Saprò
dirlo? M'aiuterà questo cielo tutto brillantato, con la serenità
che par indurre? E fiducioso di riuscita, dico. Non è da sempre che
gli uomini sognano una età dell'oro e un paradiso col dio,
proiettandoli o nel passato, in un mondo perduto e forse mai stato, o
nel futuro, in un improbabile mondo da venire? E' tutta qui, una
giustificazione mitica dell'assenza del bene con la sua perdita in un
passato lontanissimo, smarrito il ricordo del come o confabulato, e
posporne in un futuro indeterminato la riacquisizione, la base
fragile senza una motivazione profonda del credo mio e del mio stare
particolare a questo mondo, e della mia aspettativa di pace e di
bene, che coagulo in un simbolico luogo delle stelle e nel tempo loro
e che chiamo ricerca del dio? Non v'è di più? Intanto mi chiedo.
Non esprimono i sogni i desideri più che la realtà, e non è quella
attuale tanto grama, che fa pensare quella attesa fiduciosa, assai
migliore? Traducono la speranza di non essere per sempre infelici, e
di conseguire almeno le piccole gioie ora negate! Ma anche la volontà
di raggiungere quella serenità, quale sia il luogo e il tempo che la
consentano, che faccia vivere la vita nella libertà che qui manca.
Ed è peculiare della esistenza umana lo star a questo mondo con
preoccupazione, “sollecitudo, cura”, cioè con continuo sforzo e
impegno per concretizzare l'aspettativa di poterla vivere senza
troppi intoppi, dolori, difficoltà, privazioni, bisogni, tutte cose
non completamente evitabili però, e se ne ha amara consapevolezza.
Allora la felicità davvero non può essere di qui? Forse si realizza
in qualche misura se le nostre inclinazioni, la nostra personalità
possono espandersi senza troppi condizionamenti, senza sentirsi in
un gioco più grande che altri, e chissà chi, dirige occulto, ma
liberi di pensare e di fare, e consapevoli, non sue pedine ignare.
Cioè nella misura che qui si realizza la libertà di essere e
decidere, senza necessariamente dover avere, possedere, come misura
del proprio sé. E se le speranze di farcela vengono castigate,
sconfessate, allora ecco la tristezza nella banalità della
sconfitta, nella forzosa passività, nell'evidenza penosa della non
libertà. Ma quand'è che il desiderio di felicità fa l'uomo
autentico, senza spingerlo nella mollezza dei sogni? E forse io
troppo mi ci sono spinto! Quando egli, ben cosciente della durezza
della realtà, fa del suo desiderio di miglior sorte, la volontà
etica del superamento dei limiti angusti dello stare a questo mondo.
Ma appena raggiunti e creduti varcati quei limiti, appena libero
anche solo un po' dal credersi sotto a pesante giogo, ecco tornare il
sogno di una meta ulteriore, e allora egli si scopre a lavorare a una
speranza più grande. E c'è chi tutti vi vuol coinvolti, ché non si
contenta più di quello che pur è stato, fino al quel punto,
realizzato per se stesso, anzi vi rinuncia, ché lo vuole per tutti.
E' santo costui, laico o confessionale, che sia! E gli tornano i miti
e le favole, ma in una spiritualità nuova, li accetta come
linguaggio della possibilità dei suoi scopi, che crede fiducioso
possano concretizzarsi se lo si vuole abbastanza. Egli ben sa, ma non
si scoraggia, che non esistono soluzioni facili e talvolta nemmeno
definitive a certi problemi di questo mondo e di questa vita, che si
ripresentano ad ogni generazione e domandano, da parte di menti
capaci, sempre attenzione nuova, e più adeguate risposte anche dalla
scienza. Sì, per certi problemi posti all'umanità, acuiti dalla
modernità, sono necessari tentativi rinnovati per cercarne soluzioni
nuove e quelle complete, definitive, non relative, avulse dal
momento, dimorano sempre oltre, in un lontano luogo e in un futuro
imprecisati. E' sono d'oggi l'inquinamento, la deforestazione, il
sovraffollamento, la penuria delle risorse, la fame nel mondo... Ma
allora come v'è nobile tensione nell'affrontare, da parte di chi sa
e può, e cercar di vincere le contraddizioni, i disagi che quei
problemi pongono, dando loro risposta accettabile per il tempo e il
luogo, non meno nobile è cercare di render la vita per tutti meno
umiliante e disumana, quale sia il tempo o il luogo, e c'è appunto
chi ne fa scopo di vita, filantropo o santo che sia. E come
chiameremmo risoluzione di un problema scientifico, la soluzione
sempre cercata, quando al fine trovata, ma, come detto, quella è
spesso oltre le possibilità del momento e sfugge, così beatitudine
chiamiamo la felicità, che pure sfugge, sta di simile in un oltre e
dopo, mentre solo un surrogato accettabile c'è chi propone e attua,
spendendovi la vita, a vantaggio però dell'esistenza di tutti. E
come la soluzione pur c'è e talvolta non si trova, sta in una
razionalità sua inaccessibile al momento, così noi sappiamo che c'è
la felicità totale, aurea e paradisiaca, e la libertà di viverla, e
diciamo stanno nel dio, realtà negata pur'essa. Il dio è allora
nome, concetto, speranza, che indica l'anelito alla felicità nella
libertà da tutto ciò che fa ostacolo, impedimento, resistenza,
attrito nel procedere verso il bene diffuso agognato per tutti, e che
vuole consumare, perfido, molto prima di una tappa significativa di
cui essere contento e orgoglioso chi per quello opera e vive, e che
chiamiamo male, il male, l'antagonista, il nemico del dio.
Ecco
il mito del male che s'oppone al dio ritorna e non esprime che
verità! Volendo significare, immaginifico il linguaggio, la
lontananza, l'inaccessibilità dell'agognato bene, ma anche il
pungolo a non contentarsi di una felicità minore, ma a tendere alla
sublime, nella libertà, nel dio appunto! Così l'amore umano diventa
prologo di uno, non solo più completo, ma assoluto, che tutto e
tutti includa nell'afflato, quello che nei miti dell'infanzia di
questa umanità già proiettato era oltre questo mondo, alle stelle,
in cui fata buona, la dea, fosse ad attendere, o, per altri, il dio
in un bel giardino di aulenti essenze, oltre il deserto del vissuto,
nel paradiso. E così nella personale infanzia, bambini si
vagheggiava la bella più di tutte stella, raggiungibile in forma
graziosa umana, se solo in fretta fossimo cresciuti, acquisendo
qualità e prestigio da quella apprezzabili. Allora felicità è
piuttosto approfondire la propria umanità, che comprende il sogno,
l'aspettativa del bello, del buono, del perfetto, del giusto, della
libertà insomma da tutti i laccioli, quelli che hanno motivazioni
profonde e vengono da dentro, e gli esterni dal mondo, quelli che
comunque insidiano e fanno la nostra vita stupidamente difficile,
triste rendendola e buia, ché resti nel male appunto, nel bisogno,
ignoranza, dipendenza, ove l'invidia tenta sempre di confinarla. Sì,
quelli che perfino i nostri, gli inclusi nella nostra “sollecitudo”,
preparano con cura, malizia, ché ci imbriglino quasi fossimo
selvaggina minuta, per star da soli al sole, ai primi posti,
disturbati dal nostro fare e dalle motivazioni del fare. Vivere nel
sogno non è allora evadere, ma accettare il mondo imperfetto ed
esigere, con contributo, sacrificio personale, di renderlo più
umano, anticipandone, sognandone appunto, l'aspetto sperato. Perché
come nulla si può con certi problemi che la vita pone anche alla
scienza, se non si tenta, qualcosa conseguendo, seppure talvolta di
non definitivo, pena altrimenti il supino rassegnarsi e dover
soccombere, ed è necessario che se ne anticipino, sognino, diciamo
pur così, le soluzioni vere sempre sfuggenti, così nullo vero
avanzamento nella libertà si attua se non la si sogna immancabile e
totale. Dove, quando? Dove e quando s'attua la speranza, e quando e
dove stanno pure tutte soluzioni, gli scioglimenti da ogni
perplessità e affanno, dov'è, diciamo, la razionalità pura,
esaustiva, che dà spiegazione di tutti i perché che qui ci
assillano senza risposta, sì, proprio presso il mitico, vecchio,
buon dio, e la mitica sua stella, madre dei sognatori tutti e
ispiratrice di ogni amore, sì dove vive il puro amore! Postulato,
premessa cioè da viver vera, è della vita felice e libera agognata,
anzi la fede del virtuoso lo fa assioma, evidente verità di per sé
al cuore di chi l'intende. Il dio c'è non solo per l'umanità sua,
ma per i viventi tutti e le cose tutte, non solo per gli attuali che
lo sognano, ma per quelli già stati e che verranno, e verrà pur
raggiunto, tutto s'affretta al punto omega, l'incontro col dio
veniente! Fede, dice l'apostolo, è certezza delle cose sperate! E io
fedele devoto, dico alla stella che da lassù a me e a questa piccola
mia donna, guarda amorosa, Dimmi, bella di questo cielo, come io
possa da questo cuore già amarti! E quella risponde, sorrisi,
brillii! E la mia vita si fa meno stupida, anche se forse rimane
ugualmente difficile!
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