martedì 27 marzo 2012

Viaggio alle stelle

E’ di ieri appena lo spettacolo ferino cui hai dovuto assistere qui in giardino. Tra l’erba alta una biscia, lenta avida divorare un sfortunato topo di campagna, e t’ha accorato. E io t’ho ripetuto che questo mondo non sa di bene o di male, segue, irresponsabile, leggi sue, quelle di necessità. E qui nascere abbiamo dovuto, nell’assurdo! Lo vorremmo migliore questo vecchio mondo. Ma modificare possiamo, e un po’ solo, quanto l’uomo v’ha aggiunto di inopportuno in ogni epoca per vanagloria o perfidia, ché un saggio ha osservato che quello naturale è già il mondo migliore, e l’uomo non può che peggiorarlo. E a quel tuo racconto oggi rivissuto, stretta a me t’ho tenuto un po’ e tu ringraziato poi m’hai della mia presenza qui accanto alla tua, che altrimenti starebbe nella solitudine ed esposta all’angoscia. Oh se tu non ci fossi! M’hai detto abbandonandoti alle mie carezze... Ti ho fatto osservare, ridendo per farti almeno sorridere, che se con te sto e ti conforto, un giusto prezzo pagar devi giorno per giorno e tu ne hai riso, ben intendendo l’allusione alle concretezze dell’amore che l’età consiglierebbe di moderare e il tempo che fugge ne è invece assetato. Così t’ho lasciata sorridente, parendomi rassicurata e felice dell’amor nostro rinnovato nell’intesa, perfino di giovanili desideri suoi. Ma da solo rimasto, alla passeggiata, ripensando allo spettacolo triste che testimoniato m’hai ancora, me ne sono incupito, ché cose analoghe vissute già dall’infanzia mia infelice, ho rivisto. Ma poi lo stormire di questi alberi antichi e il tremolar delle lor foglie novelle alla brezza dal mare, che dire parevano il tuo bel nome, m’hanno distratto da pensieri ossessivi e tristi, e alla storia del nostro tenero amore non ho più smesso di riandare. Sappi allora che io credo che luogo è tra le stelle disposto ad accoglierci e là ancora sarà meraviglia di dolci sguardi e sospiri, ché la nostra storia splendida chiede di eternarsi. Non sapevi che l’amore vero morir non può, sì quello che qui ben stretto si tiene la gente ché non sfugga? E presso la bella signora, che ne è garante, t’aspetterò... E quando la mia canzone risentirai nel cuore, chiudi gli occhi tuoi belli fidente e lasciati trapassare nella nuova forma, quella degli angeli! E so già che chiedermi vuoi che cosa fondi tanta speranza...Io, che sul cuore ho della bella signora l’impronta, ti rispondo che se nel cuore abbiamo per la vita conservato un posto alle favole, perché lo avremmo se mai repleto quaggiù può essere? V’abbiamo stipato brividi d’amore, di carezze, di parole tenere e dolci di tante notti e illusioni anche, e non s’è riempito, nemmeno delle favole che ti ho raccontato! E’ destinato a rimanere, è fatto e mantenuto in vista della vita che ci attende. Siamo qui come bambini in lenta formazione nell’utero di questa madre, e sta accadendo come già in quella naturale che a lungo custodito ci ha, perché organi inspiegabili per la vita buia e muta e senza respiri nel seno suo, perfezionassimo in vista della vita d’adesso, cui tutti quelli e lor funzioni lì preparate, necessari sono. Così ella fa in sé, preparandoci il cuore, la mente dei pensieri, alla vita novella. Perché altrimenti il desiderio dell’amore che estinguersi non vuole, e del bene e del bello e del buono che correr ci fanno come dietro al vento, tanto qui rari e sfuggevoli sono? Perché gli occhi incantati che mai si riempiono delle meraviglie di qui, tante eppure mai bastevoli, e il fascino che sempre rinnovano stelle e lucciole di tarda primavera? E sazio non è mai l’orecchio del cri-cri dei grilli nelle notti di tarda estate, e del frinire delle cicale sotto la calura dei meriggi della bella stagione e del canto d’amore di uccelli vero innocenti, a primavera? E poi ché vaghi sempre siamo del volo delle farfalle trepide, di fiore in fiore? E perché i sogni, i sogni nostri tanti, sempre vividi, quelli già da bambini e gli altri della nostra storia a due? E ancora ché tanto m’inebria il ronzio dei bombi già qui operosi che vanno agli asfodeli già numerosi sbocciati e il mare qui di sotto a far risacca con le onde che sfarfallano luce, contrastando le sopravvenienti? E poi queste aurore, che più lente ora maturano in questi mattini precoci, assolati e che ci vedono, appena affacciate ad oriente, sempre abbracciati come per tutta la notte così rimasti, e perché tutto questo ancora incanto mi fa e farà finché qui rimarrò? Credi a me se tutto questo non è bastato a riempire il cuore, esso vuole quel che la bella fata per noi proprio ha in serbo, là dove vive tra le stelle, quelle che piangono lacrime di fuoco nelle notti d’estate. Non sono le sue parole d’amore per noi che sempre un oh oh di meraviglia pronunciamo in risposta a tanto incanto, più di quello che anche paura t’hanno messo ieri i fuochi per la festa dell’annunziata? Sì, è il nome suo breve e bello che così pronunciamo, quello che invoco da mane a sera, ché la nostra vita qui rimanga un po’ risparmiata da brutture e da dolore,che tanto d’assillarla pretendono, e forse ella un po’ m’ascolta! Non è a lei che chiedo che la mia vita per prima si muti e la tua continui di più a conforto di quanti t’amano? Sì, è la sete nostra d’amore, mai chetata , mai estinta, che la speranza di vita avalla! Credimi, questo nostro è un viaggio alle sue stelle! 

Nessun commento:

Posta un commento