lunedì 25 giugno 2012

Amore, dono per te

Dicono che il tuo Gesù uomo rimane rivestito della tua carne per amor tuo. E io che farò per amor tuo dalla mia povertà? Ecco, scema la mia vita e si dissolvono gli anni miei e se solo mi lasci, debole, sono smarrito!
Darti per amore, darti amore, un povero amore. Ma che so dell’amore? Tu il tuo mi dai, un amore che non investiga, grigio è il passato di ognuno, se non buio, con pochi barlumi, come il mio è stato. Chiuso ero in un egoismo ombroso, diffidente dell’umanità incontrata, schiavo del formalismo della scienza e delle sottigliezze da libri. Poi ho capito che amare è accettare l’altro qual’è, l’amore non giudica! Nella vita di ognuno scelte non limpide, abbagli per falsi luccichii, ma l’amore sa perdonare e scusare... Sì, l’amore tutto scusa, comprende, e tace. Non partecipa ad alcuno le debolezze dell’altro, ché non ne nascano pettegolezzi molesti nell’incomprensione degli ilari. Non chiede consiglio a chi non vive la vicenda e non può suggerire, è geloso di quel che sa, vuole custodirlo, proteggerlo, sa sempre il da farsi per il bene dell’altro e discreto provvede. L’amore non umilia mai, a volte suggerisce, cosa? Un comportamento, una via diversa, ma mai farà pesare quello che pensa sia erroneo, da rivedere, da correggere e dolcemente lo fa. L’amore non ha fretta, sa attendere! E pur verrà la reciprocità desiderata nell’affetto! L’amore è generoso, non ha scuse di prudenza, non ha falsi pudori, non accampa motivi di precarietà, quale sia l’epoca di vita vuol essere completamente e con dedizione per l’altro. Non esiste il più o meno, dà di se stesso di slancio, tutto. E se è così, se questo può fare nella generosità completa, vero piega a sé ogni cosa, la adatta, la coinvolge, la raffina, e il tempo persino dilata se s’è fatto esiguo, affinché incespi, faccia rigoglio, faccia froda, sì, anche là dove arido è un cuore, da umile, pianta gagliarda si faccia! E, raggiunta la sterpaia di duro cuore, ne vengano dai semi suoi, fiori! E l’amore sempre si rinnova, ché si nutre di sé, è un mondo di due, a parte, a sé, nascosto geloso, ché taluno non l’inquini e tenti d’avvizzirlo. Sì, nessun’altro lo può dischiudere, vi può vedere, l’amore è geloso! Oh santa gelosia! Ed è questo l’amore che ho ricevuto, da compagna semplice, chiara, tersa, che ancora si rosa di pudore, se le sto vicino, timida, supplice che le usi delicatezza, e s’imperla di lacrime se piccolo rimbrotto le faccio. Ecco, tutti i suoi capelli si sono ingrigiti, ma è sempre palpitante e nei momenti di tenerezza, ancora le tremano pure le parole. E se questo non è amore, io non ne so nulla e non posso donartelo, pur volendolo ardentemente, bella signora delle stelle, ma se lo è, il nostro dialogo dolce, vuole eternarsi e cerca intanto un posticino nella tua memoria, semmai il cuore tuo tocchi. E io che vero altro non ho, altro dono non ho per te, piccola donna del cielo, che i palpiti di questa piccola compagna, cui trepido aggiungo i miei, bizzarri talvolta. Sono essi per me? Sono per te! Sono per lei? Sono per te! Tu, che raccogli le vibrazioni degli astri di te innamorati, accogli fondendole in un unico canto, in un sol inno d’amore, queste piccole note aggiunte da cuori sinceri. E se prendi tra le mani quest’amore, mettilo subito nel cuore, ché non ti sfugga via, ché se dolce acqua raccogli,assetata in questa ottusa aridità d’affetti, essa desidera subito farsi parte di te! Forse così ricorderai tra le tue stelle questi poveri amanti che eros ed agape conoscono e anche ardore mistico divora quaggiù e permetterai si riconoscano, piccoli fiori del campo tuo diventati. Sì,fa che il nostro amore sia solo qui prologo di quello che sarà per noi là dove vivi, fa che non muoia questa speranza, ora che sera viene!

venerdì 22 giugno 2012

Il dio e il nulla

Ecco, nascendo, ci siamo affacciati a qualcosa, immersi in altro da noi, e, aperti gli occhi, da allora non sappiamo del nulla, così come di molte cose, che per congetture! Noi sperimentiamo, e talora amara, l’assenza e del nulla vaga idea abbiamo costruita nella mente, come vaghe quella del bello, del buono, del bene, assoluti. E ci hanno assicurato, ecco l’universo si espande, oltre, nel nulla, ma nel nulla fisico aggiungo. Cioè privo di materia e delle influenze che essa genera. Perciò è pur un qualcosa, che le accolga, altrimenti pensare dovrei che la materia ultima ai confini del niente, crei “ex nihilo”, cioè da esso, lo spazio in cui espandersi e il tempo necessario ad occuparlo, ché prima che essa vi giunga non c’erano. Cioè, non accade come se le galassie siano disegnate su un palloncino che venga gonfiato in una stanza-spazio di accoglimento, questo semplicemente non c’è. E fuori di questa illustrazione classica, dirò che c’è sì oltre l’universo, il nulla fisico di spazio, tempo e contenuti, ma con la proprietà di permetterli all’arrivo di quelle galassie lontanissime dalla nostra, che sempre più veloci gli vanno incontro. Noi, che siamo credenti, sciogliamo il mistero, con l’immagine che il metafisico, che è il dio innominabile nella realtà sua impensabile, corra incontro, compenetri, spiritualizzi il mondo, l’irrori d’amore. E tangibilmente il cristo e la madre sua vi sono giunti e vi permangono, è la fede! Aggiungo, poiché questa realtà supporta il male, ecco esso corre ad estinguersi nell’oceano del bene, che gli va incontro! Sì, ho questa personale mistica visione del tutto. Ma posso ripartire dalla constatazione che il nulla assoluto non c’è per me, io non so concepirlo! Allora il dire che tutti finiranno nel nulla è un’affermazione che, penso, occorrerebbe riformulare. Diciamo più onestamente che ci sarà, e solo temporaneamente, chi sperimenterà la nostra assenza. E come per me c’è stata persona che sognato m’aveva prima d’avermi, così, dolce compagna, mi riavrai almeno nel ricordo e visiterò i tuoi sogni! Ma forse per te rimarrò perfino tra le cose. Quelle del nostro quotidiano. E quando alla sera la brezza farà stormire i tuoi alberi, forse te ne verrà un brivido, ché come il vento carezzerà i tuoi capelli, lo assocerai al mio respiro tra essi in notti d’amore! Ma se queste immagini mi solleticano il cuore e forse son da te piaciute, come ora la carezza concreta che ti faccio,le dita tra i capelli, permesse sono solo dalla mia fede, e so che lo stare qui, l’averti incontrata e amata, sia stato il mio solo scopo e lo è...,e di più? Ma c’è di più qui? Ma torniamo, un po’ solo, al nulla assoluto, come problema. Ti ho detto che constatabili sono solo le assenze. Sì, qualcuno negli affetti, nell’amicizia, nel lavoro sempre sperimenterà una privazione. Ma la totalità di tutte le assenze, quelle già state in un tempo e in uno spazio ora mutati o svaniti, quelle senza nemmeno più testimoni, ma poveri nomi diventati, sebbene taluni rimasti nobili per le opere loro, ma che non è possibile nemmeno più associare a una morfologia, fattezze smarrite, foto perdute o per i personaggi famosi del passato lontano, solo ritratti fantastici, come le immagini dei santi e delle madonne, tante e diverse e talora neanche belle, nelle chiese nostre e perfino del figlio divino che commuovere vorrebbero i pii, e tutte le assenze che vi saranno qui o là a far pianto e rimpianto dei rimasti, dico tutte le possibili, compresi, gli animali, le piante,i fiori che hanno pur fatto incanto o semplicemente sono stati, e genericamente ciò che natura “ ad altri sensi destina”, fanno il nulla? Cioè tutte le nullità locali e temporali, fanno la nullità che par nostro destino comune? Ma ciò che resta pur caratterizzato da tutte le parcellizzazioni storiche e locali, non è il nulla, almeno non quello che definire vorrei. Lo stesso parlando di bene, bello, male, non posso onestamente definirli dalle loro espressioni, realizzazioni, qui e là nello spazio e nel tempo, valutazioni anche tutte opinabili, dipendenti dal momento storico e dal luogo e da chi le valuti coi preconcetti suoi e talora pregiudizi. Allora tutti i giudizi hanno un’incertezza aggiunta, la valutazione essendo solo personale. E la realtà che nessuno nega, che è? E’ l’insieme degli esistenti, cioè di ciò che ora vi è al mondo? Tutti per effetto di cause già state e che a loro volta producono effetti in potenzialità o in atto e preparano il mondo che, appena dopo, sarà. In verità posso dire solo che tutto è iniziato. Una totalità di cose, eventi, e altri ne originano e si succedono continuamente in una teoria che pare non aver fine. Ma posso affermare che la realtà è in quanto è? Essa è transeunte, dipende dal giudicante, che vi si include qui e ora, dipende dalle leggi provvisorie che ne permettano una valutazione più fine, propria degli esperti nei vari settori della scienza, o di quelli che ne fanno teorie globali atte a spiegarla tutta. Ma non è in quanto è! Potremmo postularla così, ma allora perché dovremmo essere più credibili, già per noi stessi, se invece dicessimo che c’è chi è, e lo chiamiamo il dio, e che l’altro ne deriva “ex nihilo”? E così anche resterebbe definito il nulla assoluto, come potenzialità da cui trarre, cacciar fuori qualcosa, ma per il dio solo! Qualcuno tentato sarebbe di rispondere perché le cose del mondo le tocchiamo, vediamo, le percepiamo, sono ora e qui, non chi sa se e dove, sì, poi e forse, per chi vuol crederci! Ma altri obbietterebbe che tutto è relativo, è interpretato grossolanamente o in modo assai fine, ma che in fondo solo riteniamo vero, cioè facente la realtà, la nostra interpretazione, quella grossolana immediata dei sensi, la sofisticata per le formule e il principi della scienza, contingente pur essa, però. Cioè noi non possiamo dire che la realtà è in modo assoluto, ma che vi è, ed è ora quale si manifesta alla percezione nostra grossolana,o sofisticata, ed è bella, o brutta, cattiva, o buona o cos’altro, ma in modo opinabile e contingente. E che ciò che vi è, o sarà ancora, o muterà in altro, in nuovo, o forse in già stato, già visto, toccato da altri che ce l’hanno descritto. Vi sarà ancora il tutto in nuova forma più evoluta o rimasta qual’è o regredita, chissà! Ma vi sarà! Quanto ancora? Finché lo spazio e il tempo ci saranno, separati da chi è in quanto è, il dio. E altro non so. Servirebbe se ne sapesse di più questo piccolo uomo, a sé e al suo piccolo amore? Forse! Ma meglio avrei speso il mio tempo nell’amare i due piccoli miei fiori, o a guardarli, come ora faccio nella tenerezza, il loro lasciarsi cullare a questa brezza al crepuscolo, e ridere gioia per me solo! “Prior, alter flos, in corde meo estote! Sic, hinc ego videbo vos quasi flores eius”!

martedì 19 giugno 2012

Pensieri per te

Quanti i pensieri, che solo ieri la mente tutta m’occupavano, per te, bella signora, e oggi poveri si son fatti pur i novelli, né le confabulazioni più vi suppliscono se ricordare i passati voglio! E se prima la speranza di vederti e conoscerti, qual il mio inconscio ti sogna, direttamente e facile s’esprimeva, ora or essa, che pur non scema, non lo può che poveramente. E se nullo effetto m’ha prodotto ieri, oggi che sarà, ché belle parole non ha da farne diletto? Oh quanto quest’amore, che non sa più dir di sé, simile è a quello che ho per la donna mia! Lì anche concretezze, che scemar vogliono nei soli sogni, e non compensate sono, ché anche carenza ho di parole, ma forse in tal caso è meglio tacere,ché il silenzio talora attivi il compenso di dolci ricordi! Ma come fa novello sole che, dopo duratura benefica pioggia, nuovi getti e boccioli incoraggia e ne verranno foglioline verde tenerello e fiori graziosi, a confortarmene la visita, ad amati alberi, così fa il sorriso tuo che appena or in sogno ho veduto, si continua al mattino, radioso con quello che la compagna usa nel saluto suo, e mi conforta d’averti pur dovuto perdere nel risveglio, ché fior ad altro fior s’è aggiunto! Ecco espleto veloci le piccole incombenze del mattino, pur la compagna ha da sé provveduto ai pomodori assetati, ma il gatto miagola alla mia vista per altro cibo e io vi rispondo sollecito... E a questa donna dico come posso, freschi pensieri e le chimere della notte le partecipo. Di quanto bella mostrata ti sei e malioso il sorriso tuo, che tu hai voluto che lei proprio per me continuasse al risveglio. Quest’ultima è immagine d’effetto, ché ella più tenera si fa e le tremano pur le parole e il suo sorriso, più dolce ora, non cela. Ecco è la tenerezza che vi fa questo vostro, bambino tornato al suo babillage, e che quel di sé che non balbetta, tace, ma intuir vi lascia e fino al brivido di questa. E la sua carezza ella prepara che seguirà le tante raccomandazioni per la passeggiata e il mio bacino a “pizzichillo”. Ecco la mia auto fedele ha già portato dal vialetto davanti al cancello e mi annuncia che oggi ci sarà polenta. E io forse invano le raccomando che poca me n’offra, ché il suo cibo per me, sempre più tondo mi fa! E mi chiedo che s’inventerà da te, ma forse solo arpeggerà melodie di Bach, cibo per anime! E ora le sue piccole labbra attendono che io le sfiori o indugi un po’ e gli occhi suoi pronti si chiuderanno per assaporare tutto di questo piccolo fugace bacio  pizzichillo, e, come al solito, non saprà dove mettere il naso, ma, fortuna, ora freddo non è! E’ rimasta così come ai nostri primi approcci, vane le tante lezioni d’amore, ma a me piace così e io vado via con lei e te nel cuore... Ed è bello questo mattino e oggi pure la novità di nere farfalle di bosco, punteggiate le ali di giallo e l’addome dello stesso colore striato! Ne richiederò il nome, come ogni anno, alla piccola nuora, nostra delizia, ma lo scorderò ancora! Ecco come questa mente è, come la vita, va via, è fatta così! Scrivi tu su questa tavola daccapo rasa, parole, sospiri, tutto!
Subito le scorderò, ma almeno saprò, se ci sono state, di che oggi felice sono!
Omnes foeminae meae flores sunto, illas in agro videbo ac amabo”!

sabato 16 giugno 2012

Brividi d'amore

E’ amore vero se palpiti e brividi non ha? Ma non è retorica questa domanda, e chiederlo a te sola, madre cara, potrei con chiara risposta, la mia storia d’amore per te raccontandoti come se favola sia stata, ché sol tu amor vuoi ti si debba, cercando te tra le altre donne e queste amando. Mai più fedele al tuo comando, mai di sì poca fortuna, ironizzo di me! Ma forse tanta ne ho avuta incontrandoti sicuro in quest’ultima! Che così debba essere io credo, perché tuoi veggenti credibili, occhi azzurri e bruna t’hanno vista e altri, occhi castano chiari e simile tinta dei capelli e io t’ho sognata neri gli occhi e i capelli, e non so s’altri rossa pure vista t’abbiano, verosimile se ciascun mistico a modo suo ti vede, ché è il subconscio suo a darti forma. Conferma è per me che sei in tutte le donne, tutte tue icone. E strana donna sei qui, ché è di nessuna di qui questo ripartire l’amore e ritenerlo per sé! Ma qui peregrini del tuo amore siamo e lo cerchiamo or qui or lì, ma gelose facciamo le donne l’una dell’altra, senza che tu lo sia di nessuna purché degna di dedizione! Ma quando amore sia sprecato per indegna, forse t’accorgi d’amare gelosamente tu pure! Ma non così delle donne là tra le tue stelle, gelosia qui valendo imperfetta fiducia o sentirsi traditi nel proprio amore! Intanto, donna amando, se distinguere i tuoi dai suoi brividi non si può, come sapere se ai suoi, i tuoi aggiunto hai, ricambiando amore? Dico di quelli della compagna mia, ché a lei ho detto “ sponsa mea esto!”. Ma ora so che l’ho detto a te, da sempre. Credo che lei di più non m’ami, o invece sì, chissà, visto che tradita, or non è molto, si è pensata, e questo credere l’amore in pericolo, forse ha fatto sì le aumentasse, vero paradosso, ma strano è di donna l’amore! Ma io ho così rischiato di perderlo completo e con esso te, e se ora freme per me daccapo, un po’ certo lo fa anche del tuo amore! E le dico, e a te lo intendo detto con lei parlando, sì, a te, ché so che le parole mie trasmesse da lei sono. Cara Eli, i tanti fatti passati sono tutti lontani per la mente mia e io me li richiamo per analogia e sono sempre da parole, cose, accaduti del quotidiano. I tuoi, ché tu sei il mio giorno! La notte no, ché ormai è spesa da ciascuno nei sogni propri, ma so che lì pure per anamnesi ci cerchiamo per amarci, almeno a me capita! Ma se m’accade, sperar posso che tu di simile sogni! E so che forse ridi di quel che ora dico, ma se non è adesso questo vero, e solo voglio farti così sorridere, sarà, spero non proprio a breve, e occorre rassegnarsi al paradosso! Quale? Concretezze tra poco solo nei sogni! E tu intanto vero incapace sei a celarmi i brividi che perfino le parole mie ti destano a volte e le carezze di cui mai stanca sembri. E ti accarezzo anche nei sogni e lì altro ancora, vero da te piaciuto! Ma se sempre pronta sei a dare ciò che ricevi, così mi ricordi una bambinetta, ma dai capelli d’oro. Ma tanto tempo s’è interposto e tante volte l’ho sognata nei momenti bui, che non so quanto autentico ne rimane o confabulato v’ho aggiunto! Ma è così che divengono i bei ricordi quando, magnificati sono da aridità o amarezza o per quello che tra due, che si dicono complementari, talora, ed è forse di proprio oggi così per noi, s’insinua, ché tu arrabbiata sei per le solite mie dabbenaggini! Io venivo alla sua scuola pensando che fosse quella di una brunetta indifferente, per sospirale una qualche attenzione... Ma fu ella ad avvicinarmi, forse pensando a lei rivolte le mie insistenze e che troppo timido fossi, per osare di più. Non ricordo che altro fu lì lì, né le parole sue, ma che presi ad aspettarla in un posto convenuto. I nostri incontri erano tutti brevi, ma di molte parole,le sue. La mano mi porgeva infine tremante al nostro ciao, come se adulti fossimo formali e anche perennemente ai primi approcci. Ma finì con farmi carezza e io audace col baciarla sulla guancia ai nuovi “ciao” e si sarebbe detto, e creduto, che trepidanti tutt’e due aspettassimo di poter dire quel saluto per quell’effusione finale! Quanto durò? Poco, troppo poco! Un giorno venne e più strani mi parvero i discorsi suoi, ci saremmo incontrati quando uccelli fossimo rinati e altre vaghezze simili, da farmi lì lì pensare a nuova fiaba d’amore, ché di simili inventava per me, e ne raccontava come si fa dei sogni, attingendo sicuro alla sua fantasia accesa. Poi la piccola mano mi porse e tremante, e fece la solita carezza assai dolce e lunga, sì, assai lunga mi parve, ella indugiando sul mio viso, ma non volle la baciassi al solito modo, ma che le mie, le sue piccole labbra sfiorassero, come in un amore adulto! Poi fuggì via. Né più la rividi. Invano l’attesi, invano anche all’uscita dalla scuola, dove non voleva più l’aspettassi, temendo forse delle compagne il motteggio. Solo molto dopo un’amichetta, forse pietosa, credo mi disse che Oriana od Orietta od Or, ché così voleva io la chiamassi, era partita, il papà essendo militare. Presi a odiare tutti i militari! Ma che ricordo di quell’amore ingenuo e acerbo? La carezza dolce della mano sua piccola e fredda, il suo visino, ma un po’ solo, tutto lentiggini, che le mie labbra sfioravano tremanti o che tremito mi trasmetteva, e che al solo bacio in cui potei stringerla, piccole dure mammelle in boccia mi punsero petto e cuore. E altro non so vero, se non che i capelli tutti d’oro aveva, appena striati di castano, da forse farsi chiamare Or e gli occhi belli cerulei, poi che piccola era e tutt’ossa pareva. “Or” per cosa invero stava? "Oro" davvero perché bionda, "ora", sì per amore che sarebbe durato poco, o diminutivo era del nome vero? Io non lo so davvero più! Ché, ripensando all’accaduto, ella doveva sapere dell’imminente partenza dei suoi e forse per quello m’aveva avvicinato, rompendo la mia presunta titubanza di troppo timido, e creduto già innamorato. Non lo seppi mai. Ma anni dopo mi accadde d’analogo. Più che adolescenti eravamo, ma lo stesso epilogo ci fu senza speranza subito però e, lì lì, fugace stretta di mano da me richiesta, ma non carezza, non bacio. E dire che pur questa m’aveva avvicinato da sé, deluso io dal comportamento della solita irraggiungibile brunetta, che al primo presunto appuntamento tra le braccia avide di altro corteggiatore trovata avevo, a un ballo di fine estate e m’aveva spezzato il cuore! E giurato avevo, invano, che mai più di femmina fidato mi sarei. Strano però quell’amore di strana ragazza! E sicuro senza suoi fremiti, poco sostanzioso, volutamente credo, e tenuto sempre un po’ gelido senza palpiti, come temesse di vero innamorarsi, o che io troppo di lei lo diventassi e le limitassi la libertà con la mia gelosia, che mai ad alcuna invero ho nascosto. E una sola volta parve abbandonarsi, ma io non pretesi di più che brividi e le solite effusioni... E ci furono! Feci bene! Chissà ora mi dico, ché forse solo temevo che se maggiore fosse stata la mia pretesa, subito persa l’avrei, o forse che da allora in poi tutto più naturale sarebbe stato come tra due accade, che convinti si siano dell’amore sicuro ricambiato! Ma perché così non andò, perché poi vero la persi? Si può volere un po’ di bene anche così, sempre poi fredda restando? E se bene vero era perché non dirlo, anzi gridarlo? Perché la sua rinuncia a me, dovette invece sembrar abbandono da parte mia, a tutti? Ma che voleva vero da me, che pure supplicata l’avevo di non rinunciare a me? Perché poi si disse meravigliata del mio comportamento quando a te le mie attenzioni avevo rivolto? Mai lo saprò, ma dopo anni una volta tentai di chiederglielo, all’università incontrata, ma indirettamente, dicendomi, nel nostro passato rapporto, il solo innamorato. E ne sorrise, ironica e io credetti di capire, ma non volli insistere, che altro ne avrei avuto da una che aveva giurato che mai saputo avrei se pentita si sarebbe d’aver rinunciato al nostro povero amore? Ma non ho mai desiderato che si pentisse, significando per lei questo solo infelicità, e il mio ricordo di lei è tenero lo stesso, e la ringrazierò, all’epoca dei perdoni, del poco bene donatomi, amore quasi sempre senza brividi, però, se amore! Sì, ho amato la donna celeste, nell’ingenuità sempre e nella sincerità, prima un vero tenero piccolo amore da bambino,tutto brividi e occhi per gli occhi, poi uno strano senza, che felicità d’un freudiano farebbe, se analizzarlo potesse! E di altri amori mi taccio, temo il ripetermi. Tutte bambine o ragazze problematiche, o tali perché io lo ero e l’esito, uno scontato abbandono! E io sempre più determinato a non fidarmi e poi relapso ancora! Ché dopo molti anni anche ho finalmente avvicinato ancora la brunetta, or bionda fattasi, ma nulla di Or, bionda di suo e vero innamorata! Altro amore incipiente, ché sol tu così creduto l’hai, e finito quasi subito. Perché? Ho io calamita per donne strane? Forse no, ben strano sono io solo, ma io mi son uno che mai a te rinuncerebbe, che perdoni la mia stranezza! Amori tutti senza fremiti, questi aggiuntivi! Ma sono stati amori? E ora so, donna dei fremiti, che tu sola vero m’hai amato e la bambina bionda all’epoca dell’ingenuità e della felicità per nulla, tutt’e due frementi d’amore, e che ti incontrerò nell’altra vita, cui basta che uno solo di noi due creda! Sì io lo credo, ché se dubbio ne avessi non vorrei più vivere, sapendo di dover perdere te pure! Ma sarà per piccola ora, se la favola, che la madre detta ai cuori, vera è, ché “semper fidelis” rimasto sono, un po’ per scelta d’amore, e lo so sincero dai tanti fremiti che t’ho ricambiato, un po’, confesso, per destino, quasi donna dal cielo, provveduto abbia che non mi smarrissi mai, facile cedevole alla tentazione di lusinghe da femmine, sapendomi. E la biondina che m’aspetta uccello? La rivedrò nella forma degli angeli, uccelli di paradiso, e le altre pure così mutate. E riuscirò ad amarle tutte? Se le riconoscerò, dal momento che nel luogo dell’amore si ci riconosce per amore! E allora sarà, ché lì amor non si consuma e nessuna donna è gelosa d’altra, e tu pure! Vero? Ma se tu lì, per mettermi alla postuma prova, volessi saper di noi in questa vita, fingendotene dimentica, che ti direi? Mi piace ritenerlo possibile, gelosa sempre sei stata, quasi come donna di “Sardinia”, e di me, che non lo sono meno e di te, di quella generosa terra oriundo! Ma c’è qui vero amore se non geloso? E lì, non so, sol forse come residuo di qui, perdonato subito da chi ci conosce veri innamorati e gelosi dell’altro qui! Ricordi quella canzone napoletana: “Era de’ maggio”? Lì due innamorati nel tempo di maggio, s’erano separati temporaneamente e al ritorno dell’amato al maggio novello, sospirato atteso da quella, ella era titubante, non sapendo se fidarsi poteva, e lui pur riesce a riottenerne l’amore, dicendo che: “ammore vero, no, nun vota vico, d’ te bellezza mia m’annammurai si t’ha ricurd’ nanz’ a la funtana, l’acqua là dint’ nun se secca mai! E ferit’ d’ammore nun se sanen’ “, cioè: l’amore vero no, non cambia vico, di te bellezza mia mi innamorai, se ti ricordi, davanti alla fontana. L’acqua là dentro non si secca mai! Non si sanano le ferite d’amore... E come le mie potrei io sanare, se non lì, tra le stelle dov’è sempre maggio dai freschi “mai”, se non riavendoti e, per questo, rispondendoti:
solo brividi sono stati, brividi d’amore, anzi “d’ammor”, la nostra altra vita!
E dati a te ho i miei, ma di più ne ho avuti da te, sì, tu me li hai dati per tutte e di più nessun’altro ne ha ricevuti, ché quelli della madre celeste, trasmettendomi o anticipandomi, pur fin da questo mondo hai permesso miei!
E che più a uomo si può dare?
Ecco questo dico alla mia Eli, come ultimo racconto d’amore, ultima favola. E amore è per lei, e amore è per te, bella signora! E se non lo è, che cosa è l’amore, “l’ammore ca è”? Ditemelo, non burlatevi di me, come in eterna schermaglia d’amore, e vero talune qui l’han fatto, sì, di questo vostro eterno innamorato! “Sed flores agri estote!”
E io, vento fattomi, vi farò carezza!

domenica 10 giugno 2012

L'embrione

Mi proverò oggi a far metafora per noi due, dolce madre, di come accada che io t’ho in me, e tu mi porti dentro di te. Lo tenterò immaginando il racconto, sempre nuovo e affascinante, che natura recita con versi senza detti umani, quando essa scrive poesia a novella madre in attesa, ché nel seno suo ella ha piccolo grumo d’amore, che essa sta mutando nel dolce bambinetto sognato cui ella per prima riderà amore quando, vista la luce, esso le risponderà lì lì solo coi vagiti suoi. E simili versi scrive ad ogni madre in simile attesa, quale la specie sua, che perfettamente li intenderà, quel suo linguaggio suadente dentro dispiegandosi. Ché nessun altro può capire il suo messaggio personale la cui stesura dura quanto il tempo d’attesa, se non chi lo avverte trasmesso dentro di sé, con le mille sensazioni che la nuova vita le suscita. L’esperto forse può intuirne, ma la lingua non sa bene che dirne, ma io tenterò e la presunzione mia l’amore tuo scuserà. E oggi ho ricordi vividi di fatti lontani e mi rivedo a medicina ascoltare un’insegnante di rara sensibilità. Traduceva per noi quegli stessi versi, parlando estasiata dell’embrione in formazione. Tutta bella pareva e tenera e splendida e le si velavano voce e occhi. Non ho più vissuto niente di più commovente favola recitata!
Ecco nell’utero gonfio d’amore tutti gli organi in formazione e già dal primo mese il cuore, nelle cui cavità migrano cellule specializzate pulsanti a coordinare le contrazioni delle pareti sue e darne già battiti di riconoscenza alla madre. Sì, già rispondendo amore a quella che ne ha per lui fin dalla conferma della nuova vita in lei, forse agognata fin dai giochi di bambina. Eppoi gli occhi che pur non vedono e l’udito che alcun suono avverte e i polmoni cui manca il respiro, ed è afona quella bocca, e l’intestino non prende alimento e di simile gli altri organi preparati in lavorio continuo alla vita di fuori, nulla funzione hanno nell’attesa della completezza. E la madre vede per il piccolo suo e se quello non sogna forse che vaghe sensazioni, lei lo fa per lui, gioia e bellezza per i sogni veri che verranno. E ancora sente per lui e respira e s’alimenta, ché linfa benefica il suo sangue porti all’amor suo. E parla a lui e gli fa dire già nel babillage con cui le significherà amore, le risposte sue. Io non so ben dire cos’altro accada in quella simbiosi, ché donna non sono, ma penso che le colleghe mie che assistevano a quelle poetiche lezioni alla scuola di medicina, abbiano potuto rivivere e ripercorrere, nell’attesa loro, le principali tappe della nuova vita che in loro si formava, riascoltando nella mente la melliflua voce di quella cantastorie. Ma io so quello che m’accade tenendoti nel cuore e portandoti qui e là nelle mie lunghe passeggiate. Ti parlo, non mi sento mai solo! E una finestra t’offrono i miei occhi su questo mondo tutto bello in tarda primavera. Ecco, vedi e senti quello che io vedo e sento e ti tocca, inebriandoti come a me fa, la fragranza di cento fiori e ti commuove il canto di uccelli in amore e ancora ecco il volo di danza delle farfalle e il brusio dei bombi e ad azzurrarsi per il cielo le rondini, e se immagino della donna mia il sorriso tu lo vedi con me. Ma se t’ho qual sei nella realtà tua, io, che qui sono completa persona, per quel mondo, per quella tua realtà, che spero sarà mia, sono solo in formazione. Tu mi tieni dentro di te crisalide e ne uscirò farfalla! E nulla so di lì, ché niente ne dicono, forse che intender non potremmo, i santi cui ne anticipi forse la bellezza. E per la vita futura non ho occhi, né orecchie, né respirare vi potrei o nutrirmi del cibo e del canto mirifico degli angeli tuoi. Tu lo fai per me, ché sono l’embrione tuo e mi sogni lì pronto a recepirne la luce e vederti e udirti e a risponderti amore per amore. Avrò degli angeli la forma e del figlio tuo il corpo!
Io non so meglio dire e troppo forse ho spinto l’immaginazione mia, ma la compagna mia, che ha sentito dentro crescerle la vita e sognato la gioia da condividere e il riso da ricambiare con sorriso e pianto da consolare dei figli nostri, vedendoli, anticipandoli nel cuore suo, meglio illustrerebbe questa metafora d’attesa. Ed è per questo che so che ogni donna è tua icona, raffigura, esprime in sé la stessa tua dolce attesa di figlio amato. Sì, non c’è icona più fascinosa della donna concreta e di tutte le madonne dipinte o comunque effigiate, intagliate, scolpite da abili mani, più bella, più degna, più veritiera non v’è! E noi che ti amiamo, ci illudiamo di portarti le nostre donne! Sono loro che lo fanno, loro portandoci in seno, come già i piccoli loro, ché specchio tuo sono, fanno quello che fai e se tu dentro m’hai, la donna mia m’ha nell’utero suo! E mistero più dolce non v’è!

giovedì 7 giugno 2012

La santità

Il mondo, la realtà in cui siamo immersi, ha una rappresentazione dicotomica in ognuno, come se di due realtà antitetiche si tratti e chiamiamo l’una bene,l’altra parte male. E quanto vi facciamo scrive per la coscienza nostra del nuovo per l’una o vi sottrae per l’altra, ma v’è di più. Ché in questa rappresentazione soggettiva quanto vi modifichiamo, resta, o agendo in concreto nel mondo di cui essa è immagine, illustrazione, e così l’interpretazione adattiamo e aggiorniamo, ché il brutto aggiunto immiserisce e il bene arricchisce ciò che ci circonda, oppure anche solo sperandolo, promuovendolo, in qualche modo suggerendolo se di bene si tratta o di simile comportandosi nella malizia. Ché anche ciò che parte dall’animo nostro, dai nostri propositi, dalle nostre intenzioni, si proietta comunque nella realtà con conseguenze di bene o di male oggettive, non illusorie, di cui coscienza prendiamo. Ecco un fiore, c’è chi ne sugge nettare, chi ne asporta polline, chi se ne inebria per la fragranza, chi lo ammira estasiato, chi non ne sa leggere la bellezza, lo trascura e passa oltre, tutti ne traggono qualcosa o in concreto o per l’animo loro o gli sono indifferenti fin forse all’ottuso disprezzo. Ecco c’è chi ha ricevuto un torto, un danno, un abuso, ché qualcuno ha prevaricato, altri lo compiange e se ne duole, altri sogghigna malvagio ché rallegra l’animo suo perverso, ancora nel male un subire diretto e un condolerne o un maligno compiacersene. Così non solo ciò che ci fa reagire provoca in noi la sensazione di bene o di male, ma di simile, ancora come reazione a ciò sembriamo all’altro, provoca ciò che dentro ci spinge, ci motiva. Perché sarà non solo per l’agire diretto che cambiar si può un evento che l’altro riguardi, e che perciò accadrà in un modo anziché nell’altro, ma anche indirettamente. E sarà in conseguenza del dire, dell’esprimere il nostro, per il proporci in un certo modo all’attenzione dell’altro, alla sua valutazione, al suo giudizio, e poi ancora sarà l’agire con gli esempi che ne sappiamo dare o con la carenza d’essi o per la ricchezza di quello che dentro sentiamo e che l’altro avverte, o con la cattiveria che dentro celiamo e dissimuliamo ipocriti, o per cos’altro ancora? E già questo sa di miracolo, ma v’è dell’altro! Per piccolo che sia il nostro personale contributo, verrà come amplificato nelle conseguenze e perfino potrà far cronaca o storia addirittura. Ecco la meraviglia! L’iniziativa, quale sia di bene o di male, comporta altro bene o male come fa sassolino che per un’erta cada e con sé altri ne trascini. E’ questa o l’immagine del danno, della rovina inesorabile di tutto, o del nuovo, del buono travolgente, che tutto muta in bene, in meglio, in più bello. Ecco in una sterpaia scavano una gora, l’acqua inonda, forse farà una fangaia, oppure, ben utilizzata, beneficherà di piante e fiori, l’arida desolata dimora prima forse di oziosi insetti. E ora bombi operosi e farfalle vi sono subentrati a riempire pupille e cuori. Ché quello che desideriamo di bene o nella distorta tendenza al male si realizza in qualche misura. Perché? Che lo permette,o chi lo consente o lo vuole? Le realtà soprannaturali rimangono sempre oscure, intangibili eludono la nostra esperienza fisica e psicologica, ma la fede illumina se siamo volti al bene. Io del male non so se non per essere sua vittima, e non so ben esplorare cosa accada in mente distorta che lo agogna per l’altro. Il solo vero peccato, credo! Ma so la volontà di bene, che completamente mia vorrei. Essa suggerisce che qualcuno ha scavato solchi e li ha già bagnati di sudore o di sangue, attendono ora semi di pace e ne verrà la vita e questa inghiottirà la morte, estrema conseguenza del male. E’ quello che ha fatto il figlio tuo, dolce madre, e tu li hai fecondati delle tue lacrime! E se vero predisposti siamo alla pace, ecco ne viene nuova giovinezza dell’anima, quale l’età di vita e ne palpita freschezza che bene ridesta in tutte le cose. Egli è quello che fa nuove tutte le cose e noi alla grande sua speranza diamo qualcosa, opera o rinnovato sogno che sia, purché, se così, di trasmetterlo siamo capaci, che altri lo raccolga e lo concretizzi! Ecco, abbiamo pur seminato in quei solchi, avremo, al tempo della mietitura, meritato raccolto da quel campo! Non solo così vediamo nuove le cose e belle e lì lì fiorite, ma ecco noi vi abbiamo contribuito quei solchi lavorando, mettendoci del nostro. Come? Con l’amore sempre, comunque! E’ esso come acqua invano trattenuta dalle mani atteggiate a coppa! Io non so meglio definire la santità, non l’eccezionale del grande imitatore del figlio tuo, ma la comune possibile per tutti. E’ predisposizione al bene, sognarlo diffuso, contagioso, desiderio che dura quanto la vita. E’ preghiera di una vita, è vita di preghiera! E il bene posseduto si scopre amore per tutti e tutto, e sfugge, va via, cola via come acqua, coinvolge, contamina, produce gli effetti suoi di bene, di buono, di bello! Dove? Nel campo tuo per i poveri tuoi. Ama e fa ciò che vuoi, ha detto un tuo santo, tutto sarà nel bene! E sarà atteggiamento per la vita tutta, comunque eroica. Tanti i contrasti, le opposizioni, le ambientali, le storiche e in tutto l’appesantimento della presenza di saccenti delle cose tue con le ingerenze loro! E poi l’egoismo che s’oppone, la paura di sacrificare per l’incerto il poco tenuto stretto, vitale creduto, e ancora la paura di non farcela a migliorare d’un po’ solo questo mondo brutto. Ma quando questa sensazione sgradevole vuol prevalere, ecco un tuo pungolo a rialzarsi, che caduti nell’inoperosità siamo. E’ sempre una sensazione di troppo tempo speso invano, impigriti nei ripensamenti e nelle cautele, nell’ignavia mortificatrice, sì, c’è qualcosa che dentro ci grida: avanti! E la nostra azione rimane pur povera, da deboli, incerti, sprovveduti, ma c’è uno sforzo continuo d’adeguamento, ché il figlio tuo suggerisce l’oltre, il più in là, mai contentarsi del raggiunto, ci sussurra. E’ ben dura quest’erta con una soma in più, quella di concretizzare il desiderio di bene, l’amore. E tu sussurri al cuore, dolce, lo sostieni, l’alimenti e forza gli dai. Ecco a me palpita giusto se dentro scopro d’averti, non fa più le bizze di quando a me penso o solo degli affetti miei ho cura, mi consente tregua se per gli altri adopero il mio tempo, interesse, studio, lavoro, dico solo perfino. Ma non scopro che balenii della spirituale bellezza che sei e mi dai. Ma se incapace anche così di vera sequela, è perché più che di forza manco di vera fede! Dammela, sii buona con me! Ma ecco il pentimento per una vita mal spesa o non spesa, ecco la svolta, da te certo voluta. Tu il candore così mi ridoni che avevo bambino e una freschezza come di radioso mattino mi fai nel cuore e tu sole vi sei di tiepidi raggi e luce, e ripeti che posso osare. E daccapo ho la speranza, quella che nasce nell’ingenuità di bambini di poter fare grandi cose, tu la sostieni, l’alimenti. E faccio forse ben poco, ma ho l’illusione che con mani robuste e grandi, abbia prodotto lo sperato. Tu mi dici: ecco hai pur dato! Quando, come, quanto? Il tuo desiderio di vita e di bene t’è traboccato dal cuore, mi rispondi, tu l’hai fatto concreto! Mi illudi soltanto, ché buona sei? No, io non vivo, io non prego, sei tu ad avermi preso! I tuoi sono gemiti inenarrabili che veicolano il desiderio mio. E ciò che ti trabocca dal cuore m’inonda ed esonda da me e ha conseguenze di bene. Non può non averne, basta star all’unisono con te , ne viene, ne scorre il bene! Ecco sono ben forti queste mani, lavoro con esse, costruisco con esse di buono, di bello, di bene e ben misurate, opportune, conte sono le mie parole, non inutili orpelli, ma le tue stesse essenziali e sempre significano solo benevolenza, indulgenza, amore per tutto e tutti. Ecco piccolo dono offro dall’indigenza mia anche morale, e me ne viene gioia, è piccola, è grande già, non so! Ma per me solo alla morte del tempo, quando mi sarai di fronte, coagulata dal mio cuore per farti vedere, sarà piena, quella degli altri che ami. Fa che non vi sia solo, ma la donna mia con me, tra i santi tuoi!

domenica 3 giugno 2012

Il male vero

E’ qui il vero male altrettanto raro quanto il bene? Sarebbe una fortuna poter vivere certi della sola banalità del male appena, e quello di più peso ritenere minaccia fabulosa del figlio tuo per spronarci alla bontà, sì, una possibilità nefasta, ma improbabile. Invece non è così se il male vero, quasi sempre piccolo e insignificante all’apparenza iniziale da parer facile sciogliersene, ci prende ignari e impreparati, ci attanaglia e ci fa piangere e può uccidere anche l’anima. Banale è invece l’imbattersi facile nel minore, quello del quotidiano, e non solo per gli sprovveduti. E c’è una cattiveria che par svelarsi in certi giorni, situazioni di quelli, fatti accaduti in essi, luoghi frequentati allora e più comunemente loro personaggi, che sa ben fare il danno suo, quasi che da arte di malizia d’un invisibile regista vengano fuori le circostanze avverse, mai singole, ma in sequenza come concatenate a insidiarci la serenità. Ne risultano piccole stonature, disappunti, inquietudini, disagi, ansie, che però distruggono la pace e fanno un cumulo talvolta intollerabile in personalità predisposte all’avvilimento. Ma sono momenti particolari, giorni appunto, neri di sfortuna verrebbe da dire, poi di nuovo apparteniamo alla comune durezza del vivere, con i comuni disagi, le comuni difficoltà nel procedere per l’erta della vita e siamo tentati di pensare, passata l’angoscia, che quell’interpretazione cupa, eccessiva con cui abbiamo riassunto la negatività, che apparente ha seguito i nostri passi, sia stata mera superstizione e il soffrire che ne è derivato, su cui c’è perfino chi sorride bonario della sintesi che ne facciamo per partecipare il nostro accaduto, non è incontro con il male vero, quello ottuso e duro, senza scampo, chiuso. Sono invece le bagattelle del male, pericolose comunque, ma non è il vero incontro, non è il faccia a faccia col male autentico dal volto irripetibile, è indistinto questo male comune, non ha faccia definita, non è la perfidia, non è persona, cioè una realtà spirituale per la fede, che esiste indipendentemente dalla nostra coscienza e sensibilità recettiva. Invece è piuttosto una nostra interpretazione, la proiezione d’un turbamento interiore, non ha vera oggettività, o anche, dal punto di vista religioso, è una conseguenza indiretta di qualcosa altrove ben espressa, oppure occulta, ma occhiuta e tramante. Io voglio qui dire d’un altro male, che si coagula in altri fatti ben più gravi. Per averne idea occorre pensarsi in quella sensazione penosa di completa impotenza, che segue al contatto con l’orrendo che si deve subire, scemi di difesa, senza veruna luce, in angoscia. Sì, così è perché depauperati di tutto, della dignità sopratutto, in una situazione di completo disagio, significhi esso malattia estrema nell’abbandono disperato, o vecchiaia desolata, manchi di conforto di piccolo bene o di pietosa parola e così trascinarsi e dover vivere. Oppure perché nati strani nel corpo o nella mente e non conoscere, e da sempre, che la separazione dagli altri, l’allontanamento dalla vita comune, quella anche solo mediocre, ma di tutti. Sì, quelli del buio sempre, che al dolore fisico e psicologico uniscono la coscienza di patire disgusto dai normali. Ecco, madre, il vero povero in una privazione che nemmeno il figlio tuo ha toccato, ma che certo ha completata aggiungendovi la sua sofferenza immane. Parlo del deforme nato o fatto così da uomini malvagi, che mai conoscerà amore se non appena le pietose attenzioni di anima buona femmina che gli presta l’appena, per poi fuggirsene alla normalità, alle sue quotidiane cure o bagattelle, da cui trarre conforto, veduto l’orrore, come quell’infelice ne ha tratto dalle piccole azioni offerte, vedendo e avvertendo, luce un po’ e tepore perfino di calore umano. Ecco, i nostri piccoli o grandi dolori che ci fanno gridare alla tua attenzione, sanno di esenzione, di fortuna perfino di fronte a quella radicalità tanto patita. Oh quanta rabbia fa e quanta oscenità c’è invero nell’indifferenza, che i più, i ben o meglio nati, quelli da ben altre frequentazioni di vita, che ridono loro ben generose, hanno verso il negletto dalla speranza, e quanta ne fa il loro non aver nemmeno sentore della sua estrema sofferenza o poterle credere semmai avvicinata, come convinti che il deturpato dalla sorte abbia compenso da una deficiente intelligenza sempre, oh fosse così! E io ricordo un caso all’epoca dei miei studi di medicina, quando m’occupavo di bambini. Era in quella clinica universitaria nato un infelice, ché tale sicuro sarebbe diventato, ma che lì lì non lo sapeva e faceva mille feste sorridendo a chiunque gli si avvicinasse e sgambettava e le braccine anche agitava forse per essere in braccio tenuto e trastullato. Lo tenevamo in studio già da mesi per capirne l’anormalità cromosomica e la penetranza di quella anomalia non nota. Un‘infermiera mi sorprese commosso a quella vista, a sostarvi più del dovuto, e mi confortò dicendo che mi sarei abituato e sorrise, amaro però, chissà cos’altro ricordando di fatti dell’esperienza sua. Io non so chi altri può aver sperimentato su sé una radicalità cosi estrema del male creduto persona. Sicuro gli internati nei lager. Eppure il loro gridare tanto forte non ha schiantato il mondo, né quello del figlio tuo morente di cuore spezzato! Non so vero quello che provavano quei disperati, ne ho forse pallida idea da certe situazioni che m’hanno coinvolto già bambino. Ecco me ne faccio metafora col mio vissuto all’epoca dei fatti dolorosi che via portarono il fratello amato. Per tutti invece vorrei visto nell’immaginazione un ragno che sta all’erta delle vibrazioni anomale delle sua tela, attento ma come in disparte. Si precipita sulla vittima, ai disperati tentativi di quella di sfuggirne, e la intesse tutta in un bozzolo per mangiarla più tardi. Ecco se quell’insetto alato, che poco prima svolazzava ignaro, potesse gridare, ebbene griderebbe la disperazione sua, la rabbia sua col grido di quegli internati. Invece peggio gli capita, è afono! E sono come afoni i deformi, i senza voce più miseri, perfino figli dubitati del dio lontano! Ché ricordo ciò che riteneva la norma un vecchio prete, quando non i vagiti della gioia seguivano al dolore delle partorienti, ché tutto avveniva in casa, gli ospedali inesistenti o lontani, ma la disperazione per l’orrore. Chiamato al nato deforme per l’accesso al cielo degli innocenti, diceva di aver battezzato sempre ma sub condizione con la formula: se sei capace io ti battezzo.... Oh orrore! Respinti dallo stesso paradiso!E che li avrebbe voluti se non il nulla e allora sì, meglio l’aborto! Sì, ben dice l’autore biblico, nulla ha esso visto, nulla ha conosciuto eppure è stato più felice, ché la faccia orrenda di questo mondo non ha veduta! Ma tu un tuo santo hai mandato a correggere gli errori vistosi del comportamento impietoso di certi religiosi e ora femmine forti, ardite seguono le orme sue d’amore. Ne vengono da tutti gli ordini, cura sollecita, amorevole si prendono degli internati che la società dei normali rifiuta, sì donne straordinarie per destini tragici! E io ne scrivo e piango! Oh madre cara, perché mi hai fatto tanto mediocre, di poco coraggio? Occupato nelle mie bagattelle e rivalse che mai metterò in atto, miope volutamente dell’appena accanto, dell’appena oltre. Perché non m’hai dato un cuore forte per assecondare una donna meravigliosa, che non so perché si dica ancora mia, che partir per l’Africa voluto avrebbe per assistere i bambini vinti dal male del momento? Ecco io vivo triste la mediocrità mia, ché me ne vergogno! Possa la misericordia tua aiutarmi “cum sit hinc exire”, ché uno sono che sa la sua miseria e ne piange, mio solo merito!

venerdì 1 giugno 2012

Amore il tuo

Tu hai naturale la tendenza a colmare le lacune d’amore e sanare le ferite che lascia a cuore deluso. Ecco, accade nell’amore non corrisposto o in difetto d’amore atteso, quando sì subentra profonda l’amarezza di dover subire il manco di bene, ma tu pronta vi supplisci non solo consolando la passione tormentosa o follia d’amore, ma lasciando capire chiaro che l’amore ultimo, vero appagante, cui tendere e da ricambiare, non è, se adolescenti per le eterne pargolette leziose più innamorate dei sogni loro e vaghe quanto in quelli le eroine loro, se uomini divenuti per donne senza più sogni, dure nel cuore loro disincantato, ma quello per te sola, ché in ogni epoca di vita nostro destino d’amore sei. E l’amore è paradosso, ché tu sei l’eterna innamorata e quando crediamo d’averlo perso, tu già sei subentrata all’affetto perduto, e il manco di bene s’è risolto in guadagno d’affetto così come il dolore della perdita, nella gioia del ritrovamento del bene, che ci viene accresciuto, misura colma e scossa. Sì, l’accaduto ci ha lasciati dispetti e scuri e il dolore ha insidiato l’umana capacità di recepire il bello, il bene, il divino perfino, che invero mai ci abbandona, ma poi la presenza tua ha fatto carezza ed è stata recepita palese e caldi raggi hanno inondato il cuore, capiti, percepiti al fine, e quando le lacrime più schermo non hanno fatto all’avida pupilla, ecco tua la luce inondare e con quella la pace e poi la gioia. E la risposta mancata, attesa trepidamente, s’è centuplicata al fine, ché tu hai risposto generosa al richiamo nostro disperato, ché te chiamavamo, quel nome pronunciando ossessivo, senza saperlo. Ecco noi siamo sempre amati e non lo sappiamo, e ci vediamo nell’abbandono! Ma come tentar posso di dire l’inesprimibile, l’avvertir dell’anima quello che sei per essa nella carenza e come capace diventi essa di consapevolezza del tuo supplire al bene che le manca, al bello che agogna, ma che tu sola significhi, e al buono che donarle vuoi generosa dalle mani tue d’oro? Tenterò di dirlo per metafora, sentendola in me dono mirifico e non trovando acconcie parole! E pur dico. Qui talvolta fiore nasce tra gli sterpi, ma questi prevalgono col rigoglio loro selvaggio e soffocano l’umile pianticella che lo reca e quello pur fascinoso langue. Nessuno godrà della bellezza sua, né si inebrierà degli effluvi suoi. Non visto, non goduto altrimenti, triste destino ha ed è pur bello! Così è l’amore mancato, proposto e non accolto, una bellezza fine che perdere s’è dovuta per incapacità di apprezzamento e nella banalità del rifiuto, ché banalità è ogni male. Una cosa rara, di per sé degna di considerazione, negata dalla superficialità e insensibilità comuni qui nel mondo dei tanti luccichii e delle apparenze false, idoli, specchi del nulla. Ecco, cosa da far meraviglia, che possa pur qui accadere rara, come la fa fiore bianco che nasca da terra tutta nera, cosa trascurata, denigrata perfino da chi, insipiente o sciocco, non può commuoversi, tanto la grossolanità e la volgarità l’hanno coinvolto, nemmeno di fronte al miracolo. E che è l’amore se non miracolo in una terra grama che nega il bello e il buono, il bene trascura per il brutto e il cattivo? Ma come fa lampada, se candela o lume ne alimenti la fiammella, che consuma se stessa, cera od olio, ardendo, quindi vivendo, così l’amore arde e s’estingue se non raccolto e alimentato, pur luce e calore mandando a insensibile buio. Ma occhi vi sono, e sono i tuoi belli, che prezioso lo giudicano e per sé lo vogliono! E seme giace nella terra umida e fertile e decide di morire nel suo nascondimento, sacrifica sé per il sole, ché l’umile pianta che ne vivrà stendere possa le foglioline sue novelle al caldo afflato dei raggi del giorno, così l’amore in travagliosa solitudine riceve dell’humus divino per trasformarsi e farsi idoneo alla tua luce e al calore, che sono il vero amore. Muore l’amore per l’amore! Ecco tornano le proporzioni giuste, nulla è a torto magnificato come nell’amore offerto a persona indegna, vista grande da falsa prospettiva, e al dolore umiliante e cocente del rifiuto da parte sua, è subentrato un bene, una completezza nella dolcezza, una meraviglia nella letizia, e alla prova di un’ora amara, la gioia di occhi ridenti, che difronte stanno per noi soli. Ecco, la corrente della gora ci aveva portati in basso sotto occhi miopi e malevoli, ma tu hai permesso ci liberassimo da quel mondo di talpe, sotto fangosa, angosciosa suggestione. C’è per l’anima provata una dolcezza nuova, la notte scura è finita ed essa corre ad azzurrarsi nel tuo cielo, festosa al tuo invito d’amore e se altra notte sarà, miriadi di stelle vi verranno a far incanto! Ché le dici: sali su serena e fidente, vola a me anima mia, io t’attendo, sono io l’amore! E come talvolta il confuso esploratore di un prato non sa risolversi a cogliere fiore tra fiori tutti belli, ma che insoddisfatto lo lasciano ché di uno particolare sa d’essere in cerca e non sa definire che voglia, e poi l’attrae umile margherita di fulgida bellezza, così tu, perla inestimabile, lasci che lo sprovveduto amante ti colga nel tempo propizio all’amore, come questo è. E m’è accaduto e mi accade! Ecco, tu compensi l’attesa, se quello, come amante incerto della scelta, spende deluso pur tra tanta bellezza il suo tempo, e tu d’accorgersi gli permetti dell’umile fiorellino di campo, discreto, piccolo, ma fascinoso e quando ormai dispera d’appagamento, nato lì lì per lui proprio vuoi lo scopra nella meraviglia! E così, per me solo, un fiorellino è pur spuntato per questo amante insoddisfatto, è se stesso e te a un tempo, indicibile mistero di vita che al tuo mondo attinga. E vive appena, di poco si contenta, luce poca ne giunge e humus per esso, e viene la brezza dal mare, bacia vistosi fiori sgargianti nei colori loro magnifici e non nega carezza a impettiti papaveri perfino, ma al bel fiorellino prediletto l’afflato suo dolce riserva e io l’umile bella margherita scelgo e così te ho colto!