giovedì 25 luglio 2013

Uccelletto ballerino







Tanto molle è in questa radura, qui antica fovea, la verzura sua, che l'ombra che vi fanno alti alberi, che le fanno corona, mantiene quasi novella, e tante le foglie che vento autunnale morbido manto v'ha deposto, che come se in spiaggia di rena soffice camminassi il mio piè fermo, che tutto il corpo regge, quasi tutto v'affonda, ed è il più basso. Come forse accadeva al poeta che piaggia deserta percorreva, di raggiungere il beato colle, desideroso. E io sol pace desidero come lui, ma ora anche riparo dalla calura, ché tutto prende altrove afa. Qui frescura vi regna, ché leggera odorosa brezza dal mare vi sale e invita a rimanere. E qui sto incerto se star seduto o restar supino, tentato un po' a sognar mitici animali che le fantastiche forme delle nubi creano, trasportate ai monti, per darvi probabile pioggia pomeridiana. Ma ora qui addormentarmi vorrei e pensarmi non solo giovane, ma al tempo delle favole antiche, quando per i boschi facile era incontrare, o almeno sognare, compiacente pastorella di lenir pene desiderosa o ninfa addirittura, se fortunato nel sogno, che vogliosa fosse di far conoscer i suoi giochi d'amore. È ben strano questo m'accada, come ambiente risvegli, e vi indulga la mente, e inviti desideri sopiti, inverecondi, a riemergere, sotto bella veste di mito in cui mi senta protagonista, che si sanno irrealizzabili e per questo forse dalle latebre profonde sfuggono creduti innocui, in momenti come questi d'abbandono. Sì la fantasia è l'unico peccato a quest'età! Ma presto questi pagani sogni, temerari un po' per uno che pio invece voglia farsi, lascio e i miei pensieri si fanno casti, e mi scopro addirittura in un dolce conversare con te. E ti chiedo, Hai con te, rinata uccello di paradiso, la piccola Or? Taci al solito. Ma forse, ti chiedo ancora, è addirittura qui rinata uccello, ché io l'ami in questa forma, lei lo sognava, come sarebbe possibile pur mo, se uccello pur'io fatto fossi da te e l'incontrassi? E una dolcezza di riconoscenza ho per te quando scopro che accanto mi saltella su rametto, il capino nero e la lunga coda senza requie, uccello ballerino. Si flette sulle zampette e poi le distende come in incessante danza infatti, e mi guarda curioso, o mi studia, or con l'uno or con l'altro occhietto, il bel capo un po' reclinando. Ma dimmi almeno come parlare a uccelletto! Ti invoco. E allora fischietto una melodia antica. E' giorno di primavera, aulente il giardino in cui dorme la bella. Ma il cantore svegliarla non osa. E il sole vi fa capolino e il vento gioca coi riccioli dell'amata... Quello pare davvero che interessato sia alla canzone amorosa mia, ché un po' tutto intento all'ascolto rimane e poi la danza riprende con ritmo più giocoso e movimentato, frenetico quasi, e par ora cinguetti qualcosa in risposta, ma ripetitivo e di note povero, come vero femmina sia che lasci intendere gradito il canto dello strano uccello cui interessata è, o pare. Io ne sorrido e una strana smania di prenderla sento, ma vi resisto, ché quella sicuro, spaventata, fuggirebbe. Quanto dura questo idillio, strano corteggiamento tra innamorati di specie diverse, che solo il sogno e qui l'odorosa natura permettono? Poco, forse molto, ma, mi prende il desiderio della donna mia. Questa femmina Or non è, ché bionda ella era. La bella del cielo forse, ma troppa grazia mi concederebbe... Sarebbe giù venuta nell'incognito di graziosa forma? E' forse un simbolo d'amore che qui è uccelletto, di notte lassù è stella, e al mio ritorno starà tra le mie braccia? Si è proprio tornata Or, la dolce degli anni miei primi, ora lo so, è l'angelo cui tarpate ho le ali, ché dal mio cuore più non fugga, e m'aspetta, e sorriderà al mio ritorno ansiosa di riabbracciarmi dopo brev'ora. E bionda non è. Ma poi vaghezza mi prende ancora che proprio tu possa essere. E ti invoco, Lascia che uccelletto un po' sia e t'ami! Ma la campana da basso del santuario mi avverte che tardi s'è fatto e troppo ho sognato. Mi desto e mi alzo, e fugge l'uccelletto, impaurito e protestando per la mia decisione improvvisa, o per la campana cui abituarsi non sa, acuti lai facendo, ma io il mio sogno di te riprenderò a breve... E gli vado incontro frettoloso, come s'affretta quest'uccello spaventato al sicuro del folto, o forse al suo nido, ché nel cuore sente ora forse dei piccoletti suoi pungente richiamo e io distratto ve l'avrei promettendo amore e invece facendole solo tanta paura! Ma mi chiedo, perché trovarti vorrei nel visibile, non è questo il mondo delle apparenze e delle illusioni? Ho davvero tanta fede o ne ho davvero poca? E rispondermi non so e vado. Giusto or mi batte il cuore fisico, bizze non fa più. Ha trovato buon medico. Nel metaforico tanti sogni a crearvi scompiglio, come follia novella lo abbia preso, e vorrebbe vederti sì nella concretezza, ma allo stesso tempo vuole non esca dalla loro vaghezza. Perché? Sì, sogni or ti vedono stella, or farfalla, or, poch'anzi, amoroso uccellino e tra poco negli occhi della donna mia mi ti faranno vedere. Ma solo poveri sogni restano, sebbene d'amore. Oh lascia sogni di te, bella e giovane sei per cuore giovane rimasto, e tra poco il mio amore per te e la donna mia che qui ti trattiene per me, età non avrà, lì tra le stelle! No, i sogni non possono morire e se vero finiranno i miei nel nulla, qualcun altro innamorato di te ne farà di nuovi e più belli così davvero l'amore mio morir non potrà ché quel cuore riviver lo farà. No, non muore l'amore! Ma, ché non resti negletto l'uccellino, che tra breve canterà timide note a questo cuore, dovrai lasciar che venga là dove vado, o permettere di più. Ritorno a te da questo cuore in cui rinchiuso l'ho, ché tutta amore ella è, e con sé portarmi vorrà, vero esperta del tuo cielo!

lunedì 22 luglio 2013

Alla ricerca del dio







Pars prior


Il proprio credo non è ciò che si tiene per verità premessa alla propria vita spirituale, ma ciò che diventa verità evidente da sé, consapevolezza, che solo una crescente fede darà alla fine come certezza dei contenuti suoi. E mi chiedo, giacché tutto ciò che onestamente costituisce il complesso delle informazioni possedute sul bene assoluto, quale sia il credo, ha la stessa dignità, se la fiducia nel dio come il bene basti, renda possibile, una sua conoscenza diretta soddisfacente. Ma che significherà conoscere il dio qualora possibile? Tenterò di rispondere dalla mia finitezza. I mistici di ogni epoca e religione, intesa come ossequio al dio riconosciuto, lo credono e stanno dietro a questo sogno per tutta la vita. Io non so se essere mistici crei delle possibilità in più, ma so che duro è il tirocinio per divenirlo, così come non meno è quello che porterà a una fede autentica, quale sia, purché non neghi che il dio è amore per tutti. Chi non ama tutti è, per noi cristiani, lontano dal dio, oltre che in errore palese, perché non lo imita, non è suo specchio, non fa quello che egli fa amando tutti! E il voler molto somigliargli, è pretendere molto da se stessi, è difficile, duro. Sì, il cammino di fede è tutto di difficoltà, è un'erta, avaccia il cuore, il respiro affanna, perché? Forse perché nessuno dica mai di averlo concluso, il dio è davvero sempre oltre per tutti, non si è mai abbastanza buoni! Sì, è lunga e difficile la strada per il bene! Ora lo so. Mortificazioni inflitte dal sé, che resiste e appagarsi non vuole che dei luccichii, delle apparenze, delle vanità e non guarda alle stelle, e dal conto in cui gli altri tengono le diversità, anche quella di chi cerca il dio. Perché vero il cercatore diventa apparentemente diverso, uno che interroga, che del dio chiede alle cose e ai fatti, e lo fa dal dramma suo personale d'essere caduco e limitato, sempre tentato di desistere, nella solitudine, nella disperazione spesso, nel dolore sempre, e sta tra altri e non vi appartiene, e strano, estraneo, stravagante diviene per quegli altri tutti che spesso lo giudicano non sapendone il tormento, in superficialità, e, non capendo, stramberia ritengono il non adeguarsi e disprezzano le azioni sue tentate per il bene e i gesti e le parole sue. E poi anche rinunce, e tante, e contentarsi sempre delle briciole, quelle di chi, forse pietoso un po', forse distratto, forse con ipocrita compiacenza, nell'assai poco che avarizia concede di elargire, riserva dal vantaggio suo di fortunato, di favorito dal capriccio di questo mondo, ai più miseri tra cui quello sta, lasciandole cader dalla mensa sua opulenta come a cagnolini. Io sono, o solo vorrei essere, uno che ha camminato la via sua in simile ricerca, solitaria, e disperata talvolta, e ora sa di percorrerla non più solo, ma non meno dura, non meno difficile, e confessa la speranza sua, prima tenuta gelosa in una latebra del cuore. Ma la bella del mio cielo uscir non ne vuole, non vuole mostrarsi! Non devo aver sofferto abbastanza! E' già venuta in tanti sogni come a eterno bambino, anzi è cresciuta con me. Ora da vecchio, mi illudo di continuarla a vedere anche negli occhi di questa piccola donna, che accanto mi vive, ma è vero, pur mi visita ancora. Sì, sogni ci sono stati, ci sono, rari però, e v'è rimasta bella, giovane e sempre avara di parole, ma dai dolci sguardi e sorrisi, tutta tenerezza. Perché così mi illude, perché viene ancora nei miei sogni? Forse ha detto, ha voluto significare e non ho capito, sono rimasto stupido! Ecco è come se un po' mistico, visionario sia diventato, ma restato un ottuso innamorato, sì io non ho ancora la vera fede, quella che rende vicari d'amore consapevoli, che spinge a “condolere”. Quella che inserisce il gesto nell'opportunità attesa. Questo è misurato, non disturba, non umilia, non crea imbarazzo, è naturale, è spontaneo. Sì, non ho ancora questa virtù e la vita è quasi tutta passata! Non che non abbia sofferto, forse non troppo o forse molto, chissà, ma i sogni m'hanno tentato come una via breve, e io ho forse anticipato in essi ciò che non ho raggiunto, che m'è rimasto desiderio. Perché? Basta questa mia dimestichezza con un aspetto del sacro, che altri bonariamente definirebbe bagatella da credo primitivo e popolare, altri presunzione e blasfemia perfino, a poterla considerare visione diretta del dio? Vedo io? Non vedo nulla, ma tutto spero! Perché averne visione non è attribuirgli bella figura umana, e femminile nel caso dei miei sogni, ma capirne le ragioni, i perché. Arduo è,” arcana sunt dei”! Sì, sono tanti ad aver sognato sul dio, spesso confabulando, non di proposito credo, e perfino il nostro libro sacro sembra di tutte favole, anche discordanti nelle conclusioni. Occorre discernere e io leggo e non trovo, o non capisco dalla mia limitatezza. È più facile il sogno! E vi indulgo e non dovrei in un autentico cammino. Tutti dicono del dio, poco, tanto, e più non si distingue dall'autentico ispirato, l'aggiunto solo umano. Ma il mito, cui familiari si era nel mondo antico, era una via per comunicare l'intravisto, un espediente accettato per aver interlocutore attento e potergli dire il vero, o il creduto tale, sotto bella veste di favola, era “ars dicendi” da retori. Basterebbe oggi, ma c'è chi pretende il contrario, non prender tutto alla lettera e solo accettare credibile il filtrato di pii studiosi che vita spendono a discernere. Ma per noi cristiani c'è un credo complesso. Venuti qui sono in parvenza umana, anzi di più, vero così divenuti, persone divine! Ché lo hanno fatto, “cur deus homo”? Forse anche perché capir dovessimo che via breve non v'è, non v'è geodetica come da un punto all'altro del nostro globo, che porta alla fede e alla salvezza, accade come al poeta, vide il beato colle e non poté raggiungerlo, e gli convenne tener ben altra via... Così tutti, vedono qualcosa, sognano, credono di capire, ma tutto resta come in una caligine, sì mistero. Noi viaggiamo nel mistero! Ma che vedono? Si raggiunge il dio per l'uomo soltanto, accettandolo, perdonandolo, amandolo, e la bella del cielo, la madre del dio e nostra, vuole la si ami per amore di donna, e per amore scambiato con una sola donna, sua icona o suo specchio, vista, avvertita nell'amore. E per questo Agostino riassume l'ansia del cristiano dicendo, “timeo deum transeuntem”. Cioè mentite spoglie ha il dio, mai mostra la magnificenza sua, è in veste dimessa, mendica cibo e amore, e lo fa attraverso i pitocchi tutti, gli indigenti, i malati, gli abbandonati, i traditi, i migranti, ben l'ha detto il novello Francesco. Ma anche attraverso l'amore di una piccola, forse per i più insignificante donna! Ma di più ancora, assurdo, attraverso chi provoca, disgraziato, il danno altrui, il fortunato, il gaudente, che non sa d'essere il più misero e lontano dal dio, uno che la pietà dei miseri perfino domanda, grida afono senza nemmeno saperlo, per la situazione sua, la più disperata! Ecco qui uno, misero qualunque, vissuto nella speranza, uno vissuto di speranza. Io che ho? Ho forse te, bella stella di questo cielo di tanti notti estive? Ho un amore che ti vicaria, ché lo credo vero, ma forse solo mi illudo? Oh non sia! Sì, ti vicaria, ti significa, allora è tuo specchio, cioè fa, ripete quel che tu fai per me? È solo una piccola donna bisognosa di me quanto io di lei, è il mio tutto, è il mio niente, è la mia speranza, fa la mia angoscia, è un amore piccolo, o è forse grande? È un amore! Ho poco, ho molto, t'ho già raggiunta, sei quella cui brillano ora gli occhi in questo buio? Ma resto solo uno che ha capito poco, capisce poco, e i problemi di sempre lo assillano e sofferenza e solitudine ora teme, e amore fatto anche di concretezza mendica ancora dalla donna sua, e sempre da te, bella del suo cielo. Eppure è un fortunato, si sente, si vede amato, nella mediocrità che mai lo lascia, anche nei momenti caduchi e ingannevoli del mondo e nei suoi recessi bui, fino a tanto illudersi da poter credere l'amore eterno. E la donna sua è qui donna e in cielo, ma sono come momenti enfatici dell'amor suo, stella creduta. Ma resta un precorrere, anticipare, solo sognare. E miriadi di stelle fanno il brillio del cielo che in notti incantate lo vedono a naso all'insù estasiato quasi bambino tornato. Sì, c'è pur del bello a questo mondo e l'amore è possibile e sembra promettere che il cielo non sarà negato, occorre solo rimanere, crescere nella fede, cioè amare. Sì, sono rimasto, benché tanto difficili i tempi andati e così rimangono. Bambino, perfino era accaduto di piccolo coetaneo che si negò il mondo, pensato tutto cattivo e rinunciò a crescere, gettandosi alle falesie, eppur io vi sono stato attratto! Eppure notti v'erano anche allora, anzi di più, di stelle cadenti a far scia di mille faville! Molto più difficile è da sempre però la vita delle donne, patiscono mille insensatezze dai maschi loro, e ne piangono. E la mamma, che credo ne avesse pur'ella sofferto dopo la morte di mio fratello in un momento difficile di coppia, bambino, mi diceva che lì nel cielo fan di simile i simboli loro, brillano, sorridono eppur piangono, lacrime di luce, lucciole! Eppur io, che ancor mi beo di simili favole, non sono esente da questa stupidità di maschio e permetto pianga la donna mia! E' sciocco quest'uomo, è solo un bambino quando lo fa o eternamente insicuro, inconsapevole sonda, anche rude, la sincerità della sua, ancora incredulo d'essere tanto amato? Ma è vero, è cresciuto nei miti e pur, nei momenti belli, dice favole d'amore alla donna sua. E anche a sé ne ha detto, nonostante molte concretezze stringenti abbia da questa vita, da questo mondo di stupidità tanta e dolore. E vero belle son talune donne, buone perfino, e la fantasia simboli ne fa dei comportamenti che vorrebbe diffusi dalla sua speranza. Che sia così anche del dio? Luce lo simboleggia, quella che hanno gli astri tutti, e bontà e bellezza pur lo significano e amore, qualità tutte di molte donne di qui, che, se amate, quasi sempre rispondono dolcezza, amore. Ma è tentazione limitarsi ad apprezzarne qualità vere o presunte e per l'amore cercato si deve andar oltre, scendere anche dai sogni. È tentazione ancora divenir solitario, forse dalla malinconia facile di fronte ai fatti sconcertanti del mondo, ma si deve star con gli altri, accettarli, aiutarli, prevedere, provvedere col possibile, a portata e misura, discretamente, quasi di nascosto. Allora a chi questo fa, amando tutti, non parrà poi tanto strano vedere qui, invito, prologo d'amore divino, nella donna che da sempre gli molce il cuore e sopra di lui stelle a riempirlo d'altra bellezza! E allora potranno anche essere i sogni, sì tornare, non da essi partire col rischio di restarvi imbrigliato! Va via la vita con essi, poco o nulla del dio, poco della fede cercata. E non basterà dirgli t'ho sognato, ma si dovrà potergli dire t'ho cercato in tutto, in tutti. Sì, quanto t'ho cercato! T'ho amato!


Pars altera


Ma è d'adesso qui la morte di Carlotta, violinista assai giovane, prodigio, bellezza totale, angelo, ora sappiamo, solo prestato a questa terra! Come non piangerne? E tornano i dubbi e pare aver corso invano. Sì, il dio che fa? E quello che cerca e deluso rimane, vero di fermarsi è tentato, allora anche si chiederà, Può non essere il dio, solo perché qui il male lo cela? Gli hanno pur detto, E' proiezione del desiderio umano di bello, di buono, di giusto, postulati in un luogo fuori del tempo e dallo spazio, irraggiungibile e tale rimarrà nell'inconsistenza sua! E quello, che nemmeno questa congettura soddisfa, si chiederà più ancora, Possibile siano solo per la vaghezza di farfalle i tanti splendori a primavera, e per il lavoro operoso di bombi e api, sì, i fiori che pennelleggia un chinale, che tutto ne ride? Eppure essi diverso da noi vedono e se nella lor vista fosse possibile la nostra mutare, e questo scienziati hanno simulato, molte cose tanto diverse sarebbero da non piacerci più. E allora sono molte davvero le cose di qui, funzionali all'economia del mondo, e noi a vederle diverse e trovarle belle. Perché? Il nostro si chiede. Rilascia endorfine del piacere la mente alla vista di cose amabili perché viste belle, e non si sta dietro a donne, spesso vanesie, per il piacere di ammirarle e riceverne favori? Ma allora tutto inganno è la vita, siamo noi a proiettare il bello agognato sulle cose tutte per averne piacere! E quando muore la mente tutto il suo rilascia ingannandoci dell'ultima illusione, la bella morte. E sia! Allora tutto questo dal caso viene senza un dio, ma perché è così proprio, sì inganno? E altri dicono, Si illude il singolo da sé e intanto conserva la specie. E c'è chi, anche in questo, vede la ragione divina, tutto sta correndo verso un punto omega, si affretta all'incontro col nostro cristo veniente! L'uomo che s'affaccia alla fede non sa se è così, lo spera forse. E chi ne scrive e ne dice con presunta “ratio loquendi et scribendi”, sol ora, al termine della sua vita, sa qualcosa, ma non sa dirlo e se ha sempre tante parole, ora non sa trovarne... Ha come un barlume, e riesce a credere, nonostante il male diffuso che continuamente tocca, che qualcuno lo ami dalle stelle, come anche in concretezze tenta di fare la piccola sua stella, lucciola qui caduta. Sì, la più bella stella è rimasta in cielo a brillare per lui e tutti, ché ama tutti. È così o c'è dell'altro, non finisce forse col dire e raccontarsi sempre la stessa favola?E solo ad essa che crede? Forse v'è di più, ma s'è fatto bambino e sa di poter credere ancora ai miti ed è tentato alla stessa eterna sua favola, la bella del cielo, la sua stella, e quella che qui la vicaria. Perché? La vorrebbe vissuta da tutti? Sì è così, ma è forse la sola che sa, e ciascuno dovrà adattarsela, ed era solo un mezzo per dire dell'esperienza sua, mistica un po', e sta diventando essa stessa il fine che vorrebbe vero raggiunto da lui, da tutti! E la ripete ossessivo lungo l'erta della vita sua, forse anche per farsi coraggio, in fondo misero e stupido rimasto. Ma tutto è lecito nella ricerca annosa e affannosa, pure sognare del dio nella figura che al singolo più lo significhi, purché non si scordi il servizio vicario, l'amore dovuto a tutti, cioè per noi l'”imitatio christi”. Mai si scordi il “ diligite inimicos vestros”! La fede nostra è tutta lì! E pur questa dice, grida, contro tutti i materialismi, sempre risorgenti e tentatori, che vorrebbero tacitarla, il disperato suo bisogno di luce, e questo cantastorie vi aggiunge le fantasie sue, Ella, la stella, lascia, per gli amati suoi, cader stille di luce, sì pur piange sulle lor miserie e femmine buone diventano, e così lenisce le pene, dà la speranza, conforta per le vicarie sue, lo fa per amore, è solo amore. Sì, finisco al solito preso in un linguaggio fabuloso, scordo la “ratio”, quello di mia madre, quello dell'eterno bambino che sono tornato o da sempre rimasto, e di cui solo ho vanto, ma so di dire, un po' almeno, del vero, e lo vorrei in bella veste suadente, cattivante, ché il poco che ho, lo vorrei diffuso. È debolezza, stupidità? È amore? Oh vero fosse! E che dirò infine? Abbiamo qui piccole gioie, perché pur c'è chi vuole così. Riesce a darci qualcosa del tanto voluto. C'è la felicità, l'amore, chissà dove, chissà quando saranno nostri completi, ma ci sono, e assai forti devono essere per filtrare dalla fonte attraverso tanto buio e rimanere sotto parvenza di sogni umani, realizzati in qualche misura. Sì, pur l'amore c'è, non solo è, e tutti lo dicono il dio, quello che è in sé, inconoscibile, e quello per noi qui! E nella fantasia, nell'amore mio, il mio anche femmina è, c'è così, manifestazione sua, e san Pier Damiani è con me! Tutti abbiano questa meravigliosa consapevolezza d'essere amati da lei! Di più non posso, ma è augurio sincero dal cuore, ché sto nel buio tuttora, nella debolezza e nella stupidità da sempre, e forse solo m'illudo! E da come sono in questa finitudine e contingenza, che cosa altro vorrei saper dire? Sì di più, che non solo il dio è, ma c'è, vuole essere per tutti, essere qui e ora, farsi capire, perdona e chiede perdono dell'apparente assenza sua di oggi come di sempre, si scusa perfino del nostro non capirlo, ama, solo ama e neppure riesce a dirlo, a balbettarlo nemmeno, è come il peggiore innamorato in cui donna possa imbattersi e glielo debba dir lei che ne ricambia il sentire! E' ricco eppur non basta a sé, chiede molto e sembra ricambi poco, dà molto, dà poco e spesso non riceve nulla. E' assente eppur presente, vicino e lontano. E' negli occhi di una donna, nella dolcezza e ingenuità di un bambino. E' nella speranza, è in tutto, anche, o forse più, nella sofferenza, nel dolore che gli grida aiuto e lui sembra non sappia come, non possa talvolta nemmeno lenirlo dall'onnipotenza sua, tanto soffoca il male, lui pure! Sì, pare non essere qui talvolta, gli si grida e non risponde, si piange e pare indifferente, è solo un povero dio, è come sprovveduto di fronte al male interposto, allora, e sempre, forse perché per amore, è voluto diventare misero tra i suoi più miseri e v'è rimasto, o v'è sempre stato, impotente, vinto, di nuovo oggi su una novella croce a gridare, Eli, Eli! E io tanto mi sento come lui, “ condoleo”, che grido con lui, Perché mi hai abbandonato? Allora è lui che ha bisogno di me, di questo debole proprio e stupido e sognatore ancora, è lui che ha bisogno di te, lettore caro, ha, lui fonte d'amore, bisogno d'amore!





E questa favola non è!

giovedì 18 luglio 2013

Onde d'amore











Come per onde portanti quanti di luce, si trasmette ciò che più ti significa, così credo che per analoghe onde viaggi l'amor tuo, e nulla l'arresta, né materia, né cattiveria umana. Chi fede ha, sa che sei. I sogni di chi t'ama gli suggeriscono di più, che tu ci sei, cioè stai qui e ora per lui e tutti. “Stare per” significa amare. Il tuo amore sembra privilegiare intermediari umani. Come? Con un rispondere, all'unisono con la fonte, da parte della persona buona, che dona ad altri ciò che ha o il ricevuto. E' anticipo del mondo tutto d'amore scambiato, in cui si spera tutti accoglierai. Ma se tanti sono così raggiunti, con amore vicario, ché molti sono i buoni, tutti non lo sono e a molti l'afflato tuo divino così non giungerebbe. Ma arriva comunque, anche se manca della tangibilità del gesto negato, che nel mondo delle concretezze non è senza importanza, e certo te ne rammarichi, anzi dirò che ne piangi! Mi chiedo, saperlo può aiutare chi è negletto dall'amore umano a sentirsi meno solo? Parto dal mio mondo, in cui tu stella sei e ancella hai, vicaria d'amore, o così m'illudo. E' povero, è bello, v'è possibile sognare! E' un mondo fortunato? E' un mondo, luci, ombre, silenzi, parole...Ascoltate?


Questa donna mia apprensione ha nel sapermi lontano. E mi raccomanda di usare il filo d'Arianna che ci lega, quello che la modernità consente, al minimo intoppo del mio cuore o ad altro che mi faccia anche lontana minaccia. Io la rassicuro che, anche m'accadesse di smarrirne il dispositivo, io ho con lei una risorsa insospettata, il mio messaggio lo porterebbero al cuore suo, ciò che meglio chiamar non so, le onde d'amore, quello che ci lega, vero filo d'Arianna. Vero ci sono? Ecco il tuo cuore, domina del cielo, io penso, credo anzi, mi sia sempre vicino e so che la mia nel cuore suo lo ospita, ché buona e cortese è, e sicuro anche prende e trasmette del tuo. Allora ben ha fondamento la mia speranza di una via alternativa, la stessa della preghiera frequente e muta, ovunque mi trovi, ma non incessante ancora, da supplice devoto, non da mistico vero. Ma quella che qui mi nasce spontanea, pur se tante cose me ne vorrebbero distrarre, non è per me, né per chi amo, ed è la più accorata. E dirò perché e quanto e per chi. Ma dico intanto che nel cuore rimarrebbero come parole non pronunciate, solo pensate, che invece pur dico, certo d'ascolto, benché lo faccia muto, se un filo diretto non avessi con te, sì anche con te per onde d'amore, che sostengano e trasmettano il mio per te. Ma è anche quel filo che certo passa per il cuore della donna mia che recettivo già di per sé è a quel che dico, anche non udito, perfino taciuto, ma avvertito comunque. Certo un'aria aulente porta, e con quella forse le parole mie, il vento che spira da qui , ché protesi sul mare qui si è, verso la collina di fronte, oltre la spiaggia oggi gremita, fattosi mio messaggero, ma v'è di più. V'è qualcosa, e non so definirlo, e non so dirlo, viene, legge questo cuore e va, forse torna alla fonte sua. Ella t'ha dentro e tu odi i miei sospiri perfino, tu la fonte! Allora se vero aiuto mi urgesse, al chiamarla col suo nome, Eli, nome che anche a te ho dato, ché l'amore a volte non vi distingue, e lo spero gradito e fatto tuo, accorrereste certo entrambe, nell'apprensione della sorte mia, tu subito dal cielo e l'altra, tu dicendole dal cuore suo di soccorrere chi l'ama, e amato è, da tutt'e due spero. Ma io sento, se qui solo rimango, non solo l'afflato delle cose tutte in cui immerso qui sono in questo tempo di prima estate, come da te trasmesso, ma anche udirle mi pare, e non so come facciano, forse per analoga via alla postulata, che alle mie donne breve conduce, parlarmi delle sofferenze loro. E questo mi invita alla preghiera. Ma ecco uno spettacolo triste, davvero crudo, un coleottero ormai stremato, prossimo alla fine, è preso da eccitate formiche e se ne dibatte come può, agitando le zampette all'aria, che quelle, irose afferrano e mollar non vogliono, ma una vespa compete per la stessa preda e fa tentativi ripetuti di sottrazione. E' troppo per me e ne dovrò abbreviare le sofferenze. Lo farò ritenendola cosa giusta, inutile può divenire la sofferenza! Ma qui, a questo strano mondo, la vita tutta ha del tragico, l'uomo ne ha coscienza, ma quando il male viene, tutti ne lamentano il dolore, anzi a volte tanto angustia che se ne disperano, come certo fanno i negletti d'amore. Alludo non tanto ai solitari in tristezza, respinti, forse solo temporaneamente da quelle per cui tanto sospirano, di cui perfino si può sorridere di benevolenza, ma più agli abbandonati, vecchi, malati, agli esclusi perché diversi, ai mal nati o diventati, quelli nati per la sola sofferenza, senza mai barlume di gioia, tanto trascurati dal resto dell'umanità cui fanno ripulsa. A tutti quelli che meschina farebbero, non potendo concretamente raggiungerli per gesti umani, perfino te, se tu non potessi altro utilizzare. Sì, onde d'amore, non so altrimenti farne analogia che con quelle che portano la luce e così le nomino, portatrici d'amore. Ma dell'assenza di compassione in chi potrebbe e nulla fa, te ne addolori certo, e ne piangi e vuoi che tocchiamo, cuori di sasso, le lacrime tue amare o di sangue. Io credo davvero che qui da noi per statuetta tu lo abbia fatto. Rivedo ancora la scena che imbarazzar dovette, e tanto, il prelato che, tenendola in mano e dicendo sul già accaduto cose stolide, atte a scoraggiare dei fedeli il pronto entusiasmo al presunto manifestarsi del sacro, se la vide pianger lì lì, ché una stilla rossa riprese l'accorto operatore all'apparir in un occhio, il destro, alla sua commissura interna e che poi tanto divenne da tracimarne e rigar di fresco il volto della madonnina di gesso, bianco smaltato, già da precedenti effusioni imbrattato. Eppure vi son qui umani che piangere non sanno, né addolorarsi anche di fronte ai fatti estremi della vita, e tu ne piangi sangue! Ma raro che la costernazione, anche sincera, dei pii sia seguita da gesti concreti. Come rimanessero inibiti dalla crudezza dei fatti questi sempre difettano. Ma per fortuna anche vi sono giovani sensibili e audaci, impegnati nel volontariato, che tanto fanno con la concretezza del gesto. Allora per i molluschi di cui mi trovo a far parte, vuoi per l'età, vuoi perché da molto rifugiato imbelle nella malattia, angariato ma anche protetto, è imperativa la preghiera. Ma quale, ma come? E' allora, nel pentimento di non essere tuo vicario d'amore, che spero la “sola fides” sufficiente a passare indenne per la cruna d'ago che di là mena! E prego anche che nuova illusione non sia! Sì, ma quale preghiera, vorrei saperti dire?


Margit, la santa principessa di Budapest, che abitava il convento dell'isola, che ora porta il suo nome, in mezzo al fiume, cercava di dar conforto ai miserabili in cui si imbatteva, tanti, e se nulla le riusciva, pregava accorata nel pianto di compatimento, certa raggiunti li avrebbe l'amore divino, il tuo. Allora, se di simile sarò capace, che potrò ancora dire dalla meschinità mia, redenta un po'? Dirò a immaginario che ascoltarmi voglia, Scrivi le parole più belle che pensi per quella del cielo con inchiostro indelebile nel tuo cuore. Ripetile nei momenti più accorati, ella le udrà, non perché talora fa capolino dalle nubi o ché affidate le hai al vento, ma perché dal tuo cuore che l'ama partono come piccole vibrazioni del sé più intimo e segreto, come onde che sostengano e siano quello che trasmettono, e sono come di luce, sono d'amore, forse percorrono a ritroso via che ella stessa ha tracciato dal suo cuore per te, e le arrivano ed ella ascolta! E se hai un amore terreno, porteranno anche all'amor tuo l'afflato tuo, ed ella come trasmetterle amplificate del suo, saprà. E io a te dico, madre cara, Sto tra gli indifferenti, sto tra i cuori di sasso, sto tra chi come me ha un cuore e non ne fa uso giusto, soccorrimi, Eli del cuore mio! Prega il figlio tuo per me! Tu subordinata gli sei voluta essere qui, nella spogliazione del sé che avevate comune nei cieli, al tempo della sua prima croce piantata. A tante altre lo si è poi appeso e lo si appende! Ricordi come alle nozze di Cana cedette all'insistenza tua? Se tu glielo chiedi per me, qualcosa di bello, qualcosa di nuovo e inaudito accadrà, forse una sera tutta di stelle, forse in una aurora nuova sulle nostre sciagure, più del pianto tuo di sangue suo. (Sic!). Sì, lui che l'acqua convertì in vino, ogni dolore conforterà e un po' della gioia di paradiso lascerà cada, come pioggia su tutti fa, dal buon dio!




domenica 14 luglio 2013

Vita e felicità



Saprò dirlo? M'aiuterà questo cielo tutto brillantato, con la serenità che par indurre? E fiducioso di riuscita, dico. Non è da sempre che gli uomini sognano una età dell'oro e un paradiso col dio, proiettandoli o nel passato, in un mondo perduto e forse mai stato, o nel futuro, in un improbabile mondo da venire? E' tutta qui, una giustificazione mitica dell'assenza del bene con la sua perdita in un passato lontanissimo, smarrito il ricordo del come o confabulato, e posporne in un futuro indeterminato la riacquisizione, la base fragile senza una motivazione profonda del credo mio e del mio stare particolare a questo mondo, e della mia aspettativa di pace e di bene, che coagulo in un simbolico luogo delle stelle e nel tempo loro e che chiamo ricerca del dio? Non v'è di più? Intanto mi chiedo. Non esprimono i sogni i desideri più che la realtà, e non è quella attuale tanto grama, che fa pensare quella attesa fiduciosa, assai migliore? Traducono la speranza di non essere per sempre infelici, e di conseguire almeno le piccole gioie ora negate! Ma anche la volontà di raggiungere quella serenità, quale sia il luogo e il tempo che la consentano, che faccia vivere la vita nella libertà che qui manca. Ed è peculiare della esistenza umana lo star a questo mondo con preoccupazione, “sollecitudo, cura”, cioè con continuo sforzo e impegno per concretizzare l'aspettativa di poterla vivere senza troppi intoppi, dolori, difficoltà, privazioni, bisogni, tutte cose non completamente evitabili però, e se ne ha amara consapevolezza. Allora la felicità davvero non può essere di qui? Forse si realizza in qualche misura se le nostre inclinazioni, la nostra personalità possono espandersi senza troppi condizionamenti, senza sentirsi in un gioco più grande che altri, e chissà chi, dirige occulto, ma liberi di pensare e di fare, e consapevoli, non sue pedine ignare. Cioè nella misura che qui si realizza la libertà di essere e decidere, senza necessariamente dover avere, possedere, come misura del proprio sé. E se le speranze di farcela vengono castigate, sconfessate, allora ecco la tristezza nella banalità della sconfitta, nella forzosa passività, nell'evidenza penosa della non libertà. Ma quand'è che il desiderio di felicità fa l'uomo autentico, senza spingerlo nella mollezza dei sogni? E forse io troppo mi ci sono spinto! Quando egli, ben cosciente della durezza della realtà, fa del suo desiderio di miglior sorte, la volontà etica del superamento dei limiti angusti dello stare a questo mondo. Ma appena raggiunti e creduti varcati quei limiti, appena libero anche solo un po' dal credersi sotto a pesante giogo, ecco tornare il sogno di una meta ulteriore, e allora egli si scopre a lavorare a una speranza più grande. E c'è chi tutti vi vuol coinvolti, ché non si contenta più di quello che pur è stato, fino al quel punto, realizzato per se stesso, anzi vi rinuncia, ché lo vuole per tutti. E' santo costui, laico o confessionale, che sia! E gli tornano i miti e le favole, ma in una spiritualità nuova, li accetta come linguaggio della possibilità dei suoi scopi, che crede fiducioso possano concretizzarsi se lo si vuole abbastanza. Egli ben sa, ma non si scoraggia, che non esistono soluzioni facili e talvolta nemmeno definitive a certi problemi di questo mondo e di questa vita, che si ripresentano ad ogni generazione e domandano, da parte di menti capaci, sempre attenzione nuova, e più adeguate risposte anche dalla scienza. Sì, per certi problemi posti all'umanità, acuiti dalla modernità, sono necessari tentativi rinnovati per cercarne soluzioni nuove e quelle complete, definitive, non relative, avulse dal momento, dimorano sempre oltre, in un lontano luogo e in un futuro imprecisati. E' sono d'oggi l'inquinamento, la deforestazione, il sovraffollamento, la penuria delle risorse, la fame nel mondo... Ma allora come v'è nobile tensione nell'affrontare, da parte di chi sa e può, e cercar di vincere le contraddizioni, i disagi che quei problemi pongono, dando loro risposta accettabile per il tempo e il luogo, non meno nobile è cercare di render la vita per tutti meno umiliante e disumana, quale sia il tempo o il luogo, e c'è appunto chi ne fa scopo di vita, filantropo o santo che sia. E come chiameremmo risoluzione di un problema scientifico, la soluzione sempre cercata, quando al fine trovata, ma, come detto, quella è spesso oltre le possibilità del momento e sfugge, così beatitudine chiamiamo la felicità, che pure sfugge, sta di simile in un oltre e dopo, mentre solo un surrogato accettabile c'è chi propone e attua, spendendovi la vita, a vantaggio però dell'esistenza di tutti. E come la soluzione pur c'è e talvolta non si trova, sta in una razionalità sua inaccessibile al momento, così noi sappiamo che c'è la felicità totale, aurea e paradisiaca, e la libertà di viverla, e diciamo stanno nel dio, realtà negata pur'essa. Il dio è allora nome, concetto, speranza, che indica l'anelito alla felicità nella libertà da tutto ciò che fa ostacolo, impedimento, resistenza, attrito nel procedere verso il bene diffuso agognato per tutti, e che vuole consumare, perfido, molto prima di una tappa significativa di cui essere contento e orgoglioso chi per quello opera e vive, e che chiamiamo male, il male, l'antagonista, il nemico del dio.

Ecco il mito del male che s'oppone al dio ritorna e non esprime che verità! Volendo significare, immaginifico il linguaggio, la lontananza, l'inaccessibilità dell'agognato bene, ma anche il pungolo a non contentarsi di una felicità minore, ma a tendere alla sublime, nella libertà, nel dio appunto! Così l'amore umano diventa prologo di uno, non solo più completo, ma assoluto, che tutto e tutti includa nell'afflato, quello che nei miti dell'infanzia di questa umanità già proiettato era oltre questo mondo, alle stelle, in cui fata buona, la dea, fosse ad attendere, o, per altri, il dio in un bel giardino di aulenti essenze, oltre il deserto del vissuto, nel paradiso. E così nella personale infanzia, bambini si vagheggiava la bella più di tutte stella, raggiungibile in forma graziosa umana, se solo in fretta fossimo cresciuti, acquisendo qualità e prestigio da quella apprezzabili. Allora felicità è piuttosto approfondire la propria umanità, che comprende il sogno, l'aspettativa del bello, del buono, del perfetto, del giusto, della libertà insomma da tutti i laccioli, quelli che hanno motivazioni profonde e vengono da dentro, e gli esterni dal mondo, quelli che comunque insidiano e fanno la nostra vita stupidamente difficile, triste rendendola e buia, ché resti nel male appunto, nel bisogno, ignoranza, dipendenza, ove l'invidia tenta sempre di confinarla. Sì, quelli che perfino i nostri, gli inclusi nella nostra “sollecitudo”, preparano con cura, malizia, ché ci imbriglino quasi fossimo selvaggina minuta, per star da soli al sole, ai primi posti, disturbati dal nostro fare e dalle motivazioni del fare. Vivere nel sogno non è allora evadere, ma accettare il mondo imperfetto ed esigere, con contributo, sacrificio personale, di renderlo più umano, anticipandone, sognandone appunto, l'aspetto sperato. Perché come nulla si può con certi problemi che la vita pone anche alla scienza, se non si tenta, qualcosa conseguendo, seppure talvolta di non definitivo, pena altrimenti il supino rassegnarsi e dover soccombere, ed è necessario che se ne anticipino, sognino, diciamo pur così, le soluzioni vere sempre sfuggenti, così nullo vero avanzamento nella libertà si attua se non la si sogna immancabile e totale. Dove, quando? Dove e quando s'attua la speranza, e quando e dove stanno pure tutte soluzioni, gli scioglimenti da ogni perplessità e affanno, dov'è, diciamo, la razionalità pura, esaustiva, che dà spiegazione di tutti i perché che qui ci assillano senza risposta, sì, proprio presso il mitico, vecchio, buon dio, e la mitica sua stella, madre dei sognatori tutti e ispiratrice di ogni amore, sì dove vive il puro amore! Postulato, premessa cioè da viver vera, è della vita felice e libera agognata, anzi la fede del virtuoso lo fa assioma, evidente verità di per sé al cuore di chi l'intende. Il dio c'è non solo per l'umanità sua, ma per i viventi tutti e le cose tutte, non solo per gli attuali che lo sognano, ma per quelli già stati e che verranno, e verrà pur raggiunto, tutto s'affretta al punto omega, l'incontro col dio veniente! Fede, dice l'apostolo, è certezza delle cose sperate! E io fedele devoto, dico alla stella che da lassù a me e a questa piccola mia donna, guarda amorosa, Dimmi, bella di questo cielo, come io possa da questo cuore già amarti! E quella risponde, sorrisi, brillii! E la mia vita si fa meno stupida, anche se forse rimane ugualmente difficile!

venerdì 12 luglio 2013

Belle stelle di prima estate














Belle le stelle e fanno notte d'incanto, e se questo cuore ad ammirarle si sofferma, gli nasce una favola per la donna sua. Due paiono parlottare tra loro, l'una lancia brillii e l'altra le risponde di simile. Forse lì son simboli delle due compagne della vita mia e come queste si parlano, quelle secondo lor natura anche lo fanno. Che concertino strategia di salvezza? Di simile accadde al poeta. Ma io l'inferno ho quasi tutto traversato, male subendo, male vedendo, male toccando. Aspetto che quest'amore, che guida per gran parte m'è stato, piuttosto mi conduca alla terra del perdono, forse l'alta montagna metafisica che vide il poeta e ne narrò la scalata, come lui lì accorato penitente. Poi, se la bella del cielo lo vorrà, la piccola stella che le risponde sorrisi di luce, al bagno del lucciolaio di brillii stellari mi condurrà, anticipatore delle gioie di lassù. Perché indulgo in questo linguaggio? Perché ho tanto bisogno di simili favole? Ho bisogno di credere che la fata delle stelle sia e onnipotente, dove almeno? Là ove già si viva la libertà dal male, luogo che la musica suggerisce e i sogni tentano di raggiungere! Qui qualcosa sempre le sfugge e ora è la morte di un bambino, assurda come lo son tutte, e di più se piccoli afferrano. Un fulmine dal suo cielo colpito l'ha, come fosse errore del mitico Giove! Ma io se gli occhi chiudo, continuo a vedere quelle fiammelle come conversare. Ecco il mio sogno nonostante, perché vive? Prega la compagna ora o sogna? Sì, m'accade e voglio conservarne la visione, voglio imprigionarla nella mente mia, voglio pensare possibile si cercassero nell'immensità per amarsi, e dire con intermittenza di luce il desiderio loro. Proprio come questa compagna alla bella che l'ascolta dice il suo e, chissà come, ella le risponde e questa s'acquieta, dorme e sogna. E io rimango qui assorto agli accaduti di oggi e ricordo i lontani. Tante le stelle all'epoca della tristezza mia di bambino, per la perdita di mio fratello, bambino più grande! Sì, sempre ricordo, come di ieri l'accaduto in quei nostri tempi difficili. Ma benché disperato, bambino credere potei alla mamma, l'angelo suo sì preso l'aveva, ma per mutarlo in stella e se ben cercato avessi, una stellina s'era aggiunta al cielo, sua presenza là per me! Io cerco ancora la stellina e più difficile è oggi scovarla in cielo tanto povero, ma mi piace credere che se per tutta una notte la cercassi, scrutando il cielo dai nostri monti, pur la vedrei e quella mo mo aggiunta anche. Sì, poche le stelle da qui e pianger devono molto, ché qui son tante ancora le lucciole di tarda primavera, lacrime loro, diceva ancora mia madre. E certo moltissime se ne aggiungono senza poterle vedere, più che per le morti di bambini, sempre troppe, perché moltissime,belle e grandi, significano, mi piace crederlo, vita e amore di donne di qui, e queste sono tante! Ma che hanno ora le mie due stelle amorose? Stanche son forse di sospiri non ricambiati, ma forse è sol vapore d'estate, che non durerà, a velarle. Ma bene sarebbe salire ai monti o per mare in notti come questa andare, accadrebbe come se su un vasel, piccolo guscio su acqua tranquilla, con amici fossi, preso da incantamento, come accadde al poeta, a Guido e a Lapo della brigata sua. Sarebbero da lì miriadi e l'occhio a perdersi nelle profondità del cielo, e al mio cuore amante s'accenderebbe di più amore e il fiato mio bolso si farebbe, tanta la meraviglia! Kant, ricordo, diceva che lo meravigliavano il cielo stellato sopra e la legge morale dentro. Io mi meraviglio di simile, ma la ricerca del dio buono, che di tutti ha cura e dei piccoli di più, falla, eppure il cuore è vagabondo tra queste stelle! E' lì che incontrar vorrebbe la sua bella fata amorosa, stella pur'ella forse, o domina curatrice dei suoi splendori. Oh di quante vaghezze, di quante illusioni è questo cuore, da sempre illuso d'amore! Ecco, da poco, al tacer dell'ultima luce è cessato il frinire delle cicale e ancora non c'è il cri-cri assordante dei grilli a invocare amore, solo il muto guardare in basso di tanti brillii. E dorme la compagna dolce e, stanca, certo il suo brusio fa... Ella fa parte di questo mio mondo semplice e arcano a un tempo. Cantato ha questa mattina l'uccellino che su rametto si culla e s'è congetturato dall'aspetto e dalle tante variazioni del canto, che usignolo sia. E poi ci son le gallinelle che pur di buon mattino cantano il loro verso, appena fatto lor uovo hanno. E c'è, in questo tempo, cura da aver dei pomodori che saporiti lor frutti offrono. E poi c'è la passeggiata e dovrò dir facezie alle amiche incontrate, che se le aspettano, e ne vorrà scrupoloso resoconto la compagna per farsi più gelosa e aver più facilità ai tanti rimbrotti e far finta di negarmi richieste effusioni d'amore. Ma talvolta ho perfino tempo per le stelle! E mi ripeto, vivrò nel solo presente, ma poi quelle mi rimandano ai ricordi e lì sceglier non si può. E se si comincia a ricordare smetter è difficile e ne viene quasi sempre sofferenza. Ma dal passato ecco la piccola Or. Oh quanto ne ho sognato e ne sogno ormai solo confabulando, che l'abbia tutta inventata? E ricordar voglio le prime altre, assai poche invero, e i capelli loro e gli occhi e la voce e lor seno in boccia da punger petto e cuore, e il cuor che a me batteva forte e quello che vi rispondeva nei pochi momenti d'abbandono dalla mia e loro ingenuità. E tutto avveniva sotto le stelle. E ricordo i primissimi approcci d'amore con questa compagna, certo la più dolce, cui mai son dispiaciute e credo dispiacciano le mie cose d'eterno bambino e le favole pure. Solo che a lungo son stato un bambino triste, chiuso nel mondo delle favole sue. E a lei da molto le dico e ne scrivo, ma se frammenti son per le donne della passeggiata, sì, ripeto solo il vero, ne è subito gelosa e sa dirne, sa manifestarne, perfino con veri rimbrotti quasi stizzosi, e io che questo m'aspetto, proprio non ho cuore per le bugie, sebbene bambino, solo suo! E così, autore e vittima di simili dissapori, voglio ancor veder le stelle nell'addormentamento, ché belle son le cose di lassù e forse là m'aspetta lor fata. E poi addormentarmi posso e sognare di raggiungerla e non svegliarmi più. Ma vorrei coinvolta questa compagna ed è per questo che favole mi invento sulle stelle e le racconto a lei, che spesso m'ascolta incantata in notti come questa. Prepararla devo al balzo a quelle e oltre. Bolle d'aria le nostre vite ormai, ché la bella delle stelle, che amarci vuole bambini, come ormai ci vede, piccoli tornati, ingenui innamorati, piccola bambina s'è fatta. E or divertirsi e molto deve a far bolle di sapone e certo in una imprigionarci vorrà e spero insieme, piccoli di più fatti e come senza peso, almeno così son i cuori nostri, e forse solo quelli prenderà per farci salire alle stelle. Resisterà quella che reca di noi, iridescente sotto ai brilli loro, nella fantasia mia vera bolla saponosa? E se no, ella ci perderebbe? E tanto occuparsi deve in questo vero progetto da fata, che più si distrae, vuoi nel gioco in sé, vuoi in queste fantasie, che io le attribuisco. Sì, deve essere per questo, noi e le stramberie nostre complici, che perde qui bambini, che si fanno sue stelle. E noi non ci distraiamo di simile? Perdiamo la vita che fugge via!

lunedì 8 luglio 2013

Favole scambiate











Luogo v'è nel cuore tuo,dolce compagna, fonte dei pensieri miei e come il vento talvolta della rena fa turbo, così io tutta con certe storie mie, vero amare, nella tua mente creo scompiglio, più che partendo da quello, il mio triste versandovi, e tu ne piangi... Allora ché esso ne sia protetto, fa che al tuo il mio cuore sia riparo. E tu mi dici, No resti il tuo cuore nel mio, ché se fodero ne sarà io lo sentirò palpitare e se io lo guardo, così cura avendone, lasciarsi morire non potrà. E lascia che come una lama di coltello scavi pure il mio petto, lascia che sanguinare faccia questo cuore, soffrir vuole, gli basta che tu scampi! Oppure scambiamoci i cuori, cioè i pensieri tutti, che i palpiti del fisico condizionano, li accelerano o li schiantano fino all'arresto suo. Sì, come talvolta facciamo con le favole, io le mie ti racconto per udir le tue. Così se proprio del morir vorrai il gusto amaro, è me che morir farai, mentre io vivrò in te, del mio tu sopravvivendo. E tu che di lusinghe avaro non sei, e dici che il mio cuore quello della buona bella fata già racchiude, allora esso starà nel petto tuo, vero cuore tuo diventando e vi resterà a suo agio, sì, “illud in pectore tuo manebit optime”. E dirtelo ho voluto nella lingua dei nostri sospiri, quando lasciando il tedesco, studio da affrontare alla pari, tu studiare volesti l'antica lingua, io maestra, che chiave ti fosse d'accesso ai diletti studi di medicina. Da allora ho cominciato a rinunciare per te, finché tutto delle aspirazioni mie e sogni hai preso, avido, ma mai me ne lamento pur'ora, se non all'epoca dei pensieri tuoi per altra donna. Sì, per aver questo tuo cuore un caro prezzo ho tutto pagato. E nascosto l'avevo in una latebra del mio. Incatenarlo avrei dovuto, ché non fuggisse o tapparlo in bozzolo, ché alle lusinghe d'altra orecchio non porgesse. Non sono stata accorta abbastanza... Ora nascosto, sotto la mia balìa resterà, e dovrà perfino respirare di me. E dice con l'antica poesia all'amor suo incredulo della determinazione sua, questo cuore, che per migrare sta nel petto tuo, sostituendovi il tuo, “Non lo sapevi che la gente nasconde l'amore come un bene troppo prezioso per essere colto?”.









E io a te rispondo, Oh sì, esso volentieri abiterà il petto tuo e starà sicuro sotto la tua guardianìa, lì imprigionato e certo rassegnato. E ancora, ricordando quell'antica poesia cinese da te citata, in cui pegno d'amore vien dato d'un fiore, Sai, ho dell'antica promessa ancor lo spigo che mi donasti e profuma se stropicciato ancor degli anni tuoi verdi e belli. Conservato l'ho schiacciandolo tra le pagine più belle di questo amore. E sai che metafora quelle facevano di noi? Fiorellino di prato se ne stava negletto, scuro, nonostante la sua corolla bianco neve. E venne bombo burbero a frugar le antere sue e lo trovò acerbo. Ma esso tutt'altra visita sperava..., ma ad esso nessuna farfalla pareva interessata. Poi finalmente una notte di stelle, tutte pronube all'amore, esso si disse, Tutto il mio profumo lancerò da far aulente tutta la notte serena, pur verrà falena e mia sarà. Così si preparò, la corolla sua distendendo tutta, a lasciar liberi gli effluvi suoi. Ma quei petali, già bianchi, il brillio delle stelle più vividi rese, cattivanti. E attratta ne fu piccola falena, più che dall'odore sparso pur gradito, da quel biancore vivificato dalle fate del cielo, che giù a guardar stavano, trepidando esse stesse amore. E fu vero amore... Ecco la storia nostra! La piccola farfalla, bella di notte, bello, in quella notte complice, trovò il fiore suo, né più lo lasciò. E si dice che in notti di stelle più stretto lo tenga, ch'altra non tenti di rubarlo. Ma altri dice che la falena si lasciò morire quando il suo bel fiorellino appassì. Ma tutte le favole bene finiscono. Una notte di lor tardo amore, scese la fata più bella di tutte dal cielo, li raccolse accoppiati e con sé tra le stelle li portò. Sia, piccolo amore, così di noi, come quei due amanti. Sai, io il fiore tu la falena, o più non so, era forse il contrario? Ma allora vero scambiar dovremmo i nostri ruoli nelle nostre favole, più che parteciparle all'altro. Comunque affrettati, tienimi stretto, i sogni svaniscono all'alba ed è vero che sol piccola falena sei nella mia fiaba, ché tu “univira” resteresti, come quella, che più altri fiori non volle. E falena orrore ha della luce eccessiva! Sì, è questa una vera storia d'amore, la nostra!

sabato 6 luglio 2013

Sindrome di Pollicino











Riprenderò con un vero tema il mio percorso morale. E forse niente di nuovo vero dirò, ma almeno ribadirò, forse con maggior chiarezza, il già detto. Come sono gli uomini e le donne di qui? Quelli che tu ami comunque, me compreso? Lo dirò dal punto di vista di un maschio vinto d'amore per te, e vero lo sono! Ma simile conclusione avrei per le donne, icone tue, ognuna cercar deve uno in cui veder il figlio tuo. Ma mi e ti chiedo, Esiste qui una misura dell'essere che non valuti l'avere? E non è forse corsa questa vita in cui frettolosa nostra storia fanno le valutazioni di quelli che abitano il nostro mondo? E non ci sono forse donne che pesano la nostra personalità col successo raggiunto, il cui simbolo è il denaro? E non pensai, ma a torto forse, di simile per me quando improvvisamente la vita m'ha rubato l'adolescenza? Sì, ragazzo, avevo un amore e abbandonato forse m'ha perché non ero nessuno, solo innamorato! Ma forse ella solo più alle favole mie non credeva! Avrei da allora dovuto adattarmi a simili richieste ambientali, che invece già calpestavano le piccole affermazioni mie morali, e invece continuai a sperare un incontro, ostinatamente vagheggiato possibile, con quella che svelata t'avrebbe. Sì, ho tentato di esser per te e forse ho perso. Non che non l'abbia trovata, ma perché vita grama ha dovuto con me condividere sebbene per i tempi, ancora dignitosa. E' proprio vero, molti si adeguano per sopravvivere, ché qui vale il posseduto, cioè i simboli che fanno la superiorità di classe ancora, di casta addirittura, denaro anzitutto, bella rappresentativa compagna e belle cose da far invidia, fino al codazzo infame di amici interessati solo alla personale fortuna. Ma è proprio vero, io a questo fascino sinistro non mi son sottratto per mia sola virtù, tu m'hai dato questa femmina buona. Ancora la lodo e lo faccio troppo? Ma io così lodo te! Ho vissuto però questo mondo con troppo pessimismo, da che accorto mi sono che il denaro chiave è per le porte tutte. Perfino per il cuore delle donne? Sicuramente non di tutte.





Molte di per sé aperto lo tengono e fingono che l'altro, e la sola fortuna lasciano credere complice d'averlo trovato, abbia chiave idonea a dischiuderlo, altre invece ostinate serrato lo mantengono. Queste ultime rare non sono, non comuni forse. Vogliono che il mezzo non sia elevato a fine e disprezzano gli uomini che feticisticamente amano il denaro. Esse questi prevedono scadere in una passione vero strana, possedere senza adoperare, cioè che diverranno prima o poi, avari. E quelle che vagheggiano il vero amore sanno che darlo non può chi persona gretta si faccia. Insomma sono vere donne, vere tue icone, ché inserite non vogliono essere nella roba che l'altro possiede. Proprio non vogliono per il loro cuore chi entra nell'abitudine prosaica del dover avere per essere. Io ho questa fortuna, ho una così. Forse accorta è di per sé o tu le ispiri oculato comportamento che le consente di farci vivere dignitosamente, nonostante il nostro poco. Pensa ha voluto che i soldi messi da parte per festeggiarla fossero inviati ai tuoi bambini bisognosi, che sono tanti! Allora mi chiedo perché per il mio poco che t'offro povero e sprovveduto, mi dai e tanto? Innamorata sei delle mie favole? Perché vorrei saperlo? Sento che tutto mi sta trascorrendo troppo in fretta. E allora ti assillo, però muta rimani come sempre, e da me tento risposta. Non sono stato un cuore di sasso e tu allontanata da me non ti sei mai. Guai, dice Agostino tuo santo, ai cuori di sasso! E quanto lo fa l'attaccamento al denaro! Ma io spero diverso, e che? Io son uno che ha la sindrome di Pollicino, alle passeggiate spezzo rametti secchi e li lascio cadere lungo la via che percorro, anche assai nota, come se, ritrovandoli, mi permettessero di ripercorrerla per ritornare al mio piccolo amore, uno strano quasi compulsivo rituale. Allora sai essa che mi suggerisce? Tu m'ameresti anche se sassolino avessi per cuore. Anzi l'utilizzeresti per indicare la via a quelli che ritrovarti devono. E tanto personale è quella, che, ecco la mia speranza, per ciascuno vorrei possa essere l'icona tua, quella che gli sia compagna, a fargliela trovare, seminando sassolini. Ciascuno cerchi e trovi la donna speciale da amare tra le molte che aborriscono il dio denaro. Guai se no, lontani dall'amore e da te saranno! Nessun sassolino da ritrovare, e solo vero amore, di cui quella che lasciar cadere li deve a far così percorso, traccia, è il solo simbolo, a te mena!

venerdì 5 luglio 2013

Lago d'amore







Arduo è gli altri conoscere, e appena se ne dice, ci accorgiamo che parziale, labile, impreciso è il concluso, minato forse di pregiudizio, ché il nostro resta un opinare, giudicare in superficie e dalle pressioni, che dall'ambiente ci vengono, e dalla storia personale anche, condizionato. Eppure io in onestà dico di conoscer la bella del cielo, un po' o tanto, non so. Induco da quel che so di questa donna mia in lungo sodalizio d'amore, o ne inferisco per l'esperienza che mi viene dall'abitudine mia all'introspezione, analogo pensato al nostro, il far e sentir suoi? Io dell'amore suo dire non ho sentito se non da parolai dell'amore. Molti dicono e nulla sanno e le parole loro non più di pula sono al vento o sterpaglia, strame degna del fuoco. Non posso fidarmi... Ma della donna mia ho fiducia, dell'agire e reagire suoi e così dello guardarmi dentro, in perpetua autoanalisi. Ma non so risolvermi per l'uno o l'altro dei suggerimenti, che me ne vengono. Ma forse i due non son che momenti, stadi non antitetici e nemmeno sovrapponibili e nelle conclusioni che mi permettono, sono complementari, hanno fatto il me recondito e il mio destino! E a te, bella signora, direi se fosse possibile un parlar diretto con risposta, cioè un colloquio e non sempre il monologo della preghiera, So che la felicità tua è nell'amore, e, insignificante uomo ma dai grandi sogni, vi contribuisco pur'io, un po' solo almeno. Cioè piccola parte pur sono della gioia tua! E se lei mi obbiettasse che come ben non so nemmeno di questa mia donna, scrigno il cuore di ognuna, così neppure di lei posso sapere, io che le direi? Vero sì quello che dici, ma lo so dalla stessa gioia che io stesso ho nell'innamorarmi e amare! E lei forse mi direbbe, Tu ben vedi, ben speri e tu non sei piccola parte del mio amore, una briciola, una goccia, ma tutto il mio possibile, come lo è ogni altro per cui morta sono col figlio mio divino. Perché? Chiedo e chiedo, a te dolce interlocutrice, eppur sempre ostinata muta, e a questa donna. Ma tu, bella del cielo, forse rispondermi non vuoi, ché questo è possibile sia uno degli “arcana dei”. E la mia donna rispondermi non sa, ché nulla sa dell'amore per ognuno che di per sé faccia la completezza d'amore. Oppure, ora ti chiedo, vuoi che da me capisca e mi risponda? E' prerogativa solo tua l'amare così? Sì, ti assillo così, ora, e lo farò e rifarò finché qui vivo, e mi chiedo, Non v'è proprio nulla di simile nell'amore umano? E non ti somigliamo nella capacità d'amare? Ma, senza chiara risposta da me, interrogo ancora la donna mia e le chiedo se ami più uno che l'altro dei figli suoi. Naturalmente no, è la risposta sua. E allora le dico, Se tu non distingui nell'amore i figli tuoi, forse di simile accade alla bella che sogniamo veder tra le stelle. Ella aveva solo amor nel figlio suo, suo tutto. Ella è divina nella natura sua e in lui esaurita è tutta la sua capacità d'amare. Quest'amore non l'ha ripartito tra noi tutti. Noi, che lui proprio ha fatto fratelli e figli della stessa madre, non ne abbiamo ricevuto una briciola. Ma ella amando per suo comando, più così non può distinguere tra noi e il figlio suo diletto, divenuto uno dei tanti, sicché come quell'amore primigenio tutto il cuore le occupava, ora quello per ciascuno ne fa il tutto, ché più averne non può. Insomma il suo è un lago d'amore e le goccioline, che vi piovono, fanno lo stesso lago, oppure piccola facella, aggiunta a una gran fiamma, diviene essa stessa quel tutto! Ma il mistero rimane e povera, debole la mente mia altro non sa congetturare. E forse difetta in logica il mio argomentare e le metafore, della parte che si identifica col tutto, valgono sì, ma solo un po'. Forse questo gestir particolare il suo, è simile a una figura retorica del dire, e questa analogia mi sarebbe utile se solo dovessi indicarlo, rappresentarlo. Sì dire che ella risponde, dà a questa donna e a me e tutti, il suo senza ripartirlo, è significare, dar nome, caratterizzare l'amor suo. Ma questo forse è proprio come nomare il non ancora perfettamente compreso, così come nella scienza termini vi sono a indicar fenomeni, ma talora solo appellativi, riassuntivi, descrittivi, non analizzanti, indicano cioè spesso problemi aperti. Meglio è dire che è proprio una risposta tutto o nulla. Ma ella non può negarsi se uno le chiede, deve la sua risposta, il suo tutto. Sì, forse è qualcosa di simile al dover dar tutto di sé, svuotarsi del proprio, come volersi annientare nell'oggetto d'amore e pur restare se stessa, mistero quindi d'amore è quest'amore. E più non so, vero fallace la mente mia. Allora esasperato, afono pur grido, Tu, madre mia dolcissima, facci diventar goccioline del tuo lago d'amore, o piccole facelle estinte nella gran fiamma della luce tua e ardore. “Tu illa es quae actuando manes immutata”. Sei uscita dal cuore del dio per questo, essere vinta d'amore. E tu ami noi come il divino tuo dolcissimo. “Eritis sicuit dei!” E' profezia del serpente, che già si realizza. O cuore d'amore, cuore di fiamma. Ecco il tramonto per noi, solo tu saprai colorarlo d'aurora!

mercoledì 3 luglio 2013

Favola di lumachine











Oh quanto saper vorrei mille e mille favole! Sì, tratte da questo mio cuore innamorato, per le donne tutte, che spesso a immeritevoli maschi sospirano, da intenerirle per dire a te le parole loro, tutte belle, perché d'amore. E così, a te affidandole, lor miglior fortuna sperare. Perché direi alle sole donne? Perché tutte tue icone le vedo, e dico di me, parafrasando il poeta, io mi son uno che come amore mi ditta dentro, cioè come esso lento dice le parole sue belle a questo cuore, agisco, e a chinarmi or mi invita ai più fragili fiorellini di prato! Oh quanto t'ho sospirato nostalgico,mio bel fiorellino, eppure sempre lontano languido amore, che se cento vite mi donassi a far piangere le stelle riuscirei e te tra quelle stella! Ed è accaduto e accade, sai? Ché, fede mia madre, le lucciole proprio lacrime lor sono! Ma una stellina v'è e brilla più di tutte in questo cielo estivo, e par all'unisono rispondere a questi miei lai amorosi, sì pulsa luce come a me cuore fa in speranza d'amore. E deve aver pianto una sua lacrimuccia e lasciata cadere su questa terra. E' come lucciola ora questa e angelo era. Bella e bruna la vedo, ed è femmina anche nei miei sogni, dov'è com'era, la chioma sua a far contrasto sulla veste e l'ali sue bianche e gli occhi, i tuoi neri, a brillar nel buio in notti come questa incantate, come stelle di terra o lacrime qui cadute dalle celesti lucciole. Sì, è ora piccola donna, e tutta pulsa amore, ché s'accende a tratti a dir per brillii, come lucciola è usa, parole sue a questo cuore che intender le sa... Ecco, continuare così potrei e far di questo amore favola, sogno, e facile mi sarebbe, ché dico di stelle e di lor lacrime d'amore, materia che consona è ad affabulatore. Forse simil favola piacerebbe alle donne cui indirizzarla vorrei. Ma vero cantastorie mi fa questo cuore bambino e favola nuova a voi due, che stelle attente siete ai palpiti miei, raccontar voglio e ad altre, incastonate in questo cielo, là celesti simboli di quelle che qui son donne, che desiderio abbiano di saperla. Parla sì d'amore, ma tra creature molto umili, e io e questa mia donna così siamo e “mites inter omnes”, come tu sei, per amarti, e tu ci ricambi coi brillii tuoi, “speciosa” stella sicura su questo periglioso mare, buio e triste, come il mitico oceano. E dico, In queste notti d'estate, fresche e umide, van le lumachine, lente procedendo in fila, a pasteggiar sulla verzura. Profittano della rugiada, ché l'aria umida che qui, sul chinale, sale dal mare, tutti imperla i fili d'erba, i già arsi e quelli che ancora il sole risparmiati ha. Vi permarrà, velo di minutissime goccioline fatta, finché novello sole si desti a indorar tutto del chinale erbe e arbusti suoi, e si sperderà in aria, ma per ritornar fedele la notte prossima. Su quelli lasciano le lumachine la scia di loro bava e forse la seguiranno a ritroso, a ritrovar frettolose rifugio, quando chiarito farà la luce il cielo, or da miriadi di stelle trapunto tutto. Una presto lascia con altro intento le compagne sue voraci del tenero pasto. E' solo una limaccia di bosco qui comune, e non di quelle che casetta con sé portano e possono appisolarsi se luce e calore le sorprendano, tutte ritirandosi e tappandosi in lor guscio. E' di quelle che fuggir debbono via. Ché son tutte nude, senza valva, e se fuggir questa mia non potrà, s'appallottolerà in un bozzolo di bava penzoloni ad attender nuova notte amica. Dove va la solitaria? Va sulle frondette novelle d'un arbusto e non s'attarda ad assaggiarle. Gli occhietti suoi da basso han visto le stelle ed essa va in alto speranzosa di raggiungerle! Sta ora sulla sommità del cespuglio, non s'arresta, ma tutta si protende, meschina ignara, in alto. E le manca appiglio e precipita! Ma una compagna, sazia della pastura conclusa, forse vero impigrita, ha deciso bozzolo preparare per proprio a star lì, sotto a un rametto di quel cespuglio, la notte intera e già la culla la brezza, dolce nenia cantando, ché dalle frasche, come lambendo corde diverse, dolce armonia trae. E quella che cade, su quel suo rifugio s'invischia. Tutto si tende il filo di bava al peso accresciuto improvviso, ma non si spezza. E il bozzolo che già cullava oscillando, ché s'addormentasse chi proteggeva, ora a nuova danza è sollecitato. Su e giù va per un po' come pallina con elastico legata a dito per il trastullo di un bambino. Ma le due, compagne per caso, si riconoscono e possono star insieme, ché la tessitrice del bozzolo la caduta accoglie. Tanto anzi s'intendono che decidono d'amarsi e poi s'addormentano felici, pronuba la brezza dolce che continua a cullarle cantando...





Non credi tu, bella stella di questo mio cielo, che simil favola faccia la mia metafora d'amore? Io innamorato delle stelle non ho saputo raggiungerle, né invero avrei potuto, ma troppo ingenuo e stupido per saperlo, l'ho, incauto, tentato, e tu permesso hai che compagna dolce raccogliesse la mia avventatezza e ne facesse un amore!

lunedì 1 luglio 2013

Sogni e illusioni











L'anima mia, che solo di te respira, uscir vorrebbe di sua angustia. Ma nonostante gli inviti tuoi in sogni e illusioni continui, ferma rimane in ciò cui questa vita la costringe, sì nel guscio di questa mente che vive in questo corpo. Ché tenta sortite spesso, ma più disperata ne resta. E sai che m'è accaduto proprio di recente? Lo dirò come fosse fatto d'adesso, ché ora, in questa giornata, fresca uguale, tu lo riviva con me. Ché, forse, tu eri la sognata. Ecco, oggi il vento è fresca brezza dal mare e agita la chioma bruna di questa donna solitaria, ferma al sommo di questo stradello che percorro fidente di buon mattino. E la luce che tutta la riveste, le fa aureola d'oro e con brilli cangianti gioca tra i capelli suoi. Mi chiedo chi sia questa bella e se chiederlo a lei vero potrò dalla mia annosa timidezza, quando vicino le sarò. Guarda ora dalla mia parte, mentre poc'anzi verso il brillio accecante del mare, a sostenerlo senza far solecchio, era volta. Sorride. Lo fa a me e perché se ne senta rassicurata, privo d'altre umane presenze questo luogo? E' tutta bianco vestita, cerea nel bel sembiante, e assai giovane sembra, sì, neri gli occhi e nera, lunga, bella la chioma e graziose le forme, che cela la lunga insolita veste, ma con un po' di trasparenza a indugiarvi. Io trepidante più mi faccio prossimo. Ecco, penso, le dirò la stessa cosa di giorni or sono, quando finto ho che curiosità ci mordesse sulla nazionalità sua, io salendo il colle con l'amico, che di botanica si diletta, e quella giù venendone, un'avvenente bionda americana. Perché il compagno mio mi sollecitava, dalla timidezza sua, a inventarmi qualcosa per fermarla. Sì, noi timidi tendiamo a dire frasi collaudate vincenti a tutte le donne, non per pigrizia e mancanza di inventiva, ma quando desiderosi dell'interesse loro, perché vergogna avremmo da temuta indifferenza, se manifesta. Ma appena vicino, quando la luce eccessiva alquanto me la nasconde sfocandola, è lei a parlarmi e dice soave soave, Lunga la strada per il bene! E poi prima che le risponda, la luce me la ruba del tutto, ché un abbagliante sole da orto matura il mattino... Devo proprio aver sognato! Come in vero sogno di dormiente o a occhi aperti? E certo di te! Ché è sempre così che parli e passi, mai ristai! Sempre mi mormori nell'intimo e pensieri di luce suggerisci, ma anche ne ho tormento, ché solo con cento illusioni e sogni ti mostri come vanir più volessi questa mente provata, e ne resto sconcertato. Ma io non chiedo che di palpitar a questo vento, che tremuli ha fatto, indugiando, i capelli tuoi, o come le foglie che fa stormire nella boscaglia, mentre qui fischia sull'erba di strame scivolandovi, da parere un lamento, e agitandola come fa col mare di sotto, che rumoreggia sordo. Sai, inaridite son tutte le mie fonti. Io non so più nulla, non ricordo nulla, e quello che resta fluttua mutevole e vuol farsi oblio. Son vecchio e mi falla la memoria di fatti di appena ora e io li noto e li scrivo pure, ché me li sbrogli la compagna dolce e mi indichi la lunga via per raggiungerti, cui or ora accennato m'hai in questo sogno forse di poc'anzi che a casa dormivo,o, così non sia, mo mo fatto a occhi aperti. Mi han detto i tuoi saccenti, I tuoi interessi, quelli che ti tengono qui ancorato, son nulla di fronte ai bisogni dell'anima tua, così il male che t'agita il corpo e ogni tua disgrazia di fronte alla bruttura e al buio del peccato! Ecco, ho tacitato i bisogni e le proteste del corpo al male, che lasciarlo non vuole. E quanto al peccato novello sta forse nell'aver tentato amare chi o meglio ciò che “passum, perditum ducas, miserum cor meum”. Ma può amor far peccare? Sì, forse, se fa piangere dolce primavera che accanto mi vive! Ma forse c'è di più, so vero io perdonare, so amare chi da cui male ebbi? Dentro mi grida di farlo il figlio tuo e tu pure alla maniera tua, per enigmi prospettici e frasi mozze, che capir non so. Ma tu non fare come questi saccenti, dicono, indicano, ma non si muovono e non vanno per primi. E dove andrebbero, sanno la via che a te mena? Ma tu forse vero lo fai per questa donna mia. Ecco io le dirò a casa tornando, Credo nella donna del cielo, credo in te, piccolo amore! Così però vi ripeto da sempre, e mi levo e cammino, ma poi solo mi sento! E perfino le illusioni di te e i sogni di vecchio svanito, rimpiango! Oh quanto vorrei esser più semplice, sgranar gli occhi, bambino novello, al mistero delle cose e attender mi gemmi dentro la vera felicità che solo i bambini e i poeti sanno e ne dicono gioiosi, con parole loro e gesti! Sai, uno assai piccolo, richiesto del nome, ha risposto d'essere il tyrannosaurus rex, minaccioso mimandolo, e la madre sua e il suo compagno ed io più che sorriso abbiamo a tanto impegno! Ma brancolo in questo buio e perciò meglio dirò a questo amore, Conduci tu, tienimi per mano, io non so più vedere e distinguere. M'occupano la mente strane fantasime e sono come lacero, affannato, stanco vengo a te da molto lontano e mi sanguinano i piedi perfino, e affamato sono di cibo, al solito, ma più d'amore. Ma lei mi risponderà, Da molto m'hai vicina, ecco del buono ho qui per te! E io parafrasando il tuo fare e dire, Sempre mi ritrovo in lunga via d'attesa, m'avvicino e tu sfuggi, t'allontani! E dice una canzone antica, Longa la via 'e chi vo' bbene! (Lunga la via di chi vuol bene).E ancora, Ma non t'intristire, bussa tu alla porta del cielo, s'aprirà per noi! No, meglio dirò, viene la sera, restiamo abbracciati, tentiamo ultime effusioni d'amore e poi, stanchi, addormentiamoci nello stesso sogno. Verrà la bella dei nostri sospiri e forse ci prenderà prima che s'alzi aurora novella con le pene sue di sempre e illusioni e sogni! Ecco così proprio le dirò e a te dico, Quanto ancora attender ci farai?