giovedì 9 ottobre 2014

L’ultimo rifugio





Quando un amore finisce, non importa perché e come, certo l’uomo che è tale, non denigra quella che fino a poco prima diceva la donna sua. Ma palesemente o in cuor suo le è grato per l’esperienza insieme, che ha arricchito le loro umanità, e d’aver condiviso lo stesso sogno, averne vissuto l’incanto sebbene solo nelle premesse, in una storia troppo breve, o mai abbastanza lunga, finita, dovuta finire. E costui mai disse parola cattiva, ma in passato serbò riconoscenza anche ai giovanili amori finiti, mai inutili o indegni, eppure forse è solo piccolo uomo, come io mi sento di fronte ai miei compiti. Io forse un po’ critico sono, ma certo non volgare, se giudizio chiede il me d’adesso sul me di quando analoghe esperienze lontane ho vissuto e sulle donne, personaggi di quelle storie. Sì, io per me sono uno che mai biasima, o disprezza, o diffama e che ha conservato in uno scrigno i fatti passati e i sentimenti che li accompagnarono e questi trattiene come preziosi, insieme ai ricordi di quelle poche cui amore disse, cui far riferimento nei momenti peggiori. E questo metter da parte fatti salienti e belli è un processo di arricchimento che inizia dall’infanzia e dura la vita tutta e fa la parte migliore del sé di ognuno. E tutti vi attingono prima o poi. Ma c’è un’insidia, la tentazione di rifugiarsi là dentro! E ora dirò quando.


Così di simile accade quando la fede muore, conseguenza estrema del male subito, in apparenza senza alcun aiuto dal cielo, pure invocato, pure preteso da chi si sia sempre illuso d’essere privilegiato d’amore, sapendo il dio, amore. Allora ci si arrende al male che di tutto priva pure della speranza che quello che capita abbia un senso, mai alla volgarità però si cede, e anche se si ha come sensazione penosa e sofferta che il dio vergognoso si voglia dissolvere nel nulla, mai si denigra il fuggiasco, anzi si tenta disperatamente d’amarlo nonostante. E se parlare alla divinità non è più possibile, mai si diventa rancorosi per la propria passata ingenuità che le affidava nel segreto del cuore sospiri e lacrime, ma si continua a farlo con la propria parte migliore, anima chiamata, calpestata, umiliata dall’insistenza e dalla eccessività del male e ridotta a stare appena, ma non dissolta, non sparita. Ma di più è possibile se fortuna si ha di piccola donna non fuggita via, la presenza sua consolatrice continua a esserlo alla perdita del dio, anzi con quel piccolo fiore, ma stanco, si dialoga e a lui si confidano le pene, perché tenta sempre di rinnovare col dono di sé un po’ di fiducia e così un po’ tacita non solo il male rabbioso, ma perfino le conclusioni motivate e razionali sulla non esistenza del dio buono e provvido. Si ha la sensazione che, pur piccola, come fiamma perduri nonostante le soffi contro vento forte e gelido. E a chi è rimasta tale preziosità rinasce a poco a poco, piccola e smarrita, la speranza che tutto possa attenuarsi un po’ e, se vero tregua viene, che altre siano possibili. È forza dell’amore umano. Il bene non è morto e forse è proprio il dio che continua a gridare contro il male sebbene solo con la tenacia di una piccola donna! Ma quand’anche ridotti a star soli, perduta anche la donna dei giorni migliori, come ultimissima risorsa c’è il proprio sé. Ecco quell’uomo ridotto ad appena parvenza, dirà, Io sto con me, sebbene come larva ormai di me stesso, e il male fin qui non entra, sta fuori! Tutto esso ha inondato e travolto, ma non inquinato quest’ultimo estremo rapporto del sé con se stesso. Come se il nucleo che fa coscienza di stare al mondo o, se si vuol così chiamarlo, l’anima, si sia sdoppiata e la parte sfiduciata e disperata s’appelli a quell’ultimo residuo di bene in se stessa, che non possa essere cancellato. Quando s’è formato, chi vi ha contribuito? È della primissima infanzia il suo costituirsi e vi ha versato del suo la madre amorevole, sue le carezze e le parole dolci e i sorrisi, poi anche vi sono stati gli incoraggiamenti di padre e la sicurezza trasmessa da fratello più grande, come a me proprio è accaduto. E per me più in là anche le corse nei campi assolati con la tutta capelli d’oro, ché null’altro ricordo di lei, la piccola che in parte compensò la amara perdita di mio fratello. Ma come ho già affermato, questo processo di stipar cose belle dura la vita tutta, è cosa buona e naturale e vi attingiamo nei momenti brutti a rinnovar la speranza di novello bene. Sì, ma è forse follia ritirarsi in questo mondo di tanti frammenti di ricordi gradevoli e volervi rimanere, quando fuori tutto sia negato, ma talvolta la follia è l’ultimo rifugio dal male! E so di un mio piccolo amore, così fuggita. E poi sarà la morte col suo nulla, ma vi precipiterà con noi l’ottuso male e i demoni suoi! E il dio? Ci ripescherà da lì, se c’è fuor dei nostri cuori, rimasti innamorati del bene!


Ecco io ho scritto queste cose quasi con rabbia, ché temo il male per chi amo soprattutto, ma non progredisco, sono fermo alla scommessa pascaliana , Credere conviene, ché se il dio c’è si vince tutto, se non c’è non si perde nulla! Ma a me non consola!

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