sabato 3 marzo 2012

Il sole e le altre stelle

Quando per me era delle favole il tempo giusto, e uggiosi erano di pioggia i giorni, mia madre mi invitava all’ottimismo, ché sopra le nubi grevi, il sole pur c’era e bello, e gli uccelli, là dov’eravamo, più non cantavano perché lassù a vederlo tutti erano volati, e vi si trattenevano oltre il tramonto per le stelle ammirare, che quelle certo sarebbero venute e, non potendo giù gli umani scrutare, tutto per loro ne sarebbe stato il brillio...A quello che diceva io osservavo che per noi vera sfortuna era non avere le ali! Ma ella mi rassicurava che a noi di solito non spuntavano subito, ma un giorno le avremmo avute per volare, tutti, verso le stelle... e tra quelle per sempre abitare come uccelli e farfalle tra quei fiori dei campi del buon dio. Così, con le favole sue, non le fu difficile apparente convincermi, quando fu, che a mio fratello, di me più grande, le ali fossero anzi tempo spuntate e che ben fortunato era stato a volarsene tra il sole e le altre stelle, ma poi anche piangeva da lasciarmene sconcertato e triste, il vero del dolor suo e di mio padre, intuendo. E io troppo piccolo ero per tanto dolore! Ma non ho più smesso di pensare al sole sopra tutte le tempeste della mia vita, ma anche scoprii presto il “privilegio”, forse tutto umano, di non poter dimenticare i giorni della tristezza, non rari da quell’allora lontano. Ma poi anche capii che non è la sola peculiarità, di taluni di noi però soltanto, rispetto alle altre specie tutte più fortunate,sì, c’è anche l’avvertir un che di diverso nel cuore, tra i simili nostri restando. Sì, anche il privilegio, tutto personale, di poter guardare la propria imperfezione morale e pensare di poter essere diversi da come le circostanze, gli eventi, gli altri tutti ci costringono a sentirci. E lo fanno perché attivamente male ci fanno o sono indifferenti a quello che ci capita. E proprio questo a me tocca pensare oggi, non certo in sintonia col tempo di fuori, che ormai sembra deciso a divenir stabile un po’, e volgersi al bello. Ma non così erano le giornate di poc’anzi di scialbo sole e fredde, da far dire a vecchi marinai di non fidarsi del vento da est, che dalle regioni lontane e fredde dell’artico, cala sul nostro golfo, talvolta anche all’inizio della vera stagione, e che questa volta, di bianco inusuale le montagne nostre ha finito col velare, e queste ora rosseggiano nei residui loro di neve, al tramonto, e ne fanno incanto. Meglio, per quelli di qui, ci sia il vento da occaso e per me il libeccio, che nel tepore primaverile, pioggia benefica al campetto della donna mia porta e poi sole e quella ne è felice. Ma nonostante il tempo ormai mite, non ho dentro al cuore la stessa serenità. Invece erano di poc’anzi, pur col tempo brutto, dentro tenui speranze, timide aspettative di un po’ di bene, rinnovate nel cuor mio, tormentato quasi sempre. Tanto che ora mi chiedo, cos’è che dice alla vita mia parole di dubbio, cos’è sì pressante che debba considerarlo problema, e d’angoscia il cuore mi stipa? Sì, come quando, bambino, attanagliato da eventi dolorosi, inadeguato mi sentivo ad arginare il male, e a venirne fuori, e nessuno efficace m’aiutava o non voleva! Io mi ripeto e ti ripeto, madre dolce di momenti migliori, io non penso il male, non dico il male, non faccio il male! Eppure questo lasciarmi punto non vuole, sempre ritorna, vado ed esso viene, resto e tutto vuol prendermi! Ed è sì quello fisico, e tu ne sai il peso, ma il morale di più, quello che m’agita nei sogni tanto da tentarmi a una reazione perversa, che poi fugge al mattino, non resistendo forse alla luce sua, che dall’amore tuo rinnovato, certo viene. E mi chiedo, perché rendere male un po’ a chi me ne fa, mi farebbe stare più male? Perché, mi e ti chiedo, non sono anche io mediocremente amorale, un po’ solo? Ma peccatore, solo sprovveduto o passivo talora, del peccato e dell’indifferenza d’altri spesso sento l’amaro? E ancora, è solo questione genetica? Ché ricordo mio padre mai parole cattive ebbe verso chi il male per noi tenace voleva e cercato di attuare, o cos’altro è, che dentro m’hai messo? Perché mi sforzo per il bene, anche e sopratutto per chi s’attende ben altro e ne sta guardingo, ché non gli accada? Oh quanta mediocrità morale mi circonda e io pur vi rinnovo i miei buoni propositi e, sempre a rischio di sporcarmi di mota, pur non annego in questi paduli! Perché a me non sono spuntate le ali anzitempo e la stella nera ha preferito prendere mio fratello? Chiedevo alla madre, e gli occhi suoi si riempivano di lacrime e a sé mi stringeva forte e taceva... E io a te di simile chiedo ora, sì, di dirmi che, e perché sopratutto, mi capita. Taci e non mi stringi sul cuore tuo! Dopo tutto, sono troppo adulto per le favole e tu fata delle mie sei. E tanto di te ne ho detto a questa donna da credere ormai ai miei stessi sogni! Allora se ti parlo come in sogno, ché questa è la preghiera mia, dico che vorrei fuggir lontano sulle montagne alte più delle nuvole e questa compagna portare, ché scema di me non resti...Oh potessi con lei volare sopra questo cielo greve che non sta fuori, ho dentro! Sì, dacci le ali tue, lasciaci il sole raggiungere e le altre stelle!

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