mercoledì 3 luglio 2013

Favola di lumachine











Oh quanto saper vorrei mille e mille favole! Sì, tratte da questo mio cuore innamorato, per le donne tutte, che spesso a immeritevoli maschi sospirano, da intenerirle per dire a te le parole loro, tutte belle, perché d'amore. E così, a te affidandole, lor miglior fortuna sperare. Perché direi alle sole donne? Perché tutte tue icone le vedo, e dico di me, parafrasando il poeta, io mi son uno che come amore mi ditta dentro, cioè come esso lento dice le parole sue belle a questo cuore, agisco, e a chinarmi or mi invita ai più fragili fiorellini di prato! Oh quanto t'ho sospirato nostalgico,mio bel fiorellino, eppure sempre lontano languido amore, che se cento vite mi donassi a far piangere le stelle riuscirei e te tra quelle stella! Ed è accaduto e accade, sai? Ché, fede mia madre, le lucciole proprio lacrime lor sono! Ma una stellina v'è e brilla più di tutte in questo cielo estivo, e par all'unisono rispondere a questi miei lai amorosi, sì pulsa luce come a me cuore fa in speranza d'amore. E deve aver pianto una sua lacrimuccia e lasciata cadere su questa terra. E' come lucciola ora questa e angelo era. Bella e bruna la vedo, ed è femmina anche nei miei sogni, dov'è com'era, la chioma sua a far contrasto sulla veste e l'ali sue bianche e gli occhi, i tuoi neri, a brillar nel buio in notti come questa incantate, come stelle di terra o lacrime qui cadute dalle celesti lucciole. Sì, è ora piccola donna, e tutta pulsa amore, ché s'accende a tratti a dir per brillii, come lucciola è usa, parole sue a questo cuore che intender le sa... Ecco, continuare così potrei e far di questo amore favola, sogno, e facile mi sarebbe, ché dico di stelle e di lor lacrime d'amore, materia che consona è ad affabulatore. Forse simil favola piacerebbe alle donne cui indirizzarla vorrei. Ma vero cantastorie mi fa questo cuore bambino e favola nuova a voi due, che stelle attente siete ai palpiti miei, raccontar voglio e ad altre, incastonate in questo cielo, là celesti simboli di quelle che qui son donne, che desiderio abbiano di saperla. Parla sì d'amore, ma tra creature molto umili, e io e questa mia donna così siamo e “mites inter omnes”, come tu sei, per amarti, e tu ci ricambi coi brillii tuoi, “speciosa” stella sicura su questo periglioso mare, buio e triste, come il mitico oceano. E dico, In queste notti d'estate, fresche e umide, van le lumachine, lente procedendo in fila, a pasteggiar sulla verzura. Profittano della rugiada, ché l'aria umida che qui, sul chinale, sale dal mare, tutti imperla i fili d'erba, i già arsi e quelli che ancora il sole risparmiati ha. Vi permarrà, velo di minutissime goccioline fatta, finché novello sole si desti a indorar tutto del chinale erbe e arbusti suoi, e si sperderà in aria, ma per ritornar fedele la notte prossima. Su quelli lasciano le lumachine la scia di loro bava e forse la seguiranno a ritroso, a ritrovar frettolose rifugio, quando chiarito farà la luce il cielo, or da miriadi di stelle trapunto tutto. Una presto lascia con altro intento le compagne sue voraci del tenero pasto. E' solo una limaccia di bosco qui comune, e non di quelle che casetta con sé portano e possono appisolarsi se luce e calore le sorprendano, tutte ritirandosi e tappandosi in lor guscio. E' di quelle che fuggir debbono via. Ché son tutte nude, senza valva, e se fuggir questa mia non potrà, s'appallottolerà in un bozzolo di bava penzoloni ad attender nuova notte amica. Dove va la solitaria? Va sulle frondette novelle d'un arbusto e non s'attarda ad assaggiarle. Gli occhietti suoi da basso han visto le stelle ed essa va in alto speranzosa di raggiungerle! Sta ora sulla sommità del cespuglio, non s'arresta, ma tutta si protende, meschina ignara, in alto. E le manca appiglio e precipita! Ma una compagna, sazia della pastura conclusa, forse vero impigrita, ha deciso bozzolo preparare per proprio a star lì, sotto a un rametto di quel cespuglio, la notte intera e già la culla la brezza, dolce nenia cantando, ché dalle frasche, come lambendo corde diverse, dolce armonia trae. E quella che cade, su quel suo rifugio s'invischia. Tutto si tende il filo di bava al peso accresciuto improvviso, ma non si spezza. E il bozzolo che già cullava oscillando, ché s'addormentasse chi proteggeva, ora a nuova danza è sollecitato. Su e giù va per un po' come pallina con elastico legata a dito per il trastullo di un bambino. Ma le due, compagne per caso, si riconoscono e possono star insieme, ché la tessitrice del bozzolo la caduta accoglie. Tanto anzi s'intendono che decidono d'amarsi e poi s'addormentano felici, pronuba la brezza dolce che continua a cullarle cantando...





Non credi tu, bella stella di questo mio cielo, che simil favola faccia la mia metafora d'amore? Io innamorato delle stelle non ho saputo raggiungerle, né invero avrei potuto, ma troppo ingenuo e stupido per saperlo, l'ho, incauto, tentato, e tu permesso hai che compagna dolce raccogliesse la mia avventatezza e ne facesse un amore!

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