domenica 26 ottobre 2014

Morsus conscientiae



Quando dal passato cose belle e meno vengono fuori, noi le ricordiamo nella poesia della gioia autentica anche se piccola e contenuta o, richiamate con quelle anche le brutte, ce ne prende rammarico, vero allora immersi nella prosaicità del vivere, tristi per quei ricordi, umiliati succubi talvolta in quelle vicende lontane o più spesso miseri responsabili dell'altrui pena o dolore. Ecco, il tempo s'è interposto e ha sbiadito quei fatti alquanto tragici lontani, ma non li ha curati, li ha solo candidati all'oblio come accaduti sgradevoli, ma senza successo duraturo, ché ripresentati si sono in tutta la crudezza loro a suscitarci perfino un morsus conscientiae se vita morale abbiamo. Io mi sono come chi schivo sia vissuto e attento proprio alla vita morale, ma l'ho costellata tutta d'errori! Allora certi ricordi mi sono occasione di pentimento. Di che? Della fiducia che forse in me altri ebbe mal riposto o di quella che io, dall'ingenuità mia, riponevo nei protagonisti disincantati e agguerriti in quegli anni miei, verdi allora o comunque lontani. Io però così non rinnego quegli accaduti, mi identifico totalmente con quell'uomo insufficiente, titubante a ogni passo, che ero e forse sono, timoroso di subire il male più della possibilità d'esserne responsabile, come purtroppo m'accadde e forse m'accade. Ma ho il vantaggio di una vita lunga ormai, da spender per quel che ne resta nella sincerità, che mi fa sentire in libertà di giudizio che proprio da pentimento sincero prende la ragione sua, e che, presa coscienza dei fatti trascorsi, non belli se non proprio brutti, me li fa superare. Perché? È come mi sia preparato alla diversità e alla novità del rinnovamento in lunga gestazione e ora ho coscienza di non coincidere staticamente con il mio io passato, quello del tempo trascorso nelle brutture sue, fermo all'ieri buio, ma so di poter passare oltre, ché so di guardare alla luce per sentirmene inondato e che un sentiero mi illumina e indica percorribile, e mi sento, se non già rinnovato con coscienza lì lì come ricreata, almeno pronto ad esserlo. Sto per diventare così l'uomo nuovo che fin qui non sono stato, prigioniero di quelle storie, ora ripensate anche penose, ma dure nel coraggio della responsabilità che me le ha fatte guardare nella crudezza loro, non come prima le ricordavo, tutto preso nella paura di aver tanto nociuto o subito. Sì, allora non superate, non cancellate, ma solo accantonate. C'entrano il dio e la madre sua in questo superamento? Sì, perché mi rinnovo nella prospettiva del bene, non di un bene. Cioè ho l'intento di non fermarmi a una sua tappa, meta, sebbene desiderata alta, ma di umana portata, sebbene virtuosa, ma procedere, senza limite alcuno, attratto e guidato dalla luce nel tempo che mi resta, breve purtroppo. Ma l'aiuto divino, invocato o no, è necessario. Perché? Io parlo a chi crede, colui che, trovato de visu il suo dio, avrà vinto tutto e a chi non crede, ché allora dovrà ricredersi e pentirsi, o vincendo, ché il dio davvero non è, non avrà nemmeno la consapevolezza d'essere vissuto senza la speranza della fede e vanamente come altri. Sì nulla egli avrà, perdente ancora! Sebbene insieme con quello che tutto se stesso vi ha invece riposto e in essa trovato, se non la gioia, la serenità della sua vita, diversamente da lui, tribolato dal dio non trovato nemmeno nella morte. E allora che dirò? Noi viviamo in un mondo in cui tutte le cose e gli avvenimenti che le legano, sono ambigui, occasione possibile di incauta valutazione e d'errore. Perciò mai si è sicuri nei passi verso qualcosa o dell'allontanamento efficace da un qualcos'altro ed essere fiduciosi che il contatto nel passato con gli errori suoi ci abbia del tutto immunizzati, inculcandoci la coscienza del male. Perché l'uomo pentito, convinto di poter superare un accaduto, può ricadere nello stesso errore, visto quel fatto erroneamente come nuovo, perché in altra forma, diversa, d'apparenza innocua. Allora eccoci nella libertà di decidere del vecchio uomo che dorme in ciascuno, che occorre che fantoccio innocuo sia avvertito, non inquietante minacciosa presenza che il male richiama, e può esserlo solo se l'errore diventa peccato. Perché? Così resta sconfessato il proprio io malefico, che taluni pensano connaturato addirittura con l'anima, e il peccato nel pentimento fa vero morso di coscienza e perfino diventa occasione di rinascita spirituale. Perché non siamo più soli a lottare, siamo creature di un dio buono, per quanto forse a torto talora avvertito distante, e incomprensibile talvolta nei disegni suoi, messe a vivere in un mondo brutale. Abbiamo vero bisogno di guardarci come l'uomo nuovo, che, destato, più non s'addormenta. Sbaglieremo sì ancora, ma spiritualmente consapevoli di star percorrendo un itinerario di salvezza. In questo gli inciampi sono possibili, ma ci sentiamo guardati da un cielo amorevole, e che, pagati i debiti, riscattati, una in cielo ci attende sospirando il nostro distacco dalle cose mondane, caduche e peccaminose! È la stessa che ha accolto, particola del suo cuore divenuta, l'angelo senz'ali ucciso in Iran, che dopo il perdono del dio ne ha ricevute di apposite per volare a raggiungerla in cielo!

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