sabato 29 dicembre 2012

Aquila e altre metafore d'amore







Urge la verità tua sia espressa, come farlo se non attraverso l'amore? Ecco, io forse ho l'amore, quello che sento per le cose tutte, sotto al tuo sole, quello che sogno, e quello che me ne viene, certo da te, per questa piccola donna, eppure nulla di te questo aggiunge. Ecco, sei forse lì, qui per dirmela, dove? Ma forse sarà che è l'amore, il tuo, che comunicarsi vuole per quello umano e io davvero non possa più contenerne, ché saturato me ne ha questa donna il cuore del suo. Perché è lei che viene anche nei sogni miei e ché lo fa? Ecco allora che ella ti svela, ché è lei quello che solo so e ho di te, e ti vela a un tempo la mente mia tutta assorbendo, nella bella umanità sua. Prigioniero son di questa donna, perché? Ecco com'è l'amore umano, una strana forza, promuove che l'anima si inazzurri, ché per il cielo è nata, e ne pare ostacolare l'ascesa. Ma forse questa mia comprensione è solo illusoria e le mie restano sensazioni dubbiose da smarrimento. Ecco accade talvolta, la meta di lontano vedendo, di incamminarsi per la strada giusta confidando in altro cuore, ma avvicinandosi a quella per la via che pareva sicura e non più in vista dell'agognato traguardo per il cambio di prospettiva che fa la vicinanza, si resti con quello smarriti. E io mi sono smarrito in questo suo cuore entrandovi per il nero degli occhi suoi. E così è che io ora mi chieda confuso, che so io dell'amore suo e perciò del tuo? Tu mi vedi con gli occhi suoi, tu palpiti per me dei suoi palpiti e solo per lei mi puoi esser vicina. E' già molto di te sapere, questo avvertendo nel mio star con lei? Forse tu vero non abiti il mio cuore, ma il suo sì. E se ella paura ha o angustia, tu ne sei presa, qui lontana, per starmi vicina, dal mondo tuo sicuro. E se ella cerca le braccia mie, è ché tu ve l'hai spinta, l'afflato tu stessa mio cercando. Questo fa la domina del cuore mio, dà sì conforto, e tanto, ma a volte ne cerca e mi sorprende, scoprendo come forte sia e fragile a un tempo, che il suo tutto dà generosa, ma poi si scopre indifesa, cercando protezione da chi ha fin lì protetto, avendogli sempre risparmiato amarezze di fronte agli inciampi della vita. Sì, tutto sta accadendo come se tu non abbia altro mezzo per amarmi che farlo per lei. E l'amore è dar molto, ma anche un po' chiedere in momenti bui e io sempre temo di deludervi. Ecco questa storia nostra d'amore, è breve, è lunga, è storia meravigliosa sempre a tre. Io stavo nel nulla e tu già m'amavi nel sogno e nelle speranze della madre mia, e piccolo grumo informe del seno suo, ella m'amava e mi custodiva e tu in quell'amore trepido. Così poi nelle sue premure e cure e per gli occhi suoi mi guardavi e per l'amore suo m'amavi. E poi? Forse guardato m'hai per gli occhi d'altre donne, sperando d'avvicinarmi per una di quelle, di raggiungere per lei il mio cuore, a ricambiarti l'amore offerto. Ma io non capivo quello che cercavi di fare, e se una volevo, ecco non era quella giusta, ché nel cuor suo nulla del tuo aveva. Ma poi questa dalle parole dolci e conte, venne a me piccolo fiore, timorosa e sicura a un tempo, e io seppi che null'altro amore di donna darmi avrebbe potuto, che lei non fosse lì per donarmi sincera. E tu eri in quel suo cuore avido del mio. Sì, è questa la mia storia d'amore per te, semplice e schietta, e ora so che nulla di te mi viene se non per lei. Se ascender devo alle vette vicine al tuo cielo o più ancora, questa piccola femmina sarà come aquila dal cuore forte, che l'anima mi sostiene, appesantita da troppe difalte, e lo farà portandoti il mio cuore, che leggero, sgombro del superfluo suo, l'amore avrà reso. E io ti raggiungerò solo così, ché da solo resto incapace e sprovveduto. E io già sogno quest'aquila dagli acuti stridii ratta calarmi nell'anima, determinata a rubarmi il cuore. Eppure solo una piccola donna mi vive e dorme accanto, è aquila dormiente e ancora forse non sa di esserlo, ma sa che un compito ha e so che, se lottar dovrà la stupidità mia, sarà vincente. Niente di quello che l'amor suo ha tolto di scuro e pesante, dovrà ricomparirmi dentro, vuole che il mio cuore sia per lei e che l'amore di nessun'altra lo ingombri. Ama gelosamente d'istinto e sola protagonista vuol essere perfino nei ricordi e io so che sempre è stata nella mia vita, ché tu vi sei! E l'aquila che sarà, tanto in alto fino alle stelle portarti dovrà questo cuore. Ecco cos'è l'amore, mezzo e meta, e tu già sei vicina eppur raggiungerti dovrò e forse per altra immagine, sto già in una mongolfiera. Vola alto un cuore gonfio d'amore e nel cestello un suo piccolo tesoro, il mio per te!


Io non so davvero quale sogno meglio descriva questo nostro sospirar le tue stelle, l'aquila che ghermisce e porta su oltre lo spazio e il tempo con acuti lai, fiera della preda sua, o l'aquilone, o la mongolfiera che su su porti i nostri sogni al vento affidati e con quelli i nostri cuori, ché oggi triste ho questo cuore, appesantito nel buio. L'icona tua che in India lupi hanno dilaniato è morta. Ma davvero è da questa umanità che sogniamo di raggiungerti? Ecco, dolce va la mongolfiera salendo e al vento dell'amor nostro che la porti a te s'affida, ma il mio cuore qui rimane, fuggir più non vuole alle tue stelle, ti porterà solo una promessa, verremo!


Qui rimarrò per pregare almeno!

lunedì 24 dicembre 2012

Serenità







Natale tempo di tepore di focolare, tempo di serenità. Eppure vi sono esclusi, chi attanagliato è dal male multiforme e quelli dalla libertà avvilita nelle carceri nostre. Vada il pensiero e la preghiera a questi infelici e a chi oggi ha coraggio di testimoniarne, a rischio della vita, l'estremo disagio.


Ma se per i più è serenità, è per che farne? Ecco, in un natale quello di tutti.


Nasciamo. Sarà un cammino tra molte ombre. Ci viene confidata una lampada, cioè affidata per il suo buon uso, con certezza che l'avremo cara. Essa illumina il cammino se non la rendiamo cieca, o non la mettiamo a far luce dietro ai nostri passi. E' l'amore! E' amore di donna. Dapprima è amore di madre, santo, casto, sempre discreto. Poi d'amica, di sposa. Ora con linguaggio diverso, ma pur esso fatto di vibrazioni del cuore. E ce ne lasciamo inondare, invadere, penetrare anima e corpo. Dapprima come risposta naturale, poi fino alla mistica. E' stato come acqua benefica che scorra in un canale per campi altrimenti assetati. Dapprima è ben contenuta, arginata , indirizzata, risparmiata, poi all'impeto suo non resistono gli argini e quella straripa. Libera, tutto inonda, della frescura e giocondità sua. Ché vedi una nuova generazione d'erbe e fiori, e a visitarli bombi brontoloni e api operose e poi la vaghezza delle farfalle. E così fa la vita inondata da straripante bene, perde l'incertezza sua, non ha più tono di limitatezza e sembra non procedere più a stenti nelle strettoie buie, perde il tono di minaccia, non spira più nel quotidiano aria di spavento, e tante brutture non invitano più alla follia. Si calmano le esigenze e i bisogni pur sempre impellenti danno tregua. Ché s'è accesa fiamma da quella facella donata. Amati, amiamo! Il dono ha prodotto i frutti suoi fatti pur'essi di gioiosa luce. Un dono fidente nella risposta e questa, attesa, è venuta! Per gli altri è invito. Vengano, s'affrettino, il dio, la bella stella del cielo si lascia vedere come vero è, toccare, ché l'abbiamo raggiunta nel cuore di una piccola donna. E tutti possono far di simile! Noi eravamo tra i poveri, eravamo i poveri, i trascurati di ieri , i derisi, gli insolentiti, i tribolati dall'incertezza, dopo che quel caldo seno di madre ci aveva dovuto lasciare. Ma ché non ci attardassimo negletti dalla fortuna, al freddo degli esclusi, che avvilisce e anchilosa, ella ad altre mani di donna ci ha affidato. Ed è stato l'amore, tutto il possibile sotto questo cielo scuro, perso in così poca luce. Non più schiavi della materia, che ci teneva bassi e della morte minacciosa, da pensare inutile ogni tentativo di volo alle vette pur indorate, ma ora candidati ai tuoi sogni, madre cara! Io proprio meglio non so dirti di questa fiamma, ché passato sono dal freddo di brev'ora, quella madre amata lasciandomi, al caldo di altre braccia e così a sognar il caldo del tuo seno. Debole ero, ma ora più forte, mite posso essere e non più arlecchino d'orgoglio frustrato. Tanto di te ha potuto insegnarmi una piccola donna! Credo che i cuori delle donne tutte, frammenti siano del tuo grande.


Ecco la luce ha nei giorni sereni una sola fonte e nelle notti che li seguono è frammentata in miriadi di brillii. E la vita è divenuta ricerca del giorno, dopo notti rasserenate e fatte di mille e mille stille di luce, e del sole che tu sola sei. E come del cuore fisico piccoli frammenti, se isolati riprendono a pulsare, ripetendo in sé la proprietà del tutto, così cuori di donna pulsano dei fremiti tuoi e invitano a cercare la fonte da cui si irraggia tanto amore. Non diversa la felicità frammentata in mille occasioni che vengono da mille cose apprezzabili, belle e buone, ma che una sola fonte di gioia devono avere e invitano a cercarla. Sì, così le notti, queste fatte serene, sono preludio d'aurora, cioè le pur piccole gioie donate prologo sono al tuo calore, al tuo giorno di cui tu sola sei la luce! Qui è notte sempre, ma l'ha fatta serena una piccola donna, mille e mille brilli si sono accesi a lasciarsi ammirare e amare, e verrà l'aurora e verrà il sole. Oh sì, conserva quest'amore, ci sta portando a te!

venerdì 21 dicembre 2012

Chi ricorda quest'amore?







Tu mi chiedi, dimmi, se sai, se il fondamento di quest'amore ne contenga il destino. Io lo credo e voglio dirti perché. Forse è proprio vero, amando si vive più nell'altro che in se stessi. E vivere nell'altro è far propri i sogni suoi e le sue pene. Restare in quei sogni, mettersi nella prospettiva loro, è vedere con gli occhi dell'altro e le cose di qui e le belle attese. E se quello che l'altro angustia si fa proprio, se ne cercherà il superamento insieme, ché la novità del dolore, coraggio richiede e ci si accorge presto che l'altro ne è il fondamento. Così tu sei il mio coraggio! Presto si scopre che amando è sapere dell'amore, e che quello che se ne apprende così scoprendolo, è davvero tutto sull'amore, non v'è dell'altro che non venga subito svelato. E ancora si scopre che in qualunque suo ulteriore stadio, vi si aggiungerà solo commento a quello che le prime parole e sensazioni hanno svelato. E sappiamo di amori intensi e brevi, che in poche sensazioni e per brev'ora racchiudono ciò che il tempo può solo dispiegare con mille variazioni in tutta una vita. E' come accade di musico che su un suo tema dolce e caro ritorna e ricompone, riscrivendo in nuova chiave, ciò che gli suona nel cuore. Ecco è possibile dirlo ancora così e poi ancora in modo diverso e ancora, nulla aggiungendo, solo variando la melodia, che a sé rimane fedele. Così l'amore che si fa, si dispiega in mille e mille parole a imbastir frasi, tutte variazioni delle primissime dette semplici a recettivo cuore, che, ascoltate, le ha fatte proprie. E così è accaduto tra noi e io t'ho detto e tanto, ma tu già convinta eri fin dai primi approcci del dialogo nostro. Sì, fin dai miei primi balbettamenti d'amore per te! Ho poi detto credendo di nuovo e più bello parteciparti, ma in fondo mi sono solo ripetuto, anche se a te è suonato vera, più dolce novità, ché hai voluto così fosse, nulla invero di nuovo aggiunto, tutto di simile, ma avido l'ha accolto il tuo cuore. Si dice, e credo non a torto, che un vecchio ripete spesso le stesse cose, racconta le stesse storie, usando talvolta le stesse parole. Riesprime ciò che per lui è importante quello che gli fa sempre gioia ricordare, ma solo a orecchie attente e amorevoli suona piacevole allo stesso modo e non annoia. Oh quante volte devi aver risentito certi fatti della mia vita, storie belle e meno e io le ho rinnovate a entrambi e tu non le hai considerate ripetitive, sempre comprensiva, indulgente e pietosa un po'. Ecco anche questo fa amore, è amore. E io ho finito per aver importanza per te sola, ché attenta riascolti come la prima volta le storie mie e le mie confabulazioni non solo scusi, ma le consideri arricchimento, cibo per l'anima tua assetata del mio. Ricordi quella canzone che parla, triste un po', della vita che va via, corre con l'inutile fardello delle tante cose e parole apprese, blaterate spesso e da tanta gente,inutili divenute o ingombranti, e delle sensazioni suggerite e delle canzoni che le hanno espresse, tutte stipate nella memoria e tante da divenire di necessità sfumate fino all'oblio? Così è il rammarico per un vero amante, dolce, sincero e assai presente nella vita dell'altro che finisce col diventare al pari delle altre cose della vita, vecchie divenute, come un ritornello non più cantato, non più diffuso, ma restato prezioso, pur nell'apparente decadenza, solo per chi può riascoltarlo fargli al cuore ancora dolcezza. E immelanconisce questo inevitabile sfumarsi e perdersi delle cose più preziose nonostante il cuore le abbia serbate gelose e voglia trattenerle, ché non decadano nell'oblio. Così è certo per te di questo nostro amore. Vorresti trattenere il tempo, fermarlo, ché più non ne rubi frammenti col correre delle sue ore impietose e senti che ti sfugge, vuole sfumare nel ricordo. Non diversamente i pesci rossi della vasca antica che vengono, avidi delle briciole offerte, a far mostra di sé, tu poi li vedi frettolosi riguadagnare il fondo sfumando nell'acqua verde lor forma e colore. E come la venuta loro intenerisce, così la dipartita frettolosa fa un po' tristezza. Così quest'amore. Ma noi non siamo soli in questo bene condiviso, c'è chi l'ha favorito, chi l'ha sollecitato, chi se ne è rimasta discreta accanto a custodire e ricordare le preziosità sue! E la memoria sua ce le ridonerà, non le lascerà finire nel nulla! E ricominceremo con lei la nostra storia meravigliosa e i nostri cuori palpiteranno daccapo i nostri palpiti da lei conservati preziosi. Ecco questo fa l'amore del dio! E se tu diversa idea hai, ecco pensa anche questa, ella è quella che ci ridarà quest'amore e sta certa che, se dici questo, hai già detto tutto di lei. L'ha voluto, l'ha preservato, l'ha conservato per la gioia di ridonarcelo. Ella è colei che dona per ridonare dopo breve parentesi, ama per riamare ancora. Ha sognato di noi e veritieri sono i sogni suoi, come i nostri antelucani che presagiscono il vero, e diventeranno realtà ancora. Quando, dove? Quando sue lucciole ci ritroveremo tra le sue stelle e io ripeterò in brillii il mio primo babillage per te!

martedì 18 dicembre 2012

Piccole donne, piccoli fiori







Ecco si fa sera, tiepida questa giornata dopo tanto gelo, devo aver camminato tanto ché or stanco sono. Ma non è stato vano se novelle emozioni cerco, ché sullo stradello bianco del chinale, che su mena, c'era un primo bombo coi brontolii suoi. Cercava certo un fiore e mi son detto, forse ne va in questi tempi grami della sua vita, se tanto spendersi pare. Simile mi sento nella ricerca mia, ché davvero non so come trovarti. Forse smarrita t'ho tra i tanti miei sterili pensieri per te, come questo bombo tra le mille frasche, di foglie e fiori spoglie, della sua ricerca per il fiore suo vitale. Dove sei piccolo amore, fior mio? Dove gli occhi tuoi indugiano senza incrociare i miei? Dove udir potrei il tuo respiro lieve e sospiroso? Bolso il mio per l'ansia di cercarti e gli occhi miei arsi sono come in lunga veglia e stanchi di correre qui e là a interrogare le cose e le rare creature, in cui imbattermi posso. Ho sperato di trovarti in piccola donna, piccolo fiore. Questa. Gli occhi stasera le brilleranno sotto le stelle, ché un po' staremo a vederle, ignorando l'aria pungente, e io mi illuderò siano i neri tuoi che parlano senza parole coi brillii loro. E i suoi proprio per i tuoi già tante volte m'hanno detto amore. Ma avido ho il cuore e non si placa, ché me lo dicano quante le facelle del cielo che le prestano gli sfavillii loro. Ecco quanto dolci son gli occhi che oggi accolto m'hanno. Ella saper ha voluto della passeggiata mia, le cose viste, le impressioni e i pensieri suggeriti, e le persone incontrate e le cose dette e i sorrisi scambiati, per tutto rivedere nella mente sua ed essere partecipe, se di bello m'è accaduto, della gioia mia e farne rider gli occhi suoi. Dimmi mi illudo con lei di te? E' più ancora l'amore o basta il suo, ché a te m'avvicini, e d'altro nulla importa saperne? Ma io so che di simile faresti vivendo ogni mia gioia e rattristandoti di ogni pena, pur piccola. Oh quanto vi somigliate! Ben dico che è la tua icona per me! E vero statica non è, e si muove di movenze dolci e misurate, parla allo stesso modo piano e come avesse conte le parole sue, ma lo fa anche tacendo, ché gli occhi lo fanno qua e là soffermandosi e le sorridono se pur felice non è. Perciò sempre lo è un po' almeno, la tradiscono gli occhi ridenti, che sempre un po' lucidi ha! Mi illude così della gioia sua intima, specchio della tua? Forse accadrebbe solo se tu lo facessi con me o se tu stessa illusione fossi. Sì, vivo un sogno e tu ci sei e tu sei questo sogno, ché questo è la piccola donna mia, sogno. Ecco passa il tempo, quello di una vita sembra non esser bastato a capirla e mi chiedo, quanto misura quest'amore? Quanto è vasto e profondo e dove ha i termini suoi?


E se esso è solo umano come sarà il tuo, ché forse non basterà l'eternità a sondarlo. Ecco accade come quando si suona una melodia da vecchio disco con vecchio grammofono. La riproduce l'oscillazione della punta sui solchi suoi, ma può accadere che giunto al termine dei giri suoi il braccio che la reca, scatti indietro un po' grattando la superficie sua, e ricominci tutto daccapo. E' lo stesso motivo eppur par nuovo, ché suonar pare di una dolcezza nuova. Così è questa vita a due, te sospirando, aspettarsi le stesse cose e trovarle nuove ogni volta! Eppur il tornar sempre indietro produce sì il nuovo, bello e gradito ancora e sempre, ma anche logora chi ne ripete il motivo. E ora, certo di te, della benevolenza tua, le dico, sì, io t' ho logorata, piccola compagna mia, sempre voglioso delle parole, dei sorrisi tuoi perfino delle piccole pene tue. Ma se la fata vorrà ti porterò, piccolo fiore, tra i suoi di luce!

lunedì 17 dicembre 2012

Due tipi umani







Nella società in cui vivo, nella sua cultura che si dice progredita, sembra trionfare l’accidia. Sfiduciati, senza ideali né valori, infiacchiti siamo, ché persuasi restiamo dell’inutilità della lotta in un mondo in cui prevalgono sempre quelli che detengono il potere economico e politico in ragione della consistenza del loro denaro. In questo nullismo morale e ideologico, in cui vige la perentoria logica del più forte, la realtà sembra imporre di fermarsi ai fatti, cui sottoporre la volontà propria e il destino immediato del proprio mondo con gli affetti suoi, ma questa suona dichiarazione di impotenza nel disarmo spirituale vissuto. E si resta persuasi della nullità dei valori e della vanità dell’esistenza e si sa di vivere nell’assurdo, ché precaria è tanto la vita da renderla presenza gratuita, sorta dal caso e destinata al nulla, e ci si lascia vivere e trascinare, badando al minor danno per sé e gli affetti propri, cioè per sé soli in fondo. La sola speranza sembra essere il caso benevolo, con una fortunata combinazione di circostanze e di eventi in una giornata che pareva svolgersi al solito piatta, senza meta alcuna, né scopo. E’ quest’uomo frustrato,e tanto comune è che diresti che con la rinunciataria filosofia sua della sconfitta, che succubo lo fa con l’accettazione passiva di ogni fatto, esso stesso sia il più agguerrito nemico di sé. E allora quanto vero sa di favola la storia tua, di voi persone divine venute e rimaste qui a conforto dei soli che di voi sanno sognare! Sì, presenti siete, apparente celati, a spartir le pene tante di una umanità che subisce la sua storia, che si lascia compiere fatalmente senza veruno concorso di sue azioni intese a modificarla e dirigerla. Questa, diresti, è un’eterna cronaca in cui i parassiti, che denaro hanno e di quello solo si nutrono, umiliano e prostrano gli altri tutti, prevaricano, violentano, creano inferno e vi vivono esenti dalla crudezza del male suo. Per loro vantaggio in fondo, le fiabe qualcuno ha inventato. Ma la vostra pure? Questa è però diversa, gli aguzzini condannati sono a restare nel loro inferno concreto a farvi nuove vittime, sempre nuovi sono nelle generazioni loro, eppur sempre uguali nella cupidigia sfrenata. Perciò ben sono un tipo umano, che vive e si rinnova di per sé, esiste da sé, espressione di una persona metafisica, malvagia, demoniaca, e non è tutto il male, ma ne fa lo spessore, mentre altro ne aggiunge l’ambiente corrotto fin dall’inizio del tempo! Ma fin a quando? Finché, in obbedienza al “ diligite inimicos vestros” del figlio tuo, da mezzo agli angustiati loro emerga la generosità dei santi che li includa a forza nel suo perdono, adducendo a sé le colpe loro, ché ne resti soddisfatta la giustizia divina. Ma dal perdono per sfociare nell’amore, che è sì loro, ma vostro, tuo e del figlio tuo, rinnovato, attualizzato nel sacrificio. E quando non l’accidia, ma l’amore prevarrà tutto avrà termine, i bruti recuperati tutti a voi, all’amore. E io voglio credere a questa fiaba, che salva l’onore di me combattente sempre sconfitto e la dignità della causa per cui mi batto, ché resti convinto che occorra rinnovare la resistenza al male e il sacrificio di dovervi soccombere. E’ un tipo diverso di umanità cui mi sento di appartenere quella che è in fieri, diviene migliore, diviene buona, diviene bella. Ecco ancora la profezia del serpente, “ eritis sicut dei”, cioè è un’umanità che aspira ad annientarsi in voi, aspira al divino, a farsi divina, ad essere tutta una sola persona metafisica con voi, il dio del bene, del buono, del bello. E tu già premi questi infaticabili volenterosi non distinguendoli nel tuo amore dal quello che porti al vero figlio tuo. E tante già le battaglie perdute da noi creature fragilissime, e pena e dolore e pianto, ché sempre la sconfitta annienta, schiaccia. E io, che certo santo non sono, m’occupo dell’aiuola mia, piccolo tassello in questo mosaico. Calpestano i fiori miei, s’appropriano dei frutti degli alberi di questo nostro orto, calpestano sacrileghi, distruggono le zolle sapientemente preparate e curate dalla donna mia per la semente novella, e io che faccio? Cerco di limitare il danno, allontano i devastatori, calmo la stizza sua e asciugo le lacrime sue amare, la predispongo all’oblio, al perdono. Sì, do un piccolo contributo al perdono dei vili. Io so d’esprimermi col linguaggio delle favole e le mie sono solo metafore di un cantastorie, ma tremenda è la serietà del male e del dolore. Chi, che ce ne affrancherà se non l’amore? Ecco è daccapo il tempo natalizio e tornati son gli zampognari col i loro canti antichi e ingenue melodie, peccato che io e la compagna bambini più non siamo, non ne possiamo appieno vivere la dolcezza, sentire quest’atmosfera lieta di canti, preghiere e botti! E mi si velano gli occhi a ripensare e rivedere nella mente quelle storie di amor familiare, la mamma mia bella, il bambino che ero, il fratello di me poco più grande, e il babbo giovane e forte, tutti intorno a un tavolo con la tovaglia rossa, contenti del poco, e s’era felici e si pensava, ecco un giorno in cui si mangia bene!

sabato 15 dicembre 2012

Pianto di madri







Nell'America lontana, eppur vicina tanto al tuo cuore, un nuovo fatto sconcertante, un eccidio di bambini, è accaduto. Nessuno ha potuto vigilare su loro, né amore di madre, delicato, sollecito sempre, né persona accorta e responsabile, cui affidati erano stati quei piccoli nell'ora di scuola. Tutti sopraffatti dalla rabbia pazza di un triste, imprevedibile nella ferocia sua. E tu dov'eri? Eri lì, eri qui, sei qui? Eppure m'hai scordato e apparente solo son rimasto, ora a subire tanta tristezza amara, come al pianto di tante madri il mio lamento si debba aggiungere a far bordone. Torna da quelle, torna da me! Fa sentire ancora la tua parola amorosa, ché dolcezza doni in tanto cordoglio. Ma forse mai te ne sei allontanata. Il male è venuto e più rabbioso per la presenza tua, t'ha per prima oltraggiato, invano tu frapponendoti, debole scudo, a tanta sua rabbia. Ma ora le nostre orecchie più assordate sono dal frastuono che qui fan queste ore d'angoscia, e prima, distratte per le cure di qui, udito non hanno il grido tuo premonitore, e ora l'accorato tuo lamento. E gli occhi cisposi per la caligine che qui regna, non t'hanno vista, né ora ti vedono. E ora non più vola la sacra melodia del tuo canto d'amore per il creato tutto, ma singhiozzi e pigolii lo riempiono, ché quelli sono anche i tuoi, tu li raccogli, vi versi del tuo amplificandoli, ché la creazione tutta se ne imbeva accorata. Ma tu dalla soave mitezza del tuo cuore pur mo t'adoperi ad asciugar le lacrime nostre, ma le tue non trattieni e stringi di tenerezza quelle madri al tuo seno e ne baci e ne bagni i capelli, a quasi volerti scusare di aver perso ancora, ché per qui con noi restare, all'onnipotenza tua hai rinunciato, la più mite e impotente femmina divenuta, quella su cui il male sempre fa violenza, “pro femineo sexu” spendendoti tutta, ché stai in ogni pena e abbracci ogni dolore delle icone tue. Ma restituirai quei figli perduti all'amore loro quando tornerai col figlio tuo, e già quell'alba forse indora le vette più alte, sì viene! E ora dal mio viso, più rugoso e tetro divenuto, lavi col pianto tuo la caligine di questi momenti bui. Oh sì, ripassa visibile tra noi, umile pellegrina che bussa ai cuori e ridomanda amore, ché qui chi t'aspetta, il tuo implora palese, angosciato in troppa solitudine! Oh sì, ritorna tra questa tua gente abbandonata, allo sbaraglio in questa fosca sera! E ritorna a me e tra queste braccia, piene sì di conforto di donna, eppur vuote di te come non mai, e sollevami con lei fino alla tua luce. Ora vedo questo presente più spaventoso del passato e scuro l'avvenire più del presente. Hanno ucciso bambini! Ecco quanto necessita di te questa mente mia tormentata e ti desidera questo cuore che vuoto mi suona e, vecchio, fa protesta con le bizze sue. Invano questa donna lo riempie delle parole sue tutte dolci d'amore, ma solo umane. Ho urgenza di te, ché arsa è l'anima mia ora e più l'acqua delle lacrime di questa non basta! Son rare di gioia, più di pena, perché l'accoramento mio le fa dolore. Oh torna a questo cuore, e al suo cuore avidissimo! Più e meglio dirti non posso, mi pesano e cadono le parole, vogliono farsi non senso e lasciarmi muto con versi inarticolati d'angoscia in troppo buio. Bramosi i cuori di quelle giovani madri, bramoso il mio, bramoso quello della donna mia! Oggi tutti bisogno abbiamo di tutto. E sei tu il nostro tutto!Ecco, mi ha preso un'ansia febbrile, ché più e più mi stringe questo cerchio di morte, e nuove vie alla luce vorremmo, questa tenera donna ed io, e orizzonti nuovi. Ma dove, quando, come senza te? E tu che abbracci ogni pena, conforta anche questa nostra e perdona la poca mia fede, è forse questa sola che mi fa falta, mancanza!

giovedì 13 dicembre 2012

La tua parte concreta







Se qui sia luogo che più d'amor tuo cenno mi faccia, non so, ché tutti belli paiono pur sotto plumbeo cielo. Ma credo che di te più parli questo del chinale che di alberi è privo,ma in arbusti tanti si differenzia. Umili vi crescon i cespugli, ché stan bassi per forse meglio secondare del vento l'impeto di queste giornate gelide. Mi ricordano che tu umile e mite sei tra noi. Ah quanto poco ti somiglio in questo! Ché mitezza è austera virtù d'uomo forte, mentre in te fa anche ancella dolce e delicata alla bellezza tua. Sì, “inter omnes mitis”! Il debole ha dabbenaggine fiacca, cascante accondiscendenza, abbandono vile agli eventi e succubo è sempre di gente ria, che gli fa violenza perfino dal passato. Sono un po' così, che deriso sono e insolentito talvolta, tradito da inconsistenti amici e presto abbandonato, con ombre che fino all'oggi si proiettano. Ma col male non transigo, né con la colpa, e pietà ho di quelli più miseri e degli autori dei misfatti subiti, e prego. Oh quanto prego! Pur debole e sciocco, mi sento di razza divina, lanciato dalla vita per le sue boscaglie ombrose, che il male insidia. Battaglio con le mie ombre, e tante e spesse ne ho, e mi rumoreggiano intorno da farmene paura, ma presto so che vedrò l'arcobaleno incurvarsi soave nel cielo di dentro, quello che è sempre di luce, ché ha te sole, e se notte mi fingo sia, tu sempre vi sei, fatta di miriadi di brillii. E facella hai nel mio cuore accesa, che vorrei, incendio d'amore, si estendesse al mondo da poter far ala della carne nostra, che peso fa allo spirito, e poggiare alle vette supreme della luce o su più ancora e raggiungerti là dove vivi. E così morire al male. Lotta è la vita e dura! Ma mentre in quella spirituale talvolta siamo vincitori, ché nel tuo nome quello ha effimero trionfo, pomposo sì, ma vano, dell'altro quasi mai. E' quello che danni fa alla vita concreta, che si regge su un soma, non ce ne liberiamo, ché lubrico e fangoso, non ristà dall'insidiarci. Eppur vincerlo bisogna! Oh sì morire al male d'ogni sorta e viver felici nel bene! Ma è possibile solo in fuggitiva visione, che ci illude per un battito di ciglia, effimere le forze da opporvi, apparenti sterili le preghiere. E impreparati sempre e fiacchi nelle resistenze nostre, ci trova, e su noi getta la rabbia sua infernale. Sì, quello romba come uragano e nulla vi si oppone efficace, né scienza medica onesta, né quella che l'arte sua fa per mammona. Ed è dolore e pianto! Io m'abbandono a te. Passa la tempesta, lascia desolazione e orrore, e pianto tu hai le mie lacrime, ancora! Il nemico resta sempre schierato, mai sazio, soddisfatto talvolta del misfatto suo. E dovrai piangere ancora! Chi mi salverà, chi ci salverà? Incerto sono, esitante, perplesso e cerco la donna mia, ché mi stordisca con la voce sua melliflua. Non importa quel che dice, son parole dolci, che soavi suonano a innamorato, siano, e sempre più spesso lo sono, anche di giusto rimbrotto! Ho bisogno di tenerezze e me ne dà generosa. Anima è che canta lieta, talvolta triste un po' come velata sia la felicità sua, alla vita e sembra farlo quando invece io m'accoro. E non è miracolo questo? Mite è della mitezza tua, semplice donna è come te, e forte e dolce a un tempo. Ecco è la parte di te che toccar posso, la più concreta della carità tua, e allora o con te, e totalmente, o nel nulla! E' questa la mia speranza,ella è già la mia vittoria, su me stesso, sul male tutto! E la vita nostra già cullarsi vedo in un mare luminoso oltre il tempo, oltre il mondo. Lì dolcezze mistiche, riposi soavi , sorrisi e parole tue d'amore! Oh quanto sereno e lieto di esistere son ora!

martedì 11 dicembre 2012

Amenità e tristezza d'una mattina







Luogo alto v'è sulla collina da cui veder puoi la parte più antica della cittadina. E' verso orto che lo sguardo volgersi deve, e da qui essa si protende a mare col suo imponente maschio medioevale, carcere oggi non più, ma in eterno restauro. E' di sole tutto inondato questo posto e sebbene senza fiori, ameno è di cespugli di euforbia ed erba da strame, rari rosmarini ormai tutti sfioriti, e a sostar invita per la bellezza vicina e lontana che offre e per il tepore di questi raggi, in giornata altrimenti gelida. E' posto solitario, fatto, o per la preghiera o per i ricordi. E ricordi tu? Di là, del borgo antico, era il piccolo amore mio primo, l'ossuta bambinetta di tanti miei sospiri e sogni e poi la fidanzatina, severa con se stessa e più con me. Chissà se la piccola, non più riveduta, è già tra gli angeli tuoi dove m'aspetta uccello per far con me primavera! Dell'altra solo gli occhi neri ricordar voglio, ché mi lasciò quasi senza saluto se non ricambiando frettolosa quello del mio sollecito, né promesse di almeno celesti incontri. Ma a volte donna questo fa. Allora pregar preferisco, ma poi il pensiero va ad altro acerbo amore e te ne parlo perché ne so ora l'anima rinchiusa in sé, come persa in vaghezza. Io non so se con me destino diverso le sarebbe toccato, ma se vero tuo medico tu mi volessi, carismatico, è da lei che comincerei l'opera mia, sanatrice nel tuo nome, per riportarla alla consapevolezza. Ecco ho già gli occhi tutti velati e invano mi soffermo al rumoreggiar, oggi quasi di sciabordio, delle onde dabbasso, che fan bordone e alle parole mie accorate, e al volo dei gabbiani leggero con ali aperte, distese e ferme e a lor richiami sopra alle falesie. Penso ai nostri vent'anni e non posso non farlo sospirando. Oh quanto vorrei riprender il conversar nostro interrotto! Ecco in questo mondo onnipotente non sei, non puoi riportarci indietro!Ho allora bisogno della voce calda dell'amor mio e la chiamo e le partecipo l'amenità del giorno. Le dico di aver incontrato la bella piccola signora dall'imponente femmina di lupo e di averle detto di trovarla stamattina più carina. E al quel complimento uno suo ho creduto me ne venisse e così, ricordando l'accaduto, insieme ne abbiamo riso. Sì, perché qualcosa d'analogo stamattina, presto venendo all'ospedale, ci era accaduto, stando insieme, all'incontro di una ancor bella mia antica paziente e dolce, che sempre buon medico mi ricorda e mi trova com'io la vedo e lo dice franca dopo il mio farmi con lei oso, ma oggi anche la rincuoro delle pene di cui ci partecipa. Piccoli complimenti che allargano il cuore solleticandolo, che non meravigliano la mia, insolitamente tollerante oggi, ma me sì, eccome! Ecco quanto sono vecchio! Facile mi commuovo ai ricordi e alle notizie tristi, facile mi fan presa le lusinghe. Ma poi chi sono io tra quelli di qui? Ho dato buoni frutti e tu mi distingueresti per quelli? Ma solo lo sguardo superficiale apparir fa gli uomini tutti uguali, come le essenze tanto diverse di questo luogo. Forse non ho brillato davvero molto, i cattivi brillano di più. Quando vecchi van confabulando il bel tempo lor trascorso, giovani vestono alla moda, vesti sgargianti alla spiaggia ed eleganti sempre, e modi capziosi, sì son quelli dalle apparenze iridescenti e truffano l'ingenuità delle femmine loro, ne gabbano la buona fede. Esse solo con quelli come me san essere talvolta severe, sempre caute, poco arrendevoli, a meno di non imbattersi, fortunati, in chi tu hai guidato fin alle nostre braccia. Ecco come deve svolgersi il dramma umano, illusioni tante, concretezze piacevoli avare, parole or dolci, poi dure, albe candide talvolta e rossi tramonti di speranza, chiarità stellate, lucciole, ma anche arruffo di molte ombre e notti di paura senza lumi, e dolore e pianto. Ma poi il sole che tutto disvela alla pupilla, pura resa dal lavacro del dolore, è l'amor tuo che perdona. E io bisogno, e tanto, ne ho! Oh quanto distratto mi hanno sogni, chimere, occhi di donna! Ed è passato così il tempo della mia azione efficace per il bene, il buono, il bello che solo tu significhi. E ora che aspetto? Ombre non dispaiono con questo sole, neppure in questo incanto... Ma il mio avvenire è tuo, l'immediato con questa dolce icona tua, il lontano nella tua eterna gioia. Spero, spero!


Che infinita pazienza avete tu e la donna mia con me!


Che amore, che amore!


T'aspetto con lei, che sola fa di gioia trascolorar l'ultima vita.


Aspettiamo, aspettiamo...,


non balena già luce all'orizzonte?

lunedì 10 dicembre 2012

Una missione d'amore







Oggi tersa è l'aria e gelida, ma tutto inonda il sole, invita alla passeggiata e sullo stradello delle falesie or sono, a cacciar fuori nuvolette di fiato. Alto vola un gabbiano solitario, muto è, non stridii. L'ali sue ha ferme e si lascia portare dal vento, e sale sempre più su, e presto un puntino sarà. Ché lo fa, che cerca tanto in alto? E' in basso il mare delle pasture sue, e lì, oggi tranquillo, sulla superficie sua, la compagna certo è rimasta con altri a lasciarsene cullare. Non so, ma metafora fa del mio cercarti. Vola la fantasia mia coi sogni miei e in alto mi porta nel tuo cielo. Ma dove? E' qui, lì, più su, o solo dentro di me? Certo posto ancora non è, ma lo sarà e io vi spero accoglienza e non per me solo. Tanti quelli che sperano con me! Sì, è sogno che dall'intimo mi sale, dal fondo della mia esistenza tribolata, dal travagliato cuore. E alla donna che ho, si rivolge prima, e poi ai singoli vicini, poi alle persone che coinvolgere vuole tutte nella stessa favola. E vorrei passasse come canto celeste sull'ansimare sconvolto dei poveri che sempre più numerosi affollano le vie da basso. Volontà è d'amore che, iniziata da quella a me più vicina, s'allarga attorno, come luce da te trasmessa e da me riflessa, come calore che tu raggi dal cuore, speranza appassionata. Da me agli altri, da noi al mondo. E sia essa a un tempo sì ansia, tormento, ma estasi pure e d'amore, e perciò gioia sopratutto come qui nulla può dare, non sapendola il mondo. Ed è crisi qui, gli aggiustamenti sembrano inefficaci, ché gli equilibri sono rotti nei rapporti economici e politici. Seguono la mutevole bizzarria degli egoismi degli speculatori che hanno astuzia calcolatrice e sempre più grama fan la gente già tutta immeschinita e nell'Europa tutta. E l'armonia già precaria diventa compito di riconquista, possibilità agognata, progetto virtuoso, ma lontana, dacché ha fatto irruzione nell'aggregato sociale la sfacciata rapace voglia di accaparramento, che la volgarità esosa antepone al bene di tutti, e che con voluttà si presta all'istinto bestiale, la cupidigia, di arricchire i già ricchi. E già stridono i dissidi, le lacerazioni, e lotte aspre si preparano fratricide, e ne verrà maggior desolazione e il pericolo che il mareggiare tempestoso che ruggisce nel petto dei poveri, araldo si faccia di sconvolgimenti su per i clivi sociali e politici, e allora l'antico frutto dell'egoismo tornerà, la violenza, e con essa la morte. Allora se questa è la geografia del male e qui da noi proprio insiste a scorno di certi politici, e queste le prospettive sue di fame e dolore e lutti, che fare? Occorre chiederci dove, da che parte sei col figlio tuo e lì restare, costi il prestigio, costi la posizione sociale, o la vita perfino! E lì la parte giusta, non da chi affama e spoglia rubando ai deboli e miseri. E sarà la pace che attuiamo a inondare i cuori ché è questa la volontà riconosciuta e attuata del dio, che ciascuno si faccia operatore di pace. Non abbiamo altro compito fuor della diffusione dell'amore, il tuo. Arduo però. In questo pio lavoro la famiglia umana si ritroverà con il bene spirituale riottenuto, elargito da te a mani generose con misura pigiata e scossa come talvolta la venditrice di granaglie faceva a chi le suggeriva il cuore. E questo bene si tradurrà via via in altro bene, anche materiale, ché i più avranno riscoperto la magica efficacia della parola solidarietà. Ridarà la speranza, la tranquillità, che buoni politici stabilizzeranno, ché a loro spetterà di più, compito più gravoso, se si decideranno per l'onestà. Preghiamo allora che vengano dagli stessi poveri a garanzia che facile tentati non siano dal mammona. Noi, i tuoi ne saremo il fermento, lievito di ogni avanzamento, progresso verso il bene diffuso, il bello e il buono a portata di ognuno. Sì, bene non può esserci senza il balenare dei cieli radiosi di luce su questa scura terra, creazione imbruttita e sciupata per le interferenze complesse in questa vita, di brutture, d'egoismo, di peccato. Noi vi lasciamo una impronta, una piccola storia d'amore scambiato, che il mondo non può dare, esso non ha pace, non ha proprio amore, gli fa falta, carenza. Ma se tu un po' me ne dai, ecco, io lo diffonderò e così faranno molti altri. Procederà così per mezzo di mani umane l'opera tua della salute di questa umanità affamata certo, ma anche assetata e di più, d'amore. E' ingenuità crederlo, è illusione tardiva di vecchio sognatore, proprio non lo so. Ma so che beffa amara è la pace del mondo. Invece se tu la doni e quelli come me l'accolgono preziosa, sanno che lì è la giustizia e la libertà, e vogliono viverle e farne vivere tutti. Allora se questo è il divino volere, occorre conformarsi alla volontà tua con fiducia, abbandono. Allora le anime nostre umili ne vibreranno e d'ora in ora più saliranno azzurrandosi, come proprio fanno i sognatori, che sì si raccontano favole, ma che ora affidano il loro messaggio di intesa gioconda e perfetta con te a chi, come gabbiano solitario si libra a lasciarsi perdere nel cielo, e nel tuo rigoglia la pace. Aspetta questa come il pane di essere frammentata e distribuita. Di simile fa il figlio tuo che tra convenuti oranti lascia mangino del corpo suo spezzato. E quel pane simbolico, vero pane potrà diventare moltiplicandosi se tutti lo vogliamo! Sì, riscopriamo la condivisione! Ho qualcosa? Ecco, è tua anche!

sabato 8 dicembre 2012

Stat crux...











Stat crux dum volvitur orbis.


Sì, eterna sta la verità sua, nulla teme, nulla può temere, mentre le parole tutte di saggi o stolti passeranno, e quando tutto crollerà, sui rottami fumanti del mondo essa s'ergerà invitta. Tutto sparirà, pianto e sangue, grida e pigolii, e l'orgoglio degli uomini tutti, e le opere loro, inghiottite dall'oblio. Ecco, avanza il caos, mareggiando ovunque con l'onde sue torbide in notte di stelle tutte cadute, e più non fanno carola le ore e già squilla la diana sulle tombe a risvegliarci per rivederla lampeggiante, ché sempre ha camminato con la storia nostra, precedendola. E da quella luce ora qualcuno grida la verità sua. Sì parla finalmente la croce! Vibra viva la voce sua sui tremanti risvegliati, che ne temono il giudizio, ma a rassicurarci! Io la bellezza, io la verità, io l'amore, io la vita! E penetra ovunque la voce divina e il suo universo ricrea per gli amati suoi. Ecco, queste mie parole, parafrasate dalle sublimi del visionario del dramma apocalittico, faranno forse tristezza ai pii o speranza, chissà, e certo sorriso d'ironia ai gaudenti, ma essa s'erge sulle parole tutte, le mie forse inutili quanto inadeguate, ma sulle irose anche, quelle dei veri meschini, e ora s'eleva tragica per il tradimento dei vili. E quando l'avremmo offesa pur noi, imprudenti suoi difensori per le dune di questo deserto che monta? Forse ogni volta che, sfiduciati dall'accanimento del male, abbiamo blaterato parole simili alle mie di oggi, e nulla fatto per i più miseri sfortunati. E so di non far nulla per te che mi gridi aiuto, ché paura hai d'esser qui sola in tanto disagio e pena. E io che faccio, seppure di goffo e di scomposto? Ma ecco, mi sorridi nonostante, e fiduciosa attendi che la nostalgia di te, caduto nell'inedia, astinenza dal cibo degli angeli, che più non merito, e la falta sua mi fa languire inoperoso, mi faccia rialzare per correre incontro ai lembi sereni del tuo cielo, guidato dal canto degli angeli tuoi, che or pur odo nonostante la viltà mia palese. Ecco, un seme d'eternità hai posto nello scompiglio dei miei giorni caduchi e il vento ottuso passa, gela, strappa dall'albero della vita mia, che tutto spoglio sta per essere contro a cielo plumbeo a mostrar neri scheletriti rami. Chi mi resterà, che mi rimarrà? Ecco un piccolo amore ho fin qui tenuto per mano, mi seguirà, potrà farlo? O sarà che debba sola continuare la stessa via, lasciando ella la compagnia mia, carente, inadeguata, ma d'amore pur sempre, e salir sola all'azzurro dove l'accoglierai beata. E dovrò proprio dirle, ecco il mio cielo è qui, devo fermarmi, tu va sicura avanti, lascia ti guidi la croce, sapendo che, se soffrirai, qualcuno da quella lo sta facendo con te e le lacrime tue le sue diventano. Non abbandonarti, vinci con essa! Nei tempi tutti, uomini stolti e malvagi hanno creduto di soffocarla con le difalte loro, ma sempre è riemersa fiera e bella più che mai dalle fiamme delle persecuzioni, non la vedi or ora alta sul monte spander luce e che le tenebre invano vi mareggiano contro? Affidale la tua solitudine, affidale la tua tristezza, è temporanea, io starò con la madre ad attenderti oltre questo tempo grosso e rio, e palpiteranno amore insieme i cuori nostri sul suo. Ricordi, una pia la disegnò con due pargoli sulle ginocchia, seduta serena al limitar della sera, uno era certo il figlio suo divino, l'altro una bambina, quella che ella sperava di ritornare. Ma io ti dissi, ecco siamo noi! Credilo e mi ritroverai!

venerdì 7 dicembre 2012

Soli qui







Palpiterà mai il mio cuore sul tuo divino?Che ci accade? Ci fiacca camminare e camminare con la soma delle difalte perdonate, ma non scordate? Il male fisico perfino, tremenda eredità della colpa primigenia, che fa tanta della miseria nostra, freme nel travaglio suo e, stanco, vuol che lo spirito lo superi, gli prevalga e lo lasci assopire un po'. Ma sarà solo un trapasso d'ombre, perché sarà la morte poi, la scura, la pia nell'ufficio suo, e pietosa, da meritar che sorella, Francesco la chiami per noi ancora. Sì, essa verrà a tacitar dolore. Così per me! Ma allora se questo è già tramonto, dico che subito sarà anche la tua aurora, e le lacrime tutte, su un altro tuo addormentato, s'imperleranno come rugiada sul viso della donna mia ai raggi del tuo novello sole. E le preghiere postume, colloquio delle anime nostre alla soglia del tempo, fuori del frastuono di queste ore, suo balbettio saranno, ma dolce, come fa querulo uccelletto che il suo verso, insistente richiamo, rivolge all'amata, che in altre cure presa, lo trascuri al tempo degli amori loro. E già tutta s'agita la materia in cui i rimasti vivono, ché già fiamma ha in sé, e quella velo d'alabastro le fa,nascondendo ai più la sua trasformazione in atto, che di sublimar tutta si prepara da quella accesa. E la vita delle creature tutte, che su quella si regge, sarà mutata e trasportata al tuo cielo a inazzurrarsi tutta. Allora se questo speriamo, che la donna, che mi vive accanto, mi dice intristita? Se accadesse per me solo che io salga, ella non rimarrebbe in questa bassura da sola! Le chiedo che intenda. Non risponde chiara, fa che non accada per la dabbenaggine tua, mi invita seria e accorata, ma pungente pure, e sa esserlo, di ironia! Tragica malinconia suggerisce una risposta tanto laconica, non certo sorrisi d'amore. Oh quanto difficile è la via degli angeli, cui attratti siamo da nostalgia indicibile come per patria perduta. E questa forse dirmi vuole che, se viaggio solitario dovrà fare, si perderà, ché le tenebre le mareggeranno intorno e vorranno prenderla. Ma la guido ora forse io, tanto scemo delle tue cose e cieco, lungo quest'erta? Forse no, ma le do coraggio e non con le tante parole mie,stolte spesso, non col gesto, ma col semplice rimanerle accanto. E tanto d'animo ne serve qui a combatter la viltà con le sozzure sue, ché qui tanta ridda fanno i malvagi, che fiume di pianto con raffinatezze di crudeltà ne scorre, e gli orgogliosi coi soprusi loro, e lutti, e sangue da guerre e violenze, da sembrare tutta l'umanità voler spingere nell'abisso del niente. E così trepide tue creature di giglio si sentono sole e minacciate, ché ormai siamo ad un annullamento dell'umanità, ché i tanti diffusi egoismi ci divorano tutti e, ironia, succede quando il male bolso ha il respiro, non quello personale che ci attanaglia sempre, ma quello metafisico da cui viene, la persona scura, perché la promessa del figlio tuo gli fa già agonia, e morirà al fine per ridivenir luce qual'era. Allora certo vorrò rimanere finché tu me lo conceda, se vero è che il nostro è un pellegrinaggio d'amore a due, come talvolta vedi uccelli ritardatari migrare in coppia e se l'un avanti va, l'altro è pronto a condurre, stanco che quello sia, perché quello che lei mi dice velato io le dico anche tacendo. No, non ci abbandoneremo lungo la via, la separazione abbasserebbe le anime nostre, ne stroncherebbe l'anelito, lo disumanerebbe. E non è il mio egoismo momentaneo, fidare su la mia maggiore età, la mia salute precaria, per aver avallo a mia dipartita per lei precoce e solitaria? Allora prendici insieme, rimane la preghiera accorata! Qui esalazioni mefitiche di civiltà e fossori della vita e piovre di viltà e d'egoismo! No, soli non si sopravvive a meno di non imbestiarsi, ché qui il male tutto disfiora, strazia, fa brutto. Sì,piccola gioia è la nostra, e a due vuol restare, e da te ci viene. Allora, “propitia esto nobis”, non permetterne agonia, tremenda sarebbe per il solo qui dovuto restare da non capir più le stelle.


Oh quanto brillio fanno in notti gelide e serene! E la fantasia triste le vede occhi di morti, ma, se nella gioia, le pensa lucciole migrate al tuo cielo di quelle che a mille evaporano dai campi di grano di tarda primavera, a far delizia di occhi d'ascosi amanti.

domenica 2 dicembre 2012

Le ragioni del male







Ha ragioni il male? Perché, madre, mi chiedo, proprio non bastano le domande pressanti e ricorrenti a dar idea dell’incertezza angosciosa in cui qui si vive, vessati da tante angustie e dolori, e pur risposte, ambigue quasi sempre, son richieste? Queste, se oneste, poco o nulla aggiungono all’idea suggerita da quelle, o, se pur valide e convincenti, lo sono solo al momento e non per tutti, sulle ragioni che ha il male a essere truce com’è. E che dirò io proprio dal grosso dell’ignoranza mia a questa compagna fiduciosa, che sempre saper vuole dal mio pensare, anche d’insufficiente e banale? Le dirò così. Tu sai, dolce amica, che a volte lunga serie d'eventi, negativi giudicati, par prender le persone, e sgradevole è non saper come uscirne, e si cerca aiuto, e poco o nullo si trova, e non se ne ha risposta convincente per quanto si frughi nella mente provata a cercar di quel groviglio il bandolo per farsene ragione. Allora così io mi risponderei, accorato che ne fossi. Dacché sorte esiste e matrigna, da farmi angoscia, io vorrei saper se è per mia difalta tanto accanimento. Ma so che non è quasi mai così, ché si vede peccatore incallito esente, e colpito atrocemente l’innocente, sicché qui sembrano così riposte le ragioni che ha il male di nuocere, che enumerarle non potrei, né, se le sapessi, precisarle negli effetti loro, e allora m'esprimo dicendo, tutto m'avviene come ogni altra cosa, a caso, dimentica la bella del cielo di chi ha nel cuore e qui dovuto lasciare indifeso, all’ingiuria esposto. E se tu, compagna di questo cuore, per una tua vicenda amara il tuo cuore m'apri, come possiamo e, ci comanda amore, facciamo per lunga dimestichezza, per aver un qualche conforto dalla confidenza, io che molto del tuo condivido nelle conseguenze, belle talora, amare più spesso, davvero dirti di più non so. Ma vero tanto m’accoro saperti in angustie, che a quella che tu anche invochi, chiedo per te esonero, ma nullo conforto ricevo dalla preghiera mia, se non quello che mi deriva affermando che da ora ignorare il destino nostro più ella non potrà, informata degli accadimenti recenti, e con molta dovizia, da questo supplice devoto. Ecco, mi chiedo anch’io, perché tanto immersi nel male ottuso, che lasciarci non vuole, se passivi quasi sempre lo subiamo? E perché, più ancora saper vorrei, la volontà di bene, sperarlo e attuarlo, che pur c’è nonostante, quasi mai esita in successo a dispetto dell'impegno nostro generoso? Ci dicono, è venuto un salvatore e la porta del cielo, serrata, s’è dischiusa ed ora la madre sua generosa, fa entrarvi quanti vogliono. Sì, madre misericordiosa, “ intrent ut astra flebiles coeli recludis cardines”! Non potremmo meglio definire l’azione tua salvifica, quella di corredentrice di chi ami, e tutti candidati siamo all’amor tuo! Perché quello che senza te ci accade, e ne vedi l’angoscia, è sufficiente a suscitarti pietà prima, e subito amore, bastando ad evocarlo il solo suo desiderio sincero, che cuore tribolato a te rivolga. E io voglio amore, lo chiedo a te, a questa donna mia, a tutti! E se questo so, se ne ho certezza che amore esorabile da te mi viene, esso fa la dolcezza sperata, e sospiri ne vengono a me nelle passeggiate mie solitarie per questi sentieri ora tristi. Sì, qui pensoso e solo vado, ma gravati i pensieri ho dalla pena che so di quella rimastami lontana, senza mia risposta consolatrice, in questo bosco d’autunno, sotto cielo greve che tutto ingrigia e fa umido e freddo. Sì,la richiesta della compagna di saper ragione di sua pena, non posso soddisfare, e nemmeno so dirle qualcosa che la convinca almeno sulla temporaneità di ciò che le accade, se non invitandola alla fiducia in te. Ella m’osserva che, pur mitico il linguaggio della vicenda vostra raccontata di peregrini per poco in questa terra, essa ha tante implicazioni che risposta esaustiva mai ha avuto, pur da due millenni menti eccelse impegnandosi a una lettura accettabile dall’uomo di prima e d’oggi. Tutto conduce a credere che il tentativo di attuare il bene, coronato o no da successo, in fondo conti di per sé per il dio, e che il fallimento vostro, succubi voi stessi del male, questo insegni. E allora, le rispondo, che anche questa sua lettura è valida, ma pur resta suggerita dalla pochezza nostra e dalla miseria, dalle vicende nostre ora angosciose e pressanti. Sì, compulsi siamo ad accorata preghiera che mai ha risposta sicura, se non che la speranza dalla condivisione con voi del cielo, ne risulti rafforzata. Sì, a ciascuno spetta lottare il male personale e d’altri, tu lo vuoi, il figlio tuo lo vuole, poi sarà come deve essere e ne ignoriamo il perché! Fallimento allora e di nuovo nel nostro, se così sarà! A questo impegno la invito per ciò che l’angustia, e a sperare nell’esito desiderato, sempre e per chiunque il male tocchi. Non perché tenace la voglia e tua eroina, o desideroso di guadagnartela con convinzione più salda della mia, con cui talora possa dar sostegno, quando che sia, a questo cuore tanto provato, ma così le rispondo dall’onestà che le devo, ché so tu ci vuoi proprio così. E perché lo so? Sono stato provato, malattie devastanti di persone care, miserie e lacrime, sempre tante, mi toccano da una vita, come a molti a questo mondo, e t’ho cercata! Assai piccolo ho gustato l’amarezza del dolore, e poi ancora ne ho avuto angustie e molte! Talune ella ha condiviso fin qui, ma di altre ho taciuto per non farle pena, da averne il cuore tanto sforacchiato da parer colino per le lacrime. Sì, ironizzo, madre, ma in me non c’è menzogna, io non esagero, velo a me stesso, da buon nevrotico, e a lei poi, quello che ci farebbe angoscia, ché molte sono le cose tristi passate e molti i nemici miei e suoi, da lei non saputi. Questi sono ormai diventati personaggi scomodi solo alla memoria, incapacitati di nuocere ancora perché nel tuo perdono, e da me ricordati con tristezza per il solo mio perdono in vista della pienezza d’amore, comando del figlio tuo. Allora che mi ha insegnato questa vita da poterle comunicare? Molto, ma poco da ridire. Ecco il figlio tuo ha avuto morte atroce e la ha tuttora in chi muore vittima d’altri o del male che satura il mondo. Sì,così tanto vi spadroneggia da farne qui anticipo certo o unico sicuro posto di tormenti ingiusti, sì inferno. E tu, madre, ne hai pianto e ne piangi le lacrime di ogni provato cuore, scosso, spiegazzato, strapazzato da tanto suo accanimento. E il male è sempre qui, smosso forse appena da quegli eventi lontani e da quelli che da sempre qui loro fan completezza di dolore e lacrime. Sì, noi e le creature, tutti coinvolti, ma talora quello tanto s’esalta da parer rafforzato come fiamma, che ultimo guizzo mandi prima di spegnersi. E si spegnerà al fine questo livido fuoco, il figlio tuo l’ha promesso, accadrà! Ma intanto apparente più forte è il male e prevale sempre, e se ne scampi, ecco ti riprende. Sa di doversi arrendere al perdono, sa di doversi ravvedere, sa di dover piangere pentimento amaro, ché persona è, per meritare l’amore cui la volontà vostra lo destina, eppure non vuole cedere! E noi e le creature, tra voi frapposti siamo, questa creazione lo è, volontà di resistere a pressante invito d’amore da una parte, volontà di coinvolgimento, costi qualunque sofferenza, che voi con noi subite, dall’altra! Ecco un altro perché del vostro venire al mondo. Ed è alto questo prezzo, esoso! Ecco il mio linguaggio mitico! Dice forse poco, ma io stesso lo accetto metafora di quel che è, e di cui spiegazione chiara non si trova, se non confusa e non condivisibile, in ogni cuore! E passa il tempo e tanto comune resta il male, sta nella banalità delle cose e degli accadimenti, a breve giro, a breve sorte, a breve ora, a non breve dolore e pianto! Ho detto poco, ché poco so, ho detto perché ella se ne giovi, quindi molto? Non so, qualcosa ho detto! E tu che scusi tanto di me, perdona la mia saccenteria. Ecco, tra noi due sei e non potrà venirne che bene! Filtri le mie parole incerte, la mia paura mitighi che accettabile debolezza le giunga e non il terrore di esser qui, esalti, amplifichi le espressioni mie d’amore, nonostante il buio. Che potresti di più? Forse un po’ di tregua dare a noi e ai tanti delle vicende nostre partecipi o di più amare protagonisti! Fa così, mai scordar devi che se gli occhi chiudi, eccolo brutale ancora, pur ferito, pur disperato, senza pace, senza ragioni! E’ il male!

mercoledì 28 novembre 2012

Viltà







C’è in taluni di noi una negatività, un sostrato che induce a nuocere a sé e agli altri, per lo più misconosciuto, riconosciuto nella pericolosità sua nel raro superamento, ma che nel quotidiano è tendenza, soggezione, attrazione per un comportamento vile, che predilige il debole, non il vero forte o virile, e che su altro più debole farà sfogo. Sì, è debole costui, lo spinge qualcosa che ha dentro, lo destina al male, ché quel che fa, inquina, prevarica, distrugge. E perché anche vile? Vile è colui che non si attribuisce la colpa degli errori, delle difalte, dei misfatti suoi. Mi accade, se ne giustifica, perché è retaggio che ho d’infanzia infelice in cui ho subito violenza, mi accade perché ne è responsabile l’ambiente vissuto, la mancanza di lavoro, le ristrettezze in cui vivo e faccio vivere i miei, che mi fanno angoscia, o perché mi divora questa società ingiusta che mi vede succubo inerme, o non è colpa mia, ma della natura che ha voluto così fossi, o perché l’eredità, non voluta, porto di antenati a me simili. E così altre responsabilità addotte, ma tutte esterne al sé, mai assumendone una in proprio, sebbene in forma dubitativa che l’attenui, dicendo, forse è anche mia la colpa, ma... In fondo, dice, io non sono libero nelle azioni mie, perciò non ne sono responsabile, libero ne risponderei a me stesso e agli altri, ma così non posso, ché qualcosa c’è in me o m’agisce da fuori e ingloba e divora la persona mia in fondo buona, e mi spinge al riprovevole. Ma è questa viltà di fondo che lo segue a ogni passo che sta ad ogni ora in tutti i giudizi suoi, in tutti i comportamenti, che forse è la prima e unica radice del male che gli vien fuori. E vero gli attosca la vita, e lo vedi tradire l’amico, non tener patto alla parola data, chinar la testa e la schiena al più forte, far rivalsa delle frustrazioni sue sul più debole che gli capiti. Eccolo avvicinarsi lubrico alla donna sua e se le fa carezza questa è equivoca, ogni sussurro non è languido d’amore, ma borbottio che rimprovero palese e aspro, immotivato, eccessivo sempre, può diventare improvviso, e ogni lusinga non celebra bellezza d’amata, non è dolce approccio di concretezze d’amore, ma presto scade in latrati osceni o violenta lussuria. E poi ecco d’improvviso, sobrio o no che sia, il più ancora, la rabbia, un nonnulla il pretesto, e quella ne diventa vittima, e cade, se ne scampa, in un abisso fosco. Non sa uscirne, è soggiogata, vinta dal male, la nostalgia accorata della dignità perduta di donna e della libertà, che pur aveva, la consuma in una malinconia che mai la lascia, anzi più e più fiacca la fa. Non è più sicura di nulla, non potrà mai sentirsi un attimo tranquilla, riposare, ché teme torni, e tornerà, la violenza del vile, che le ha fiaccato ogni resistenza, ne subirà ancora l’assalto e al nuovo accanimento sentirà ancor più l’anima sua sgretolarsi, vacillare sempre più la speranza, già tanto rosa dal dolore nella carne e nell’anima, di affrancamento, riscatto da quel male che le sta accanto, sì ella gli vive, gli dorme accanto. Oh potesse gettar via quel residuo d’amore per l’indegno che pur sente, sradicarlo dai penetrali più profondi del cuore e fuggir via! Ma quello intuirà i tentativi di disimpegno e farà più infernale la rabbia sua e raddoppierà gli assalti. Chi l’aiuterà se non tu, madre buona? Le cingerai robustamente la rocca dell’anima e le darai la forza per il distacco dall’orrore, dalla pietosa convivenza con un debole vile, non degno al momento d’amore, ma di perdono per l’anima sua laida. La violenza a una donna non è violenza a te, al dio? Chi la fermerà se non tu sola? Ché la raffica della violenza si abbatte e inesorata da sé non cede, ché talora fa di peggio, coinvolge i piccoli in una furia nefanda. E quand’anche risparmiati ne siano, la serenità è persa per loro, vivono in un incubo, litigi, parole oscene e pianto, tanto pianto della pur bella, dolce e sacra madre loro, oltraggiata, abusata, violentata, e ne avranno conseguenze tristi per la vita tutta. O madre, fortifica le donne tue, falle reagire a tanto scempio, irraggiale della benevolenza tua protettrice, frapponiti tra loro e la vile rabbia che le insidia e fa loro dolore morale più, e fisico! Oh, come e quanto ulula questo nemico, affamato va per divorare, vile, il debole, e debole è l’icona tua! Dalle rifugio sicuro e solitario, allontanala dal carnefice suo. Ecco, di notte o di giorno, in vigilia o nella festa, nel dolore o nella gioia, nel riposo o nel lavoro, nello svago o nell’impegno, sempre troverai una che si inginocchia a ringraziarti, com’io faccio per ciò che so dalla benevolenza tua risolto in bene e in bello. Vedi sarà perché più m’accorano certe notizie nel quotidiano, sarà per l’età mia che mi predispone, ma mi sento coinvolto e smarrito e triste, ché so che violenza a te facciamo dalla viltà nostra di maschi frustrati e impotenti, le donne nostre nella miseria nostra trascinando. Finirà mai la viltà, radice di tanto male?

venerdì 23 novembre 2012

Un canto solitario







Oggi che il sole tutta la boscaglia indora, alla sosta tra gli alberi udir potresti raro canto accorato d’uccello solitario e ne verresti incantata se con me fossi, come io ne sono. Perché lo fa? Distratta la compagna sua da altre cure presa, o forse disinteressata al momento del tutto ad approcci d’amore, ché non è tempo di far novello nido, né di prologo d’amore. Se così, allora che fa questo cantore su questo leccio nascosto, che ora acute note per l’aere terso spande, e poi un po’ sosta, forse di altro cantore lontano attendendo risposta, ma né io, né lui forse, ne sento alcuna, e poi ancora riprende melodia solitaria d’amore? Sì, ne è ben lontana l’epoca e competere non deve il canto suo con quelli rivali e l’amor suo, per ora smarrito o distratto, forse ritroverà solo riaffacciandosi primavera. Ma ora a chi o a che canta? E non succede di simile a me? Tu presa sei dalle cure tue, che forse solo brevi momenti d’abbandono ti consentono, e io non so coglierli e quel che simile a canto di solitario uccello, l’amore mi detta al cuore, resta forse inascoltato. E come per quest’uccello e l’indifferente compagna, che di noi fan metafora, ché apparente il suo canto è perso, ché a me solo qui par far delizia, ché compagna udir non può il verseggiar suo languido o non vuole, così fa palpiti vani questo cuore e le parole che ne traboccano, come in voce canzonata espresse, tu forse non odi o non vuoi, ché dalle incombenze tue talora non ti distraggano. Nostalgia mi fanno della donna lontana, rimpianto della primavera nostra, che non più sarà, mentre le cose tutte qui l’attendono novella. Ma,meraviglia, accoglie questo cielo il canto languido d’amore del solitario cantore e i sospiri miei pure e so che ovunque sia la donna mia ne fa specchio con gli occhi suoi, inazzurrandoli. Così mi piace pensare che a lei vadano queste note languide e i languori miei di innamorato, che questo cielo suoi fa, se ne appropria, ne fa colore e li trasmette a chi l’ama ed ama. E t’ama questo tuo cielo e così questo cantore amoroso il canto suo appassionato è a te proprio e alla mia che indirizza ignaro, ché per vaga bella del cuore suo improvvisa questa melodia. In tre così innamorati siamo di voi due, ché l’una amando l’altra donna s’ama! Sono le sue parole tutte appassionate e mi chiedo, te ne ho mai dette di simili nel mio povero linguaggio umano, nel recitativo o cantandole? Avrei dovuto, almeno al tempo delle mie prime illusioni, quando certo bambina, con me bambino, t’eri fatta per non perderne alcuna e dell’ingenuità loro meglio apprezzarne l’incanto. A chi le ho dette, a qual cuore le ho balbettate, per chi le ho sprecate? Ma or questa donna mia ascolta le canzoni mie d’amore, ma piccoli non siamo né ingenui, ma sicuro un giorno avremo la stessa età, quando, dove? Quando chiamare vorrai l’amore nostro alle tue stelle, maturo il tempo suo forse già. Ecco, lei si fa attenta alla voce mia e brevi brani nel vernacolo dei poeti nostri e musici le sussurro, quando? Quando più recettiva mi pare e mi sento canoro, io allora le ripeto quelle melodie antiche e lei trova la voce mia calda e intonata e so che il cuor suo le canta all’unisono. E tu? Non m’hai forse detto, raccomandandomi l’amore per questa donna, che tutto quello che le avrei fatto di bello e di buono sarebbe stato per te? Allora ascolta la canzone mia d’amore, te la veicola questo canto accorato d’uccello, che spande l’armonia sua tra queste frasche, ché si profumino le note sue alle inflorescenze di rosmarino ed erica prima di salire al cielo, avido di tanta melodia. Ecco, le note sue all’aria vanno e su le porta il vento dolce, cariche dei pensieri miei senza parole, senza peso, senza importanza forse, ché solo richiamo d’amore sono di un innamorato per il quale più tempo forse non hai. Ma come la bellezza di questo canto, cui affido la mia povera melodia per te, ché pur canta questo cuore innamorato, perdersi non può inascoltata, tanto è sublime, così se è per te, le note sue devono raggiungerti,ché le fa sue il tuo cielo e d’azzurro le colora. Perché parla, canta questo cielo innamorato! E a te certo riesce tradurre le variazioni del suo colore in note armoniose e mi piace pensare che anche la donna mia lo possa, a lei donata tal virtù d’ascolto. Allora pure io così posso carezzarti il cuore e lambire il suo lontano, i languori del mio affidando a queste note! Ma intanto velati ho gli occhi, ché tristezza mi fa questo canto, sapendo la donna mia oggi più lontana. Ma tornerà e tu con lei! Ma intanto vi dico, guardate il cielo!

mercoledì 21 novembre 2012

Un amore sognatore







Come quando sulla spiaggia, ora deserta, vedi bambino aquilone condurre e correre, ché dalla corsa sua prenda vento che lo sostenga, finché corrente d'aria che su salga lo porti sempre più in alto fin alle nuvole sognate, ché a quelle altezze e oltre vorrebbe andasse, e spago gli dà se sente tendersi il filo a volergli sfuggir dalle dita, e pur giù rimane dopo tanto correre, ma il cuore con quello va, così di simile faccio io. E la farfalla che conduco a far vago volo sopra i pensieri miei per te, più e più si innalza a cercarti, mentr'io per te certo novello bambino, sulla spiaggia deserta dell'anima mia corro, ché quella ne prenda vento e non crolli il volo suo ai pensieri bassi, cupi d'angoscia, che il silenzio tuo spinge a venir fuori dalle latebre, che quelli attoscate hanno, più riposte del cuore. Lungo e breve a un tempo l'arenile della mia corsa solitaria, lungo tanto che luogo bastevole a contenerli trovino i tanti miei pensieri per te, ma pur tanti da ripercorrere tutti nella metafora della corsa, in fretta ché la mente non se ne distragga da continue altre sollecitudini presa, ma pur tutti affollati, accalcati, stipati nella pur breve distesa che correre essa può per il tempo breve che le resta di questa vita. E già mi s'avaccia il cuore e ne ho bolso il fiato più che di corsa fisica si tratti, perché ansia mi prende notando di quanto spago, di quanto desiderio ho pur liberato il mio aquilone, pur trattenendolo ancorato al cuore mio, ché non fugga alle stelle senza con sé questo mio portare. Oh quanto poco spago hanno ancora le mani che lo trattengono e quanto alto di volar quello chiede! Come farò? Staccarmi dovrò da questa bassura, salire ai monti dello spirito e poi? E poi tu vedrai vaga farfalla che al lungo filo che le pende reca appeso un cuore. Essa è l'amore che m'ha rapito, l'altro che reca con sé è lo scrigno dei miei pensieri per te, le tante parole che mi traboccano da dentro. Quelle stesse parole che dico e ridico a questa donna, raccontandole le mie storie , favole di bambino per una in fondo pur'essa bambina, che sempre attenta ne è, come se vero prestasse le orecchie sue per il tuo ascolto, e tu per gli occhi suoi vero mi guardassi, il brillio dei tuoi prestandole a far belli i suoi sotto le stelle. Vedi quante illusioni di te ha per lei questo tuo eterno bambino! Oh quanto fortunato son che una disposta sia all'ascolto e imprigioni nel suo cuore le mie parole per te! Come fanno i soli per natura o per destino a sperare che non si perdano le parole della preghiera loro nell'immane spazio, che si è frapposto tra noi e la bontà del dio, ripieno di dubbi, paure, peccati? Ma forse femmina attenta doni ai soli meschini, quelli che dubitano delle capacità recettive tue delle istanze loro, ché le credano da quei cuori amplificate. Oppure quando troppo inspessito spazio separatore s'è frapposto per lor difalta, da vero attenuarne i gemiti. E' allora che occorre che altre orecchie li recepiscano e te li trasmettano ben più puri cuori. E, mi chiedo, che più di quelli di donna innamorata possono? Ecco io mi sono debole così, non mi posso star solo, dubiterei di te, frapponendo nuovo spazio a separarci, spesso, untuoso, gommoso da respingermi, stipato d'angoscia e buio, che mi si farebbe intorno come quando scoprirmi dovetti, bambino, solo nella vita. Ecco, tu sai questa mia debolezza, nulla mi fa spavento di più, nemmeno le vessazioni, e tante ne ho subite, nemmeno il dolore, e tanto amareggiato m'ha fin da bambino, quanto il rimanere senza questo tuo angelo buono. Finirò mai di lodare questa donna? Non posso, ché è di te che dico, lei lodando! Ma io non esagero se dico che, di tue grazie piena, vero angelo era ragazza, ma le ali ha dovuto perdere per potermi ricambiare amore. Un amore vedi che non ci lascia e chiede d'esaltarsi là fra i mille e mille brillii tuoi. Ma se di nuove ali è degna, da te le avrà, e sicuro mi ci condurrà, vera farfalla cui legato ho questo cuore, leggero pur stipato di tanti sogni! Oh quanto bello è questo nostro amore sognatore!

lunedì 19 novembre 2012

Saper il tuo nome







Come quando all'inverno l'onda furiosa, detriti, a lungo sballottati, alla spiaggia getta, e verrà chi la rena ripulirà delle indesiderate presenze, così fa l'onda del tempo con i nomi nostri, mutevoli e lievi perfino al fiatar dell'attimo, e li porta nell'aridità delle cose neglette e presto scordate. Così sarà del mio nome che questa realtà triste presto rifiuterà e se ne vendicherà con l'oblio. Ombra quasi è già del nulla, ma qui mantenuto dal solo amore, tuo e della piccola donna mia, e ne fate per esso solo, nome di luce, impedendogli che diventi già ombra e fioca eco, vibrante nei cieli da lontananze infinite a cercar risposta da te, affinché lo pronunci per dargli vita novella. E del nome tuo nulla so. Chi sei, bella sconosciuta, che invoco da mane a sera? Mi chiedo, e mi rispondo, quella che venuta è nei miei sogni, e fata è voluta rimanervi delle favole che mi dico nell'addormentamento, come la madre mia mi insegnò, ché del buio più non temessi il mistero, le stesse che talvolta dico a quest'amore, reinterpretando la realtà ben misera, colorandola di fantasia, riscaldandola di passione. Oh questo piccolo amore, che approdar mi fa in un mondo docile alle richieste mie e che labile e indistinta fa questa realtà dura e triste, chi me lo toglierà? Mai me ne vorrò risvegliare, mai vorrò che la fiaba sua finisca. Ecco fa specchio questa tranquilla polla della superficie sua, che alito alcuno increspa, è come la donna mia che fa specchio di te, e poiché già l'immagine tua bella agli occhi miei rimanda, fare non potrò nel culto apparente delle mie chimere, come Narciso, che, contemplando il sembiante suo allo specchio di una polla, se ne innamorò, dimenticando sì del mondo la pena, ma così si distrusse, ninfa del bosco invano per lui sospirando. Io non dimentico, mi astraggo talvolta dalla realtà del mio quotidiano e mi ripiego nell'intimità mia. Lì ci sei tu, più che nelle cose, ora tutt'intorno a me in questo bosco, triste un po' d'autunno, e lì questo piccolo amore porto tra le nuvole e oltre. O sì, direi di me, per farmi interessante agli occhi tuoi, io mi son uno che vive d'amore, del tuo e del sogno di questa piccola donna, con lei nella gioia, con lei sola nel dolore. Ecco io la porto dove dislaga all'infinito l'orizzonte, più che sulle montagne del golfo ci trovassimo, un posto speciale che ho nella mente e nel cuore, in cui le anime nostre s'aprono, impennano le ali loro e spaziano, inazzurrando per i cieli tuoi interminati. Ma come ti chiameremo, ché tu venga e ti mostri? Diremo, vieni bella dei sogni nostri, vieni fata, occhi e capelli neri? Basterà? O sapendoti e sperandoti la divina, la madre del dio, diremo il nome convenzionale tuo? Perché a noi, che sublima amore, non dici quello con cui gli angeli ti chiamano? A quel nome tutto ci palpiterà nel ritmo riconsacrato del tuo amore e la nostra povera umanità indiandosi sublimerà alle tue stelle, non è quel tuo nome, quello dell'amore eterno? Non porta esso dove la verità risplende, dove rigoglia il bene, dove l'innocenza sorride? O diccelo, languidiremo nell'ascoltarlo e i cuori nostri, che t'amano, estasieranno a labbreggiarlo! Diremo allora, aspra s'è fatta l'ora, mai possiamo saziarcene di ripeterlo e di gustarlo, avidi in tenerezza d'amore, palpito dopo palpito vibrando per lei sola, la bella del cielo, i nostri cuori! E a quel nome s'inchinerà l'universo tutto, innamorato! O sì, pronunciarlo in umiltà, sentirti presente a lampeggiare amore dentro di noi! Sublimità da angeli!E non lo siamo! Ma in questa speranza pur si cheta il balbettio delle mie labbra, la mia incessante preghiera, ma fa gemiti ancora questo umile cuore, di te innamorato!Li odi tu? Dicono, amore! Ti chiamerò così.

sabato 17 novembre 2012

Occhi d'incanto







Oh quanti occhi di donna stamattina! Ma è gli occhi tuoi che incontrar e saper leggere vorrei, se li mostrassi, mistero presagito del dio! Ma sol occhi di umana, non di donna divina vedo, e nel nero loro leggervi vorrei almeno la speranza di te, invito a guardarvi, invito a non farlo per tema di scorgervi e non trovarti! Ecco, io sono altrove in altra epoca e questa che porto nel cuore ove vada, ha i suoi vent’anni e io di più, che ci diciamo nel chiacchiericcio di innamorati? Non ricordo più nulla, non so più nulla, eppur tanto diciamo! Oh quanto tempo fa! Eppur questa il nostro primo bacio ricorda e le parole che premisi all’audacia e le tante dopo, e le sue anche! Miracolo d’amore! Io ormai, interrogato sui fatti del passato, perfino mi ritrovo a confabulare, e ne provoco delusione, meraviglia, preoccupazione. E delle cose dell’oggi, non faccio quasi subito di simile? E delle donne mo mo incontrate alla passeggiata, che ne so nella mente, che ne è rimasto? Vaghi sorrisi, vaghe parole o cenni di saluto e poi più nulla, se non occhi che guardano e sfuggono, sperati i tuoi. E della nuova amica, m’accade di simile? E miei pensieri sulla vicenda sua amara, storia di tristezza, d’abbandono, sono poi stati espressi chiari? Io davvero più non so, spero solo che delusa non ne sia stata, per avermi aperto il cuore. Una volta sapevo dire, rincuorare, invitare alla speranza, ma adesso di tutto subisco la pena e me ne accoro e, sebbene molto ho dentro, non so più come tirarlo fuori, come quando timido bambino ero, e alla bella della spiaggia nulla dir potevo, e mi si rattrappisce questa ricchezza, come allora, in una latebra del cuore, restando inoperosa. Perché questo m’accade? Sarà l’età che mi rifà come bambino o forse ché tutte di te recano, icone-specchio tue più o meno fedeli, e io per queste è a te che penso da mane a sera e a nessuna so dire le parole che più non oso per te, fidandomi che tu legga in questo cuore, inutili e fuorvianti fattesi le mie parole tutte! E dopo i tanti occhi di oggi, ora nell’addormentamento ancora occhi di donna, neri occhi appassionati, i soli nella memoria di oggi, come più volte i tuoi vero sognati, tutt’uno con le pupille loro, occhi di incanto! Siamo alla battigia, ma è lei, la precedente fidanzatina che vero così li aveva, o la fata di quei momenti era questa piccola donna mia, che di simili ha ma solo al buio? Nel buio erano quegli incontri, e lì piccole stelle parevano nel brillio riflesso delle miriadi del cielo, gli occhi suoi, come molte volte accadde di questa, occhi fatti per il cielo, che or stringere un po’ vorrei e non trovo, attardata alla incombenze sue. Io più non so, ché tante volte ve le ho portate, sebbene in epoche diverse, speranzoso d’effusioni. Ecco, io vero non so più distinguerle, ma quante allora le carezze e forse altre cose d’amore, che più ben non so! E ancora non sapevo quanto le donne tutte ti significano e così è di te proprio che tra le braccia avevo un po’! E pur tanto diafano s’è fatto quel corpo trepido di giovane donna da non più vederlo, eppure ne sento ancora calore e palpiti! Ma se ha ora la consistenza del sogno quella della tenerezza d’allora, tu proprio puoi essere stata e ora mi fingo così e ne sorrido. Oh quanto proprio instupidito m’ha questo nostro tenero amore! Ma perché niente so più e mi sfuggono le parole che ora mi fingo tu dicesti, piccolo amore? Ma quelle dei veri sogni sognati, forse antelucani e divinatori, quando pur visitato hai la mente mia, quasi tutte le so e lì i veri occhi tuoi, neri e belli e di simile i lunghi capelli. Ma il corpo tuo ora è pur’esso diafano alla memoria e non ne risento che l’abbraccio tenero,e come scordarlo! Ma sol ben ricordo che piccola vi eri, di foggia moderna gli abiti tuoi e l’acconciatura, e di suono soave le parole tue, lente pronunciate ché nella memoria mi rimanessero! E quasi tutte conservate le ho. Perché? Forse è che questa donna ne sa dir di simili e le tue risento, anche perché le pronuncia dolce e lento e così me le richiama d’assonanza. Chissà!Sì, finché amore non langue s’attarda la vita, e io gli occhi tuoi continuerò a sognare, innamorato, occhi che anche questa donna ha nel buio, occhi che continuerò a credere di poter incontrare alle passeggiate, e vero incontrati stamattina, ché occhi pure sono della novella amica mia. Eppure la sorella nera dovrà sorprenderci e se lo farà quando abbracciati in lena d’amore, spero entrambi ci prenda. Sono parole di vecchio, ma sono pur di sogno, sono pur d’amore! E tu sei quest’amore, altro non conosco!

giovedì 15 novembre 2012

Oggi nel bosco







Tace oggi il bosco in molte presenze sue, ma al vento da orto pur stormiscono le frasche antiche e ondeggiando i grandi alberi, scrollano le cime loro, disperdendo le ultime caduche foglie. Ma sui rami spogli nuove sembrano mo mo nate, ché frotte di ultimi gruccioni, vocianti a questi raduni, prima del loro tardivo volo verso il sud più caldo, qui tentati ancor sono di indugio, attardati nel chiacchiericcio come in oasi pellegrini. Ma ad occaso di questo promontorio, v’è bonaccia e qui rare bianche farfalle potresti ancora vedere su essenze di erica e rosmarino andar con vago volo or su questa, poi su quella delle infiorescenze loro. E non sarebbe che cuor gentile solleticato non possa esserne ché altre lusinghe maliose alla sensibilità sua ne vengono da fargli incanto. Ecco, la piccola blatta vedresti alle opere sue intenta, e là limaccia attardarsi sui funghi e più in là vistoso colorati bombi, ancora far burberi brontolii alle stesse essenze occupati. E ancora tarde formiche qui o lì ancora semi cercare, disperse dalla recente pioggia le lunghe loro teorie. Sì, mai troppi i semi stipati, ché pur verrà inverno! E tutto a me fa tenerezza, anzi amore, come brama di palpitare armonioso mi prenda con le cose tutte di qui sol apparente sopite in questo strano tiepido tardo autunno. E sol ora ben so come chi senta carità e la fa, cammini in umiltà tra creature tutte sorelle e peregrine tutte, ché dura è loro questa terra. Sì, è solo d’amore assetata l’universa vita ed esso invilisce se non diventa energia, insterilisce se non volto al bene delle creature tutte, tutte coinvolte e tutte da te amate, volute da te alla vita. E solo l’amore è potenza restauratrice o conservatrice, mentre il formalismo morale dei novelli sofi tu via spazzerai se non brucia amore nei cuori con rinata fiamma. Sì, “ fides sine operibus mortua”. Amore comandi per l’uomo e per le creature tutte, che cose non sono, non sono senz’anima, perché sanno chi o che amare. Prima, ripeti ai cuori duri, i piccoli e i deboli, i miseri tutti e i minacciati dalla cupidigia. Le creature lo sono, l’uomo lo è nella precarietà sua, e i piccoli suoi di più! Occorre far sangue, vita della tua volontà d’amore, ché di sangue vive la vita e senza amore non v’è vita! E che di me, madre, che fin qui attardato mi son d’egoismo? Fa il pensiero mio realtà e non lasciarmi più a lungo sofo acchiappanuvole! Scioglimi in umana simpatia verso tutti e tutto, ché la tua sola verità m’urge, quella che mi sveli nell’amore. E questo mio piccolo amore è tutta la comprensione che ho di te. Oh quanto ho voluto piccola donna da amare e se vero è che data me l’hai, lasciamela ancora, ché quasi di turgida giovinezza novella ancora più e più l’ami. Finché vita mi lasci e oltre, “amor vita vitae ”.

mercoledì 14 novembre 2012

Un frettoloso rientro







Tranquillo è oggi il mare dabbasso sotto chiaro cielo e pigre onde s’adagiano alla battigia e così delusi pensieri fanno alla mente mia, stanchi. Ma come quelle fan di sé dolce carezza alla rena, così forse di simile le parole mie dolce suonano al cuore tuo. Ma quanto farebbe a me parola tua! E io neppure fiatarne vorrei l’attesa, improbabile la risposta, ché le pazienti parole pur languono senza palese riscontro d’ascolto. Son ora quasi senza più motto ai tuoi piedi e certo ancora m’illudo se, trepide, le pupille mie si levano a cercar le tue, ma si sperde lo sguardo in tanta immensità di cristallino cielo e m’abbaglia l’intensa luce. Non mi resta che questo cuore e l’abbandono a cercar i palpiti del tuo, cui rispondere all’unisono. Ma di te nulla! E sento farsi miseria tutti i sogni miei e la mente languirmi accasciata, ché né le tante verità pur apprese ricorda, né certezze più ha. O quanto pur buio mi serra questo cuore e vi fanno angoscia gli sparuti ricordi del passato con le difalte sue e arido avverto questo presente e scuro l’avvenire! Tanto può la solitudine! Ecco se mai ancora richiami tuoi appassionati a questo cuore saranno, l’anima mia rigenererà per te, ma se ucciso il silenzio tuo me l’ha, ti prego lasciami morirne, più non guardarmi! Ho in questo cuore stipato tanto amore e assetata ne è la donna mia, ma senza il tuo che le dirò, che la farà sognare ancora? Oh quanto son solo e disperato! M’avessero distratto da te e da lei languidi occhi di donna, sorriso di saluto, dolci vaghezze d’amica incontrata, ella percorrendo gli stessi sentieri per la meta sua, saprei che m’ha incantato e la mia preghiera ora riprenderei accorata, ma fiacchi e cupi questi pensieri tutti vogliono farsi e rattrappita tutta ne ho l’anima, in una latebra nascosta. Devo tornare alla mia donna, mai quello che dico è per lei superfluo, senza importanza e se la chiamassi con un pretesto, miracolo della modernità,dolce suono ne verrebbe così dalle parole sue, ché tenera e attenta si farebbe alle mie. Devo tornare! E le onde dabbasso pigre s’adagiano e io a questa risoluzione meno triste sono, ché sciocchezza le dirò a giustificare al brevità della passeggiata d’oggi, non ho trovato amici e m’è presa noia, ecco così. E intanto ancora guardo dabbasso e tristi onde s’adagiano, significano qui l’assenza tua, ma tu a breve parlerai le sue parole e sorriderai il suo sorriso!

lunedì 12 novembre 2012

Dir favole







Sai, io mi son uno che favole dice alla donna sua e tu sempre la fata ne sei. Perché lo faccio, vero so? Voglio forse che con me evada nel sogno, ché duro è il presente nostro e meglio per noi sia ripiegare nel passato, che pur mo fa nostalgia e tanta ai nostri cuori? Sì, dev’essere così! O forse perché penso che il nostro avvenire, qui in misero pellegrinaggio, sarà tanto ancora, e che per renderlo docile al sentimento nostro, pur occorra addolcirlo col linguaggio mellifluo della fiaba? Ma non verrebbe comunque il momento del risveglio che le fiabe tutte dissolve? Allora mi chiedo, è forse invece che lo faccia ché così si può essere dimentichi di ogni preoccupazione terrena, pensando che tu, madre delicata e sollecita, provvedi comunque ai piccoli tuoi? Ma,ancora mi interrogo, la realtà che viviamo è poi così brutta e triste, che annullarla, distruggerla vorrei perché mi fa risentimento, ed esimerne un po’ questa donna, e non trovo di meglio che a schermarla, sia trasportar lei nell’irreale? Sì, da volerla reinterpretare, e sol per lei, in chiave fantastica! Ma io credo e lotto perché continui la mia bella favola con lei, forse pensando che il mondo nostro non è da subire passivamente, ma va modificato, pure precorrendone la trasformazione, in bello e buono possibili, col sogno. Io non nego affatto a vita di qui le crudezze sue e che feroce è quest’aiuola e non fuggo nella mia intimità in cui solo lei invito, gli altri lasciando fuori. Non m’affretto forse, deserto dovendo traversare con tanti compagni, all’oasi confortatrice pregustandone la frescura, pensando che se tu nel sogno con noi cammini, ci elargirai pietosa l’aiuto tuo materno in tanta aridità disseccatrice? Io non coltivo simili chimere, che la realtà subito sopraffa con la crudezza sua, sono ancora più ingenuo e faccio più ancora e forse per questo pietosa vero largisci al fine l’aiuto tuo di madre. Ma almeno non ho un culto egoistico del mio star solo con lei in uno stoltissimo sistema di vita, sogno di coinvolgerti e così tutti quelli che amo e altri pure. Nulla distruggo, creo sì castelli sospesi ancora in aria, ma, ecco l’ingenuità vera, modifico, preparo l’ambiente che li ospiti edificati nella concretezza, ché dimora diventino già qui per chi amo, e sono tanti, e non solo! E mi prefiguro nella mente ciò che edificare vorrei e ne partecipo quest’anima e tutto dipingo con colori accesi, ma so che è lei che li accende, esaltandomi la fantasia. Ecco proprio così, mi esalta quest’amore, ma non lo chiudo in uno scrigno, solo in una favola anticipatrice di cento concretezze, forse che non saranno mai, qui almeno. E tu? Tu ripassi tra noi, ecco il vero sogno, umile pellegrina del dio, bussi a questi cuori, aspetti, implori di star nel sogno nostro che, svelato, sorridere vero ti fa per la tanta ingenuità. E fata ne vuoi essere di questi sognatori, che garantisca l’approdo già qui o nel tuo mondo alla mia mongolfiera che nell’aria mo mo ancora si libra. Oh quanto v’ho messo! Ma pur alleggerirla dovrò ché voli alto! Ricordi vi sono, rimpianti pure, nostalgie tante del nostro mondo di due, e vi fanno forse zavorra, ma gonfiata è appunto dell’aria dei sogni, aria riscaldata dalla passione nostra, dall’amore, vero fiore della nostra vita! E forse già va oltre le vette di questi nostri monti alle tue stelle, ché sale, sale, non disdegna forse ogni approdo nelle bassure? Ecco, così la mia mente si prefigura la fuga in due alle tue stelle, la colora, la fa palpabile e questa favola bella appesantisce gli occhi miei quando dolce brusio già fa questa compagna che, stanca,forse fin dalle premesse addormentata s’è, dolce per lei il suon della mia voce! E dirai, vissero così, già qui felici e contenti questi due amanti sognatori e che vendetta credette di farne la realtà di qui se non insieme portarmeli proprio alle mie stelle?

domenica 11 novembre 2012

L'amore casto







Se letizia n’hai al cuore dalle parole mie, non so, ma lo spero dalla risposta d’amore che ne ha questa piccola donna, specchi i suoi degli occhi tuoi. E vivo io della stessa gioia che do, l’anima avvertendo sgrovigliarsi dalla miseria che al mio cuore fa, e il buio, questo mio tempo ultimo. Sicché più ne do più esso dentro mi rigoglia e ne trabocca questo povero mio cuore. Esuli amanti qui siamo e aspettiamo lo schiudersi della nuova vita. Ma niente spunta dalla nera terra se non in travaglio di pianto e lacrime amare, e come dopo la feconda pioggia alla sua luce sole richiama e ne viene fuori al tempo suo l’odoroso giglio a far profumata la via, simile fragranza spanderà questo nostro fiore d’amore là tra le stelle. E tu sei la pioggia nostra e tu il nostro sole, ché non appena cenno fai, e la risposta tua non può essere che d’amore, più e più ne palpitano questi cuori, ché essi reciprocamente s’esaltano di novello ardore. Che sono le altre gioie di qui se non effimere e figlie del nulla? Le lasceremo alla terra, ché solo la gioia d’amore passar potrà con le anime nostre, altrimenti nude, la cruna d’ingresso alle tenerezze del tuo lucciolaio di stelle. E di simile accadrà alle cose tutte umanamente le più care e sacre, resteranno al di qua, lì inutili orpelli!Sì, la vita nuova donata, si schiuderà come giglio, ingioiellandosi di bellezza eterna. Non vedi qui questi esuli pellegrini d’amore, sbiancati dalla nostalgia del cielo dove certo la mia piccola stella è nata e compagna sua avrà, tu volendolo, fata di questa storia? E’ l’alba appena, dura e agitata ne è stata la notte, e già pregusterei la serenità che mi dà passeggiare tra le tenui fragranze del bosco e i dolci conversari con novelli amici o antichi, ma non vi andrò, ché il cuore mi fa tumulto dentro. Ho pregato, madre, che da questa mia pena mi liberassi, ma scorno poi ho avuto a chiederti così tanto, non ha risposto al santo suo, il figlio tuo, ti basti la mia presenza, e io non ho la tua? Ecco ho tra le braccia questa donna, che non lesina stamattina i baci suoi e tu stai nei suoi occhi belli e tu sei i suoi occhi e io ne ho conforto, e le rispondo facendole carezza e questa brivido le da. Mi chiede ora perché così le risponda nella tenerezza e io, sorridendole, che lo faccio ché delle effusioni sue non si stanchi, ché, pur casto, l’afflato appaga il cuore, assetato! Così quest’amore, oggi di necessità casto, fa preludio a quello che sarà ove tace il tempo. Sì, qui forzoso, lì comandato. Né l’eros di qui ci farà rimpianto, ché è da te la pienezza d’amore, qui larva, lì farfalla. O farfalla leggiadra che le eterne perle del tuo prato visiti, ché ne ridano d’amore al tocco tuo soave, ti prego rimani, fa vibrare di quell’amore questo cuore stanco e vecchio, altrimenti il delirio suo, più lasciarmi vorrà!

sabato 10 novembre 2012

Preghiera dalla banalità







Talvolta, luce mia, ho momenti come di smarrimento e vi fanno pausa i miei pensieri per te. Sono abbandoni, ore banali in cui m’è più facile rifugiarmi nel si dice, si pensa così dei fatti di questa vita. Cioè sono in difetto di risposte mie, non ho idee personali da sottoporti e mi faccio pigro, protetto, fiancheggiato da quelli che hanno solo, e su tutto, giudizi mutuati, anzi solo opinioni, sì e pure prese a prestito, luoghi comuni cioè, perciò apersonali e senza molta responsabilità. Così mi ritrovo in un mondo di superficialità, anche sciocca e vana e non so uscirne senza tuo aiuto. Ma cos’è che ora affido al si dice? E’ ancora e sempre la presenza qui del male. Perché più questo problema m’assilla, più nel vago mi rifugio, temendone e che mi diventi drammatico e banale a un tempo. Che ne dicono i più, tra quelli che pur dicono aver la fede in te? Ecco, le creature tutte sono create libere, ma solo l’uomo ha il discernimento, capire quando e quanto e come la sua libertà interferisca con quella d’altri e far sì che non vi procuri danno, eccessivo almeno. Viene da questo pensare un’idea del “quare”, perché il male ci sia, o non è comunque limitarsi lo stesso al “quia”, alla constatazione che c’è, alla quale io sembro confinato? Io vorrei meno libertà e più esenzione, per i bambini almeno! Sai, madre, qui ci sono bambini che chiamano oncologici! E lo dico all’attenzione del figlio tuo che anche medico qui è stato. E non v’è niente che ci garantisca, prigionieri siamo della concretezza e banalità del male che violenza ci fa. Ma duro perfino trovo l’invito all’amore, quello del figlio tuo nella chiamata sua, fatta di povertà, rinunzia e dolore. E par egli amare di gelosia ombrosa e non esenta dal male mai, anzi la vita chiede di essere pronti a rischiare e perdere, né ci vuole a metà, e chiede si lasci ogni altro interesse e affetto, completamente impegnati nella causa sua, che poi è portarci tutti a te. Ed egli ha pur pianto le lacrime degli uomini, e sicuro lo fa ancora e con te, ma saperlo quanto addolcisce le nostre? E la nostra pretesa di gioia già un po’ qui, quanto allora è fondata, non resta così avvilita? E saper che la vita s’eternerà, vero aiuta questa? E ancora dicono qui, ecco per tutti occorrerà passare le strettoie della sofferenza, come una cruna d’ago, ma nessuna paura abbiate, tu e il figlio tuo starete ad attenderci appena oltre! Ma vero conforta questa vita, saperlo, aver questa speranza? Ecco ai più fortunati, già qui briciole di quest’amore e a me tante, rimedio alla mia mediocrità perfino, da averne vero coraggio, gioia anche un po’, tutta immeritata! Ma quanto ancora lascerai che alla salute mia provveda questo piccolo cuore di donna? E che sarebbe, senza lei, della mia speranza del tuo cielo, e poi non m’hai tu stessa invitato ad amarla per amarti? Sì, quasi comandato quest’amore! E se tu inesorata, inappagata dalle mie preghiere non sei, né puoi contraddirti, significherà forse che, a garanzia d’amore per te, sarò io a lasciarla per brev’ora, primo chiamato ai tuoi asfodeli campi, là tra le stelle? Oh vero così tu voglia! Ecco questi i pensieri miei forse solo mediocri, quelli che restar mi fanno alla superficialità dell’ignaro, che teme persino l’audacia di capir di più o d’esser troppo oso perfino nella speranza. E se son sciocco e pusillo, così forse mai passerà la banalità mia di quest’ora, banalità di sentirmi nel male! Ma avrà forse vantaggi sentirmi tra quelli così stretti,anchilosati, mitigherà la venuta del dolore? Ecco io non ho requie e l’anima m’oscilla tra il patetico e il tragico. E se bontà ho, s’è pur fatta sospirosa e melliflua e argine non fa alle minacce del male, né per me , né per questo mio piccolo amore, né per chi amo. E sono tanti in questo mio cuore provato! Tentata essa è d’idealismo, di retorica e non vuol farsi più fattiva, più soccorritrice dei meno fortunati e dire che mi pungola e tanto, il desiderio di esserti utile in questo comunque mio tempo breve. Né prudente e risparmiatore di forze mi sento e spendermi per te vorrei senza paura. Ma temo, frastornato così, di restare nella nebulosa intenzionalità, senza atti concreti, senza il mio bene, piccolo che sia, poterti donare. Allora lasciami un po’ esser chi vince, e vincere per te. E se vero è che questo mio solo amore, piccolo, umano mi difende e dà forza, tu non permettere che la paura di perderlo mi lasci nella timidezza inoperosa. Sì, lasciami con esso correre alla tua luce, così il mio fare sarà come venuto da invito del figlio tuo,forse già avuto e non capito, sì del suo interesse fammi ancora degno! Oh sì, egli mi chiederà pur poco e sicuro non di lasciare quest’amore, non mi vuole ormai nella radicalità dell’abbandono d’ogni altro affetto umano e sa che di questo vivo, ma quanto pur duro resta questo invito al suo per il tuo amore! Il dio di tutti pare fatto proprio così!

mercoledì 7 novembre 2012

Preziosità negletta







Mentre io non so vero quanto mi conosca, ma cerco che l'autocritica nell'autoanalisi non mi faccia scadere nell'autocommiserazione, degli altri ancor meno so, a meno che non mi venga detto. Sol tu leggi i cuori tutti e del mio sai prima che formulati siano i pensieri suoi con le parole, ché anche dal mio silenzio traspare a te quello che talvolta m'accora. E' il saper d'un sogno finito, d'un dolore novello, di un'angoscia che passar non vuole, d'uno smarrimento dietro a falsi luccichii, e del male, che mai lasciarci vuole, la pena e l'ostinazione sue. E or di giovane donna ho saputo qualcosa che di triste celato ha. Che m'aveva colpito? La sua bellezza dolce e schiva, velata appunto di tristezza! Certo dell'altro la conoscenza può restare opinione, uno sfiorarne appena la psicologia e in superficie, ma se cuore permette ad altro di appena guardarvi, ci si può accorgere quanto i pensieri, in latebra stipati, siano più belli di quanti ne vengano fuori dal conversare, pur piacevole, sui fatti anonimi dell'oggi che nemmeno storia faranno in nessuno d'essi. Allora in quella confidenza novella ben ne vengono fuori fremiti di ricordi, palpiti di nostalgia per chi s'è amato e talvolta pur ancora s'ama, sì accorati rimpianti! Cosa questa donna ha da far meraviglia? La fiducia che continua ad avere negli altri e tuttora nell'uomo suo, che pur a lei sembra voler rinunciare. A una che ama i monti, vicini al tuo cielo, a una che ama gli animali e le cose belle della natura! Possibile che si lasci andare tanta preziosità e gentilezza? E io farò mai di simile a te, bella del cielo, e alla piccola donna mia, tua icona preziosa? Ignaro son delle cose celesti e di qui anche, ma stupido no. Almeno ne spero esente l'oggi mio e il poi! E proprio oggi un'amica cara m'ha detto di storia d'abbandono ancora, e di sua bella figlia la pena, pur dopo lungo e apparente ben stare in due. E allora che dire a queste giovani di analogo destino, col loro mondo di due che par volersi sciogliere? Ricordate e sperate, ma vivete nell'oggi, in quello di ieri che spira ancora dolce afflato al vostro cuore, in quello del presente che spero sereno vi guardi, in quello di un domani forse anche imminente, che la felicità che il cuor vostro merita e desidera porti, e abbiate pietà dei vostri maschi stupidi! Ma io pur pregherò che la nuova bella amica recuperi all'affetto suo, cuore che ancora amore detta al suo, e se no che maschio migliore, amabile, com'è certo, la trovi! E per la giovanissima della nuova storia di stupidità maschile, dirò nella stessa preghiera, basta soffrire, si guardi ella dentro, si guardi intorno, è forse ancora un presente piatto e vuoto, ma ecco è già domani con le novità sue, tutte belle! Sì, che entrambe amino il passato col bello che ha loro dato, ma guardino al presente e ne sorridano, e al domani che nell'oggi matura, portatore di sicura miglior fortuna e certo di felicità. Son forse troppo oso a chieder possibile tanto, signora del cielo? Ma in preghiera si può, e talora l'insistenza ingenua come di bambino, ceder ti fa!





lunedì 5 novembre 2012

Il mio ubi consistam







Io non posso davvero dir di te, ecco interim la vedo, interim solo la sogno. E quest'asinello va, trotta verso l'ignoto, un ciuffo di fieno irraggiungibile ha davanti a sé, ma sa che breve è il tempo suo e allora vorrebbe cogliere il giorno, vivere di quel che il presente gli da e contentarsi dei piccoli sorrisi dell'amor tuo, che pur sono, o forse esso solo se ne illude. Perché sempre l'oltre e non fermarsi, non amare le cose e le persone dell'oggi, perché travalicare nell'immaginativo le certezze e i valori pur presenti? Ecco è autunno ormai, sempre più numerose le nuvole che da occaso corrono ai monti nostri e or da basso veder puoi la fatica immane delle onde che si stemperano alla battigia, l'ardore loro è, e poi a breve non più, e qualcuna va più oltre delle altre con corsa più lunga e più spiaggia della spuma sua bagna e poi lo stesso muore, ché la rena sua la consuma. Non c'è un perché etico che vadano così precipitose, corrono in affanno la loro breve vita e non ne sanno il perché, e così di simile paiono accavallarsi quelle del cielo, effimere presenze nella altrettanto affannosa corsa ai monti e per lì più che altrove dissolversi, il lor carico versandovi. Oh quanto pur inutili son questi miei pensieri per te, bella sconosciuta! Oltre ne resti. E pur muoiono su questa tua icona, la lambiscono e nemmeno questo suo mistero colgono, eppure ancora si illudono di cogliere il tuo! E' amarti questo? Oh vero lo fosse, t'avrei già amata come nessuna vantarsi può!Eppure questa piccola mia domina mi rassicura, tu, dice, hai me! Oh sì, ripetimelo una, cento volte al giorno! Dimmelo con le tue parole, dimmelo con le tue dolci movenze, dimmelo con gli occhi tuoi, dimmelo anche coi tuoi silenzi! E' piccola, la trovo bella fuori e dentro, eppure continua a parermi com'è la spiaggia per le onde e le vette del golfo per le nuvole o il ciuffo di fieno davanti a quest'eterno asinello. Io non la so, io non la raggiungo e si frangono i pensieri miei e falsa sublimità mi par la pretesa di non fermarmi al reale apparente e correre verso l'immaginario del più profondo, ché neppure la fantasia coglierne può il segreto che ella racchiude, e svela di sé quel che vuole. Poco, molto, non so, rimane il mio sogno animoso come polla, sorgente anzi, saliente del tuo mistero. E allora questo tuo svela un po'? Ed ella ora che la vedrò, pietosa dell'angoscia mia, forse parrà dirmi, fermati sono io l'ubi consistam tuo, godi ad ora ad ora il fiottar lieve della vita, lasciati andare al giocondo sorriso delle cose tutte nelle loro prospettive sempre novelle e fascinose, non ascolti i maliosi palpiti di un cuore che sta per te solo? Perché quest'ansia tutta tua di trasformarti, di elevarti, di purificarti? Se uomo sei degno del mio piccolo cuore, lo sei per la madre in cui speri, lascia che, le mani nelle mie mani, sereni pellegriniamo al suo cielo. Non si avverte insieme più lieve ogni fatica, e l'ansia non si stempera, e ogni amarezza non si fa più dolce? Ecco ascolta, palpita con noi l'universo all'amore suo, questo che mo mo per noi ella crea, ed esso par inneggi armonioso alla gioia di essere, ed essere proprio per noi, com'ella certo vuole. Allora vivi senza troppo tormento, non lasciarti vincere dall'assillo di soverchie cure, esasperazioni, paure, vivi in sereno gaudio quest'attesa. Vivi di me e per me! Verrà la madre, il dio anche per te, contentati ora di questo solo piccolo ma vero amore, è un po' del suo!


E io vorrò crederle e già, pur ancora da lei lontano, sento la vita che urge e rigoglia già nell'ascesa.


Oh sì verrò e con lei alle tue stelle!