giovedì 29 marzo 2012

Felicità di qui

Oggi insieme in questo bosco venire avremmo potuto in cerca della pianta rara dai fiori d’azzurro intenso, belli. Ecco, come non mai prima, sentire avresti potuto il canto di cento cantori innamorati. E t’avrei detto, ecco la felicità degli uccelli! E di certo m’avresti osservato che, non essendo io un volatile, dire non posso della felicità loro e io di rimando che questo è tempo d’amore e io li penso felici per la felicità che l’amor tuo mi da. E ora ti chiedo, ne sai altra che non venga d’amore? Vivere è cura delle cose e di chi ci vive accanto, sì, preoccuparsi solleciti delle richieste che ne vengono, e tante te ne faccio! E nella misura della cura che per me hai, ti tolgo spensieratezza e quindi felicità. Ma se a questo mondo tanto buio accettata deve essere l’esistenza nella durezza sua, pur essa consente momenti d’oblio dalla “sollecitudo” dovuta a chi s’ama, e varchi se ne aprono come di luce, ché ne trapeli in cuore assetato felicità, un po’ solo almeno. Così ne è piccolo motivo per me e bastevole, il vederti serena e sorridere, né sogni d’amore darmi di più potrebbero. Ecco tra poco tornerò da te e ti racconterò amenità di giornata, vere o d’invenzione, tanta accesa ho la fantasia, e tu ne riderai e a me parrà viver felice, in sogno. Ma ora ecco, ancor qui mi trattiene altro sogno, penso a te bambina e io lo sono con te. Ed è in questo incanto, ad occhi aperti, che m’accade!
Possibile, se nemmeno coetanei siamo? Tutto lo è se si sogna!
Ti insegno a prendere le lucertole con cappio di filo d’avena selvatica, cosa da maschi. Ma tu ne hai pena e rilasciarle vuoi subito. E io ora ti dono la trottola preferita con lo spago incerato per farla roteare sicura e più a lungo. E sei la piccola timida, sempre impacciata e imbronciata un po’, con un gran fiocco sui bei capelli bruni e io t’aspetto all’uscita dalla scuola e dalle compagne tue ti separi vergognosa un po’ dei risolini loro. E tu il fardello dei tuoi libri m’affidi alle mie insistenze e seria sei come al solito, ma i tuoi occhi belli sono di felicità, che da qualche parte pur uscir deve. E ci diciamo sì forse cose inutili, ma non con troppe parole, ché la presenza tua mi fa balbettare, ma tu non ne ridi nemmeno un po’, temi forse m’offenda e svanisca l’incanto del nostro innocente amore... Sì, in questo mio sogno tu sei in tutte le esperienze di bambino, e vivo con te or proprio una favola di tante favole, vissute, o solo sognate? Chissà! Ecco è qui tutta la mia storia e la contamino d’altre storie, che belle tutte, farebbero solo una felicità frammentaria, piccola, dispersa, ma che coagular posso attorno a una sola protagonista, sostituendo le piccole della mia vita di bambino con una sola, te bambina. Si direbbe che da buon regista stia costruendo un remake della mia vita, avendo te sola come piccola prima attrice. E’ come se, rivivendo le mie storie, vere o confabulate, con quelle che vi recitano, nella mente mia al presente del sogno, completassi quanto di bello e buono v’è in ognuna con ciò che loro manca ed è il sorriso tuo e sostituire come per magia possa le altre piccole, vere o sognate, tutte con te, per quello solo avere. Ecco anche le parole che dette mi sono state, tante bugie, promesse, tutte in una mente sola, la tua e me le ripeti ché le abbia per vere...Ma accade in questo strano sogno di più. Mi chiedo, non erano forse per me le tue parole di bambina e tu trasognata al vento le ripetevi non sapendo per chi le pronunciavi, ma certa eri che qualcuno ad accoglierle vi sarebbe stato? Chissà dove! Ecco aggiungo, chissà quando! Ché mi son or ora giunte, vincendo il tempo, come se il passato accanto scorresse e l’amore mio potesse varcarne la soglia e prendere il bello e il buono e qui ora portarlo e far come sia or ora accaduto, ché ora nelle mie storie con quelle tue parole, tu parli! Fantasia, solo fantasia d’amore? Ma non farà di simile la madre cara, trovandoci tutti insufficienti e carenti, con ciascuno di noi, sostituendo l’inautentico nostro con il sé che avrebbe potuto essere o dovuto, bello da poterne fare a lei dono, e che invece smarrito abbiamo nei meandri di questa vita, ma che ella amorevole ha serbato gelosa, per ridarcelo quando sarà che ella a lei ci chiami per amarla “de visu”? Ecco, tu sei il sé mancato delle donne della vita mia, quante? Poche, tante, tutte vere o sognate? Chissà! Sono quelle della mia giovinezza, che ora posso ricordare attribuendo loro il cuore tuo e le parole tue e se le rivedo bambine somigliano tutte a quella della foto dal fiocco vistoso, e quella ritratta triste un po’ è, e imbronciata, la porto con me sempre, ed è da sempre la fidanzatina mia, non ce ne sono mai state altre! Sì, è così ora uno stagno sereno il mio passato e all’amo sempre abbocca lo stesso pesciolino e ha nome Eli!

martedì 27 marzo 2012

Viaggio alle stelle

E’ di ieri appena lo spettacolo ferino cui hai dovuto assistere qui in giardino. Tra l’erba alta una biscia, lenta avida divorare un sfortunato topo di campagna, e t’ha accorato. E io t’ho ripetuto che questo mondo non sa di bene o di male, segue, irresponsabile, leggi sue, quelle di necessità. E qui nascere abbiamo dovuto, nell’assurdo! Lo vorremmo migliore questo vecchio mondo. Ma modificare possiamo, e un po’ solo, quanto l’uomo v’ha aggiunto di inopportuno in ogni epoca per vanagloria o perfidia, ché un saggio ha osservato che quello naturale è già il mondo migliore, e l’uomo non può che peggiorarlo. E a quel tuo racconto oggi rivissuto, stretta a me t’ho tenuto un po’ e tu ringraziato poi m’hai della mia presenza qui accanto alla tua, che altrimenti starebbe nella solitudine ed esposta all’angoscia. Oh se tu non ci fossi! M’hai detto abbandonandoti alle mie carezze... Ti ho fatto osservare, ridendo per farti almeno sorridere, che se con te sto e ti conforto, un giusto prezzo pagar devi giorno per giorno e tu ne hai riso, ben intendendo l’allusione alle concretezze dell’amore che l’età consiglierebbe di moderare e il tempo che fugge ne è invece assetato. Così t’ho lasciata sorridente, parendomi rassicurata e felice dell’amor nostro rinnovato nell’intesa, perfino di giovanili desideri suoi. Ma da solo rimasto, alla passeggiata, ripensando allo spettacolo triste che testimoniato m’hai ancora, me ne sono incupito, ché cose analoghe vissute già dall’infanzia mia infelice, ho rivisto. Ma poi lo stormire di questi alberi antichi e il tremolar delle lor foglie novelle alla brezza dal mare, che dire parevano il tuo bel nome, m’hanno distratto da pensieri ossessivi e tristi, e alla storia del nostro tenero amore non ho più smesso di riandare. Sappi allora che io credo che luogo è tra le stelle disposto ad accoglierci e là ancora sarà meraviglia di dolci sguardi e sospiri, ché la nostra storia splendida chiede di eternarsi. Non sapevi che l’amore vero morir non può, sì quello che qui ben stretto si tiene la gente ché non sfugga? E presso la bella signora, che ne è garante, t’aspetterò... E quando la mia canzone risentirai nel cuore, chiudi gli occhi tuoi belli fidente e lasciati trapassare nella nuova forma, quella degli angeli! E so già che chiedermi vuoi che cosa fondi tanta speranza...Io, che sul cuore ho della bella signora l’impronta, ti rispondo che se nel cuore abbiamo per la vita conservato un posto alle favole, perché lo avremmo se mai repleto quaggiù può essere? V’abbiamo stipato brividi d’amore, di carezze, di parole tenere e dolci di tante notti e illusioni anche, e non s’è riempito, nemmeno delle favole che ti ho raccontato! E’ destinato a rimanere, è fatto e mantenuto in vista della vita che ci attende. Siamo qui come bambini in lenta formazione nell’utero di questa madre, e sta accadendo come già in quella naturale che a lungo custodito ci ha, perché organi inspiegabili per la vita buia e muta e senza respiri nel seno suo, perfezionassimo in vista della vita d’adesso, cui tutti quelli e lor funzioni lì preparate, necessari sono. Così ella fa in sé, preparandoci il cuore, la mente dei pensieri, alla vita novella. Perché altrimenti il desiderio dell’amore che estinguersi non vuole, e del bene e del bello e del buono che correr ci fanno come dietro al vento, tanto qui rari e sfuggevoli sono? Perché gli occhi incantati che mai si riempiono delle meraviglie di qui, tante eppure mai bastevoli, e il fascino che sempre rinnovano stelle e lucciole di tarda primavera? E sazio non è mai l’orecchio del cri-cri dei grilli nelle notti di tarda estate, e del frinire delle cicale sotto la calura dei meriggi della bella stagione e del canto d’amore di uccelli vero innocenti, a primavera? E poi ché vaghi sempre siamo del volo delle farfalle trepide, di fiore in fiore? E perché i sogni, i sogni nostri tanti, sempre vividi, quelli già da bambini e gli altri della nostra storia a due? E ancora ché tanto m’inebria il ronzio dei bombi già qui operosi che vanno agli asfodeli già numerosi sbocciati e il mare qui di sotto a far risacca con le onde che sfarfallano luce, contrastando le sopravvenienti? E poi queste aurore, che più lente ora maturano in questi mattini precoci, assolati e che ci vedono, appena affacciate ad oriente, sempre abbracciati come per tutta la notte così rimasti, e perché tutto questo ancora incanto mi fa e farà finché qui rimarrò? Credi a me se tutto questo non è bastato a riempire il cuore, esso vuole quel che la bella fata per noi proprio ha in serbo, là dove vive tra le stelle, quelle che piangono lacrime di fuoco nelle notti d’estate. Non sono le sue parole d’amore per noi che sempre un oh oh di meraviglia pronunciamo in risposta a tanto incanto, più di quello che anche paura t’hanno messo ieri i fuochi per la festa dell’annunziata? Sì, è il nome suo breve e bello che così pronunciamo, quello che invoco da mane a sera, ché la nostra vita qui rimanga un po’ risparmiata da brutture e da dolore,che tanto d’assillarla pretendono, e forse ella un po’ m’ascolta! Non è a lei che chiedo che la mia vita per prima si muti e la tua continui di più a conforto di quanti t’amano? Sì, è la sete nostra d’amore, mai chetata , mai estinta, che la speranza di vita avalla! Credimi, questo nostro è un viaggio alle sue stelle! 

sabato 24 marzo 2012

Sofisma di vita

Non è forse sofisma l’affermazione
che in certe questioni di vita il fine giustifichi i mezzi? Non è malizia adoperarsi comunque per ogni via, per il raggiungimento d’uno scopo? E se nobile questo è, non ne resta, così conseguito, mortificato, svilito? Non è amorale che la storia personale possa venir scritta senza scrupoli nell’ottenimento comunque di certe agognate mete? Ecco anche dir voglio dell’arte furbesca di tenersi una donna ad ogni costo, già forse ottenuta con inganno. Certo non è vero amore per quella e nemmeno forse di sé, se la bassezza, la mancanza di ogni scrupolo è servita e serve in quel rapporto, che già forzato o viziato sia nato. Ma pur c’è l’uomo vile! S’alza al mattino, veste la sua maschera da ipocrita e va così, lì promette pur certo di non poter mantenere e più in là sorride a chi nell’intimo pur disprezza o è ossequioso e servile per chi intenda che favori ne possano venire e di simile agisce con la donna sua, quella che ha o studia di avere. Ecco l’uomo che ho cercato di non essere! Ella talora veder non vuole l’evidenza di mediocrità che ha accanto, disposta a conservarsi pur chi sa indegno, forse per non sentirsi negletta, non avendo di meglio forse o per cos’altro, chissà! Spesso a se stessa mentendo e sapendolo, e questo anche se per nulla mediocre ella sia né d’aspetto, né di sentimenti. E così accade che entrambi fingano e questo è anche più brutto. Oh quando sarà che donna si liberi dalla soggezione del maschio o dalla paura e scelga da sé uno piuttosto che l’altro e libera sia di sciogliere un rapporto che si regga per sofismi. Sbagliando forse, ma senza forzature, e nemmeno lusinghe o arte studiata a irretirla e illuderla o peggio, furba essa pure, dover fingere di crederci! Non favoriscono i costumi nostri la libertà più completa? Oh quanto complessa è questa “machina humana” e la mente che la regge, e chi luce vera mai farà sul mistero donna? Perché ancora l’indegno cogliere può il fiore e quello a esso proprio ride, invitandolo? Perché anche l’inganno, l’agire furbesco, l’usare qualunque mezzo e la menzogna anche nel rapporto tra i sessi? O peggio nella finzione cosciente, lo stare al gioco malizioso dell’altro e subirlo? Perché non semplicemente sì o no? E se schermaglie d’amore devono esserci, perché non sono piuttosto simili a quelle dei volatili tutti di primavera! Io proprio voglio così accada di noi. Io avuta non t’ho con sotterfugio, tu venisti da me... Io accolta t’ho, nulla tacendoti dell’animo mio strano, insufficiente talora, meschino talaltra, mai spero vile. E inteso ho che dell’amor tuo arricchirlo potessi e certo tentato devi averlo e forse successo ne hai avuto, ché quello che pur ho di bello e di buono nel cuore travagliato, ora forse non avrei! Qui, come tutti, vivo una natura ostile, irresponsabile però degli eventi che da essa assai spesso tocca patire. Essa non sa di bene e di male, ma solo di possibile e di impossibile nel determinismo delle leggi sue, e se catastrofi e lutti produce certo non lo fa perché matrigna. Ecco allora la mia debolezza di chiederti che tu esenti chi ami e chi io amo da certi accadimenti. Eppoi dalle minuzie del male, le malattie, gli abbandoni, la solitudine che ne viene, la tristezza del veder andar lontano chi s’ama o morire, vividi ricordi di vita, e saper di doverlo pur io e forse a breve... E poi vivo pur una storia collettiva che modificar non posso. Va per il corso suo, di guerre e violenze e fame e ingiustizie e tante e dolori, soprusi e orrori e quant’altro! E di nulla è responsabile in una inarrestabile sequenza di fatti sconcertanti, e brevi i periodi suoi di esenzioni dal male e di pace. Ecco questa la vita di qui, io la vivo! Ma diversa è la storia personale, di cui piena responsabilità ho nelle scelte, nelle preferenze, nelle occasioni di decidere per il giusto o l’ingiusto, il vero o il falso, il savio o il folle,il bene o il male. E nella misura della scelta del bene, mi accade o faccio sì che intorno mi accada di buono, di opportuno, di desiderato e bello, e del prossimo la vita influenzo poco o molto che sia. Sono furbo o sciocco, sempre come tutti, condiziono o modifico molto o poco intorno a me e nel destino che mi fabbrico di bene, altri coinvolgo o altri escludo. E forse mai vero sincero sono nemmeno con me stesso, malizioso al tempo mio piuttosto se quella persona piuttosto di irretire mi studiavo, perverso raggirandola, e altra, indifferente lasciavo, che altri peggiore destino ne facesse. Ecco tutto questo è brutto da immaginare possibile ancora, è il piccolo personale contributo al male diffuso e mi fa dubitare che esente forse non sia stato da subdoli, vili rapporti con altri umani! Ma con te non dovrebbe accadermi di simile, scruti nei cuori, leggi l’infamia prima che commessa sia, te ne guardi o le corri incontro, così come il figlio tuo fece. Ma se scelto hai, e vuoi che duri il rapporto di bene con chi dici d’amare, nulla di vero meschino devi aver letto o irrimediabile nel cuor suo. Di insufficiente sì, e spesso, ma migliorabile, se deficiente, completabile, se carente, perfezionabile, se insoddisfacente, addolcibile, se aspro. E in me allora che letto hai? Parlami, dinne! Quanto potrò, farò per non deluderti ancora e che tu ben rimanga nella latebra del cuore mio. Vi vedi asprezze? Addolciscile! Vi vedi paure? Rassicurale, fugale! Vi vedi mitezza? Confortala! Meschinità, peggio viltà? Annullale! E quello che non ho, dammi generosa, ma ti prego, questo cuore non lasciare! Vecchio è, e talvolta pianger vuole e per un nonnulla! E ansioso cerca te negli occhi della piccola donna che d’amarlo gli ripete. E quella gli dice, convinta: ma tu hai me! E lo fa contro l’evidenza delle cose e degli eventi e del tempo che per noi due troppo breve vuol farsi! Ricorda, ricorda questo cuore, com’era senza te, non smarrirlo più! E sogna, sogna quest’uomo di te in questa natura fascinosa e qui anche ti cerca. E qui torna spesso e le cose interroga e s’illude che gli possano rispondere, dir di te, di come bella hai la persona tutta e del sorriso tuo. E’ primavera bella di fiori ed erbe novelle, e lì scruta a cercarti e si bea del bel canto d’amore che uccelletti desiderosi di compagna l’aere tutto risuonar fanno. E’ l’estate rovente, e all’ombra s’assopisce al frinir delle cicale e di te forse sogna, gli occhi tuoi neri e i lunghi capelli che il vento di qui ti carezza per profumarsene. Sono d’allora le notti di stelle a miriadi e di lucciole che amor significano e di te parlar vogliono. E’ la caduta delle foglie mesta, e qui torna a interrogar alberi spogli e triste si fa della condizione loro, ché gli animaletti che qui stanno, ora rintanati tutti al freddo incipiente si sono, o migrati a più teneri climi. E’ inverno e qui solo va, di pioggia o di vento che sia, infreddolito tutto, e non sa a chi e che chiedere, ché nessuno c’è a rispondergli qualcosa... E’ strano, è sciocco quest’uomo? Anche forse, ma di sicuro è innamorato e mai vero t’ha vista se non in sogni lontani! Sì,piccola lì eri a misura delle braccia sue, candida e bella come ogni donna dovrebbe e dolce... Oh quanto potrà illudersi ancora di vederti fuori, se vero è che tu dentro gli stai!

giovedì 22 marzo 2012

Qui primavera!

Oggi sto sullo stradello che sulla destra un po’ dall’alto il mare guarda e alla sinistra ha il costone, la petraia brulla, che quinci quasi al mare scende. Si infiora di poche essenze, ma vistose ha euforbie dalle verdi efflorescenze e rovi tardi a fiorire e qua e là cespugli da strame. Vento freddo da orto l’inverno la batte, che di sostare a lungo qui dove sono allora vieta. Vi vedo strani vocianti uccelli planare, lì acquattarsi e non è luogo di lor pastura, ché taccole o altri corvidi paiono. Comuni d’inverno li vedi e senti per il verso sgraziato, venuti a far strazio di conchiglie strappate agli scogli, che la mareggiata sulla spiaggia di là dal promontorio, talora oltre la battigia abbia spinto con onde lunghe, poi cessate. Che questo sia luogo di lor nidi? Ché tanta pare l’insistenza e la cura di lor scelte in questo luogo strano, diverso dal resto del chinale. E or più versi non fanno, mentre alto e stridulo è il volo dei gabbiani sulle vicine falesie. Tutto il giorno a scrutar vengono, occhi gialli, rari ospiti solitari che questo luogo, or tutto assolato, accoglie. E tempo felice ai volatili pare e a me fin qui giunto dal santuario. Esso negletta ha l’effige del santo del giorno, Benedetto, che misterioso suo motto a me, suo orante, ha or ora mostrato, crux est vita mihi, mors inimice tibi. Ne confermerà significato suo la compagna dolce, che ben sa la lingua degli avi nostri... Ma intanto da me intendo che il santo alluda all’odio che tanto era ed è al mondo, che il figlio tuo ha dovuto morirne per salvarlo e donarlo al tuo amore di madre! Ma poi l’amore che è, se non il bene nonostante le apparenze, vinta la tentazione di divenir giudici, inquisire la persona amata, scorgendone valori umani misconosciuti là dove sembrano siano solo errore e negatività da non negligere, ma dolce correggere? E amare si può in vari modi, ma talvolta pure sacrificarsi o addirittura morirne è richiesto, se vero il bene si vuol dell’altro! E così egli ha fatto, ma per palesi indegni pure, e dalla morte sua, la vita, nessuno escludendo dal destino d’amore, mai condannando, come qui fanno i saccenti suoi. Sì, come qui fanno in molti coi giudizi loro affrettati, dogmatici e moralistici. Ma tempo non è di riflessioni amare, ma di ricordi cari, tanto di tiepido sole è luogo luminoso questo. Sì, è questo solo apparente inospitale, invita alla sosta e pur rende felici strani volatili nel tempo di lor bisogni d’amore. Sì, accoglie questo luogo lor pure, ed è qui ora per tutti urgenza d’amore, ché anch’essi frenesia ne hanno..., sì, ogni specie s’affretta ché i piccoli ne vengano a tempo propizio alle cure parentali, ché lor tutti sembrano saper che il tempo via va veloce e altro inverno verrà. E invero già farfalla è vaga di visitar d’essenze novelle i primi fiori e di simile i bombi solerti fanno operosi e vogliosi di impollinarli, lor arte. Sì, tutto affrettarsi pare ed è qui leggera l’illusione dell’amor tuo, ché sta nelle cose tutte la presenza tua a far bella primavera. E altre primavere rivedo e fiori e tanti e sorrisi e occhi di donna. E cantano canzoni d’amore... E’ piccola di giovinezza questa donna, da sempre nei pensieri miei... Forse che vero felice sia? E’ tempo di festa e bella e calda è la sua voce ed è l’astuzia di mia madre a farla venir fuori, vincendo la timidezza della fidanzatina mia, e quella si lascia andare fidente, forse complice il vino novello, e delle note della canzone sua, più delle parole, bea le orecchie di noi commensali ammirati della novità e divertiti...Oh quanto tempo fa! E io la voce tua mai udito ho e invano qui mormorano alla brezza le frasche armoniche e forse t’invitano a romper gli indugi e io, di te innamorato, lascio m’illuda che prologo siano queste note languide al canto tuo o già la risposta tua. E ora alla memoria mia i suoi occhi brillar vedo nel buio e mi invitano a pronunciar sommesso il suo nome dolce, lungo o breve, come abbreviato l’ho, e so che volontà ha di concretezze d’amore, o così come ora tu fai, m’illude! Ma è lontana ora, impegnata alle compere sue settimanali al mercato... Chissà se brivido le prende ai tanti pensieri miei e la pelle sua ne sente sfiorata e ne sussulta il cuore, non sapendo di che e perché. Non lo fa il cuore tuo assediato pur esso dai pensieri miei di lusinga anche, non senti il tuo nome incessante qui ripetuto, non lo fanno con me le cose tutte? Ti chiamano, ti chiamo, basterà tanto amore?

martedì 20 marzo 2012

La vita breve

Va via ogni vita! Se questa che sto per affidarti ho capito come andasse spesa, non so davvero. L’assurdo m’ ha governato l’esistenza, fragile da sempre, molte speranze, poca accoglienza e fortuna, e incerta, sola e precaria più che mai ora la sento, ed esposta, e tanto, al freddo che la circonda! Gettata mi pare in questo tempo a occuparne ormai piccolo spazio, più che mai nell’incertezza, in perenne urgenza d’amore, di rassicurazione, di tenerezze, sì, avida di quelle che hanno compreso e tutto scusato... Ma mediocrità da ogni parte e miseria e indifferenza, che il suo cammino lasciar non vogliono, la stringono, e incomprensione tanta, e proprio piccola s’è fatta la speranza di conservare agli occhi tuoi una parvenza di umana dignità nel logorio anche di dolore, che veloce distruggerla vuole. E mi dico oggi, avrò un domani ancora, ma per farne che? Ecco, mi chiedo, sono stato fin qui per me solo, o ho cercato di ricambiarti l’amore, quello che donato m’hai fin da quando accorta di me t’ha fatto il piccolo, informe grumo nel seno della madre cara, e come e quando a che, a chi, l’ho donato? Vorrei poterti dire che l’ho fatto sempre ogni volta, non perdendo occasione, quando me ne è venuta sollecitudine, cercando di dare risposta, sforzandomi fosse adeguata, o prevenendo le necessità, con sollecito accorgimento. Ma temo abbia finito per amare solo chi la sua stessa vita tutta mi ha donato generosa, ché ne vivessi avido, respirando del suo respiro, beandomi del suo sorriso e nel nero arcano degli occhi suoi attenti sempre a me, smarrendo i miei. E temo ben poco sia tutto questo per te! Non fanno questo gli egoisti tutti, non prestano, pretendendo a tasso gravoso, quel che danno? E non è in fondo colpa grave agli occhi tuoi questo comportamento del pretender tutto, concedendo scarso e corto? Sì, forse nemmeno l’amore ricambiar ho saputo, donando molto meno del ricevuto, come se sempre una negatività di grettezza m’abbia accompagnato anchilosandomi i gesti e facendo misere le parole mie. Sì, pur belli pensati, gesti parlanti da soli e parole aggiunte per ridondanza, mal o non abbastanza ben espressi o riusciti, quasi sempre ne sono venuti fuori, e quindi non potuti capire e apprezzare appieno dall’altro, o equivoci addirittura sembrati come da ipocrita usciti. Oh sì, quanta inadeguata risposta ho dato sempre e quello che pur ho serbato in cuore, dicendomene geloso, ormai muffo s’è, buono per nulla! Ché l’ho fatto, a che serbarlo quasi fior tanto prezioso da non poterne essere colto? Perché, perché non mi son tutto svuotato per tempo e ora solo briciole dure e muffite posso dare a piccola donna che pur da me ancor richiede tenerezza e concretezza nell’affetto, che pur vero ho per lei? E forse tu per lei a te destinate le chiedi, ché solo per te un valore conservano, sì, t’appaghi del solo gesto, purché da cuor sincero ti venga. E lo sono io? Io più sicuro non sono! Oh quanto vorrei agli occhi tuoi di madre essermi conservato bambino, o almeno ingenuo e sprovveduto e da sempre vederti sorridere ai miei progressi! Mi diceva la madre che tardi mi son fidato a camminare, tardi ho parlato, ma del sorriso suo nulla vorrei aver perso... E ora nel mio babillage da vecchio, nell’incerto mio procedere, il tuo cerco ansioso. Almeno m’ammiccherai, occhi belli, sebbene come a indegno? Dimmi di sì, non ho visto forse nella penombra illusoria un nistagmo d’intesa in questa tua icona e la bocca tua il brillio dei denti mostrare, come in fuggevole sogno ad occhi aperti? Quanto è durato, un attimo o più? E perché nuova illusione non ho? Oh quanto è bella quest’immagine a capo di letto posta, che di noi veglia il riposo e che ritrarti vuole come descritta t’hanno i veggenti dell’altra sponda d’Adriatico!

domenica 18 marzo 2012

I delfini

Se tu, bella signora più non visitassi la mia speranza, questo mondo che già come carcere vivo, più buio, manco agli occhi miei della bella stella d’amore si farebbe! Non so perché questo m’accada, mi fingo così d’esser ridotto, succube tra troppi aguzzini! Dipenderà dalle tante cose viste e forse troppo spesso mal giudicate, tanto che fuggirle illusione m’ha dato che per me la vera opportunità di bene fosse altrove e in altro momento. E non è stata tentazione d’una vita la dicotomia del mondo? Sì, qui i cattivi, più in là forse i buoni, qui il danno e il male, là o appena dopo forse il gradito e il bene, qui il riprovevole, lì il giusto, il meritorio, l’opportuno. Tutte semplificazioni, forse pretesti per non valutare , non dar giudizi, andar oltre, fuggire, sfuggire forse, che, chi? Mentre ben so che è groviglio mutevole la vita qui, e se v’è di bene un po’, allora “carpe diem”, come fatto moderato epicureo mi verrebbe da suggerirmi, se tardi non fosse! Ecco l’alba della mia vita di cui ho ricordo vivido ancora, bambino m’affaccio al mondo e subito triste la vita mi si fa, ché il fratello smarrito ho, rubato dal male!
Oh quanto improvviso mi diviene il mondo buio! Che fare, cosa a chi credere, ché di tante incomprensioni si fa la vita degli adulti miei? Ecco il mio ricordo, come tutto or ora! Poi tutto passò, ma crescendo anche l’insicurezza mi crebbe dentro...E vennero le illusioni e le delusioni tante. E poi tu. Ma, e non lo sapevo, già nel concreto eri, ma poi anche ti sperai e scoprii in questa mia donna. E se l’amor suo è tuo vicario, mai esso delude! Stamattina della mia salute, che precaria pensa, ha voluto l’informassi e io, come a madre, niente le ho celato. Se ne è tranquillizzata un po’ e m’ha lasciato andare con mille raccomandazioni come a un bambino. Ecco la mia fortuna, la risposta tua dolce alla mia solitudine. Vero tanto chiesto t’avevo? Non v’hai tu messo in più nella risposta tua, l’immeritato, non m’hai dato una misura traboccante e scossa d’amore, se sì, ché tanti dubbi ancor oggi su te mi prendono? Sì, se buio fuori fosse vedrei ora il mio cielo come quello che dentro ho, manco di stelle amiche. Ma d’una almeno ho le braccia piene e non m’abbaglia forse il brillio suo e non me ne vengono parole che dolci mi suonano e carezzano più di questa brezza aulente che dal mare qui sale? E se d’essere vecchio ormai ho talora l’uggia, cosa mi conforta che là dove ti celi ti ritroverò, se non che di te proprio ho tra le braccia un po’ o tutto? E io, che ho qui portato briciole ai pesci della vasca antica e ora lo stradello percorro, che alla polveriera bassa mena, in un oh, oh di meraviglia prorompo ché coppie di delfini, arco con le pinne loro fanno quasi cavalcando le piccole onde del mare di sotto, oggi tranquillo. Sì, sono tanto prossimi e ne conto sei che vengono dalla mia parte quasi a rincorrersi, appaiandosi per un po’ per poi separarsi e ancora ritrovarsi in giochi d’amore! Tu proprio non vuoi che il buio dentro mi duri!

venerdì 16 marzo 2012

Se tu con me rimani

Se la vita tu mi guardi, dolce signora, giustificata ne ho l’attesa e la speranza che una novità di bene vi possa irrompere a illuminarla se notte vi si vuol fare manca di stelle. Sì, questo tuo devoto proprio non vuol credere che “nihil novum” per lui possa essere e fiducia ha, tanta, che tu continui per lui a desiderare il bello, il nuovo e il bene, duraturi. Si, io credo che se tu sei con me e notte deve pur essere, sarà di miriadi di stelle a farne incanto del brillio loro. Ma ecco, ho occhi stanchi ormai, fatti incapaci a veder bene e l’udito anche avverto affievolito, piccoli guai d’età...O che sia che troppo e brutto abbia visto e udito? E mi scema l’intelletto, che lento s’è fatto alla comprensione e s’affida a preconcetti, dice di sapere e tanto, e forse era pur vero, ma le cose tutte cambiate sono ed esso, fattosi pigro, statico il mondo vuol vedere, che invece fugge innanzi veloce, sì, gli sfugge, e le cose, che controllar non sa più, con pregiudizi valutar vorrebbe. E tutto questo è sciocco! E se questo faccio, fa bene il mondo a mettermi da parte, e vecchio, ignorami. Ecco dalla via un vociare, ma che dicono, che ragioni gridano? Ecco io non lo so più, né voglio. Sembra che vero nulla più mi interessi e la vera tentazione di questi anni brevi, sembra rinchiudermi in un mondo fittizio tutto personale, luogo della mente in cui sentirmi sicuro e protetto. Ma come e da chi, se tu e questa piccola donna non lo fate? Ecco, m’adagio nelle mie abitudini, ma sempre più disordine faccio tra le mie cose e quello che ho ben riposto più non ritrovo. Ben fa questa donna a tentar di scuotermi e incoraggiar le mie passeggiate, ma io impoverito e sempre più anchilosato mi sento... E se vero quest’uomo tu lasciassi, stanca delle bizzarrie sue, come scorgerebbe cose nuove, degne del suo interesse o della sua pena? E dire che qui, dove con sé t’ha portato, amore dovrebbe ad ogni scoperta in questa natura già tutta bella e aulente! Sì, come ne potrebbe restar incantato nella meraviglia? Sì, allora, stanchezza, rassegnazione e solitudine gli suggerirebbero giusto per sé il “nihil admirari”! Vero è, se tutto nella vita mia prima di bambino poteva avvenirmi d’incanto, soffermandomi a bocca aperta sulle mille cose del mio povero e semplice mondo d’allora e trovarvi bella, nuova e degna d’ammirazione ogni cosa per piccola e meschina che fosse, ora in questa mia età ultima tu devi invitarmi alla meraviglia. Devi mettermi il bello e il buono sotto questi occhi diffidenti, che ignorar vorrebbero l’evidenza perfino, ormai temendo il nuovo, e poi pigri e più miopi si sono fatti... E i suoni, tutti rumori vogliono farsi e fastidiosi, se tu avvertir non me li fai nella purezza loro, tanto che fino al cuore ancora avido arrivino a cibarmi l’anima...E a volte tutt’intorno mi par il deserto che vuol farmisi dentro e se qui oasi v’è, insegnami tu la via! Ecco, rimani in me ancora un poco nella latebra del mio cuore, ché tutto possa ancora essermi apparizione di qualcosa di originario e arcano e che irrinunciabile, mi dica la bellezza tua. Ecco, proprio ora il volo e il canto d’amore degli uccelli e più in là i gabbiani a volteggiare con acuti gridi sulle falesie...Senza te perderei questo mondo favorendo il mio irreale e visionario da favola sì, ma chiuso, che sol perdermi vuole nei meandri della mente. Non lo permettere, riscopriamo insieme il meraviglioso! E profuma questa brezza dal mare e dal basso lo sciabordio delle onde ne giunge e di mille essenze già pregna è l’aria tutta, è primavera...non lasciarmici solo! Star qui con te forse è bene ancora un poco...E pur volerà quest’ora d’incantamento! Sì, soffermarmi sulle cose, apprezzarle, viverle e pregare. Sono tanti, ben lo sai, che vivono il dolore! E quante notizie me ne giungono nel quotidiano! Sì farlo, spendere qui e così la vita breve, m’è motivo di gioia e gridarla ora perfino vorrei. Sì fa che nella gioia con la piccola mia donna io venga alla città tua. Lo vuoi, bella signora? O fosse ora!

mercoledì 14 marzo 2012

Quale perdita saresti

So che, leggendomi il cuore, già sai la pena che avrei, perdendoti, ma qui pur di chiarirmela, fingo di dirtela con metafore. Sono ingenue, sono eccessive, non so, esprimere vorrebbero un dolore mai provato, che il cuore paventa e dir non sa nemmeno a se stesso! Pensa allora a chi stretto sia da una malattia senza rimedio, nell’apparente abbandono del cielo. Sente la vita sfuggirgli, gli affetti suoi cari sa di dover lasciare, spinto alla notte e all’oblio dei più che rimarranno. E’ pena indicibile, ma ancora non sarebbe abbastanza!
Pensa a chi si veda altrimenti strappato agli affetti suoi o che sia vecchio nell’abbandono e senza più amici. Pensa a chi dovrà andare in un paese nuovo in cui sarà visto con diffidenza da gente assai diversa e mal si adatterà dove la necessità l’avrà condotto. Pensa pure a un paese dal cielo greve, che nasconda il sole e le altre stelle, manco della nostra bella primavera, bella sì e di fiori ed erbe tante, eppure vi dovrà andare, con una stretta al cuore... E poiché non è abbastanza, pensa questo sconcerto e dolore moltiplicati, amplificati da una sensibilità vera, quella che forse tu dentro m’hai messo. Ecco, pensa a chi sta per perdere quello per cui ora sospira, lo vede ormai in una prospettiva d’allontanamento, ché forse va alla guerra o in carcere dovrà stare, comunque in un inferno, perfino qui nel nostro mondo di tanto male, eccessivo, dove tutto gli verrà strappato, la dignità anche, o la vita, e peggio sia sicuro di perderla, ché attende là dove ancora si uccide per pena, innocente o colpevole che sia... Orribile! Ma più ancora pensa a ciò che mi accadrebbe perdendo questa donna, vero amata, o l’amor suo. Ecco, è gentile e fedele, mi ha accettato così come sono, pochi pregi, molti difetti, ha completato del mio il suo cuore, rendendo la comunione nostra invidiabile e la simpatia biologica fruttuosa e ne ha fatto completezza d’amore. E questa perdita, che sicuro mi farebbe smarrire la mente, immagine potrebbe essere, ma forse ancora imprecisa e incompleta, per quanto terribile, di come se a lasciarmi fossi tu proprio, perdendo la speranza del tuo amore e così qui ogni speranza, da non voler più viverci. E che dire dell’amore mio di bambino, rimasto candido e casto per destino, che ho visto, non è molto, non so se considerato un niente o più ancora disprezzato, da chi pur non avvertendo in sé l’opportunità del contraccambio mai nella vita tutta, avrebbe pur potuto accoglierlo, tardivo ma prezioso dono, esserne fidente e farne almeno il sostrato d’una amicizia, prologo non per questa, ormai almeno per me tutta dietro, ma per la vita che ci attende, tu lo voglia, entrambi! Invece me ne è venuta dolorosa incomprensione, dolore e offesa anche alla donna mia perfino rassegnata a questa mia stranezza, che giusto mi pesano più ancora, tanto incauto e sciocco sono stato! Ma quest’accaduto triste, spasimo al cuore, è davvero un nonnulla e occorrerebbe moltiplicare la piccola pena che ne è venuta a me e più ancora alla mia dolce compagna, quanto? Sicuro più e più ancora che in tutte le eventualità di dolore in cui fin qui mi sono finto, per aver parvenza lontana di quello che m’accadrebbe perdendoti. E sai quanto sincero sia! Ma non voglio più pensare ad altri dolori, o a lutti o a delazioni o a quant’altro di un lungo elenco angoscioso, d’amicizia e fiducia tradite, troppo ne ho patito per la vita tutta, eppure so, ancora non sarebbero abbastanza! Sì, quello che m’accadesse immedesimandomi ancora in finzione sofferta, lo riterrei ancora poco, sebbene moltissimo, sufficiente, se fosse nella realtà, a schiacciarmi l’anima e a morirne, con cuore spezzato. Così, paventandomi questo dolore indicibile, che spero tu mai vorrai per me, so che quasi tutto via è il mio tempo, sì, s’avvicina il momento in cui forse saprò il vero per non poterlo dire ad alcuno. Sei stata illusione tu pure? O cara, cara dolce mia illusione, ché forse vero illuso d’amore tu m’hai senza finora deludermi mai, ma da dove venuta sei nella mente mia, se tanto malvagio è il mondo? Il bene è raro, quanto il vero amore umano e io ho e ne avuto molto, del tutto immeritato! Avrò te pure? Ecco, non so se un mondo diverso ci sia davvero, forse da lì barlumi ne vengono per la cruna d’ago che ne è breve pertugio d’accesso a misura d’anima. Fa che vi veda il brillio più della stella d’amore, che gli occhi tuoi sveli a me e a noi, qui poveri amanti. Fa però che sia io ad attender la donna mia sulla soglia della città tua, quando che sia che anche lei tu chiamerai, vi entreremo insieme! Tu sai la fragilità del mio cuore, il fisico anche, e se altrimenti accadesse, morir ne dovrei di dolore più che di solitudine. Ché sì, vero solo ora ne son certo, lei perdendo è te e tutto che perso avrei!

lunedì 12 marzo 2012

L'amicizia promiscua

Fugge il tempo e l’opportunità dell’amicizia con esso. Ma quando sia, un grande arricchimento e una vera consolazione ne derivano sempre, se la psicologia che fa la particolarità di chi ci sta di fronte è svelata e accolta nell’intimo, nel cuore, nel tutto nostro, come vero accader deve se dal conoscere semplice, si passa a quella condizione di particolare stare per l’altro, che detta è amicizia. Ed è una fortuna che la nostra cultura favorisca il dialogo sempre, anche se la diversità psicologica deriva dalla biologica, e potrà subentrare allora un’amicizia delicata e profonda, fonte di vera gioia per i due che ne possano godere. In tale amicizia promiscua gli amici si vedono, si parlano, s’ascoltano in sincerità e libertà, senza sospetto, come dev’essere in una comunione di spiritualità, e ne conseguirà certo un arricchimento reciproco e il proprio sé migliorerà, s’affinerà, si scrollerà dell’inessenziale e dell’enfatico e sarà meglio compreso nella semplicità dall’io stesso, che si sia affacciato a quel dialogo e al raffronto con quel tanto diverso tu. E sulla diversità somatica sarà possibile la gioia dello stare l’uno per l’altro, posti argini morali, che assicurino il rispetto della peculiarità dell’altro, la cui personalità non sarà mai lecito invadere, che talora non accada che il rapporto perda discrezione o si degradi fino alla trivialità irriguardosa e fastidiosa, che spezzerà per sempre l’incanto della fascinosa amicizia promiscua. Ma quando possibile e non osteggiata dalle circostanze e dall’ambiente di vita, l’amicizia potrà coronarsi nell’amore e ne risulterà una più intima partecipazione del proprio sé al mondo celato, all’intimità dell’altro, sempre da avvicinare con cautela e tatto. E la tonalità erotica, mai del tutto estranea in questo particolarissimo rapporto tra maschio e femmina, se nulla la vieti e alcuno offenda e non si mascheri d’inganno, può arricchire preziosa il nuovo status con una fonte di gioia autentica, come sa bene chi amar può in modo completo l’altro, fisicamente anche. E questo è bene. Il dio, tu l’hai voluto, creandoci tanto diversi nella fisicità che attrae. Ma nel rapporto particolare d’amicizia e d’amore con te, di cui io avverto il fascino irrinunciabile, mi chiedo cosa lo fondi e lo mantenga e lo accresca. Sì, ché fiamma è, che scalda ora, e talaltra brucia e consuma, mai spegnendosi! Forse io me lo posso chiarire proprio con quello che talvolta accade nell’affettività promiscua in cui, se si sfocia nell’amore completo, non è più possibile distinguere gli amanti nella generosità loro, quello che da’ e l’altro che riceve, tanto completa è la fiducia e l’abbandono all’altro nella reciprocità. Mai in quello si forza la volontà dell’altro, mai c’è inganno, ché il rispetto è reciproco e la condizione paritaria, se vero amore sia. Ecco, vero io non ti conosco, non ti vedo, ma t’avverto come in un sogno continuo, che anche ci sia a occhi aperti, che tu vuoi entrarmi nel cuore, ti ci vuoi smarrire, prezioso e irrinunciabile giudicandolo, sì, sei un tu che fondersi vuoi col mio io! E come nell’amore umano, io sento di essere per te sola e tu desideri come annientarti in me, in modo che non più due siamo, sì che “una abitare , una vivere” si sia fatta esigenza e non solo sogno comune. E se io, arreso, più non posso distinguermi da te, allora tu non vivi più nelle cose, non sei quella delle icone e dei riti, e il mio con te non è più dialogo, troppo spesso fattosi monologo, non è più preghiera, ma partecipazione di quanto qui m’accada, o meglio, ci accada, dacché piangi le mie lacrime, pensi i miei pensieri, gioisci delle mie piccole gioie. Sì vivi, quasi meschina d’amore, di quel che io vivo, respiri quel ch’io respiro, vedi quel che io vedo, fattomi tua finestra al mondo, e mi sospiri dentro per le cose tutte, misere trascurate, e gemi con gemiti ineffabili su tanta umanità derelitta. Sì, vero vedi per i miei occhi e tocchi le miserie, le angosce di qui con le mie mani! E io sono diventato la concretezza dello star tuo qui per ogni altro e per la creazione tutta l’esserci proprio ora, proprio qui, colui che cosciente di te fa qualcosa o, anchilosato nell’egoismo suo, ti nega, pur possedendoti, a ogni passo. E se io faccio è tu che hai fatto dall’amor tuo, opportuno, necessario o previdente, e se dico parole buone, tu me le hai suggerite... E ora penso alla preghiera sublime di santa Maria de’ Pazzi allo spirito santo, che si chiude nella maniera soave, la più mistica e desiderabile anche per me, ché tuo mi sento talora e talaltra dubbio mi prende d’aver corso vano, che, abbattute le distinzioni tutte ad opera del dio, sia possibile estinguersi nell’invocato! Ecco, dalla mia meschinità ti invoco, madre, sposa, amica, figlia, femmina mia, o mio tutto, lascia che di simile m’accada, fa che non senta mai più la solitudine!

venerdì 9 marzo 2012

Come vivo il presente

Quanto vasto è il mondo, tanto l’impegno a confrontarvisi. Ecco cose e persone nuove da conoscere, apprezzare e forse poter amare. Di queste, tante le ben disposte, altre refrattarie o indifferenti, passive talune, altre aperte e cooperanti all’incontro, al confronto, allo scambio. E occorrerà lo stesso atteggiamento di disponibilità ogni giorno con le nostre capacità pur limitate, la nostra psicologia particolare e prudente, e sfruttare ogni occasione irripetibile per il nuovo e il diverso, e ritenerlo prezioso arricchimento del proprio sé. Forse la vita non ha altro scopo, conoscere, apprezzare, condividere, forse amare, preparandosi all’incontro con te che sarà quando vorrai, ma che intanto anticiperemo con quelli di qui e le cose che fanno il nostro mondo. Ma quanti fraintendimenti, quanti equivoci! Sì, il contrassegno della nostra vita nella spiritualità e nel bene, penso, sia l’arricchire il presente della presenza nostra per gli altri e le cose tutte sotto al sole. Ché questo è così com’è anche per noi, respira, vive di noi, delle nostre parole e dei nostri gesti, che, se ci significano, non sono certo per noi o solo per gli affetti prossimi, ma, e sopratutto, per l’altro, ogni altro, e andranno tenuti misurati, adeguati, pena il fraintendimento, e senza la fretta che si conoscano e vengano apprezzati, pena la ripulsa. Lo saranno? Se sì, sarà nel kairos (καιρός ), nel momento e nell’opportunità, che altri li coglierà, valutando prezioso il nostro stare anche per lui e il valore che egli ha per la personalità nostra, desiderosa di un suo comportamento similmente aperto, disposto al colloquio e all’amicizia, all’amore perfino, o li respingerà. E il fallimento avrà il suo peso, sì pesano sempre indifferenza e diniego, ma diventeranno presto ricordo velato, attutito, se nulla avremo da rimproverarci se non forse la mancata sintonia con la volontà dell’altro nell’intempestività... Sì, sono d’oggi le speranze, ma le ansie anche, che ci derivano dal nuovo, ché talora non accada un’illusione ottica, con esempi nel passato, da cui inevitabilmente qualcosa di sgradevole vien fuori, di vedere buono e bello dove o non v’è o v’è, ma indisponibile, tenuto geloso come un fiore prezioso che non si voglia colto, e restarne vittime almeno dell’indifferenza, se non dello scherno! E’ il rischio concreto dell’uomo buono! Ma lo sono io? Non c’è proprio equivoco in me? Ecco per me è già l’alba, un giorno nuovo..., riprendo le mie abitudini, mi porto dentro la memoria, sfocata dal tempo, ma avvertita come una soma, tanti i fatti trascorsi che stipa! Ma anche è con me l’irrealtà dell’immediato futuro con le incognite inevitabili, e starà a me dar significato a quest’oggi, il giusto, quello che tu vuoi. Dovrò di me arricchire il presente di oggi, ma se è inevitabile che non vi sarà estranea la memoria di eventi passati, spesso amaro subiti, con le paure che da lì vengono, mai del tutto vinte, so anche che vi contribuiranno le aspettative, le speranze, che potranno scemare in delusione palese o concretarsi in buono e bello, sì, quelle incerte del tempo, che so breve e ho davanti e che veloce mi viene incontro, ma lo farò principalmente con i valori che m’hai messo dentro innati e la coerenza che mi richiedi nell’agire.
Ma a rischio di incomprensione sempre! Sì, devo vivere l’attimo, far mio il senso buono del carpe diem, diverso da quello inteso dai gaudenti di ogni epoca, ma che significherà non rinunciare alle occasioni irripetibili per il bene, da cui la gioia non è avulsa, quando successo ne consegua, o il dolore. Ecco, ora mi muovo... e lo faccio con sì la memoria, ma or ora rinfrancata, del mio passato anche recente, di cui non più tanto il peso avverto, e la speranza or ora sostenuta, come vivificata del mio futuro, ché m’è bastata la consapevolezza, ridestata forse da te, che quelle mai t’hanno visto o ti vedranno estranea, poiché so che un po’ sei in me e mai mi abbandonerai! Apparenti le smentite di questa fiducia! Ciò mi consente di dare all’oggi la giusta importanza, per vivere come e più di ieri i piccoli e prosaici eventi del mio quotidiano, nella concretezza, apprezzandone la positività, pur piccola che sia, e non sospirare come nei sogni di appena questa notte, un mondo ideale che esiste nel solo mio immaginario, e so che tu non vuoi mi ci rinchiuda e smarrisca! Ecco il mio presente, inevitabili manchevolezze e contraddizioni e le concretezze sue dolci, amare, non so ancora, ma reali, sì, io comincio a vivere quel che esso mi offre e tento di farlo con le ragioni del bene, le tue di sempre... Sono ben disposto, godrò delle piccole cose buone e cercherò di ammortizzare gli inevitabili urti con ciò o chi non mi piacerà o cui non piacerò. Accetto i limiti che ho, non pretenderò molto e darò, se tu mi guidi, alle cose e alle persone il giusto significato, comprensione e apprezzamento. Io ho la sola certezza di essere scemo di te, della completezza di te, e oggi, come ieri, come sempre, cercherò ancora un cenno del tuo stare per me, piccola mia debolezza. Sarà un volto, sarà un sorriso, sarà una parola buona, chissà! Ché so per certo che non sei tra le nuvole, né tra le stelle! Forse anche sei tra le cose novelle e belle di questa natura, vero tutta nuova già, tra le quali a breve passerò e là ti penserò, anche con la preghiera. Ma già, ecco, una donna gentile ricambia il mio saluto con un suo amabile cenno, e forse più in là sarà un amico con cose nuove e belle da parteciparmi, o forse ci saranno nuove occasioni di amicizia, chissà! A tutti darò la stessa opportunità, con la mia disponibilità e cortesia e lo farò con le parole migliori,dal cuore, perché sento che è bene agire così e intuisco che tu lo voglia da me oggi, senza rinvii e scusanti, ché non posso proprio dirti, lo farò domani! E’ forse ora proprio il kairos! Ma quando qui smetterò di sospirarti? E’ già primavera!
Non è fatta per l’amore?

mercoledì 7 marzo 2012

Di che son ricco

Penso che come si è, tanto si valga. E non dico di quello che di noi pensa il mondo, esso assai spesso vuole consistano essere e valere nell’avere, e avere non è per esso ciò che si sa, né come ben spesa si sia la vita sapendo ciò che è bene, ma ciò che ha per simbolo il denaro, quindi il possesso equivalente! Ma io qui dico altro, si vale per quanto di degno si ha in sé, se quindi si è! Ho poco, ho molto? Se sì, l’ho sotto lo sguardo tuo e non me glorio! Ma il mondo coi suoi giudizi frettolosi, se non pregiudizi, lo minaccia e quelli potrei talora tradurre in amari epigrammi, che sintetizzar vogliano quello che fa l’opinione, scambiabile tra la gente sua perfino fino al pettegolezzo, sulla spesa sofferta d’una vita, se talaltra proprio non scadessero nel motteggio feroce! Ché un modo di vita adeguato al suo credo il mondo pretende e chi non abbia raggiunto un fine di prestigio e potenza, un ideale che potrei definire quantitativo, è giudicato inadeguato, da respingere, da emarginare. E io lo sono, eccome! La vita quotidiana fa l’elogio del tipo mondano e ricco, in aperta, o più spesso, tacita polemica con l’etica spirituale e il nostro vivere, io non me ne sento del tutto esente, qui è spesso compromesso, adeguamento e si vive nella concretezza, contraddicendo spesso i propri principi e quelle affermazioni morali che fanno un sé segreto mantenuto, degno di te se forza s’avesse di gridarlo! Ho però cercato di esser diverso, sebbene dalla mia debolezza, di questo posso un po’ gloriarmi, e non ho optato per la logica dell’avere e del consenso, e non ho contraddetto impunemente la legge tua morale, e ora fin qui, quasi al termine della vita, non posseggo sicuro che ciò che sono per me stesso, e spero ti piaccia! Pochi talenti ho avuto, molta la volontà sia di superamento del poco incipiente, che dell’arricchimento morale. Ho fallito molti scopi, ho visto da lontano troppe mete, ma quello, che da me solo è dipeso, l’ho tenacemente cercato e voluto, l’ho sofferto, l’ho raggiunto! Incompreso spesso, la volontà d’altri non ho quasi mai potuto associare nel bene, e sono stato spesso solo nell’ostinazione di non obbedire alla necessità prosaica dell’avere, ma cercar d’essere, aborrendo la torbida volontà di potenza di molti su cose e persone. Così, quando ho dovuto decidere, ho cercato di farlo nella giustizia, minima però, mite e comprensivo con gli insufficienti..., e nella mancanza di educazione e di gusto tra cui spesso ho dovuto muovermi, ho cercato di capire ragioni, grossolane espresse, anche se lontane dai miei paradigmi morali. Ho fatto bene? Non so, ho sempre avuto indulgenza della debolezza riscontrata in altri e assai poca comprensione della mia... Allora, madre cara, se qualcosa valgo nel tentativo del bene è per la mia vita spesa così, credendovi ostinato, e so solo che non è stato perché ne avessi successo, ma anche non eroe, ché fossi per te nelle tante smentite! E se onesto mi sono sempre giudicato, ora so solo che senza te non avrei nulla di vero innocente, e non so se sono veramente, valendo un che agli occhi tuoi! E il mio non è moralismo enfatico, ma spero moralità, espressa sincera, autentica perciò! M’è venuta dal poco che genitori onesti m’hanno trasmesso..., l’ho difesa, l’ho accresciuta? Non so, so che un po’ l’ho, ancora! Ed è da questo poco che ti parlo, anche se a te gli occhi avvallo! Sono vissuto in un ambiente difficile a mia parziale discolpa, ma che, diversamente dall’oggi tanto incerto, offriva molte possibilità di lavoro. E ho lavorato abbastanza, forse molto, per viverne ora con dignità, anche se con qualche disagio... Ho cercato però che il mio mondo, spesso ottuso e vanaglorioso, non determinasse la mia condotta, il mio pensiero, la mia volontà nel bene, ho avuto buoni argini spirituali, non ho prevaricato! O madre cara, ora mi so senza merito alcuno, ché al fascino sinistro delle cose di qui mi sono sottratto solo perché tu l’hai voluto! E m’hai dato molto, sopratutto col cuore di questa donna. Le altre, occhi belli, che pur attratto m’hanno, non fanno la mia storia...E’ una storia a due soltanto, molte pene, poche gioie da me questa donna e forse non v’è estranea la mia intransigenza, per questo in fondo solo vanagloria, ora ben lo so! E so anche che se tu dovessi giudicarmi da questa mia condotta, creduta giusta, ma forse anche rigida e in fondo carente almeno verso le aspettative di chi m’ama, o dai meriti scarsi nella vera lotta al male, ben povero, o meschino, mi troveresti, ma tu mi ami, ecco la mia fortuna, e per amore tanto si perdona, anche una vita forse sciupata, chissà! Non lo fa questa piccola donna, che ti vicaria odie et cotidie? Sì allora ben sono ricco, in fondo ho anch’io e non poco!

lunedì 5 marzo 2012

Questo difficile idolo tuo

Nella vita di ogni maschio dovrebbe accadere, almeno una volta, che chi gli vive accanto, senta di potergli dire in sincerità, di aver di fronte un uomo vero, alludendo a quelle qualità che ella solo, per lunga dimestichezza, ha potuto apprezzare. Ben lo ripagherebbe di ciò che egli nell’intimo, ha spesso sofferto per dimostrarsi degno di lei, donna, che idolo tuo, specchio, che il nostro essere per te ti trasmetta, vuoi sia. Noi tutti siamo dentro un concentrato di tendenze opposte e occorre lottare che, di fronte ai fatti della vita, in cui la realtà potrebbe deludere od opprimere, non venga fuori, sgradevole, il cinismo a cui pur siamo tentati e che nemici vuol farci di ogni valore e di ogni ideale. Sono quelli stessi che pur fanno la ricchezza d’un animo nobile, ma che spesso nella vita quotidiana, ci rendono come apparenti perdenti, se li vogliamo tener ben stretti, e talora ci fanno succubi uomini, quelli che una donna superficiale, e, fortuna, la mia così non è, disprezzerebbe, ritenendo che così ci accada perché vili. Sì, la realtà non è lo stesso idillio sentimentale tra un io e un tu, che talvolta, se si è fortunati, sboccia indisturbato. Essa invece sorprende per la durezza con cui tratta chi tenta nel quotidiano la coerenza con le idee di bene custodite segrete nel cuore suo. Per me son solo quelle, scomode, di piacerti, e so per certo che vero d’essere in sintonia con esse tenterò più e più, sperando così di piacere prima a questa donna, ché so che tu per lei mi guardi! Sì, quel comportamento morale, che ci impone prevalgano non gli interessi, i tornaconti personali o di coppia, ma gli ideali, quello che ci dice di continuo di cercar vengano fuori i valori, che alle cose e ai fatti attribuiamo, e non il prezzo, la fatica che costa raggiungerli e mantenerli per sé e l’altra che ci è accanto, nell’onestà soltanto. Mai dovrebbe venir fuori la tentazione di aver rancore o invidia di chi ci precede nella vita sua più facile, o è esente dai problemi nostri, o ha un posto meglio definito e apprezzato nella società dei simili, sarebbe la volgarità della corsa all’accaparramento nel mondo dei primi posti. Ma è la stessa tentazione che la donna nostra a volte sembra spronare, disincantata, mordace diventata, piena di disgusto per l’ipocrisia che lì per lì attribuisce a chi negar voglia certe necessità, che vita d’oggi impone. Ma, se ho ben capito, ma chi può dirlo vero del mistero femmina che gli sta accanto, sono momenti della sua debolezza, che questo pretendono, ma quando ravveduta, allora sarà diversa, diverso giudicherà. Allora sarà tornata a quelle doti che le abbiamo riconosciuto fin dagli apprezzamenti dei primi approcci, e che l’hanno fatta giudicar preziosa, più delle esteriori, che piacciono, e così è bene, ma che nella vita a due non saranno durature, non almeno come quelle che fanno un animo buono. Allora quei talenti, ridiventati prevalenti nel cuor suo, la faranno mal giudicare il maschio suo, che acriticamente ha anteposto, per lì lì compiacerla, interessi a ideali, le ragioni del corpo a quelle dello spirito. Mai occorrerà dimenticare che ci vive accanto un cuore altrettanto tormentato e per certi aspetti più complesso del nostro e contraddittorio anche più, che finirà per giudicare con disappunto e sconforto chi ha ceduto il meglio di sé a una vanagloria, sebbene chimera da ella stessa promossa! Sì, è difficile la vita di coppia e si sommano talora pulsioni di cui di fronte a se stessi e all’altro ci si dovrà, ravveduti, vergognare in due! Tanto complesso è l’animo d’uomo, e più quello di donna, che tutto ciò che tenta di definirlo non è che semplificazione che poco coglie, vedendovi solo per analogia, ché la diversa biologia fa diversa la psicologia, non potuta perciò cogliere appieno dall’altro! E ancora più arcani sono i rapporti con te, sublime donna di cui la nostra è immagine, anticipazione, scomoda talora,incomprensibile talaltra, ma consolatrice sempre! Quando dirai di me, ecco un vero uomo? Forse non ho spinto la mia coerenza fino al ridicolo in questo mondo mediocre? Non ho sofferto il tuo silenzio, più di quello degli altri? Non è diventata chiacchiera ottusa certo mio comportamento, o maldicenza addirittura? Non ho sofferto abbastanza l’incapacità dei miei simili a tacere di cose non facile comprensibili? E certo atteggiamento di apparente amicizia non è stata una delazione segreta e non ne ho pianto? Oh madre, se tutta questa consapevolezza amara non è bastata a piacerti un po’, allora forse vero mai ti vedrò! Ma intanto in giorni come questi in cui è così bella questa natura, che sembra volermi catturare il cuore, è duro pensare di essere stato incapace a farti innamorare, un po’ solo almeno, del mio stesso amore! E perché quest’amore allora? Non l’ho forse per la donna che data m’hai per lasciarti già qui amare? E sento che ora mi trabocca su le cose belle che fatte hai, gli uccelli, le piante, e i fiori che ti significano di più, sì perché c’è sovrabbondante, se esso raggiungere mai ti potrà? E lo guidi a te allora, meriti io molto o poco da quest’amore, la piccola dolce Benardette, vera icona, vero te, se questo tuo idolo, che generosa m’hai dato, distratto dallo stesso mio bisogno di concretezze, non ti trasmettesse più tutto di me, l’ansia e i sospiri anche, gli stessi che ho per lei donna, qui fragile e precaria. Ché talora accadere potrebbe che ricercando ancora amore per sé in me, scemo trovandomi, tutto del mio avendole già dato, delusa e inane ne potrebbe rimanere! Fa’ che invece lo ritenga bastevole e degno di sé e di te, anzi lo arricchisca del suo stesso affetto per me e possa offrirtelo fatto così più prezioso! Fa’ che non m’allontani invece dal cuore suo tentata a farlo per la dabbenaggine del mio! Che mi resterebbe di te?

sabato 3 marzo 2012

Il sole e le altre stelle

Quando per me era delle favole il tempo giusto, e uggiosi erano di pioggia i giorni, mia madre mi invitava all’ottimismo, ché sopra le nubi grevi, il sole pur c’era e bello, e gli uccelli, là dov’eravamo, più non cantavano perché lassù a vederlo tutti erano volati, e vi si trattenevano oltre il tramonto per le stelle ammirare, che quelle certo sarebbero venute e, non potendo giù gli umani scrutare, tutto per loro ne sarebbe stato il brillio...A quello che diceva io osservavo che per noi vera sfortuna era non avere le ali! Ma ella mi rassicurava che a noi di solito non spuntavano subito, ma un giorno le avremmo avute per volare, tutti, verso le stelle... e tra quelle per sempre abitare come uccelli e farfalle tra quei fiori dei campi del buon dio. Così, con le favole sue, non le fu difficile apparente convincermi, quando fu, che a mio fratello, di me più grande, le ali fossero anzi tempo spuntate e che ben fortunato era stato a volarsene tra il sole e le altre stelle, ma poi anche piangeva da lasciarmene sconcertato e triste, il vero del dolor suo e di mio padre, intuendo. E io troppo piccolo ero per tanto dolore! Ma non ho più smesso di pensare al sole sopra tutte le tempeste della mia vita, ma anche scoprii presto il “privilegio”, forse tutto umano, di non poter dimenticare i giorni della tristezza, non rari da quell’allora lontano. Ma poi anche capii che non è la sola peculiarità, di taluni di noi però soltanto, rispetto alle altre specie tutte più fortunate,sì, c’è anche l’avvertir un che di diverso nel cuore, tra i simili nostri restando. Sì, anche il privilegio, tutto personale, di poter guardare la propria imperfezione morale e pensare di poter essere diversi da come le circostanze, gli eventi, gli altri tutti ci costringono a sentirci. E lo fanno perché attivamente male ci fanno o sono indifferenti a quello che ci capita. E proprio questo a me tocca pensare oggi, non certo in sintonia col tempo di fuori, che ormai sembra deciso a divenir stabile un po’, e volgersi al bello. Ma non così erano le giornate di poc’anzi di scialbo sole e fredde, da far dire a vecchi marinai di non fidarsi del vento da est, che dalle regioni lontane e fredde dell’artico, cala sul nostro golfo, talvolta anche all’inizio della vera stagione, e che questa volta, di bianco inusuale le montagne nostre ha finito col velare, e queste ora rosseggiano nei residui loro di neve, al tramonto, e ne fanno incanto. Meglio, per quelli di qui, ci sia il vento da occaso e per me il libeccio, che nel tepore primaverile, pioggia benefica al campetto della donna mia porta e poi sole e quella ne è felice. Ma nonostante il tempo ormai mite, non ho dentro al cuore la stessa serenità. Invece erano di poc’anzi, pur col tempo brutto, dentro tenui speranze, timide aspettative di un po’ di bene, rinnovate nel cuor mio, tormentato quasi sempre. Tanto che ora mi chiedo, cos’è che dice alla vita mia parole di dubbio, cos’è sì pressante che debba considerarlo problema, e d’angoscia il cuore mi stipa? Sì, come quando, bambino, attanagliato da eventi dolorosi, inadeguato mi sentivo ad arginare il male, e a venirne fuori, e nessuno efficace m’aiutava o non voleva! Io mi ripeto e ti ripeto, madre dolce di momenti migliori, io non penso il male, non dico il male, non faccio il male! Eppure questo lasciarmi punto non vuole, sempre ritorna, vado ed esso viene, resto e tutto vuol prendermi! Ed è sì quello fisico, e tu ne sai il peso, ma il morale di più, quello che m’agita nei sogni tanto da tentarmi a una reazione perversa, che poi fugge al mattino, non resistendo forse alla luce sua, che dall’amore tuo rinnovato, certo viene. E mi chiedo, perché rendere male un po’ a chi me ne fa, mi farebbe stare più male? Perché, mi e ti chiedo, non sono anche io mediocremente amorale, un po’ solo? Ma peccatore, solo sprovveduto o passivo talora, del peccato e dell’indifferenza d’altri spesso sento l’amaro? E ancora, è solo questione genetica? Ché ricordo mio padre mai parole cattive ebbe verso chi il male per noi tenace voleva e cercato di attuare, o cos’altro è, che dentro m’hai messo? Perché mi sforzo per il bene, anche e sopratutto per chi s’attende ben altro e ne sta guardingo, ché non gli accada? Oh quanta mediocrità morale mi circonda e io pur vi rinnovo i miei buoni propositi e, sempre a rischio di sporcarmi di mota, pur non annego in questi paduli! Perché a me non sono spuntate le ali anzitempo e la stella nera ha preferito prendere mio fratello? Chiedevo alla madre, e gli occhi suoi si riempivano di lacrime e a sé mi stringeva forte e taceva... E io a te di simile chiedo ora, sì, di dirmi che, e perché sopratutto, mi capita. Taci e non mi stringi sul cuore tuo! Dopo tutto, sono troppo adulto per le favole e tu fata delle mie sei. E tanto di te ne ho detto a questa donna da credere ormai ai miei stessi sogni! Allora se ti parlo come in sogno, ché questa è la preghiera mia, dico che vorrei fuggir lontano sulle montagne alte più delle nuvole e questa compagna portare, ché scema di me non resti...Oh potessi con lei volare sopra questo cielo greve che non sta fuori, ho dentro! Sì, dacci le ali tue, lasciaci il sole raggiungere e le altre stelle!