mercoledì 29 ottobre 2014

Analogie



Quando a questi monti sali, che al nostro golfo, fatto di tante meraviglie, fan corona, e sosti, come sentiero permette, per adattare la lena all'altezza, guardar puoi e goder di quelle che sciorinate ti vengono da basso. E ti dici, Se più in alto andrò altro ancora mi s'offrirà e sicuro sarà più bello! Sei nel vero, s'allarga l'orizzonte fino alle isole che le onde cullano da sempre, e se la sera ti sorprenderà e deciderai lì di restare tutta o parte della notte, le luci delle due cittadine dal basso non guasteranno la vista di miriadi di stelle che ansiose di salutarti di lassù per te occhieggeranno. Sei ancora nella meraviglia! Di simile t'accade quando vago sei di cedere alla bellezza di quella che forse scelto già t'ha a tua insaputa, perché vuoi non fermarti all'esteriorità che ti si mostra distante un appena o lontana, ma goder più ancora del bene che ti si offre, toccarlo, farlo tuo e sarà non amicizia, ma amore! Io mi riferisco al tempo mio lontano quando le ragazze erano così use, prima studiare di lontano chi le pretendesse, e tu ti tormentavi su quando e come l'occasione ti si sarebbe presentata per timido approccio. E io tanto insicuro ero del mio potere persuasivo, che nemmeno pareva bastarmi che la ragazzina dell'epoca per me evidente smaniasse e un dir suo un po' affettato sfoggiasse con le amiche perché con più sicurezza la notassi, eppure poi la persi! Ma più completo dico se parlo dell'amore per questa mia piccola donna, che certo m'attrasse per la sua timida bellezza, come di lumachina che timorosa la testolina sua tiri fuori dal guscio, e io, che le ho chiesto il suo sì, da allora ne godo come di bene prezioso e raro. Presto però, per far più completo il mio sentire, alla sua bellezza del cuore mi rivolsi e fu la completezza d'amore, unica cosa della vita mia travagliata che un po' di gioia duratura m'abbia dato. E so che la mia è esperienza di molti. So anche che antichi filosofi hanno teorizzato questo apprezzare bellezze tanto diverse nella stessa persona, come di due momenti successivi a lungo coesistenti per la felicità reciproca tra amanti. E mi chiedo, Succede di simile col dio? Certo egli è bellezza e gioia, per questo immaginiamo bella la madre sua e così l'ha descritta felice, chi l'ha vista. Ma egli è anche dolore! Sì, e la gioia e il dolore nostri sono suoi, tutti suoi! Accade di simile nell'amore umano, si mette il proprio destino nelle mani dell'altro fiduciosi, affinché l'umanità dell'uno si arricchisca, sì della presenza, della prossimità di quella dell'altro, e questo vivere accanto è sì gioia, ma condividere tutto dell'altro genera anche apprensione e, se minaccia compare, sofferenza. Di simile il dio con chi è nel disagio o in angustie per precarietà, miseria, abbandono o malattia. Ma c'è più ancora, egli si identifica per amore col sofferente. Di simile nell'amore umano quando vera fusione di anime ci sia, quello accanto non è più l'altro che pur si ama, ma se stesso più in là! Ecco che si diventa quando si è vero tu per un io, indistinguibili nella gioia e nel dolore! E se dio ama tanto da identificarsi con me, so amarlo a tal punto nella presenza sua in chi è ultimo? Abbraccio vero un uomo concreto nel suo dolore o me ne mantengo distante e pretendo di abbracciare il dio, sì in verità l'immagine falsa che ne ho? Eppure non è che lì, appena accanto, e non so vederlo! Ben ha detto sant'Agostino, Timeo deum transeuntem!

martedì 28 ottobre 2014

La natura d'uomini



Quando all'approssimarsi dell'inverno vedi su filo rondini radunarsi a far bella mostra di lor corpicini stretti l'un l'altro, tu dici che seguono lor istinto e presto partiranno, una tutte seguendo, di simile vedi fare branco alla pastura un lor capo seguire lungo chinali erbosi, pecore o capre, mentre il pastore, forse sotto frondoso faggio, impigrisce. Così qui fanno uomini che lor istinti seguono e perseguono e tra lor li vedi far branco e star dietro a un loro eletto ad horas, perciò come dietro a banderuola. Perché qui tutto avviene nella banalità e spesso nella volgarità frettolosa di star dietro a interessi e appetiti senza morale alcuna e come bestie comportarsi i libidinosi del successo e della potenza. Eppure il dio ha parlato per l'araldo suo e invitato ha all'etica del perdono, amare i nemici e pregare per i persecutori! E tutti avremmo qualcosa da farci perdonare dall'altro e questi da noi! Se tutti seguissero questa sua volontà, né politica, né giustizia, né economia sarebbero necessarie in una società di virtuosi, qui a far anticipo di cielo. Invece la possibilità, anche remota, del perdono imbarazza i tanti duri di cuore e l'amore comandato per l'altro, chiunque altro, scandalizza i pragmatici arrivisti, che tutti e tutto calpestano anche lontano dalla meta sognata. Sono appelli a orecchie sorde che giungono come echi di un mondo pensato estraneo e mitico, comunque troppo lontano per lasciarsene distrarre. Qui tutto ha un costo, anche il fiatare, consumare l'appena per dover star scomodi tra altri, che tollerano chi è accanto, ma con fastidio, e tutto chiedono, nella venalità del contraccambio sbilanciato, all'insicuro e debole, sì, molto pagare e cedere per assai poco, in una società che vive per gli appetiti suoi tra rancori, violenze, misfatti. Qui la giustizia è di necessità punitiva, ma è giusta? E la politica è sì arte del compromesso, ma è compito assolto con serietà e disinteresse? Non è piuttosto impiccio tra furbi che si spartiscono, sobbarcandosene in apparenza l'onere del gestire, la fortuna che viene da cittadini fiduciosi, tra cui tanti pigri creduloni e sciocchi, quando non vili lor servitori, quelli che li eleggono, reputandoli, in buona o cattiva fede, onesti, a cotanto uffizio? E l'economia, che vive di vile denaro e lo genera o lo brucia in improvvisi guizzi che fanno comportare ad apparente capriccio gli speculatori nel cosiddetto mercato, fa la speranza di un mondo più ricco di novelle possibilità di lavoro e di faticato benessere per tutti? Ecco noi, tutti fatti deboli e insicuri, viviamo nel prosaico oggi, sollecitati da ogni dove a comportamenti liberatori, ma impulsivi e rischiosi che faranno colpa da cui alcuni verranno scusati, altri subiranno dura reprimenda, ecco la giustizia giusta! E così affrontiamo ogni giorno la fatica del vivere qui con lavoro quando mai più incerto con diritti negati, ecco le decisioni dei nostri politici in un mondo globale, che l'economia ha reso più precario! Niente proprio questa umana giustizia nei negozi suoi ha con la divina, che sì condanna, e proprio tutti, ma al pentimento per il perdono e l'amore, quello che l'uomo ricambierà divenutone capace a lui, che mai ha cessato d'amarlo, nemmeno quando gli si è fatto nemico, peccando. E la politica dei tanti brogli nel suo luogo sarà scialbo ricordo ché scambio lì c'è tra gente, ma con soli intenti d'amore. E l'economia pure sarà tutta di vestigia di un mondo trascorso, e allora uno scoprire d'aver qui dato l'appena, ma disinteressato, per vedersene contraccambiare lì una misura pigiata e scossa come quelle che s'usano per granaglie o macinato. E intanto qui siamo nell'attesa che venga la città del dio in cui tutto questo verrà concesso e viviamo tormentandoci a vicenda con problemi continui che nascono dal difficile rapporto con gli altri, gli appena accanto o più lontani. E vi stiamo con ricerca affannosa di soluzioni che accettate siano dai più e intanto rancori, odi, offese, violenze, guerre e morti premature da quelle. Questa è la nostra natura d'uomini nell'attesa che tutti come angeli torniamo a vivere, eletti nel mondo in cui il dio e la madre sua sorridono, ché lì d'amore si vive!

domenica 26 ottobre 2014

Morsus conscientiae



Quando dal passato cose belle e meno vengono fuori, noi le ricordiamo nella poesia della gioia autentica anche se piccola e contenuta o, richiamate con quelle anche le brutte, ce ne prende rammarico, vero allora immersi nella prosaicità del vivere, tristi per quei ricordi, umiliati succubi talvolta in quelle vicende lontane o più spesso miseri responsabili dell'altrui pena o dolore. Ecco, il tempo s'è interposto e ha sbiadito quei fatti alquanto tragici lontani, ma non li ha curati, li ha solo candidati all'oblio come accaduti sgradevoli, ma senza successo duraturo, ché ripresentati si sono in tutta la crudezza loro a suscitarci perfino un morsus conscientiae se vita morale abbiamo. Io mi sono come chi schivo sia vissuto e attento proprio alla vita morale, ma l'ho costellata tutta d'errori! Allora certi ricordi mi sono occasione di pentimento. Di che? Della fiducia che forse in me altri ebbe mal riposto o di quella che io, dall'ingenuità mia, riponevo nei protagonisti disincantati e agguerriti in quegli anni miei, verdi allora o comunque lontani. Io però così non rinnego quegli accaduti, mi identifico totalmente con quell'uomo insufficiente, titubante a ogni passo, che ero e forse sono, timoroso di subire il male più della possibilità d'esserne responsabile, come purtroppo m'accadde e forse m'accade. Ma ho il vantaggio di una vita lunga ormai, da spender per quel che ne resta nella sincerità, che mi fa sentire in libertà di giudizio che proprio da pentimento sincero prende la ragione sua, e che, presa coscienza dei fatti trascorsi, non belli se non proprio brutti, me li fa superare. Perché? È come mi sia preparato alla diversità e alla novità del rinnovamento in lunga gestazione e ora ho coscienza di non coincidere staticamente con il mio io passato, quello del tempo trascorso nelle brutture sue, fermo all'ieri buio, ma so di poter passare oltre, ché so di guardare alla luce per sentirmene inondato e che un sentiero mi illumina e indica percorribile, e mi sento, se non già rinnovato con coscienza lì lì come ricreata, almeno pronto ad esserlo. Sto per diventare così l'uomo nuovo che fin qui non sono stato, prigioniero di quelle storie, ora ripensate anche penose, ma dure nel coraggio della responsabilità che me le ha fatte guardare nella crudezza loro, non come prima le ricordavo, tutto preso nella paura di aver tanto nociuto o subito. Sì, allora non superate, non cancellate, ma solo accantonate. C'entrano il dio e la madre sua in questo superamento? Sì, perché mi rinnovo nella prospettiva del bene, non di un bene. Cioè ho l'intento di non fermarmi a una sua tappa, meta, sebbene desiderata alta, ma di umana portata, sebbene virtuosa, ma procedere, senza limite alcuno, attratto e guidato dalla luce nel tempo che mi resta, breve purtroppo. Ma l'aiuto divino, invocato o no, è necessario. Perché? Io parlo a chi crede, colui che, trovato de visu il suo dio, avrà vinto tutto e a chi non crede, ché allora dovrà ricredersi e pentirsi, o vincendo, ché il dio davvero non è, non avrà nemmeno la consapevolezza d'essere vissuto senza la speranza della fede e vanamente come altri. Sì nulla egli avrà, perdente ancora! Sebbene insieme con quello che tutto se stesso vi ha invece riposto e in essa trovato, se non la gioia, la serenità della sua vita, diversamente da lui, tribolato dal dio non trovato nemmeno nella morte. E allora che dirò? Noi viviamo in un mondo in cui tutte le cose e gli avvenimenti che le legano, sono ambigui, occasione possibile di incauta valutazione e d'errore. Perciò mai si è sicuri nei passi verso qualcosa o dell'allontanamento efficace da un qualcos'altro ed essere fiduciosi che il contatto nel passato con gli errori suoi ci abbia del tutto immunizzati, inculcandoci la coscienza del male. Perché l'uomo pentito, convinto di poter superare un accaduto, può ricadere nello stesso errore, visto quel fatto erroneamente come nuovo, perché in altra forma, diversa, d'apparenza innocua. Allora eccoci nella libertà di decidere del vecchio uomo che dorme in ciascuno, che occorre che fantoccio innocuo sia avvertito, non inquietante minacciosa presenza che il male richiama, e può esserlo solo se l'errore diventa peccato. Perché? Così resta sconfessato il proprio io malefico, che taluni pensano connaturato addirittura con l'anima, e il peccato nel pentimento fa vero morso di coscienza e perfino diventa occasione di rinascita spirituale. Perché non siamo più soli a lottare, siamo creature di un dio buono, per quanto forse a torto talora avvertito distante, e incomprensibile talvolta nei disegni suoi, messe a vivere in un mondo brutale. Abbiamo vero bisogno di guardarci come l'uomo nuovo, che, destato, più non s'addormenta. Sbaglieremo sì ancora, ma spiritualmente consapevoli di star percorrendo un itinerario di salvezza. In questo gli inciampi sono possibili, ma ci sentiamo guardati da un cielo amorevole, e che, pagati i debiti, riscattati, una in cielo ci attende sospirando il nostro distacco dalle cose mondane, caduche e peccaminose! È la stessa che ha accolto, particola del suo cuore divenuta, l'angelo senz'ali ucciso in Iran, che dopo il perdono del dio ne ha ricevute di apposite per volare a raggiungerla in cielo!

giovedì 23 ottobre 2014

Omnia admirari




Quando qui nel bosco, in mezzo a questa natura mi trovo, a me pare con l'ingenuità ritrovata in quest'ultima età, che tutte le cose vi ridano, affinché io le guardi per guardarmi. Come se in mezzo a una favola della mia infanzia io sia, in cui tutto, i protagonisti, uomini, creature e cose, recitavano la loro parte nella storia, tutte parlanti con consono linguaggio. Povere favole sospese fino ad oggi, nate per bambini più del consueto buoni e creduloni! E così mi sentivo e più ero in quell'epoca lontana, quando gli avvenimenti mi correvano incontro a sorprendermi quasi sempre non piacevoli, anzi amari, affinché abbandonassi del tutto, seppure residua v'era, l'età della spensieratezza per una di maggior consapevolezza dei fatti di qui. E poi arrendermi dovetti del tutto, vana la vita e cattiva in sé e anche per gli uomini, mediocri, cattivi e ipocriti, rari i buoni. E cercai un cantuccio per i sogni da tener lontano dalla vanità e banalità degli egoisti. Quando lo trovai? Sempre venivo risucchiato alla realtà in cui vero niente era nuovo, iniziata precoce la sofferenza mia, già dolorosamente provata nel cuore. Vero allora il nil admirari, d'oraziana saggezza. Perfino come stereotipi gli incontri e le storie dagli esiti scontati con le donne. Nihil sub sole novum, vero anche! Una ricordo che forte, ed ero e sono tutt'altro, mi voleva come il padre sognato, che invece latitante s'era reso dalla vita dei suoi! Un'altra più ancora, ché la so infelice, persa nei frammenti della sua memoria, che la mia fragilità, da cui mi veniva tanta sconsideratezza da smorzarle i sogni di ragazza, avrebbe forse dovuto capire e sopratutto scusare, e considerarla come occasione d'amore, come anticipo perfino della tenerezza dovuta a chi l'amava e al bisogno di protezione dei figli che forse le avrebbe dato. Ma poi venne questa piccola donna, tutta sogno in una ingenuità disarmante e ostinata innamorata contro l'evidenza della mia insufficienza e delle manchevolezze mie, che invece pareva dirmi a ogni sguardo, a ogni parola, omnia admirari! E io subito l'amai, dapprima nel segreto del cuore, temendo perderla come già m'era accaduto con le altre, perché le riversai tutto l'amore fino ad allora represso, e amata l'ho fin qui e l'amo pur ora! Il suo cuore fu il cantuccio della mia età matura? Forse sì, ché quelli insieme furono anni duri di molte infamie subite. Alle quasi si oppose altra donna tenace che sempre ricordo nelle mie preghiere, specie in quelle che la solitudine di questi luoghi mi suggerisce e di cui non so se più ammiravo la mente o la sua bellezza ormai quasi vinta dalla malattia e solo per chi, amandola, sapeva ancora vederla. E io la vedevo! Ecco proprio queste tutte le donne mie, anticipatrici di quella del cielo, delle altre più non so, né voglio. Ma questa mia piccola donna ha fatto di più di tutte, ha dato continuità e fatto rivivere il sopito e io fui e sono ancora uno che guarda nella meraviglia. E la meraviglia fa la mia gioia! Sì tutte le cose mi diventano motivo di gioia se ho l'occasione di star loro vicino o viverci accanto, si tratti pure di persone o situazioni che a loro mi legano. Solo così mi è possibile superare la sfiducia che mi segue nella vita a ogni passo, che me la fa ritenere vanità e vincere la stanchezza della monotonia del brutto e del male, che me l'insidiano. No, è bello tutto, è buono, è bene tutto come afferma sant'Agostino! E ogni cosa è nuova, non è già accaduta per ripresentarsi simile ancora, non è ripetitiva e va goduta come lì lì creata da quella del cielo per il diletto mio, suo amato. E tutte le novità che mi fanno gioia mi affollano il cuore e tutto è degno di ammirazione e fa interesse e amore. E allora a quella che da su mi guarda posso rivolgere una preghiera, non dalla solita disperazione, ma dalla gioia e dirle, non, Fagli o fammi questo, ma, Grazie di questo! E grazie della vita, perché c'è qualcosa di nuovo sotto il sole e vi sarà domani, se vederla vorrò. Niente ho perduto nell'attesa e nella speranza, ché, nonostante il passato buio, mi sono ritrovato, sono daccapo bambino, grazie alla donna che m'hai dato, e tutto mi fa meraviglia e la novità che irromper pare in questa natura mi fa sogno di lei, mi fa sogno di te, di quando con gli occhi tuoi la vedrò, come ora tu con i miei!

martedì 21 ottobre 2014

E sarà il perdono





Forse è proprio così, il dio non teme le novità, l'ha detto il pater patrum, ma qualche uomo di fede sì. Vive tra verità dogmatiche e non ne sa, o non ne vuole, uscire, non sospettando che, come per sé accade di restarne impegolato nella consapevolezza di averlo voluto, di simile egli imbriglia, o tenta di farlo, il dio. Ma questi segue spontaneamente chiunque, anche nelle conseguenze dell'errore, vero medico, per sanarlo e recuperarlo al vero. Ma costui è dimentico che il nostro credo ha una particolarità rispetto ad altre rivelazioni, il dio non è venuto solo per ripartirsi tra i fedeli quando riuniti nel suo nome, ma è desideroso di farlo con tutti, estranei inclusi. Non è questo il senso vero della frantumazione del pane benedetto e della sua condivisione nell'adunanza? Invito a che persone consacrate lo facciano a beneficio di tutti, anche e sopratutto dei sospesi, i temporaneamente considerati lontani dalla vita della comunità, che, se ritenuti malati, hanno bisogno di adeguato rimedio, e migliore per malattie morali non v'è! Negarlo è, lo ripeto, come irretire il dio o pretendere di poterlo fare, ignaro che egli lo segue pietoso ovunque vada per quanto neghi la sua verità. Certo il dio è umile e l'umiltà è discreta, pudica, non protesta mai, nemmeno contro lo staticismo, ma contrastarne il cammino è far durare, più del programmato, il male, ché questo mondo itinerario è al bene e durerà finché esso non sarà tutto in tutti. Per sant'Agostino tutto quanto esiste è bene, il male vi entra, permesso dal dio, quando l'uomo sovverte la gerarchia tra i beni scegliendo un bene minore in luogo del desiderato più alto. Ed è così che accade quando restar si vuole ai dogmi, questi sono un bene, ma non il bene, cioè v'è sicuramente di più del tramandato nella verità del dio, e questo di più, ignorato all'epoca della stesura degli scritti sacri, non è ignorabile per il resto della storia dell'uomo, che è storia di sé e del suo dio, perché lo scopo che essa duri è raggiungerlo e non lo si ottiene se ci si ostina a non conoscerlo, a contentarsi di una visione corta e confusa. Il male è quanto vi si oppone, non certo un principio in sé, una sorta di divinità parallela oscura e ribelle, continua sant'Agostino, ma è forte presenza in ogni uomo e inseparabile da lui, tanto ingannevole che proprio persona, cioè demonio, egli finisce, diventandone vittima, col crederlo e percepirlo, un'oscura personale forza con la precipua volontà di nuocere e non sa bene se in sé e/o nell'altro s'annidi. Più lo avverte così, sopratutto chi tenta di vivere moralmente e più ancora, chi eletto è a guida e a interprete della volontà del dio in una comunità. Sì, il male sta in rapporto così stretto col bene che questo soltanto, cioè il dio, perché non s'affermi stabile nel cuore umano, può individuarlo come prevaricazione ed errore, e gridare, afono ormai, che da esso si fugga, diventato ormai non pietra di paragone tra realtà diverse e diverse gradazioni di bene, ma di inciampo a ogni passo. L'uomo da sé non può esonerarsene e quasi sempre gli resta da ultimo solo il mito del diavolo invitto, cui finisce col credere. Ma gli corre addirittura incontro se, paradosso, si anchilosa nell'immobilismo, tentando di opporsi alla sua negatività facendosi schermo con la norma! Scopre dolorosamente che le norme tramandate sono assai generiche, non contemplano la potenzialità attuale che il male ha guadagnato nella sua attività infaticata, che mai ha requie, dall'origine del mondo. L'atteggiamento del rinunciatario, che rifiutandosi di capire l'attualità, si fa ottuso, si aggiunge a ciò che è oggi da combattere e superare, e forse è l'aspetto più deludente della presunta saggezza a cui noi del gregge facciamo riferimento e affidamento nei momenti di particolare silenzio del dio. Così oggi non si risponde in modo risolutivo al problema dei divorziati e delle coppie di persone dello stesso genere. Occorrendo partire dalla affermazione incontestabile che il dio ama allo stesso modo tutti e mai nega il suo soccorso a chi lo invoca, necessitando, nello specifico di questi sprovveduti, di intermediario umano, che però fa il sordo. Ma il tutto, pure questo vistoso non voler capire, ha una sua positività, il bene s'affermerà comunque e intanto è esaltato da quanto volontariamente gli si oppone. Esso ha l'errore come suo avversario, che impegna la volontà del dio al superamento e paradossalmente contribuisce a che s'affermi la sua verità d'amore, per il momento incompresa e occultata proprio da quelli del libro. Ecco anche così il male ora prevale, fa più buio questo inferno, vuole al solito che nulla si distingua, né insipienza né giudizio, né follia né saggezza, né odio né amore, ma pur verrà la luce, albeggerà! E chi ora sbaglia, pentirsi dovrà e nel dolore sperare, crollate tutte le sue certezze, che vero sia che l'amore è per tutti! Sì, proprio quanto ha volutamente voluto ignorare!





E sarà il perdono, donata a tutti la capacità di capire i propri errori e pentirsi, e sarà vittoria su tutte le resistenze, e il dio allora veramente sarà tutto in tutti! E sarà la pace e il suo luogo il paradiso.

domenica 19 ottobre 2014

Costretto all'amore?





Ecco la mia immagine in questo mondo, uno che ormai vi cammina stanco, pure ancora a ogni passo è costretto a decidere. Niente e nessuno mi esonerano, la vita quasi tutta alle spalle o la compagna fedele, che tenta di decidere per entrambi, risparmiandomene l'onere. In verità posso e quindi devo, ne ho la facoltà, la possibilità, la libertà. Ecco, posso riassumere la mia condizione dicendo che questa vita mi costringe a decidere, quindi mi impone la libertà di essere pro o contro ogni cosa e creatura sotto a questo sole, nello spazio che spartisco con loro. E il dio non fa di simile o più ancora, cioè esso stesso non costringe alla libertà? E perché? Permette il male, che non è tanto l'evidente intruso che inquina e insozza tutto, ma ciò che si insinua subdolo perfino tra cose o fatti, anche contrari, qui magnificando, lì denigrando, ma falso, e perciò inducendo spesso ad erronee decisioni e preferenze, sempre nella libertà di poterlo e quindi doverlo fare. Allora è proprio il dio, in ultima analisi, che costringe alla libertà, anche dell'errore, che insidia ogni mio passo? È il dio che ha condannato l'uomo ad essere libero? Ogni situazione pare sfuggire ai suoi comandi tramandati scritti, che fanno la norma della mia comunità di credenti. È nuova, inedita, ed esce quasi sempre dai limiti del non far danno all'altro uomo, quindi di per sé non dice come si debba decidere e agire. Ma la libertà in cui muoversi non è solo minaccia di danno proprio o d'altri, ha una positività, fa capire a chi tentenna che la presunta norma attribuita all'espressa volontà del dio, è angusta perché nemmeno intesa alla salvaguardia della specie, ma della comunità, del gruppo dei credenti. L'altro è il correligionario, non l'uomo in quanto tale! Ed io, proprio perché libero, e allargo l'orizzonte e voglio mio prossimo ogni altro uomo, pur pecco di vista e decisione corte e inadeguate. Allora scopro che, inaudito, quella che sembrava costrizione è il dono più prezioso fatto all'umanità. Quale? Modificare i propri angusti concetti, anzi ritenere la norma non rigida, ma da adeguare non ai tempi, ma all'orizzonte slargato della propria coscienza che deve salvaguardare non solo l'uomo, ogni altro, ma ogni cosa che vive o sta sotto al sole, con pari diritto ad esistere, a lasciarsene illuminare e scaldare. Ma questa realtà è dura e irrevocabile, tocca me, chi mi è accanto e mi ama, chi noi amiamo, chi incontriamo nel nostro vagare a caso a far il cammino della nostra vita, e tocca le cose tutte che occhieggiano a farci intendere che loro pure sono. E allora non c'è proprio criterio alcuno e ritornare si deve alla costrizione del dover decidere, all'idea dell'uomo costretto ad essere libero? È chiaro che l'uomo vero non può lasciar fare al destino e lasciarsi rimorchiare dagli avvenimenti, subirli succubo di questa vita e in ultimo del dio suo. Non deve essere così, pena la sua decadenza al rango di cosa, mero oggetto inessenziale all'economia e al progresso del tutto, quello che si lascia prendere, spostare, usare ad arbitrio. E accadrebbe così, riduzione a cosa, non a causa di ogni altro uomo, ma di quanto gli si agita, non tanto intorno, ma dentro, spingendolo alla non libertà dell'indecisione. E allora? Forse un criterio c'è nella scelta attiva, che non tanto la limita, ma le da la forza e dignità di frutto di decisione ponderata, responsabile. Quella del minimo danno per sé, gli altri e cose tutte sotto al sole. Ma è un criterio del tutto laico, piacerà al dio? Sì, se vivere così, è vivere in timore e speranza, cauti a ogni passo sentendo tutta la responsabilità di gestire la propria libertà, dono del dio. Ma lui vuole di più! Se gli errori sono, nonostante la cautela, frequenti o inevitabili, eccesso comunque, o trascuratezza riprovevole, bisognerà ricordare che per quanto forte sia il personale carattere, pure gli occorrerà umiltà, quella almeno di accettare i suoi limiti, ma sopratutto quella, donata dal dio, della capacità di chiedere perdono. A chi, a che? A tutto, perfino all'aria consumata e alle cose viventi che son dovute diventare suo cibo e alla natura così saccheggiata e anche insozzata dalle deiezioni sue. E potrà accadere solo sentendo il peso delle conseguenze dei suoi comunque vistosi, anche se all'apparenza solo larvati, errori, non occasionali ma dolorosamente frequenti. Egli che pur possedeva sensibilità, fantasia, salute, forza e bellezza, se femmina, le ha sciupate tutte nell'ondeggiare delle situazioni, scegliendo in definitiva solo per sé o al più pro domo sua. Ecco, riconoscersi indegno egoista fa sì, in ultimo, che l'uomo riconosca che non alla libertà è stato costretto, ma chiamato all'amore per ogni cosa del mondo, che il dio ha per lui creato per farglielo amare e così farsi amare! Ma l'amore, come solo criterio nella libertà d'agire, perciò non comunque per mero arbitrio, ma allo scopo di essere in una umanità vero umana, è riconosciuto da me e da tutti solo lungo la strada del perdono. E mi dirò, La mia libertà non va spesa per aumentare il disordine e il male a questo mondo, ma con l'intento di ridurli, e lo potrò solo amando, ecco il mio criterio nella libertà! Questo capirò per la via che percorro nell'umiltà, avendo chiesto perdono. Questa via per quanto angusta e dolorosa è breve, qualcuno ci corre incontro dall'altra parte e ci chiederà perdono per primo! Chi è? Il cristo! E di che? Di averci amato tanto da renderci arbitri nello scegliere e decidere, permettendo anche che sbagliassimo dolorosamente, ma solo perché capissimo l'amore, il ricevuto da lui e da tutti e quello da donare a tutti e a lui. Sì, affinché gli uomini tutti lo riconoscano degno d'amore, che nel dolore del pentimento non è più costrizione, ma il più suadente degli inviti, da colui che è chi piange con l'uomo!





Anche una sola vera lacrima versata non è mai solitaria!

sabato 18 ottobre 2014

Speranze e paure



Già nei miei rapporti umani comuni sono speranza e paura, sentimenti che mai mi lasciano e s'accentuano se una persona fa particolare il mio interesse. Sono queste desiderare di piacere e allo stesso tempo temere di non poter essere accolto, e mi fanno struggente apprensione, come siano un anticipare a un tempo il possibile bene e il dolore di vedermelo negato. Ma più ancora le avverto nell'incertezza del rapporto di me, uomo, col mio dio, mio tutto. Verrà una risposta e quale? Sarà la desiderata? La paura fa grande tristezza, la speranza piccola gioia, effimere entrambe, ma che si rinnovano dopo tregue brevi di sfiducia e stanchezza. Nell'attesa dell'assenso o della ripulsa chiari da lui, ci sono le fallaci risposte dagli uomini, e si resta nell'incertezza trepidante del sì o il no dal dio, che può durare la vita tutta. E io mi chiedo, se mi sovvengono dolci memorie di bei fatti trascorsi, Sarò stato piaciuto da quella del cielo? E di simile se ho candidi sogni. Le piaceranno, verrà in essi? Ché la vorrei la misura della felicità qui a me concessa. E la misura della presenza sua è quanto si ama, anche non riamati! Cercherò di dirne il perché. Intanto se felice sono stato, lei deve avermi sorriso approvando, se esserlo vorrei, questa speranza sarà concretezza, lei desiderandolo. Finché io vivo tutto il mio è solo da lei! E, io vivendo, vive l'immagine sua nel mio cuore e dall'amore mio ella può riamare questo mio mondo, ché cuore e occhi ho su esso e lei lo guarda per me e provvede alle carenze sue solo col mio impegno. Quando finirò si spegnerà con l'amor mio il suo, che dovrà cercarsi altro spiraglio. Forse più ampio con migliore visuale, che susciterà più adeguata risposta alle necessità del mondo, ma come potrà scordare di aver visto e amato anche per questo mio angusto e sprovveduto cuore? Questo sempre ha sperato di donare il divino col suo povero amore umano e temuto di non dare abbastanza fosse pure tutto se stesso, come avvenuto è almeno con la piccola donna sua. Ché sperato ho che l'immagine di lei amata da questo mio cuore sia stata proprio quella presente nel cuore suo divino di madre, e paura ho avuto di non essere stato capace di tanto affetto dovuto. Perché colei che tutti ama, guarda alla vita di chi è amata con gli occhi dell'innamorato ed ella le parla proprio con le parole che a quello suscita amore. Ma questo rende chi ama responsabile di veicolare una cosa grande senza pari, l'amore divino. E mi dirò, Ho ben assolto il mio compito o colpevolmente le ho fatto percepire un manco d'amore, inesistente nel cuore della sempre fedele del cielo? Ecco la finale paura, quella che vero abbia tentato d'amare la tutta bella del cielo con insufficienza, povero l'amore donato all'icona sua di qui. Sì, ho paura sia stato vero inadeguato il mio povero amore umano riversato su questa piccola donna, tanto desiderosa del mio affetto, che potrebbe non bastare alla necessità del suo cuore di pretendere sì il mio amore, ma attraverso me anche il divino! Ecco, perciò sono in apprensione e ansietà e mi resterà la speranza di efficacia di una sola risorsa, non sciupare più tempo, essere tutto per la mia piccola donna, e se non sarà abbastanza, difettoso ancora il bilancio, invocherò da questa perdono della mia trascuratezza e inadeguatezza ed ella mi risponderà e sicuro saranno parole ancora d'amore, dandomi l'illusione che di simile mi risponda la tutta bella che m'attende in cielo, là forse con meno indulgenti occhi. Ecco ho davanti questi occhi dolci e il nero delle pupille loro, più grandi nella penombra, mi attrae, spero di smarrirmici e non più uscirne, tanta la paura del mondo senza lei!

giovedì 16 ottobre 2014

L'importanza del fine


 
Quando in mezzo a questo bosco sono, forse la pace che vi regna scorrere fa veloce i pensieri e quasi sempre sono sulla vita e il significato suo. Comincio, come sempre, da considerazioni già fatte e ne traggo altre conseguenze. Ma lo scopo finale sarà avvertire l'umanità mia vero umana, preoccupato di non solo di auspicare l'attuazione del sogno divino, ma di come impegnarmi per esso nel tempo che resta. E qual'è? Che siano abolite le barriere che le diversità di razza, di credo, di doti fisiche, mentali, di possibilità economiche, sempre frappongono tra uomo e uomo, gente e gente, tutti allo stesso modo amati. E perciò anche frapposte tra l'uomo e il dio. Ma non basterà abbatterle, anche se allora la vita qui sarà molto migliore, ci vorrà dell'altro per raggiungerlo! E allora mi chiedo quale sia il compito dell'amore umano in quest'anelito. E inizio così, La vita, quella in questo bosco, favorita è da ciò che la rende possibile e l'accoglie, ma ostacolata, fino a perdersi, da ciò che la contrasta, ma essa lotterà per prevalere e mantenersi. Molto diversa quella dell'uomo? Questo sta tra i simili suoi e si assoggetta alle leggi sociali che regolano la convivenza, che sono leggi anche morali oltre che politiche, e fanno la storia personale del singolo e la collettiva della comunità. L'adesione sarà più o meno convinta, ma una regola inconfessata condurrà a che ci siano multa mala e pauca bona nel bilancio di quella storia. Quale? Accettato sarà qualunque mezzo, giustificato dall'importanza del fine. La sopravvivenza del suo sé tra molti giudicati più agguerriti. Allora il singolo cercherà il suo posto tra gli altri con ogni mezzo, anche la tacita trasgressione delle norme, pur di garantirsi il fine, l'appena sufficiente o il più del necessario. Ma la collettività potrà fare di simile, l'uso di ogni mezzo per un fine? Sembra addirittura più fragile nel suo procedere. La sua storia è nella natura. Intanto la storia globale è condizionata da fattori imprevedibili, crisi politiche, sconvolgimenti economici, pandemie, guerre, tutti dell'oggi. Poi al di là di tutto essa sembra seguire un suo corso, in un oscuro disegno di salvezza della specie, apparente solo fine, in cui la storia del singolo, sempre trascurabile per la sua non essenzialità, può rimanerne schiacciata. Eppoi di tutto è spettatrice la natura indomabile, come stanno a significare fatti recenti da noi accaduti, danni e morti da alluvioni, complici gli sconvolgimenti climatici e l'incuria dell'uomo, a far misera la sopravvivenza nella precarietà in essa della vita di tutti. E allora? L'uomo ha un'ultima risorsa, il dio. Pensa che il bello e il buono, che vorrebbe almeno per sé e chi ama, gli siano peculiari e che la sicura benevolenza verso chi viver deve da lui distante, permetta dei compensi, esenzioni perfino. Naturalmente è mera illusione, ché il dio ha una sua storia in quella umana, riassunta, anticipata per noi posteri, in quella tragica del suo cristo. E questa sembra volerci dire che non lo si raggiunge che per la porta del dolore. Questo non è assurdità tra le tante, ma è l'unico mezzo che si giustifichi con la preziosità del fine, la pace! Dovrà essere accettato da tutti, tanta l'importanza di questo fine! Dove, quando sarà raggiunto? Sarà dove e quando il dio chiamerà, se non avrà vinto la disperazione a interromperne l'attesa! Allora evitarla sarà il precipuo scopo dell'amore, e la sua misura è quanto si è capaci, alla luce del cristo, di prendere su sé il troppo che schiaccia l'altro. E non fa questo, qualcuno nella mia vita? Prende del mio e ne fa sua angustia! E lo fa con tenera delicatezza di donna.

lunedì 13 ottobre 2014

Eutanasia, la bella morte





Ecco, la vita che già è tanto travagliata per tutti, tragica talvolta diventa per chi più lacrime non ha per persona cara di cui, smarrito e impotente, assiste ai gemiti, ché tregua non dà il dolore estremo. È il suo abbandonato! Da che? Dalla vita, nell'evidenza! Da chi? Dal dio, nell'apparenza! Ma più, e nella concretezza, per gesti solidali negati da altri uomini, indifferenti a ciò che di radicale, estremo e brutto gli accade. E di fatto lo sono anche quelli che si ostinano a non capire che la vita è giusto sia lasciata anticipatamente, quando morte s'annunci dolorosa e tormentosa, a dispetto dei farmaci e di altri mezzi moderni. Negano perciò per presunta sensibilità morale o religiosa il diritto alla “bella morte”. Ché accade che nulla possa la pietà da sola, che pure albeggia nella tenerezza di chi non fugge, perché ama disperatamente lo sfortunato. Vincerà il male, che correre incontro sa inesorabile seguendo la caparbietà sua. Occorrerà qualcun altro che sciolga dolore e vita! Sta accadendo in America a giovane donna pur amata dal compagno, ella non guarirà né migliorerà, angoscioso il male suo, impotente l'amore dell'altro. Ha già scelto tempo e luogo per la sua fuga alle stelle e forse potrà essere assistita, ma intanto perfino la si insulta da insensibili saccenti di cose del cielo, ché determinata è a infrangere il comandamento, non uccidere. E mi chiedo, Non è forse vero che lo si evade di continuo? E non si permette forse la “brutta morte” di uomini in molti paesi con le condanne capitali, nelle guerre onnipresenti, sempre fratricide, nelle intolleranze e persecuzioni razziali, nelle pulizie etniche con i campi di sterminio e in tante altre occasioni, modi e motivazioni? E non lo si fa addirittura talvolta nel nome dell'unico dio? E non si adducono a giustificare tale folle incoerenza perfino i testi sacri, letti volutamente male dagli ipocriti, ché il male può essere tollerato, mai comandato dal dio. E poi oggi non fa tanta tristezza ai buoni, benpensanti o religiosi, chi per sua mano, con condotta sconsiderata, logora la sua vita e si prepara a morte prematura, comportamento da vero suicida differito? Così molti uccidono se stessi irresponsabilmente o anche poco consapevoli del danno che si accumula, altri consapevolmente il prossimo, qui o là, dappertutto . Alcuni lo fanno per irresponsabilità anche criminale, altri per trascuratezza e indifferenza di fronte ai bisogni dell'altro o per inerzia del pensare solo a se stessi in egoismo sfrenato, vedono e non provvedono, sanno e non protestano e non prestano la loro voce a chi più non ne ha, già troppo avendo gridato. Tutti non meno spietati di quelli che uccidono in guerra, che, anche se la si dice santa, ha sempre motivazioni oscure o inconfessabili, mai riferibili alla volontà del dio. Mentre si ammetterà al fine che è sempre rispettabile la decisione di chi, medico, nella coerenza con la propria coscienza in condizioni specialissime, si pone a servizio della “bella morte”. Agisce nella pietà, credendo alla solidarietà sempre dovuta e così si fa, ché vuole esserlo de facto, vero prossimo a chi lo guarda riconoscente. Egli ha risposto alla sua disperazione senza parole, ha agito piuttosto che spendersi nella loro inutilità e ne ha permesso la liberazione dal male senza speranza di tregua.





E io mi sono chi non guarda dall'altra parte, non finge di non sentire, anche se non sa se capace di domanda e risposta adeguate, fin qui risparmiato dalla necessità di chiedere tanto per sé o doverlo offrire all'altro.

sabato 11 ottobre 2014

Chi salva il dio



Quando mi dormi accanto e sento le tue labbra far dolce brusio, ché stanca sei dei mestieri in cui t'affaccendi tutto il giorno, e subito t'addormenti, mi inviti al sonno di bei sogni che protagonista ti vorranno, ché se ho il mio bene tanto vicino notte propizia sarà. Chissà forse anche per concretezze! Sì, intanto dolce carezza mi fa quel lieve suono e m'addormento, ogni volta pensando a quando al mattino, tu, già levata, verrai furtiva ad indagare sul mio attardato risveglio e fingerò di dormire per guardarti allora, dischiusa la porta, ché sarai tutta i tuoi occhi. Ecco cos'è questa età, da piccole cose grandi gioie! E se vero è che il dio passa e parla, certo lo fa per la voce tua, che a me tanto melliflua dice. E io t'ascolto e così lo ascolto, ché la tua non è voce che suona e sparisce, ma a lungo permane in cuore innamorato di te e della madre sua. Così io posso tentare di secondarlo nella libertà di quest'amore. So così che m'accorda un privilegio, amarlo, amandovi. E se non è illusione, è il compito più dolce da assolvere. Fossero anche emozioni passeggere, moti del cuore di breve durata, respiri di un attimo o sospiri, non li considererei luccichii fatui, ma sensazioni dell'oltre l'apparenza delle cose, di qualcosa che sta dietro o in fondo alla natura loro, e vuole svelarsi, e vuol farlo adesso, corto il tempo! E allora tu ne sei a un tempo tramite e schermo. Ché tutto di te sembra invito a qualcos'altro ed è sensazione che m'è durata la vita tutta, ché t'ho accanto come mistero d'amore, che dice di sé e subito si schermisce, geloso e quasi timoroso di poter esser tutto svelato, ma non accade. Ecco perché affascinato son dagli occhi tuoi, qualcuno per essi mi guarda e io, che non so chi sia, voglio credere sia la madre sua e che tu palpiti dai al suo cuore, e che viva di te per me. Ché l'amore umano è un appena del suo. E tu lo dischiudi con gli occhi tuoi belli. Ti ha fatto per me senza io lo chiedessi e ora necessita di te per salvarmi e salvarsi! Da che? Dal nulla!Perché oso pensar così? Se tutto sparirà con me, perché avrei intravisto, perché anche una sola stilla d'amore sfuggita le sarebbe, e scesa come lacrima sul tuo bel viso a farmi tenerezza, perché tanto suggerire, tanta fatica nel farsi capire, se non perché mi si donerà al tempo suo, come tu a me ti doni? Illusioni, anche grossolane, ma pure schiette intuizioni, pretese di considerazione e d'amore, tutte s'affollano tumultuose in un piccolo mondo di due, il nostro, per poi diventare solo nulla? Se non destinato alla luce, nemmeno vederne dovrei un barlume, invece al mattino ecco tu dischiudi la porta, appena uno spiraglio, e con la luce radiosa gli occhi tuoi, luce essi stessi, a illudermi di lor bellezza. Se non sono destinato all'amore perché amato m'avresti e tanto? Sì, è proprio l'uomo che salva il dio dal nulla! Paradosso, ma sempre d'amore, non è da vanagloria e presunzione di capire l'impossibile, non è da ottusa vanità, se si ama e si è amati può essere perfino evidenza, e far gridare che è destino e scopo di tutti. Tutte le creature fanno la coscienza del mondo di esistere e gli uomini la fanno di stare per il dio ed egli potrà trasformala e lo farà sublimandola, ma è l'uomo che anticipa necessaria la salvazione di amato e di amante dal nulla incombente e glielo suggerisce l'amore per gli altri e le cose tutte. E io uomo non posso nulla dire né fare se non per l'amore di piccola donna, e io così ti vedo. Sì, voglio ripeterlo e dirlo con più forza, tu sei per me quella che svela e vela, tu quella che permetti d'intuire il nostro destino comune, lo scopo di questa vita, di più non potendo, e così, anche se ciò che suggerisci non diventa certezza, a me basta, da esso viene tutta la mia fede di star per l'amore, inizia e termina con te! E come tu fai, ogni donna fa, amando ed educando all'amore, solo così salva se stessa, l'uomo suo, e il dio e il mondo!

giovedì 9 ottobre 2014

L’ultimo rifugio





Quando un amore finisce, non importa perché e come, certo l’uomo che è tale, non denigra quella che fino a poco prima diceva la donna sua. Ma palesemente o in cuor suo le è grato per l’esperienza insieme, che ha arricchito le loro umanità, e d’aver condiviso lo stesso sogno, averne vissuto l’incanto sebbene solo nelle premesse, in una storia troppo breve, o mai abbastanza lunga, finita, dovuta finire. E costui mai disse parola cattiva, ma in passato serbò riconoscenza anche ai giovanili amori finiti, mai inutili o indegni, eppure forse è solo piccolo uomo, come io mi sento di fronte ai miei compiti. Io forse un po’ critico sono, ma certo non volgare, se giudizio chiede il me d’adesso sul me di quando analoghe esperienze lontane ho vissuto e sulle donne, personaggi di quelle storie. Sì, io per me sono uno che mai biasima, o disprezza, o diffama e che ha conservato in uno scrigno i fatti passati e i sentimenti che li accompagnarono e questi trattiene come preziosi, insieme ai ricordi di quelle poche cui amore disse, cui far riferimento nei momenti peggiori. E questo metter da parte fatti salienti e belli è un processo di arricchimento che inizia dall’infanzia e dura la vita tutta e fa la parte migliore del sé di ognuno. E tutti vi attingono prima o poi. Ma c’è un’insidia, la tentazione di rifugiarsi là dentro! E ora dirò quando.


Così di simile accade quando la fede muore, conseguenza estrema del male subito, in apparenza senza alcun aiuto dal cielo, pure invocato, pure preteso da chi si sia sempre illuso d’essere privilegiato d’amore, sapendo il dio, amore. Allora ci si arrende al male che di tutto priva pure della speranza che quello che capita abbia un senso, mai alla volgarità però si cede, e anche se si ha come sensazione penosa e sofferta che il dio vergognoso si voglia dissolvere nel nulla, mai si denigra il fuggiasco, anzi si tenta disperatamente d’amarlo nonostante. E se parlare alla divinità non è più possibile, mai si diventa rancorosi per la propria passata ingenuità che le affidava nel segreto del cuore sospiri e lacrime, ma si continua a farlo con la propria parte migliore, anima chiamata, calpestata, umiliata dall’insistenza e dalla eccessività del male e ridotta a stare appena, ma non dissolta, non sparita. Ma di più è possibile se fortuna si ha di piccola donna non fuggita via, la presenza sua consolatrice continua a esserlo alla perdita del dio, anzi con quel piccolo fiore, ma stanco, si dialoga e a lui si confidano le pene, perché tenta sempre di rinnovare col dono di sé un po’ di fiducia e così un po’ tacita non solo il male rabbioso, ma perfino le conclusioni motivate e razionali sulla non esistenza del dio buono e provvido. Si ha la sensazione che, pur piccola, come fiamma perduri nonostante le soffi contro vento forte e gelido. E a chi è rimasta tale preziosità rinasce a poco a poco, piccola e smarrita, la speranza che tutto possa attenuarsi un po’ e, se vero tregua viene, che altre siano possibili. È forza dell’amore umano. Il bene non è morto e forse è proprio il dio che continua a gridare contro il male sebbene solo con la tenacia di una piccola donna! Ma quand’anche ridotti a star soli, perduta anche la donna dei giorni migliori, come ultimissima risorsa c’è il proprio sé. Ecco quell’uomo ridotto ad appena parvenza, dirà, Io sto con me, sebbene come larva ormai di me stesso, e il male fin qui non entra, sta fuori! Tutto esso ha inondato e travolto, ma non inquinato quest’ultimo estremo rapporto del sé con se stesso. Come se il nucleo che fa coscienza di stare al mondo o, se si vuol così chiamarlo, l’anima, si sia sdoppiata e la parte sfiduciata e disperata s’appelli a quell’ultimo residuo di bene in se stessa, che non possa essere cancellato. Quando s’è formato, chi vi ha contribuito? È della primissima infanzia il suo costituirsi e vi ha versato del suo la madre amorevole, sue le carezze e le parole dolci e i sorrisi, poi anche vi sono stati gli incoraggiamenti di padre e la sicurezza trasmessa da fratello più grande, come a me proprio è accaduto. E per me più in là anche le corse nei campi assolati con la tutta capelli d’oro, ché null’altro ricordo di lei, la piccola che in parte compensò la amara perdita di mio fratello. Ma come ho già affermato, questo processo di stipar cose belle dura la vita tutta, è cosa buona e naturale e vi attingiamo nei momenti brutti a rinnovar la speranza di novello bene. Sì, ma è forse follia ritirarsi in questo mondo di tanti frammenti di ricordi gradevoli e volervi rimanere, quando fuori tutto sia negato, ma talvolta la follia è l’ultimo rifugio dal male! E so di un mio piccolo amore, così fuggita. E poi sarà la morte col suo nulla, ma vi precipiterà con noi l’ottuso male e i demoni suoi! E il dio? Ci ripescherà da lì, se c’è fuor dei nostri cuori, rimasti innamorati del bene!


Ecco io ho scritto queste cose quasi con rabbia, ché temo il male per chi amo soprattutto, ma non progredisco, sono fermo alla scommessa pascaliana , Credere conviene, ché se il dio c’è si vince tutto, se non c’è non si perde nulla! Ma a me non consola!

mercoledì 8 ottobre 2014

Il suo modo d'amarmi



Proprio come i passi di questa stagione, qui nel bosco dei tanti sentieri offerti ai solitari che vi si inoltrano, che si fanno felpati sulle foglie cadute, che ne ricoprono i ciottoli, anche se non del tutto silenziosi, ché il tappeto non è che appena formato e pioggia dal cielo tarda a renderle del tutto soffici e quelle talora scricchiolano un po', così i pensieri che la solitudine suggerisce non s'attenuano del tutto, ma a tratti qualcuno pare aver motivazioni più pressanti e si fa strada tra tanti appena accennati, proprio come a mente stanca talvolta accade, così come essa pigra si fa nella passeggiata, lenta in questi percorsi intricati. Quando la vita concede nella sua corsa simili pause ecco ne godiamo un po', avvertendo i pensieri più calmi nella libertà della pace, per poi daccapo tornare a quelli pressanti che temono, nell'incertezza, il male possibile a ogni ora. Essi fanno di per sé sofferenza, così come i miei passi solitari che, abbandonando il folto del bosco, rumoreggiano, attraendo l'attenzione, sullo stradello bianco e spezzando la sensazione di serenità di poco prima. Ecco sono tentato di tornare a farmi domande sul significato della mia vita e più ancora insidioso a chiedermi quale per tutti, se alcuno ci sia comune. E lo faccio come bove stanco trascina l'aratro, ché altri lo pungola e costringe a far novelli solchi su già faticato campo. Ma poi decido che guardare alla vita personale significa soffermarsi ai singoli tasselli di un grande mosaico e perdere la visione del tutto, ché quand'anche chiaro il progetto per se stessi, sempre sfugge il collettivo. E saperlo è invito per l'intelligenza al pessimismo. Ché c'è disparità di condizioni e quindi di sorte, e questa è affermazione ragionevole dettata dal guardare appena accanto a ciò che capita a chi ci è vicino o appena distante. Ogni epoca assembla il suo mosaico e l'insieme di tutti farà la storia dell'umanità e del suo travaglio, convivere col male! E v'è esperienza anche del bene, bello e suggestivo anche se raro e dai più sempre agognato e che mai par durare troppo. E tutti, quale la loro personale storia lo vedono passare rapidamente e sparire attorno a loro o dentro di loro a rendere precaria la speranza del suo ripresentarsi a breve, a meno che lo sfacimento suo non sia arrestato da una risorsa così particolare nella nostra specie, l'amore, che s'attende il bene da tutto, a ogni occasione, e permette l'ottimismo che aiuta la vita e arriva a pensare che il male, che l'insidia, possa ritirarsi per la vergogna d'agire tanto sfacciatamente, quasi fosse persona responsabile. Ecco, vivere si può d'amore per tutto. É illusione o una forza che perfino santifica l'esistenza? Sì, c'è proprio chi sa da dove viene tal forza, dal vero antagonista del male, il dio, e crede costui paziente, longanime, ma anche debole e succube per amore dell'uomo nell'affanno suo. E ora vero stanco di simili pensieri che pongono da sempre domande, senza univoca risposta, decido di tornare per gli stessi sentieri. Io ho un amore che m'aspetta e a lei penso e sarà inutile chiederle se almeno un po' m'abbia pensato. Direbbe che affannata s'è ai soliti mestieri la mattinata tutta, ha steso prima il bucato delle cose mie, poi ha provveduto ai miei gatti sempre famelici e alle galline che uova per me depongono se ben ne ha cura e le pianticelle nuove dell'orto, che invano attendono la pioggia ha dissetato, ché a suo tempo divengano verdure a me tanto gradite, poi che per me anche ai fornelli s'è occupata. Sì, tutto dice di fare nella prospettiva mia anche le cose di suo diletto. E io credo sia così, è il suo modo d'amarmi!

sabato 4 ottobre 2014

L’amor tuo mi salverà





Se tu, amica mia dolce, come altre donne usano fare, vieni presto al mattino in questo bosco della collina che tutta al mare si protende con la parte antica della cittadina nostra, guardando ad orto può capitarti, di questa stagione, di assistere al ritorno del sole, che s’appresti a percorrere l’arco suo, piccolo divenuto, tutte indorando le sonnacchiose nuvole all’orizzonte, appena sbucato da dietro le basse propaggini dei nostri monti. E sapresti, respirando l’aria ancora pungente, dalla amenità del posto con prematuri canti di uccelletti, che un giorno fausto s’annuncia, che è tuo, ma che certo condivider vorrai con colui che, come perno dei pensieri tuoi celati, il tuo cuore dice d’avere. Sono io proprio?Tu l’hai appena detto! Come? So che di simile speranza di bene giovane cuore s’inonda anche se inattesa gradita nuova giunge da amore lontano, e sei tu che hai cuore giovane rimasto e io appena parlato t’ho coi mezzi della modernità, e son qui lontano ancora ad illudermi d’amore per te e a sospirarlo d’ansia di rivederti. Ma se qui giungi e non trovi che t’aspetti, magnificato e anticipato nelle parole mie, ma alte nuvole grigie a far schermo al sole nascente, ne resteresti delusa e ti si velerebbe un po’ il cuore di tristezza, come quelle fanno al cielo. A me di simile accade se di buon mattino, com’oggi è stato, timido approccio con te tento e pregato vengo di desistere, ché la notte tutta trascorsa hai insonne. E mi si stringe il cuore non certo per l’occasionale rifiuto, che pur vorrei non ripetessi più, ma perché la tua angustia mi taci e io non so leggerti dentro, il cuore. So che crucci la dabbenaggine mia sempre ti provoca e sicure ansie la precarietà mia, vissuta in quest’ultima età. Ma il fatto contingente di cui t’accori mi sfugge! E ripenso al tempo lontano in cui ero io a nasconderti le angustie che mi tormentavano, com’oggi a tanti accade di soffrire, perché come a me allora, per lo più da incertezza e precarietà del lavoro nascono, affinché tu te ne stessi tranquilla e sicura, a badare ai piccoli nostri. Ma ancor prima molto ti tacevo, fin dai nostri convenuti primi incontri, come temessi di significarti amore perché inadeguato alle esigenze tue mi giudicassi, come era accaduto con donne precedenti pur innamorate, prima o poi d’esserlo tutte vero confesse in nostra breve storia insieme. O quanto deluso ne ero restato! Ma a te presto m’arresi, nuovo l’incanto, cattivante il tuo ingenuo invito, ma perché non confidente, celando quasi tutto nel cuore, restato timoroso d’abbandono. E forse omisi le mie parole più belle che il cuore per te dettava e il tuo desideroso d’ascoltarle immagino. Ma che l’amore in te durasse, accadde, nonostante il mio comportamento di involontaria dissuasione, ché invece proprio che non sfuggissi desideravo in cuore, e a dispetto di gente impicciona e pettegola che altro epilogo, chissà perché, voleva. Ecco io non persi il tuo amore e tu primeggi tra le poche donne buone della mia vita. O quanto vorrei che per questo tuo ostinato amore, vittorioso perfino sulla mia stupidità, quella del cielo accogliesse, quando sarà che ella chiami, le nostre novelle forme là dove vive il suo cuore! Io so di non meritare di andarci con te, troppo hai sofferto da me, anche fatti recenti lo dicono, ma tu donna innamorata sei stata e, io credo, ancora sei sebbene cauta forse ora, a lungo delusa, nella speranza che io proprio la dedizione tua tanta, contraccambi allo stesso modo. E’ proprio tardi, se sincero ho amore da sempre, ché di simile possa fare? Ma la tutta bella commuovere deve l’ingenuità tua conservata per questo mio cuore, sì innamorato, ma ancora duro all’apparenza, però rapito dal mistero tuo che ella solo sa capire, e vorrà perdonarmi e prendermi con te, ché continuino i nostri sospiri e la mia gioia d’averti vicina, in casto amore. Così l’amor tuo, come fin qui ha fatto, mi salverà! Sì altra ricchezza non ho, se non te e con essa pagherei, se servisse, a usura il bene che ci attende nella felicità dei buoni, anche se, tanta la mia insufficienza, spenderla tutta dovessi e così solo vederti di lontano, tu stella divenuta. Mi basterebbe, continuerei a sognarti!