domenica 6 novembre 2016

Farsi uccelli

Quando l'inverno i rigori suoi annuncia, raduna uccelli sul filo che mi corre sul capo, come fa quest'oggi grigio con gruccioni che vi stanno appollaiati ignorandomi, mentre io a quest'aiuola tutta l'attenzione dovrei per averne proficua cura. Certo attendono di volar via a un misterioso segnale, ma io li vedo già impegnati nel fortunoso volo di ritorno, ché qui stanziali non sono. Un sol desiderio li sprona, mentre a un capo-rotta il loro destino affidano. Questi nell'ufficio suo ad altri prescelti s'alterna, così che il gruppo fiducioso raggiunga salvo la meta lontana, dalla quale la passata incipiente primavera, pronuba li richiamò irresistibile. Non dissimile è il comportamento di giovani d'oggi, che simili in fortuna e condizione si ritrovino, anche inconsapevoli, riuniti in un gruppo. Ma lo scopo non è chiaro e si stempera nella vaghezza di fatti sperati piacevoli. Ecco lo star dietro a persone di successo, farne idoli con la segreta speranza che lor fortuna contamini. E come fa pianta che barbichi e faccia rigoglio in recettivo terreno, quest'illusione affonda le radici sue nella loro anima e fa groviglio, che se poco lascia sfuggire, nulla di sensato da saggia generazione che li abbia preceduti lascia entri. E mentre lo stormo degli uccelli ha scopo nell'oltre lontano, nel difficile da conseguire, bene che riguarda tutti gli associati, nell'umano stormo lo scopo certamente non è che il conseguito, tanto agognato, venga spartito affinché tutti ne godano, ma sarà geloso possesso per il singolo. Meritarlo richiederà volontà e destrezza, che ciascuno s'illude d'avere, non attendendo che l'occasione propizia, il tocco della fortuna appunto, per venir fuori il desiderato sospirato. Ma se già triste è questo comportamento, più ancora lo è quello di chi s'associa nella preghiera all'unico dio. Questa comunità divisa, e non dovrebbe essersi separata se spera di comunicare con l'oltre e così amare il dio di tutti, può aver suoi riti, sue argomentazioni, sue parole e pensarsi chiesa. Ma non è così. Già nell'amore a due lo Smiles osserva che amarsi non vuol dire guardarsi negli occhi, ma guardare nella stessa direzione, uno l'afflato, uno il desiderio, una la meta. Ma nella comunità di volutamente separati ci si illude di privilegi, perché si sa meglio dire nell'assemblea e con più attento ascolto dai fratelli, ma spesso si ignora che amare il dio significa tutt'altro. Percorrere sì la stessa strada, con reciproco aiuto, ma più ancora soccorrere chi indietro s'è voluto lasciare, illudendosi di correre più spediti, e simile cura richiederebbero i trascurati, perché pensati increduli non interessati. Ma se si trascura d'amare gli altri, ogni altro, se non ci si sofferma, se non ci si attarda ai loro problemi per soffrine e sperare nella loro risoluzione, la distanza dal dio aumenta, egli diventa un'idea, un nome del bene e non persona capace di ricambio centuplicato d'amore. Sì, l'amor suo svanisce. È esso come rugiada che al mattino tutto imperla, così sono i pensieri belli, le parole nostre migliori, che però abbiamo disgiunti da vere impegnative azioni di bene, che ci illudiamo pervasi dall'amore divino, ma come viene il sole, quella tutta si consuma e così fa il nostro proferito o ancora trattenuto in cuore alla presunta vicinanza del dio.

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