mercoledì 28 gennaio 2015

Elogio di una illusione





Quando da qui, da questo bel chinale del promontorio che sorge dal mare, rare ora le margherite perfino, quest’orizzonte guardi, se fosco non è, vi sosti volentieri ché a quello va l’ammirazione tua e rende pur ora preziosa questa natura sonnacchiosa. Sei nella sua pace! Ma oggi non è così, chiaro, terso il cielo, tregua d’uggioso inverno, e vapori dal mare vi salgono e tu vedervi non puoi lontano, ché le belle isole, che inghirlandano questo golfo, ne restano schermate. Ma forse un’ombra ti par di scorgere d’una che t’è familiare là dove da qui solitamente quell’isola vedi in giornate più fortunate. Allora ti rassereni perché ricordi la bellezza di quella, fatta anche dalla lontananza, che sovrapponi all’assai poco intravisto. Ma poi ne dubiti e ,dopo breve indugio, la confusa forma sua più non ritrovi, tanta la caligine che l’orizzonte avvicina e la vista raccorcia! Talvolta di simile t’accade nella preghiera o quando solo stai e alla tutta amore pensi. Ti pare che una presenza tu abbia accanto e ti fingi che la bella del cielo possa essere. E questa illusione può continuare, specie se di simile hai già vissuto. Ecco, è vestita di cielo e a te sorride, il volto suo luminoso, come ella incoraggiarti voglia a toccarne la concretezza. Con quali occhi tu la vedi, non sai, sono solo quelli del cuore? Ma presto quelli fisici, dapprima come dimentichi di quello che intorno hai, troncano l’illusione e ritorni al vero. Quanto è durata, un attimo? Più? Ma le immagini che hai vissuto alla mente affidi ché se ne ricordi nei momenti bui o di caligine, immancabili. Ma poi tu solo non sei più, tornato, donna hai accanto e sorride, forse perché ora sei nel mondo anche suo, ma ancora pensieroso e tutto smarrito, come rassicurarti voglia. E daccapo può accaderti che tu resti rapito, da che? Dagli occhi suoi belli? No, c’è di più! T’accorgi che la bellezza della prima era la sua sublimata. Sì, tornato sei, ma quanto dolce è l’appena vissuto! È bello quanto quello del sogno ad occhi aperti, da poco spento. C’è proprio un angelo nella vita tua, ti dà amore fedele in tutte le forme sue! È la sola che della divina ti suggerisca, oltre le confuse apparenze di qui, è questa donna che ami! Ecco cos’è anche la vita, vedere e subire il suo concreto, anche negli aspetti suoi meno belli o anche truci, e poter lo stesso sognare. Oggi è la giornata della shoah, assai triste! Ma se amore hai, anche di questo puoi permettergli ti suggerisca l’oltre. E l’oltre è sempre la bella desiderata, a cui quella che fa l’amor tuo, rimanda e avvicina, e un’illusione talvolta ne consente, non importa quanto poco debba durare!

venerdì 23 gennaio 2015

Ho amato?



Quando anche dai propri tanti anni, molto si dice sapendo poco del mistero della vita qui, si rischia sempre di dire sciocchezze. Perfino al pater patrum è accaduto, con l’umanissima, ma assai poco cristiana, reazione minacciata ad eventuali mal dicerie sulla madre sua! È forse tempo che smetta di parlare tanto dal mio poco? Ho ancora paura delle sciocchezze che, inevitabili e forse tante, già venute fuori mi sono? Devo ancora convincere me stesso della certezza del mio poco, o piuttosto vorrei che da esso ci fosse chi costruisse il suo molto? E allora ribadisco che il dio pretende molto da me e da tutti, l’amore! Null'altro ha importanza, purché tentato per tutti e tutto in questo vasto mondo, proprio tutti, inclusi i nemici perfino! Mai stancarsi di ripeterlo a se stessi! Difficile il così preteso, e forse vano lo sforzo, come voler raggiungere l’orizzonte o il cielo di mille e mille fiammelle toccare! E allora mi chiedo, Ho amato, amo nel senso ampio preteso in uno sforzo eroico? Comincio da come credo s’affacci la vita e la mia rivedrò nei fatti salienti e risponderò, con sincerità spero! Sembra della stessa mediocrità per tutti e invece riserva ad ognuno qualcosa di peculiare, cosa? La ricettività e la reazione al dolore, che da tanto diffuso male viene a tutti, e di simile fa della gioia, assai più rara. Quando piccolo ero, pensavo che tutti fossimo allo stesso modo poveri, esposti allo stesso modo a occasioni di rinuncia e di pianto, rare, per me almeno, quelle di vera spensieratezza e gioia, dopo che solo restato ero, volato mio fratello alle stelle. Ma tra noi bambini qualcuno v’era, o con scarpe nuove o sempre appena lucidate, e con grembiule senza rattoppi e lindo, e in ordine, di brillantina unti, i capelli, e mai mangiava il pasto che a tutti offriva la scuola, tante nel dopoguerra le difficoltà. Il maestro ne aveva palese attenzione, forse perché i loro genitori, assai distinti e rispettosi del ruolo suo, venivano talvolta per sentir di lor progressi e lui ne aveva tal riguardo da interrompere la lezione per conversare un po’ con loro. E poi quando quei compagni disattenti o distratti pur erano sorpresi, ne era più indulgente che con ogni altro, pronto a minimizzare pure se uno di noi, più sprovveduto, una lor prepotenza, pur osservata, subiva. Così anche per questi fatti cominciai capire quanto ingiusta fosse la vita nella società nostra e, rimasto solo, molte difficoltà me ne vennero anche dai compagni meno sprovveduti di me e più grandi, non più protetto dal fratello amato. E invano ho cercato tutta la vita di ritrovarlo, per aver certezza nell'amore offerto o atteso. Ma molto godibile era la natura d’allora, tutta d’alberi annosi, erbe e fiori novelli e stelle tante a brillare in notti serene di scarse artificiali luci soffuse, e mi permetteva, sostandovi, di sognare anche ad occhi aperti. Così alle fantasticherie dell'età aggiunsi i sogni sulle prime ragazze incontrate di cui rimanevo quasi sempre incantato, tanto diverse e aggraziate a me parevano e belle tutte. Quelle, pur scegliendo tra noi, illudendoci di nostra scelta, non davano troppa importanza alla condizione sociale nostra, ma certo dovevano spazientirsi della mia eccessiva timidezza. Ero e sono così. Ma io ho vivido ricordo di una biondina audace con la quale subito fu intesa, ma via mi fu portata e più nulla ne seppi, forse tra gli angeli la ritroverò e tra i campi del cielo, e come tra quelli di qui m’aspettava, lì di simile forse farà, sì, quando usavamo fingere di smarrirci per star un po' nascosti a strofinarci musi e nasi. Cominciai a pensare che le femmine fossero un’umanità a parte e migliore e lo penso ancora e ne ho rispetto se una cede alle facezie mie, e poi soprattutto ho tenero ricordo della madre mia. Mantenni la convinzione nonostante qualche dolorosa smentita, ma anche quelle rinunciatarie dell'affetto mio, penso ora serene e di gioia motivo per qualcuno e, con un po’ di nostalgia per l’età in cui per me proprio lo facevano, le vedo sorridere ancora, belle sempre nelle persone loro, giovani, ma ora diafane quasi nel ricordo. Non importa di chi esse siano, e così sono un po’ per me ancora, sì io sto nel ricordo loro! Ma di una m’accoro, ché perso ha il linguaggio della bell'anima sua! Ma anche lì, nel suo sé, con lei imprigionato m’illudo d’essere, alla dolcezza degli approcci miei noi due rimasti! Mi venne al fine la desiderata, subito tutta mia senza tentennamenti e ripensamenti, tuttora mai stanca
di me e sempre gelosa un po’ pur dei ricordi miei, ma che sempre trova nuove e gradevoli le mie facezie e le parole e i gesti per lei, e questo fa la mia favola con lei, gioia dal poco o forse dal molto,
comunque solo nostro. E intuire mi fa, col suo, l’amore divino, e così ne congetturo e ne sogno e lo cerco di continuo in lei, negli occhi, nei gesti suoi, nelle parole e nel tono loro. Così la ricerca mia negli altri tutti, che lui ha comandato d’amare per amarlo, ha senso partendo da una certezza, l’amore scambiato con la mia donna, che sicuro un po’ del divino ha, e talvolta mi illudo di avvertirne perfino l’afflato, tale la fattiva benevolenza da lei e l’attesa un po’ da tutti. Certo, per saperne di più, è forse tempo che torni alla mia ingenuità d’un tempo, quando frequenti erano le illusioni e piacevole starne all'ombra o al calduccio, che schermo erano, e forse sono ancora, alla vita di troppe brutture. Ma che farò col dolore che preme da ogni parte tutti e non mi risparmia? Come attenuarlo, visto che ignorarlo non posso? Non solo quello che ci viene dalla malvagità diffusa, ma dalle tante altre presenze del male. Ecco uno qui ha relazioni più o meno strette con i suoi simili. Se i più prossimi toccati sono, con spiacevole sorpresa, da ciò che sempre eccessivo capita a chi dal male è preso, ne diventa maggiore la coscienza di chi v’assiste impotente e con sempre inadeguata risposta al dolore nella dura concretezza sua, e a lui non si limita la pena, ma prende tutti quelli che hanno affetto diretto per il sofferente, o mediato dal dovuto al dio, in tutti e tutto presente. E che dire dello scempio della terra dei fuochi, avvelenata? Ha anche, o più, nei più piccoli le vittime sue, da far piangere tante, troppe madri. L’unica speranza è che i capi di quei malvagi, responsabili di tanta barbarie, si ravvedano e si facciano promotori con le loro molte sostanze di quella bonifica, che tarda nonostante le promesse dei politici parolai, sempre rinnovate. Per rendermi la consapevolezza di tanto dolore più tollerabile, forse tornare devo alla natura, a quella scampata alla follia umana. Ma occorrerà salga ai nostri monti, o alla collina del faro, se tanto su andare non potrò. E se delle sue cose belle ancora godrò, ecco più prossimo avvertirò il mio paradiso. Certo mi angustia di continuo il pensiero di piccoli nel pianto ad opera di presenze malvagie e pregare devo, e molto, che si attenuino i danni per loro. Non mi riferisco solo alle malattie, naturali od ora anche ambientali, terribili più ancora in corpi e menti così piccoli, ma a tutto ciò che di sgradevole creano intorno gli adulti con le tante egoistiche bagatelle loro, e anch'io da piccolo ne soffrivo. Del perché di tanta sofferenza ho la risposta semplicistica che qui proprio stiamo a vivere, apparentemente lontani dal dio, e a noi soli, egoisti, badiamo. Anzi per quel che di spiacevole ci accade, di continuo stiamo a lamentarci di sentirci già, o più, vecchi, e così sprovveduti e fragili, mentre il vissuto dei piccoli può farsi tragico e io ne so fin dall'infanzia mia, poco dovuta durare. Ecco, se un po’ di fede mi rimane, saprò di capire ché qualcuno è già venuto a prendere specie dei piccoli la sofferenza e a farla sua. Sì, perché con essa ogni male s’affretti, corra al disfacimento suo, così anche per me più prossimo sarà il paradiso se la preghiera sosterrà il mio impegno, da cui nemmeno ora, se vero vecchio, ho il diritto di desistere. Sì, occorre io continui ad avvertire le pene di ogni altro per mie, e la fossa scavata ogni giorno dal bieco, sempre per uno che m’è caro e così preparata a me stesso. Solo così tutto quello che ciononostante di bene e bello mi capita, anche se un appena, e che la mia donna tenacemente continua a propormi magnificandolo, avvertirò come anticipo di paradiso, ché sto tra chi un po’, o più di un po’, pur m’ama, e mi basterà, da qui tanto lontane le stelle! Ecco ora posso rispondere, Più che amare tanto, sono
stato amato, sono amato. Sì, è proprio già qui il mio paradiso e chi entrare vi vuole, entri!

Maria mulier, cujus amoris non est numerus.

venerdì 9 gennaio 2015

Amore da rinuncia




Dopo la barbarie di Parigi, l’evidenza , Il dio è grande, va precisata. Grande in che? C’è una sola risposta, è grande d’amore! Egli ama l’uomo, ogni vivente, ogni cosa, non solo sotto il sole, ma ogni possibile cielo. E come l’universo, sua creazione, s’espande, così l’amore divino, aderendo all'oggetto suo. Ma più ancora, come quanto tutto quello che l’esistente circonda, ha la potenzialità d’accogliere la fisicità sua, così anche fa luogo all'amore divino, e di simile se ne impregna quando, appena novello, si affaccia all'esistenza, non importa se qui o nelle galassie estreme. Forse tutto sta correndo verso l’amore che sta anche oltre e lo attrae, e ben ne ha visto il poeta nostro nella Comedìa sua. Allora qui parlerò d’amore, il nostro terreno anzitutto e ne riferirò da una piccola mia vicenda, però non mi fermerò ad esso, ma, per un utile per molti, cercherò di capire cos'è che l’amore umano ha del divino. Ecco, la donna mia amore mi dimostra e me lo accresce, ma se altra coinvolta vi volessi, e non c’è, presto convincermi dovrei che, per quanto grande esso sia nella natura e manifestazioni sue, cosa non è che spartir si possa. Forse poche o nessuna divieto simile hanno le cose umane, che il cuore metaforico nostro definiscono e occupano. Assai diverso è quello che la bella del cielo ha, che tutta amore è, e lo conosceremo appieno quando il nostro simile al suo sarà. Ella già diffuso qui lo vorrebbe, da coinvolgere molti nell'invito suo, anzi così ne resterebbe accresciuta la felicità sua, la stessa che nostra sarà. Ma benché quello umano ne sia preludio, che di intuirlo permette, non ne resta che poco in comune oltre alla spontaneità e intensità, che talora in noi ha questo sentimento, mancando la caratteristica propria di quello divino, la aperta, non ristretta al singolo, condivisione. Certo al nostro amore terreno, dolce invito è l’aspetto della donna sospirata, ma ché quello che piace diventi più ancora, occorre la conoscenza dei pensieri, speranze, le cose dette o taciute, cioè leggere l’anima e la storia sua ascoltare, trovandola di simile bella o più ancora da innamorarsene. Questo l’amore vero destinato a questa vita e all'oltre. E se io dicessi oggi che sento questo per altra donna, direi quel di più che non c’è, ma non poco se dico che una entrata m’è nella tenerezza. Da quando? Dopo che la sua conoscenza, un po’ voluta, un po’ fortuita, è stata arricchita da notizie, non richieste, sulle sue fortune di vita, già prima che sensazione m’avesse dato di averne vinto la diffidenza e forse l’indifferenza. Io tentato ho, vincendo ogni sua ritrosia e mia timidezza, di parlarle, ma non dell'immediato futuro, che forse già non m’appartiene, ma di quello senza tempo, che potrà esserci comune. Quando? Al tempo che nuova stella sarà nel mio cielo e io chiamarla potrò col nome suo, quando ella ben rispondermi dovrà se insistente sarò nel richiamo mio. Lì l’amore divino sarà comandato, che non nega precedente affetto, ma altri ne consente, l’antico non restandone diminuito, ma esaltato, non soffrendone, ma di novella gioia arricchendosi, peculiarità del luogo suo, lì tra le stelle. Deve ella aver preso questa congettura anticipatrice del dopo, per facezia, come col mio tono solo semiserio devo averle suggerito, o forse per una delle romanticherie che nascono in persona più che matura, quando per una assai più giovane interesse ne sorga e dimostri. Ma c’è molto di più. Io non so quanto tra queste apparenze restare potrò, e possa vivere per quella che già nel cuor mio significa amore e per quella cui sembro prometterlo, almeno così ne giudicherebbe la prima, anche senza che l’altra vi speri, a ragione diffidente diventata d’ogni mia vicenda. Sì, io non so quanto qui mi viva, cioè mi sia concesso lasciar vivere qui me stesso, dono divino qui e dopo la vita, cioè non so quando altrove la vita mia continuare potrò, portandoci i ricordi belli e gli affetti di qui. Ché forse presto chiamato sarò al luogo in cui impegnati si resta un po’ o più, nella richiesta di perdono per i fatti qui vissuti, deficitari quando non malevoli, e così sempre peccaminosi, finché altrove la bontà divina ci destini. Intanto qui nel dolore avrò lasciato la donna mia, in angoscia d’abbandono, e anche, un po’ almeno, delusione o addirittura piccolo dolore ne avrà la nascente chimera. Può forse questo chi dà o sembra promettere amore? Ben poco in verità quello dato, anche se molto il desiderato, non potuto offrire, e così troppe le conseguenze di dolore per la donna mia. E ora questo novello interesse per altra, certo non gradirebbe, sapendone, anche se nel luogo ove vero avverrà, si manifesterà, colpevole non potrà vederlo, lì non più possibile peccato alcuno, ma occasione di curiosità almeno, quando non di gioia, che dalle cose tutte del luogo le verrebbe! E quand'anche poca per la nuova, la tristezza, pur me ne resterebbe aumentato il fardello che di là con me portar devo, ché anche se non sa d’inganno il poco per lei, pur diventerebbe peso gravoso, solo con in più il novello innocente sentire, il già molto da farmi perdonare. Ma non è questa la possibilità che temo, è di più, distruggere il mio diritto al vero amore. Ma so cosa ne è rimedio. Talvolta è qui necessario rinunciare a un bene, e se questo è persona, lo si fa per evitarle un danno, a lei direttamente o ad altri a lei vicino, e avviene nella generosità che ce ne farà guadagnare l’incontro nella vita futura. Noi molto spesso disattendiamo le aspettative d’amore, dando assai poco, ma è talvolta la rinuncia che magnifica il poco e lo carica di una possibilità che dovrà pur esprimersi, che nulla nel bene perduto va, anzi deve far frutto. Ciò che accade giustifica la ricchezza con cui il pur poco offerto verrà ricambiato, ché dopo il perdono una azione di bene, or piccolo seme, molto darà, ma nella capacità che avremo di comprenderlo e questa ha qui le radici sue. Noi qui prepariamo la misura, non sempre la stessa per ognuno, ma capiente sempre da sopportare l’abbastanza o il molto che vi verrà versato. E la possibilità di trovarla soddisfacente sta, non solo per quanto facciamo per promuovere il bene, ma anche per ciò cui rinunciamo per persona più o meno cara, nota o quasi sconosciuta, sempre posponendo il proprio all'altrui bene. Insomma l’amore si guadagna nel luogo suo anche quando qui si perde, purché dal proprio sacrificio venga un bene per l’altro. Ma farlo richiede umiltà e questa va appresa da chi anche questa dà dall'amor suo attingendo. Non so se il possibile di tanta conseguenza è il poco della mia storia, piccola vicenda per piccolo uomo, ma so che l’amore appena, può accrescersi e venir ricambiato, ma richiede la comprensione del tanto che significa e reca, e questa è qui che si prepara, anche se avrà compimento futuro. E come? Amando una sola donna e rinunciando a chi s’affaccia a quest'amore, per non turbare chi già lo ricambia e non far danno alla novella. Solo così a quest'ultima, proprio dal rinunciatario, sarà anticipato un po’ di quel molto che avrà quando sarà la vera vita, speciale questo piccolo dono d’amore! Quella s’arricchirà anche di quei volti cari a cui qui ha dovuto rinunciare, persi sempre prematuri, ria la vita , o volontariamente dovuti negare al proprio affetto, e saranno queste presenze la sorpresa più bella nel luogo in cui tutto è di per sé bello!

sabato 3 gennaio 2015

Altro non so




Come ragazzo, da troppa timidezza trattenuto, rotte le titubanze, avvicinavo la bella del momento e le parlavo, eppure ne restava povero l’espresso rispetto al desiderato, lungo congetturato negli esiti suoi, così è nel bilancio della vita mia. Ché poco e incerto nelle mete guadagnate è il realizzato, nonostante i propositi, belli e ricchi, nati da magnificate presunte possibilità nell’entusiasmo giovanile, ma poi disattese, come poco, o piuttosto molto, sono state le pur presenti. Io a discolpa potrei dire di non aver avuto fortuna, ma non sarebbe etico, contradittorio perfino se religioso voglio dirmi, ché incolpare la sorte è da superstizioso o di chi comunque desidera stemperare il fallimento suo con le ragioni oscure, che regolerebbero il mondo, assente il dio. Allora meglio dire di essere stato disattento alle opportunità pur offerte. Ma ancora meno mi sentirei realizzato come uomo dabbene se, ricevuta la chiamata a seguire del signore i passi, smarrite avessi le orme sue con un comportamento deficitario e mediocre, come quello che ha il pavido pastore, che a sé pensa prima che alle pecore sue, affidategli in cura. Questo perché quello che è umanamente scusabile nella vita comune, quando manchevole, diventa negatività seguendo la strada del bene. In questa, fattasi tortuosa per la mediocrità nel comportamento, esposte sono al pericolo di perdita della fede quelle anime che da essa si son trovate a dipendere. Insomma per certi compiti non si può essere appena bastevoli, sufficienti, ma persone d’eccellenza. E chi lo è? I primi discepoli del cristo ricevettero la missione di chi tra gli uomini s’espone per scacciar demoni dalla mente e insidie dal corpo. Ancora vi è chiamato chi ha sì cura di sé, ma sempre la pospone per l’altro, pur consapevole che vinto possa rimanere, ché più forti possono essere le combattute presenze da restarne il soccorritore stesso, vittima. Penseremmo oggi simile a quei primi, l’eroico medico nostro, di cui è appena notizia l’aver superato l’infezione dal terribile virus ebola che tanto angustia l’Africa. Insomma sarebbe assai penosa al contrario la scoperta di personale codardia in chi chiamato sia stato all’eroismo. Io a tanto non sono stato chiamato. Credo non perché egli sapesse lo scarso che gli avrei ricambiato, ma il rimorso e il dolore che me ne sarebbero venuti, abbia voluto risparmiarmi! Ma ho comunque persone affidatemi. La piccola donna e i figli che l’amore suo m’ha dato e le persone tutte che da me, medico, cercano tuttora consiglio e quelli che da me, insegnante, cercato hanno guida al sapere. Non è stato, non è piccolo compito. L’ho assolto appieno, lo sento ancora nella responsabilità che merita? È il momento di chiedermelo. Certo le bizze di questo mio cuore mi hanno limitato la generosità fin da quando potevo sentirmi giovane e preparato a tali compiti, ma, mi chiedo, non sono state anche lo schermo dietro cui nascondere la mia insufficienza e lo scarso coraggio, da cui esente non sono? Sono vero mediocre e deludente, o lo sarei stato comunque, anche qualora mi fossi per scelta destinato al più semplice compito, non d’essere davvero, ma sentirmi solo per vanità uomo? Se io riguardo alle situazioni irrisolte tralasciate, alle pene non alleviate, alle speranze deluse, anche in chi chiedeva poco, non posso scusarmi, non assolvermi, ma posso sentirli ancora come fatti appena accaduti da averne tormentoso rimorso! Ed è questo l’aspetto del mio cuore metaforico che credo mi riscatti, che faccia la mia ricchezza, anche nella povertà estrema del rinunciatario pavido, per ignoranza, trascuratezza, distrazione, mai per malignità. E che dire della mia vita affettiva? C’è di simile! Ma quando accadde? Occhi delusi, occhi spenti dopo aver pianto, vedo, che da allora certo hanno riso ancora, spero. Ma temo che in fiducia tradita nell’età dell’ingenuità, talvolta poi solo effimera gioia possa esserci, troppo cauta e sospettosa l’accoglienza sua! E di una donna il dio conta tutte le lacrime! Come mi riscatterò? Devo chiedermelo, anche se sicuro non sono su chi fosse più ingenuo, la rinunciataria o l’emarginato innamorato, colpevole, o forse solo stupido. Credo possa farlo solo amando con le forze tutte questa tenera donna, che, immeritevole, dal cielo mi deve essere venuta. Farlo, certo non solo dicendo e ripetendo amore a lei, che da me lo attende concreto, ma come vero merita e più ancora, rimastami accanto, non come l’antica, fuggita, nonostante non una, ma mille opportunità deluse! Ma, mi chiedo, non è lei che mi dà da sempre più di quanto io le offra e mi spinge a superarmi nell’affetto dovuto? Non sta in ogni gioia, per quanto piccola e breve, non sta in ogni lacrima, anche se questi occhi più darne palesi non vogliono? Che sarei senza? Povero, mediocre uomo, come mediocre amante! Eppure allora ancora sarei uno del riso suo avido e delle parole sue, immeritate sempre, ché pur nei rimbrotti ella mette amore! Allora perché tanto ne ho da lei? Quando vero nemico del dio mi facessi, saprei che, pur così degradato, m’amerebbe, ché da questa donna lo sono! E altro non so! Lamentoso il vento, fredda la notte e io la cerco ché un po’ mi riscaldi!