederà di sopravvivere, restata sì in vita, ma malconcia dopo tanti luttuosi avvenimenti, non per rinsavimento, ma per esaurimento dei contendenti stremati in tanta inutile sterile lotta, ciascuno esanime restato, ma attaccato alle idee sue, scosse ma non cadute!

venerdì 7 agosto 2015

Le ragioni della solitudine




Se vero è che molte sventure l'uomo presagisce, sente venire o già su di sé opprimere, quando solo e raccolto se ne sta in disparte, è pur vero che non v'è solitudine maggiore dello stare estraneo tra molti. Si sente allora di più la propria inutilità, il giusto abbandono di persone e fatti di rilievo, l'insufficienza a opporsi a un destino pensato tutto nero, vuoto di valori e di speranza. Ed è sensazione che può prendere in ogni epoca, ma è assai frequente tra i ragazzi d'oggi, che insufficienti si sentono più d'altri alla vita, alla miseria sua, all'infelicità che porta con sé, alla morte verso la quale spinge. E uno, da questo preso, ne cerca tregua. La cercherà nel tentativo di distrarsi proprio tra altri con l’esigenza sua stessa, affinché s’allontanino gli schemi che la vita ripropone e che finiscono col far noia, cui seguono i pensieri di sempre, o anche più cupi. Eccolo allora star vociante tra altri che lor membra agitano nelle movenze suggerite da ritmo assordante, in notti interminabili, sì, con altri desiderosi solo di non dover pensare. Ma basta? Nulla all'altro si può dare d'autentico, in incontri fortuiti e brevi, ché nulla si ha, né ricevere. Ma forse qualcosa, un breve rapporto di vera confidenza o anche d’amore, può nascere dal poco o dal niente perfino, è il piccolo miracolo che anche tra gente incredula accade. E lo può fare la simpatia che nasce facile tra giovani. Ecco l’uno sta di fronte all’altro secondando le movenze sue, apparente consenso al divertimento ritenuto comune, e comincia a comportarsi come se lo appaghi la presenza dell’altro, che non gli nega attenzione e forse sarà tanto preso dalla novità da farsi vero dimentico, per un po’ almeno, di ciò che il cuore suo agita, stringendolo da sempre, e di simile è possibile accada in chi l’iniziativa abbia preso. Ma quando tutto sembra lecito, consentito, incoraggiato, si apre la via a ben altro. Si può scegliere lo stordimento sicuro e completo nel mondo degli spinelli, di compresse e polverine, un gioco perverso che finisce col distruggere il sé e, col frammentarsi dell'unità di persona, è vero che più non si pensa che a un nuovo incontro, dipendenti da una o più sostanze diventati, ed è respinto ogni affanno, ogni dolore, ma a prezzo caro, che pagato va a usura fino alla pretesa della propria vita. Che proporre? Io medico alcuno ne ho potuto stabilmente trarre fuori, che quello ricaduto non sia in più profondo e tetro abisso, fino a non venirne più alla luce. Forse ho visto poco, fioca la luce di qui anche per occhi avvezzi, del male che c'è al mondo, ma m'è bastato ché ogni altro male ho immaginato e avvertito con angoscia in me. Sì, questa luce è davvero fioca e poco può illuminare noi comuni sprovveduti, poco più che marionette, manovrate da invisibili fili lor braccia e gambe e così lor recitato, prestato da invisibili commedianti veri protagonisti, su questa scena falsa e posticcia che fa il mondo, in una saga che va vissuta fin in fondo, ma che non ci farà avversari, seppure deboli e fin troppo coinvolti, di tanto male. Ma essa per quanto fioca, è pur sempre spiraglio di qualcosa che oltre la miseria di qui vuol stare e a quel luogo sembra invitare, ma ormai con tutti è un bene tanto compromesso, che sta soprattutto con quelli nell'abisso caduti e restati, da non potersi mostrar più, soffocata con loro in tanto buio. Ecco allora, dai soliti inguaribili dalla speranza, pur tanto delusa, le favole sull'oltre che ci attenderebbe sereno. Ma l'oltre sta già qui, non è più nel dopo. Il tempo più scorrere non vuole, né più portarci al suo nulla, compresso improvviso lo spazio per noi da percorrere e ristretto il tempo disponibile nostro, perché forse stiamo già nel nulla tra i nostri ragazzi sconfitti senza scampo o già morti. Allora io prego il dio di starmi lontano di non lasciarsi coinvolgere nel mio fallimento, ma di continuare a rimanere per la speranza d’altri, seppure solo poca fioca luce quaggiù e già troppo debole fattasi la speranza che ne viene. Gli dico, Io sono un disperato, un vecchio annoiato e nulla più ho dell'uomo più sereno ed energico, che dubito ora di essere mai stato. Non so più guarir nessuno, nemmeno me stesso, posso! E la mia malattia può chiamarsi in molti modi, scegli tu. Ma purché tu non la definisca vigliaccheria, sarei disposto a ricominciare, a ritentare, a raccontare ancora le mie belle favole perché nessuno si senta solo tanto da rinunciare perfino alla solitudine. Questa che ben misera è, pur non deve preludere alla morte, può perfino avere una sua positività, perché può e deve stimolare alla ricerca di un tu, dal momento che, credo, solo il sogno a due può colmare il vuoto di dentro, può guarire la propria insufficienza da poter gridare alle stelle, Nessuno sono, ma per questa piccola donna sono re e il mio regno è piccolo e immenso a un tempo. È un cuore di donna! E se le avrò dato un po' di felicità, allora dirò, Sono stato felice in questa vita! Sì, è solo questo che mi sentirei di dire agli insicuri di oggi e nel mio tempo avrei fatto bene ad affermarlo, ma allora avevo ben diversa convinzione, essere utile con le mie nozioni, così almeno non sarei io stesso precipitato nella disperazione, misere fallite quelle, e smarrito il dio. Quanto è durata la notte? Come tutta una vita! Ma il dio, la madre sua dolce, ha voluto farmene uscire e questi occhi dolci ho incontrato in notte tutta anche di tanti altri brillii! E che dicono da allora? Vivi per me! Allora è vero, ho vissuto tanto, e d'amore!

mercoledì 5 agosto 2015

Conforto dovuto al dio




Mi chiedo, Una verità resta forse diminuita del significato suo se male espressa, o risulta più vera se enfatico ne è l’enunciato? No, almeno non in sé. Costretto qui sarò a procedere per metafore o per congetture, ma pure una verità esprimerò. Quale? Che quando l'amore col dio sembra perduto, lui ne è la vera o la maggior vittima, e non dovremmo attenderci conforto, glielo dobbiamo! Sono arrivato a questa conclusione, il mio cuore per un po’ fingendosi abbandonato, preso da inaspettato misticismo, e mi si perdonerà se il linguaggio di questa nota ne risentirà, colorato, se non proprio enfatico! Intanto mi chiedo, Un amore perché sia autentico necessita di adeguata percezione da parte di chi v’è interessato? Sì, intendendolo come dolce o sublime scambio, ma non tanto di parole, che possono uscir povere e stentate, sebbene sincere, le più belle restando dentro a timido cuore, ma di gesti, che devono essere adeguati, ben misurati, che esprimano a un cuore il bello celato dall’altro. Se ne potrà derogare per un po’, impegnati nel diverso, ma sapendo che pur piccola devianza dall’atteso e ritardo causano vera pena all’altro. Allora occorrerà scusarsene alla prima occasione! E ancora, Accade di simile nello speciale rapporto con la bella signora, quella delle stelle? È speciale infatti questo amore, tutto da costruire il nostro e il suo da scoprire. Ma il comportamento suo chiaro mai è, se ne possono solo congetturare le ragioni. Ella mai parla o lo fa con un linguaggio spesso duro, ché permette sia la vita a far da lei barriera, con tutte le amarezze e i mali che affliggerla possono. Sì, vuole si abbia certezza d'amore nel dolore o nonostante il dolore. È questa l’unica prova richiesta affinché, bussandole il cuore, se ne apra uno spioncino, attraverso il quale, la agognata luce, quella che il solo amore è capace di fare in tanto buio. È delle donne possibili la più difficile in apparenza, ché il suo sarà sempre un amore un po’ più in là delle cose raggiunte, dei fatti accaduti, delle speranze da cuore azzardate e delle donne che qui amar si possano da farle vicarie sue. Così a questo mio amore terreno, tenero e fragile, affido il mio per lei che certo ella trasmetterlo saprà. E certo non servirà che ella le dica, Questo è da parte sua per te. Ma forse le dirà, Leggimi il cuore, la mia è la tua felicità, ché dentro t’ho! Ecco, fa dolcezza aver una donna così e sicurezza anche, ché il suo sa condividere con la bella del cielo, e stringerla posso, da farmi gioia, tra le braccia in notte tutta di stelle, illudendomi l’altra nello stesso abbraccio trattenere. Ma quando il vento vi spira iroso, non v’è notte di maggior paura, ché esso può strapparla dalle mie braccia pur serrate e lontano portarla come foglia tra le tante d’un autunno inatteso precoce, tale l’ottusità e la forza di chi grida qui come ululando la caparbietà sua, il male. Fedele, buona è questa piccola donna, ma le ragioni di qui, incomprensibili per lo più, che esito daranno a questa fedeltà e alla bontà sua, se esprimono il male? Ma è proprio temere di smarrirla che apre la possibilità di attenzione certa da quella del cielo, se nel cuore mio sempre tormentato anticipo e vivo la possibile desolazione che ne verrebbe. La preghiera allora sarà accorata, confuse le richieste sue, inadeguate le parole prese frettolose non dalle migliori, che non chiarificano, finché tutto si compendia in una sola frase, Fammela restare, opponiti, falle scudo, riparo! E invece sarà lei proprio a dover essere protetta! Perché? Ecco come tenterò di dirlo. Il cuore continua a simulare la completa desolazione come in un brutto sogno vivendola, ed è ora il momento del massimo della sua pena, e temendo l’irrimediabile sconfitta, io continuo a ripetermi, È proprio questo mio dolore che mi fornisce la possibilità di vero avvicinare la bella, affinché attenzione presti al vissuto nell’angoscia del suo amato da sempre, anche se all’apparenza sempre ignorato! Ma che sarà e che dirò se il male vinto avrà, come se ella presa sia da irrimediabile malattia? In questo brutto mio sogno sarà come vento che d’autunno tanto stormisce tra queste frasche da coprire singhiozzi e umane parole di tentato conforto! Io chiamerò invano in questo buio, che più fitto si sarà fatto, questo amore e lei chiamerà me in profondo nero io precipitato, così quella del cielo farà per le voci nostre, chiamerà noi, come madre fa. Ci saranno risposte dalla donna mia e da me per te, donna dello stellato? O tutti avremo perso, ché spezzato sarà l'amore? Molto, quello che vale anche solo una vita mediocre come la mia, perduta nel vortice del male! E così io grido in questo possibile abbandono, afono ormai, Perché, perché è dovuto accadere? E non v'è risposta, mute le stelle. E dico, Sì ci sono stati gesti mancati e noi poveri da sempre perché sprovveduti , disarmati di fronte a possibili fatti di vita tanto amari, illusi del tuo amore, a lungo ci siamo cercati protese le braccia in buio d’inferno. Ma ora, vissuta fino all’acme tanta possibile angoscia, penso, come in tutte le favole, felice in fine l'epilogo, ma quanto sarà durata la separazione percepita, anche se poco la sua finzione? Come se passato un tempo troppo lungo nello smarrimento! Ma sicuro tu guida ne sarai stata molto discreta, restata inapparente, e ritrovati ci saremo nel fitto di questa foresta che fa la vita, sì, come per miracolo passato il fatto estremo, la malattia truce che pareva aver vinto, sì, come ciechi che si ritrovano nel loro buio! Attenderemo allora da te non più l’equivalente di almeno una parola, ostinata muta sempre rimani, ma come la sillaba di benevolenza che appena venga pronunciata, il sì, perciò un assai breve tuo gesto, come breve è l’assenso. Lo penseremo nel suo giusto valore per cuori tanto delusi, un piccolo ma concreto gesto d’amore. Non sarà un modo tutto tuo di scusarti, tua la sofferenza maggiore per l’abbandono subìto, seppure nella finzione del mio cuore, nel brutto sogno a cui t’ho portata, perso il ruolo di madre, apparente fine del tuo amore. Ma tu sicuro vorrai significarci molto, che pur parla senza parole quest’amore mai cessato, grida anzi, ma intenderne nulla possiamo, il male invitto fa ancora troppa barriera e il vento rumoreggiando la rafforza! Allora vieni, ti pregheremo, sta sicura tra i nostri cuori ne avrai scampo!




lunedì 3 agosto 2015

Felicità possibile



Vivere qui in un mondo già tanto caotico e buio significa rischiare che disumanizzi la vita, tanto più esposta alle difficoltà da chi, tra noi, s'adopera a umiliarla, sopprimendone la libertà. Ma resta intatto l'anelito suo e il desiderio di felicità, che non è uscire dalla realtà per crearsi un cantuccio nel silenzio, in cui parlano i soli fiori ondeggianti tra il verde delle erbe loro, mosse da carezza di dolce vento, sarebbe come evadere nel sogno, essa è qualcos'altro. E nemmeno è uscire dal tempo, che i nostri passi misura e ora che la più parte di via è percorsa, par frettoloso tanto che soffermarsi sul bello e sul buono in cui, nonostante il vissuto, pur ci si imbatte, non consente, tanto gli urge, cadute le illusioni tutte e le speranze consegnarci al nulla, no, la felicità è altro. Ma che è? È forse essere sollevati dalla cura del vivere, sta nel rendere concreti i desideri, soddisfare le inclinazioni dell'anima? Sta, credo, nel poter essere se stessi! Non stretti dall'altrui ingerenza, non pedine di un gioco troppo grande che resta incomprensibile, né schiacciati da quanto qui limita e opprime. Né serve fuggire in un luogo speciale che forse nemmeno c'è. Non cresce rigogliosa la pianta verde del tuo balcone se mani delicate e amorose di donna ne hanno cura e non fiorirà a breve? Fattene bastare l'incanto! Ecco qualcuno ha detto che c'è chi ci guarda dalle stelle. Benché tenera ne sia la speranza, non v'è certezza, muti i mille e mille brillii in notti a questa simili. Ma non è forse dolce e appagante operare che i problemi di sempre siano meno pressanti, come se vero qualcuna ci attenda tra queste brillanze per donarci una vita diversa, che già qui deve iniziare? Sì c'è una fata in questa favola, vuole che il possibile di qui sia raggiunto, superato o, se le sue richieste son troppe e opprimenti, che il possibile sia soppresso, si scavalchi, si passi oltre comunque. Ella vuole anticipate qui le cose del proprio sogno, vuole proprio con noi condividerlo, di star con lei là dove vive, che non è fuggire daccapo chissà dove, perché non limitativo, non è esclusivo questo sogno, che proprio perché così, perde le caratteristiche sue di vaghezza, di possibile nell'indeterminato di luogo e di tempo, per farsi speranza, anzi certezza nella speranza, fede. Sì è aperto, se si lascia che vi entri chi come noi è deluso e affannato e non importa che sia solo questo il bello e il buono che facciamo per gli altri, vi avremo speso noi stessi! Questo ci fa narratori di favola bella, le stelle, la fata, la corte sua dei già accolti, come cantastorie sono stati tanti altri in questa storia umana. È davvero tanto, è far melliflua ogni voce anche la più amara! Non ci consola forse la dolce presenza della donna che la fata vicaria? E i figli nostri amano forse altri del tutto ignorandoci? Sono stati bambini e hanno riempito di strepiti di gioia la nostra casa e il cuore nostro di felicità e preoccupazioni tante. Ci hanno fatto vivere. Ha senso questa vita? Forse, se la spendiamo come vuole la fata. La felicità non è dovuta, non viene dai sogni, nemmeno da quelli che protagonista la vogliono, va cercata qui nonostante le insidie di un ambiente problematico e spesso ostile, nonostante l'oppressione dei malvagi, come dovere sia verso se stessi che gli altri tutti. Non abbiamo il diritto, ma il dovere di essere felici! E se così, se questo deve esser l'impegno, le stelle, la fata, l'amore di donna qui e quello dei frutti suoi, i dolci ricordi di donne incontrate, lor timide parole, lor occhi schivi, lor sospiri innamorati, l’amicizia fedele di rari compagni, sono metafore o preludio a quel tu che è per noi, vicino o lontano, tra le stelle o proprio qui o proprio dentro noi stessi, ma presente e chiamiamo il dio!

sabato 1 agosto 2015

Pensarla solo coi tuoi pensieri



Quando a questa donna, che tutta m’è nel cuore, penso ché lontana l’ho, e che scampi gli insidiosi pericoli di questa strana epoca, prego, o più di rado una protagonista di una storia trascorsa m’occupa per solo un po’ o più la mente, come talvolta m’accade di indugiare su quella che fin da ragazzi, sopita in un cantuccio forse è rimasta, perché la mala fortuna sua ultima m’è l’ha fatta vivida ancora, io forse sbaglio. Perché? Pensare è sempre emettere un giudizio su persone, avvenimenti, fatti attuali o recenti o del tutto lontani, che l’amata, quella d’oggi o anche quella che parla ancora come se sia stato di ieri il sogno con lei svanito, coinvolgano. È stato sì atteggiamento lecito all'inizio, che servito è a scegliere, indirizzare, concretizzare l’approccio, creando un rapporto che, durando, ha fatto di sé una storia, bella comunque anche se talvolta a indesiderato precoce epilogo, o invece talmente saldo da durare per la vita, che dolce ha reso. Ma ora m’accorgo che giudicare è diventato manco d’amore, ché sì considerare o trascurare, tralasciare o candidare al dolce ricordo, lì lì sembrano irrinunciabili dovuti, ma poi passano, svanendo l’apparente pressante importanza, per lasciar meravigliati che qualcosa con loro portato abbiano. E a quello che manca non è possibile rimediare con l’aggiunta d’altro, che parrebbe forzato ed estraneo, non ben adattandosi, come i tasselli, che aggiunti a un mosaico, persi gli originali, mostrano una mano recente, così tra le cose che la storia di due cuori hanno fatto, il posticcio è palese e stona. È questo il duro prezzo che si deve all'amore per aver fin qui mantenuto, come appena stati, la primitiva intesa segreta e poi il pronunciamento davanti alla comunità e al dio? Credo di sì, anzi dico che perfino ai tanti sogni, che lo stare insieme suggerisce, occorrerebbe rinunciare. Sognare è pensare, un inconsapevole giudicare degna una persona, il vissuto desiderato con lei, ed escluderne altre che possono solo giocare un ruolo accessorio alla vicenda o di contrasto, che mente e cuore costruiscono bella. E anche il sogno di portar questa mia donna tra le stelle o lasciarmici condurre, lei a fornirne i mezzi e a tracciarne la rotta, forse lecito non è. Andare insieme è una scelta libera, possibile, ma occorre crederlo, con ingenuità forse, ma con tenacia. È richiesto volerlo comune destino con tutto se stesso e contemporaneamente deve accadere per l’altro. È fede, non un semplice atteggiamento di simpatia e condiscendenza per le iniziative dell'altro quali siano, e mancando la volontà di attenderlo, al momento anticipandolo solo come sogno comune ai due, quasi obbliga il deluso a un giudizio! E allora che resta? Non è più opportuno nemmeno un desiderio di bene e di bello per la propria amata, non solo palesarlo, ma perfino formularlo e carezzarlo come possibile nel proprio cuore? Molto invece, anzi tantissimo v’è da supplire a ogni desidero cui si sia dovuto rinunciare, ché tutto è lecito, ma solo nella preghiera! Se ragazzo fossi chiederei alla bella signora delle stelle, Lasciamela amare senza farle male o se è impossibile, fa almeno che piccolo danno all'anima sua faccia, che rimedierò con l’amaro di lacrime sincere quando di nuovo con te! Ma ora che vecchio mi sento o sono, e mi commuovo e caccio lacrime anche per piccola cosa, che la mia inopportuna ingerenza subisca, che le dirò? Dirò di simile, Lasciamela amare senza turbamenti eccessivi e non permettere che male aggiunga al tanto per cui ha pianto! Lascia le dia un po’ di gioia, forse ultimi guizzi in questa notte perenne da lampada carente d’olio! La mia discutibile e certo da te non piaciuta condotta d’amore, fin qui almeno me l’ha trattenuta, ma malgrado giustificata sia stata per consentire l’iniziale avvicinamento e l’unione, poi duratura restata, fa che, finalmente dei tanti errori ravveduta, oggi serva a che, con l’anima sua nella mia, ella si senta protetta non solo, ma appagata, come se del mio cuore orfana mai dovessi lasciarla. Cadano tutti i miei pensieri e gli inevitabili giudizi che recano con loro, ché ora solo allontanamento e separazione minaccerebbero o significherebbero! Fa che la nostra vita, qui continuando, sia tutta di parole e gesti che, anche se non possano far sempre carezza all'avido cuore e talvolta aspre suonino le prime o fuori misura inadeguati gli altri, siano da accogliere sempre come nati da amore. Infatti siano i miei solo tuoi pensieri, che bene non conosco, ma, solo intuiti, li so tutti d’amore! Amore che non giudica mai, comprende, scusa sempre, affinché tuo figlio poi perdoni!