sabato 26 novembre 2016

L'amore, il male, il perdono


Quando alle dotte discussioni dei miei colleghi prendevo parte, e di rado accadeva vi fossi invitato, forse perché palese amico di un matematico prete, queste finivano talvolta col negare al dio ogni possibilità. Io ero senza veri argomenti, troppo recente la mia conversione, irretito dal pescatore di anime che raccomanda di amare i nemici. Amore, che diviene unica possibilità, se quel che ci accade nega la prossimità del dio, per continuare ad avvertirla, nonostante l'accaduto. Dio, che si è legato al nostro destino con la venuta e la permanenza qui, proprio del suo cristo!
Ma una volta non seppi resistere... Il più preparato concludeva, parlando della moderna teoria della “creazione” dell'universo, che un agglomerato, palla primordiale, assai ridotta nelle dimensioni, conteneva in nuce l'universo attuale, avendo al contorno, cioè sulla superficie, certe particolari condizioni influenzanti il comportamento nel tempo, che si sarebbe dispiegato. Alla mia domanda, perché quelle e non altre azioni vincolanti all'inizio dell'evoluzione del tutto, l'interlocutore allargò le braccia, mentre io affermai di saperlo, le aveva poste il dio! Perciò se non poteva essere accettato un dio fuori del tempo e delle cose, perché ritenuto mera invenzione umana, non era quella la via per negarlo, lo si chiamasse come più piaceva, rispuntava! C'era stata una primordiale scelta tra le innumerevoli possibili e da che, o da chi? Io affermavo la scelta da chi ne è ancor oggi, pensato fuori.

Nel stadio attuale e qui, ci sono persone capaci che studiano le cose, altri si chiedono il perché della vita, altri ancora il rapporto dei viventi con tutto ciò che fa il loro mondo, e le leggi di questo fino a chi non nascose la sua meraviglia che tutto sia comprensibile e scritto in linguaggio matematico (Einstein). Noi, i semplici, non necessariamente sprovveduti, ci lasciamo guidare. E intanto cediamo alla meraviglia. Ecco le cose novelle di primavera, i chinali variopinti di fiori ed erbe carezzati dal vento, i tramonti che tutto dipingono di rosso nella attesa che ridano le stelle! E poi i sorrisi e parole dolci o amare delle nostre donne e i lor caldi abbracci. Ma c'è il male, c'è il dolore per fatti collettivi, così terremoti, alluvioni, o personali così malattie senza scampo, illusioni spezzate, amore disprezzato, e tanto altro a far i motivi e le voci della disperazione. E ci dicono che il male misuri la lontananza dall'operatore primario che occorre colmare. E chi non lo desidera(?)! Ma perché anche amare gli indifferenti all'altrui dolore, quelli che sempre volgono altrove lo sguardo e addirittura i facitori di male? Forse è l'unico modo per essere imitatori di chi per amore iniziò proprio questo tutto di poche luci e molta ombra, e farlo sentire vicino a tutti e non estraneo. È come dire a se stessi e al fratello, quello lì con tutta la rabbia sua non prevarrà! Il cristo ha voluto il dio partecipe di quanto ci capita, lui stesso sofferente, lui stesso sopraffatto, malato, morente. E invece come ci sembrerà il dio nella sua apparenza di indifferenza a un destino ingiusto, di dolore già nell'innocente, già nell'appena nato? Nemico! Ecco che l'amore deve essere il più ampio, quando poco sembri per raggiungere il dio nella bontà sua, quando inappropriato, eccessivo anche il poco per la sua presunta esenzione e indifferenza. Tutti educati dobbiamo essere all'amore! Gesù, insegnami come amarti, come il tuo dio!, griderò e griderò, troppo buia la notte! Ma se il dio per primo ama ogni suo nemico, come posso io stesso esserlo già a breve, più ancora io non posso credere al male eternamente mantenuto come punizione dei reprobi, ma accetto la sua provvisorietà, rimanendo essenziale per il ravvedimento, anche postumo, e il conseguente perdono e so di star parafrasando Origène.

lunedì 14 novembre 2016

Notte di speranza


Quasi serena questa giornata tutta è trascorsa, ché ampi squarci tra nuvole molto scure e minacciose si sono aperti, a inondare di calda luce le cose tutte, che la recente pioggia verniciato ha di vividi colori, marcandole quasi novelle in questo mio mondo. Tutto par parlarmi e farmi metafora di vita sin qui trascorsa, sì non troppo serena, anche se a tratti con piccola felicità, come questa donna ha voluto, anche lottando ché il cielo sopra noi non si richiudesse. Ma già avanza il buio e la notte incipiente tutte le cose invita all'oblio nella sonnolenza. Ma non me, ché impressione ho che qualcuno continui a parlarmi attraverso questa natura muta, anche ora che tutta rattrappita pare al gelo che vuol farsi pungente. E cosa dirmi vuole? Forse che nei nuovi squarci di cielo vi rideranno stelle a farmi presagire sprazzi di felicità ancora. Sì, con la piccola stella lasciata cadere per me e fattasi donna, che s'accuccia accanto, ché dal freddo un po' la difenda.

domenica 6 novembre 2016

Farsi uccelli

Quando l'inverno i rigori suoi annuncia, raduna uccelli sul filo che mi corre sul capo, come fa quest'oggi grigio con gruccioni che vi stanno appollaiati ignorandomi, mentre io a quest'aiuola tutta l'attenzione dovrei per averne proficua cura. Certo attendono di volar via a un misterioso segnale, ma io li vedo già impegnati nel fortunoso volo di ritorno, ché qui stanziali non sono. Un sol desiderio li sprona, mentre a un capo-rotta il loro destino affidano. Questi nell'ufficio suo ad altri prescelti s'alterna, così che il gruppo fiducioso raggiunga salvo la meta lontana, dalla quale la passata incipiente primavera, pronuba li richiamò irresistibile. Non dissimile è il comportamento di giovani d'oggi, che simili in fortuna e condizione si ritrovino, anche inconsapevoli, riuniti in un gruppo. Ma lo scopo non è chiaro e si stempera nella vaghezza di fatti sperati piacevoli. Ecco lo star dietro a persone di successo, farne idoli con la segreta speranza che lor fortuna contamini. E come fa pianta che barbichi e faccia rigoglio in recettivo terreno, quest'illusione affonda le radici sue nella loro anima e fa groviglio, che se poco lascia sfuggire, nulla di sensato da saggia generazione che li abbia preceduti lascia entri. E mentre lo stormo degli uccelli ha scopo nell'oltre lontano, nel difficile da conseguire, bene che riguarda tutti gli associati, nell'umano stormo lo scopo certamente non è che il conseguito, tanto agognato, venga spartito affinché tutti ne godano, ma sarà geloso possesso per il singolo. Meritarlo richiederà volontà e destrezza, che ciascuno s'illude d'avere, non attendendo che l'occasione propizia, il tocco della fortuna appunto, per venir fuori il desiderato sospirato. Ma se già triste è questo comportamento, più ancora lo è quello di chi s'associa nella preghiera all'unico dio. Questa comunità divisa, e non dovrebbe essersi separata se spera di comunicare con l'oltre e così amare il dio di tutti, può aver suoi riti, sue argomentazioni, sue parole e pensarsi chiesa. Ma non è così. Già nell'amore a due lo Smiles osserva che amarsi non vuol dire guardarsi negli occhi, ma guardare nella stessa direzione, uno l'afflato, uno il desiderio, una la meta. Ma nella comunità di volutamente separati ci si illude di privilegi, perché si sa meglio dire nell'assemblea e con più attento ascolto dai fratelli, ma spesso si ignora che amare il dio significa tutt'altro. Percorrere sì la stessa strada, con reciproco aiuto, ma più ancora soccorrere chi indietro s'è voluto lasciare, illudendosi di correre più spediti, e simile cura richiederebbero i trascurati, perché pensati increduli non interessati. Ma se si trascura d'amare gli altri, ogni altro, se non ci si sofferma, se non ci si attarda ai loro problemi per soffrine e sperare nella loro risoluzione, la distanza dal dio aumenta, egli diventa un'idea, un nome del bene e non persona capace di ricambio centuplicato d'amore. Sì, l'amor suo svanisce. È esso come rugiada che al mattino tutto imperla, così sono i pensieri belli, le parole nostre migliori, che però abbiamo disgiunti da vere impegnative azioni di bene, che ci illudiamo pervasi dall'amore divino, ma come viene il sole, quella tutta si consuma e così fa il nostro proferito o ancora trattenuto in cuore alla presunta vicinanza del dio.