domenica 14 luglio 2013

Vita e felicità



Saprò dirlo? M'aiuterà questo cielo tutto brillantato, con la serenità che par indurre? E fiducioso di riuscita, dico. Non è da sempre che gli uomini sognano una età dell'oro e un paradiso col dio, proiettandoli o nel passato, in un mondo perduto e forse mai stato, o nel futuro, in un improbabile mondo da venire? E' tutta qui, una giustificazione mitica dell'assenza del bene con la sua perdita in un passato lontanissimo, smarrito il ricordo del come o confabulato, e posporne in un futuro indeterminato la riacquisizione, la base fragile senza una motivazione profonda del credo mio e del mio stare particolare a questo mondo, e della mia aspettativa di pace e di bene, che coagulo in un simbolico luogo delle stelle e nel tempo loro e che chiamo ricerca del dio? Non v'è di più? Intanto mi chiedo. Non esprimono i sogni i desideri più che la realtà, e non è quella attuale tanto grama, che fa pensare quella attesa fiduciosa, assai migliore? Traducono la speranza di non essere per sempre infelici, e di conseguire almeno le piccole gioie ora negate! Ma anche la volontà di raggiungere quella serenità, quale sia il luogo e il tempo che la consentano, che faccia vivere la vita nella libertà che qui manca. Ed è peculiare della esistenza umana lo star a questo mondo con preoccupazione, “sollecitudo, cura”, cioè con continuo sforzo e impegno per concretizzare l'aspettativa di poterla vivere senza troppi intoppi, dolori, difficoltà, privazioni, bisogni, tutte cose non completamente evitabili però, e se ne ha amara consapevolezza. Allora la felicità davvero non può essere di qui? Forse si realizza in qualche misura se le nostre inclinazioni, la nostra personalità possono espandersi senza troppi condizionamenti, senza sentirsi in un gioco più grande che altri, e chissà chi, dirige occulto, ma liberi di pensare e di fare, e consapevoli, non sue pedine ignare. Cioè nella misura che qui si realizza la libertà di essere e decidere, senza necessariamente dover avere, possedere, come misura del proprio sé. E se le speranze di farcela vengono castigate, sconfessate, allora ecco la tristezza nella banalità della sconfitta, nella forzosa passività, nell'evidenza penosa della non libertà. Ma quand'è che il desiderio di felicità fa l'uomo autentico, senza spingerlo nella mollezza dei sogni? E forse io troppo mi ci sono spinto! Quando egli, ben cosciente della durezza della realtà, fa del suo desiderio di miglior sorte, la volontà etica del superamento dei limiti angusti dello stare a questo mondo. Ma appena raggiunti e creduti varcati quei limiti, appena libero anche solo un po' dal credersi sotto a pesante giogo, ecco tornare il sogno di una meta ulteriore, e allora egli si scopre a lavorare a una speranza più grande. E c'è chi tutti vi vuol coinvolti, ché non si contenta più di quello che pur è stato, fino al quel punto, realizzato per se stesso, anzi vi rinuncia, ché lo vuole per tutti. E' santo costui, laico o confessionale, che sia! E gli tornano i miti e le favole, ma in una spiritualità nuova, li accetta come linguaggio della possibilità dei suoi scopi, che crede fiducioso possano concretizzarsi se lo si vuole abbastanza. Egli ben sa, ma non si scoraggia, che non esistono soluzioni facili e talvolta nemmeno definitive a certi problemi di questo mondo e di questa vita, che si ripresentano ad ogni generazione e domandano, da parte di menti capaci, sempre attenzione nuova, e più adeguate risposte anche dalla scienza. Sì, per certi problemi posti all'umanità, acuiti dalla modernità, sono necessari tentativi rinnovati per cercarne soluzioni nuove e quelle complete, definitive, non relative, avulse dal momento, dimorano sempre oltre, in un lontano luogo e in un futuro imprecisati. E' sono d'oggi l'inquinamento, la deforestazione, il sovraffollamento, la penuria delle risorse, la fame nel mondo... Ma allora come v'è nobile tensione nell'affrontare, da parte di chi sa e può, e cercar di vincere le contraddizioni, i disagi che quei problemi pongono, dando loro risposta accettabile per il tempo e il luogo, non meno nobile è cercare di render la vita per tutti meno umiliante e disumana, quale sia il tempo o il luogo, e c'è appunto chi ne fa scopo di vita, filantropo o santo che sia. E come chiameremmo risoluzione di un problema scientifico, la soluzione sempre cercata, quando al fine trovata, ma, come detto, quella è spesso oltre le possibilità del momento e sfugge, così beatitudine chiamiamo la felicità, che pure sfugge, sta di simile in un oltre e dopo, mentre solo un surrogato accettabile c'è chi propone e attua, spendendovi la vita, a vantaggio però dell'esistenza di tutti. E come la soluzione pur c'è e talvolta non si trova, sta in una razionalità sua inaccessibile al momento, così noi sappiamo che c'è la felicità totale, aurea e paradisiaca, e la libertà di viverla, e diciamo stanno nel dio, realtà negata pur'essa. Il dio è allora nome, concetto, speranza, che indica l'anelito alla felicità nella libertà da tutto ciò che fa ostacolo, impedimento, resistenza, attrito nel procedere verso il bene diffuso agognato per tutti, e che vuole consumare, perfido, molto prima di una tappa significativa di cui essere contento e orgoglioso chi per quello opera e vive, e che chiamiamo male, il male, l'antagonista, il nemico del dio.

Ecco il mito del male che s'oppone al dio ritorna e non esprime che verità! Volendo significare, immaginifico il linguaggio, la lontananza, l'inaccessibilità dell'agognato bene, ma anche il pungolo a non contentarsi di una felicità minore, ma a tendere alla sublime, nella libertà, nel dio appunto! Così l'amore umano diventa prologo di uno, non solo più completo, ma assoluto, che tutto e tutti includa nell'afflato, quello che nei miti dell'infanzia di questa umanità già proiettato era oltre questo mondo, alle stelle, in cui fata buona, la dea, fosse ad attendere, o, per altri, il dio in un bel giardino di aulenti essenze, oltre il deserto del vissuto, nel paradiso. E così nella personale infanzia, bambini si vagheggiava la bella più di tutte stella, raggiungibile in forma graziosa umana, se solo in fretta fossimo cresciuti, acquisendo qualità e prestigio da quella apprezzabili. Allora felicità è piuttosto approfondire la propria umanità, che comprende il sogno, l'aspettativa del bello, del buono, del perfetto, del giusto, della libertà insomma da tutti i laccioli, quelli che hanno motivazioni profonde e vengono da dentro, e gli esterni dal mondo, quelli che comunque insidiano e fanno la nostra vita stupidamente difficile, triste rendendola e buia, ché resti nel male appunto, nel bisogno, ignoranza, dipendenza, ove l'invidia tenta sempre di confinarla. Sì, quelli che perfino i nostri, gli inclusi nella nostra “sollecitudo”, preparano con cura, malizia, ché ci imbriglino quasi fossimo selvaggina minuta, per star da soli al sole, ai primi posti, disturbati dal nostro fare e dalle motivazioni del fare. Vivere nel sogno non è allora evadere, ma accettare il mondo imperfetto ed esigere, con contributo, sacrificio personale, di renderlo più umano, anticipandone, sognandone appunto, l'aspetto sperato. Perché come nulla si può con certi problemi che la vita pone anche alla scienza, se non si tenta, qualcosa conseguendo, seppure talvolta di non definitivo, pena altrimenti il supino rassegnarsi e dover soccombere, ed è necessario che se ne anticipino, sognino, diciamo pur così, le soluzioni vere sempre sfuggenti, così nullo vero avanzamento nella libertà si attua se non la si sogna immancabile e totale. Dove, quando? Dove e quando s'attua la speranza, e quando e dove stanno pure tutte soluzioni, gli scioglimenti da ogni perplessità e affanno, dov'è, diciamo, la razionalità pura, esaustiva, che dà spiegazione di tutti i perché che qui ci assillano senza risposta, sì, proprio presso il mitico, vecchio, buon dio, e la mitica sua stella, madre dei sognatori tutti e ispiratrice di ogni amore, sì dove vive il puro amore! Postulato, premessa cioè da viver vera, è della vita felice e libera agognata, anzi la fede del virtuoso lo fa assioma, evidente verità di per sé al cuore di chi l'intende. Il dio c'è non solo per l'umanità sua, ma per i viventi tutti e le cose tutte, non solo per gli attuali che lo sognano, ma per quelli già stati e che verranno, e verrà pur raggiunto, tutto s'affretta al punto omega, l'incontro col dio veniente! Fede, dice l'apostolo, è certezza delle cose sperate! E io fedele devoto, dico alla stella che da lassù a me e a questa piccola mia donna, guarda amorosa, Dimmi, bella di questo cielo, come io possa da questo cuore già amarti! E quella risponde, sorrisi, brillii! E la mia vita si fa meno stupida, anche se forse rimane ugualmente difficile!

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