domenica 3 giugno 2012

Il male vero

E’ qui il vero male altrettanto raro quanto il bene? Sarebbe una fortuna poter vivere certi della sola banalità del male appena, e quello di più peso ritenere minaccia fabulosa del figlio tuo per spronarci alla bontà, sì, una possibilità nefasta, ma improbabile. Invece non è così se il male vero, quasi sempre piccolo e insignificante all’apparenza iniziale da parer facile sciogliersene, ci prende ignari e impreparati, ci attanaglia e ci fa piangere e può uccidere anche l’anima. Banale è invece l’imbattersi facile nel minore, quello del quotidiano, e non solo per gli sprovveduti. E c’è una cattiveria che par svelarsi in certi giorni, situazioni di quelli, fatti accaduti in essi, luoghi frequentati allora e più comunemente loro personaggi, che sa ben fare il danno suo, quasi che da arte di malizia d’un invisibile regista vengano fuori le circostanze avverse, mai singole, ma in sequenza come concatenate a insidiarci la serenità. Ne risultano piccole stonature, disappunti, inquietudini, disagi, ansie, che però distruggono la pace e fanno un cumulo talvolta intollerabile in personalità predisposte all’avvilimento. Ma sono momenti particolari, giorni appunto, neri di sfortuna verrebbe da dire, poi di nuovo apparteniamo alla comune durezza del vivere, con i comuni disagi, le comuni difficoltà nel procedere per l’erta della vita e siamo tentati di pensare, passata l’angoscia, che quell’interpretazione cupa, eccessiva con cui abbiamo riassunto la negatività, che apparente ha seguito i nostri passi, sia stata mera superstizione e il soffrire che ne è derivato, su cui c’è perfino chi sorride bonario della sintesi che ne facciamo per partecipare il nostro accaduto, non è incontro con il male vero, quello ottuso e duro, senza scampo, chiuso. Sono invece le bagattelle del male, pericolose comunque, ma non è il vero incontro, non è il faccia a faccia col male autentico dal volto irripetibile, è indistinto questo male comune, non ha faccia definita, non è la perfidia, non è persona, cioè una realtà spirituale per la fede, che esiste indipendentemente dalla nostra coscienza e sensibilità recettiva. Invece è piuttosto una nostra interpretazione, la proiezione d’un turbamento interiore, non ha vera oggettività, o anche, dal punto di vista religioso, è una conseguenza indiretta di qualcosa altrove ben espressa, oppure occulta, ma occhiuta e tramante. Io voglio qui dire d’un altro male, che si coagula in altri fatti ben più gravi. Per averne idea occorre pensarsi in quella sensazione penosa di completa impotenza, che segue al contatto con l’orrendo che si deve subire, scemi di difesa, senza veruna luce, in angoscia. Sì, così è perché depauperati di tutto, della dignità sopratutto, in una situazione di completo disagio, significhi esso malattia estrema nell’abbandono disperato, o vecchiaia desolata, manchi di conforto di piccolo bene o di pietosa parola e così trascinarsi e dover vivere. Oppure perché nati strani nel corpo o nella mente e non conoscere, e da sempre, che la separazione dagli altri, l’allontanamento dalla vita comune, quella anche solo mediocre, ma di tutti. Sì, quelli del buio sempre, che al dolore fisico e psicologico uniscono la coscienza di patire disgusto dai normali. Ecco, madre, il vero povero in una privazione che nemmeno il figlio tuo ha toccato, ma che certo ha completata aggiungendovi la sua sofferenza immane. Parlo del deforme nato o fatto così da uomini malvagi, che mai conoscerà amore se non appena le pietose attenzioni di anima buona femmina che gli presta l’appena, per poi fuggirsene alla normalità, alle sue quotidiane cure o bagattelle, da cui trarre conforto, veduto l’orrore, come quell’infelice ne ha tratto dalle piccole azioni offerte, vedendo e avvertendo, luce un po’ e tepore perfino di calore umano. Ecco, i nostri piccoli o grandi dolori che ci fanno gridare alla tua attenzione, sanno di esenzione, di fortuna perfino di fronte a quella radicalità tanto patita. Oh quanta rabbia fa e quanta oscenità c’è invero nell’indifferenza, che i più, i ben o meglio nati, quelli da ben altre frequentazioni di vita, che ridono loro ben generose, hanno verso il negletto dalla speranza, e quanta ne fa il loro non aver nemmeno sentore della sua estrema sofferenza o poterle credere semmai avvicinata, come convinti che il deturpato dalla sorte abbia compenso da una deficiente intelligenza sempre, oh fosse così! E io ricordo un caso all’epoca dei miei studi di medicina, quando m’occupavo di bambini. Era in quella clinica universitaria nato un infelice, ché tale sicuro sarebbe diventato, ma che lì lì non lo sapeva e faceva mille feste sorridendo a chiunque gli si avvicinasse e sgambettava e le braccine anche agitava forse per essere in braccio tenuto e trastullato. Lo tenevamo in studio già da mesi per capirne l’anormalità cromosomica e la penetranza di quella anomalia non nota. Un‘infermiera mi sorprese commosso a quella vista, a sostarvi più del dovuto, e mi confortò dicendo che mi sarei abituato e sorrise, amaro però, chissà cos’altro ricordando di fatti dell’esperienza sua. Io non so chi altri può aver sperimentato su sé una radicalità cosi estrema del male creduto persona. Sicuro gli internati nei lager. Eppure il loro gridare tanto forte non ha schiantato il mondo, né quello del figlio tuo morente di cuore spezzato! Non so vero quello che provavano quei disperati, ne ho forse pallida idea da certe situazioni che m’hanno coinvolto già bambino. Ecco me ne faccio metafora col mio vissuto all’epoca dei fatti dolorosi che via portarono il fratello amato. Per tutti invece vorrei visto nell’immaginazione un ragno che sta all’erta delle vibrazioni anomale delle sua tela, attento ma come in disparte. Si precipita sulla vittima, ai disperati tentativi di quella di sfuggirne, e la intesse tutta in un bozzolo per mangiarla più tardi. Ecco se quell’insetto alato, che poco prima svolazzava ignaro, potesse gridare, ebbene griderebbe la disperazione sua, la rabbia sua col grido di quegli internati. Invece peggio gli capita, è afono! E sono come afoni i deformi, i senza voce più miseri, perfino figli dubitati del dio lontano! Ché ricordo ciò che riteneva la norma un vecchio prete, quando non i vagiti della gioia seguivano al dolore delle partorienti, ché tutto avveniva in casa, gli ospedali inesistenti o lontani, ma la disperazione per l’orrore. Chiamato al nato deforme per l’accesso al cielo degli innocenti, diceva di aver battezzato sempre ma sub condizione con la formula: se sei capace io ti battezzo.... Oh orrore! Respinti dallo stesso paradiso!E che li avrebbe voluti se non il nulla e allora sì, meglio l’aborto! Sì, ben dice l’autore biblico, nulla ha esso visto, nulla ha conosciuto eppure è stato più felice, ché la faccia orrenda di questo mondo non ha veduta! Ma tu un tuo santo hai mandato a correggere gli errori vistosi del comportamento impietoso di certi religiosi e ora femmine forti, ardite seguono le orme sue d’amore. Ne vengono da tutti gli ordini, cura sollecita, amorevole si prendono degli internati che la società dei normali rifiuta, sì donne straordinarie per destini tragici! E io ne scrivo e piango! Oh madre cara, perché mi hai fatto tanto mediocre, di poco coraggio? Occupato nelle mie bagattelle e rivalse che mai metterò in atto, miope volutamente dell’appena accanto, dell’appena oltre. Perché non m’hai dato un cuore forte per assecondare una donna meravigliosa, che non so perché si dica ancora mia, che partir per l’Africa voluto avrebbe per assistere i bambini vinti dal male del momento? Ecco io vivo triste la mediocrità mia, ché me ne vergogno! Possa la misericordia tua aiutarmi “cum sit hinc exire”, ché uno sono che sa la sua miseria e ne piange, mio solo merito!

Nessun commento:

Posta un commento