martedì 20 marzo 2012

La vita breve

Va via ogni vita! Se questa che sto per affidarti ho capito come andasse spesa, non so davvero. L’assurdo m’ ha governato l’esistenza, fragile da sempre, molte speranze, poca accoglienza e fortuna, e incerta, sola e precaria più che mai ora la sento, ed esposta, e tanto, al freddo che la circonda! Gettata mi pare in questo tempo a occuparne ormai piccolo spazio, più che mai nell’incertezza, in perenne urgenza d’amore, di rassicurazione, di tenerezze, sì, avida di quelle che hanno compreso e tutto scusato... Ma mediocrità da ogni parte e miseria e indifferenza, che il suo cammino lasciar non vogliono, la stringono, e incomprensione tanta, e proprio piccola s’è fatta la speranza di conservare agli occhi tuoi una parvenza di umana dignità nel logorio anche di dolore, che veloce distruggerla vuole. E mi dico oggi, avrò un domani ancora, ma per farne che? Ecco, mi chiedo, sono stato fin qui per me solo, o ho cercato di ricambiarti l’amore, quello che donato m’hai fin da quando accorta di me t’ha fatto il piccolo, informe grumo nel seno della madre cara, e come e quando a che, a chi, l’ho donato? Vorrei poterti dire che l’ho fatto sempre ogni volta, non perdendo occasione, quando me ne è venuta sollecitudine, cercando di dare risposta, sforzandomi fosse adeguata, o prevenendo le necessità, con sollecito accorgimento. Ma temo abbia finito per amare solo chi la sua stessa vita tutta mi ha donato generosa, ché ne vivessi avido, respirando del suo respiro, beandomi del suo sorriso e nel nero arcano degli occhi suoi attenti sempre a me, smarrendo i miei. E temo ben poco sia tutto questo per te! Non fanno questo gli egoisti tutti, non prestano, pretendendo a tasso gravoso, quel che danno? E non è in fondo colpa grave agli occhi tuoi questo comportamento del pretender tutto, concedendo scarso e corto? Sì, forse nemmeno l’amore ricambiar ho saputo, donando molto meno del ricevuto, come se sempre una negatività di grettezza m’abbia accompagnato anchilosandomi i gesti e facendo misere le parole mie. Sì, pur belli pensati, gesti parlanti da soli e parole aggiunte per ridondanza, mal o non abbastanza ben espressi o riusciti, quasi sempre ne sono venuti fuori, e quindi non potuti capire e apprezzare appieno dall’altro, o equivoci addirittura sembrati come da ipocrita usciti. Oh sì, quanta inadeguata risposta ho dato sempre e quello che pur ho serbato in cuore, dicendomene geloso, ormai muffo s’è, buono per nulla! Ché l’ho fatto, a che serbarlo quasi fior tanto prezioso da non poterne essere colto? Perché, perché non mi son tutto svuotato per tempo e ora solo briciole dure e muffite posso dare a piccola donna che pur da me ancor richiede tenerezza e concretezza nell’affetto, che pur vero ho per lei? E forse tu per lei a te destinate le chiedi, ché solo per te un valore conservano, sì, t’appaghi del solo gesto, purché da cuor sincero ti venga. E lo sono io? Io più sicuro non sono! Oh quanto vorrei agli occhi tuoi di madre essermi conservato bambino, o almeno ingenuo e sprovveduto e da sempre vederti sorridere ai miei progressi! Mi diceva la madre che tardi mi son fidato a camminare, tardi ho parlato, ma del sorriso suo nulla vorrei aver perso... E ora nel mio babillage da vecchio, nell’incerto mio procedere, il tuo cerco ansioso. Almeno m’ammiccherai, occhi belli, sebbene come a indegno? Dimmi di sì, non ho visto forse nella penombra illusoria un nistagmo d’intesa in questa tua icona e la bocca tua il brillio dei denti mostrare, come in fuggevole sogno ad occhi aperti? Quanto è durato, un attimo o più? E perché nuova illusione non ho? Oh quanto è bella quest’immagine a capo di letto posta, che di noi veglia il riposo e che ritrarti vuole come descritta t’hanno i veggenti dell’altra sponda d’Adriatico!

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