domenica 19 ottobre 2014

Costretto all'amore?





Ecco la mia immagine in questo mondo, uno che ormai vi cammina stanco, pure ancora a ogni passo è costretto a decidere. Niente e nessuno mi esonerano, la vita quasi tutta alle spalle o la compagna fedele, che tenta di decidere per entrambi, risparmiandomene l'onere. In verità posso e quindi devo, ne ho la facoltà, la possibilità, la libertà. Ecco, posso riassumere la mia condizione dicendo che questa vita mi costringe a decidere, quindi mi impone la libertà di essere pro o contro ogni cosa e creatura sotto a questo sole, nello spazio che spartisco con loro. E il dio non fa di simile o più ancora, cioè esso stesso non costringe alla libertà? E perché? Permette il male, che non è tanto l'evidente intruso che inquina e insozza tutto, ma ciò che si insinua subdolo perfino tra cose o fatti, anche contrari, qui magnificando, lì denigrando, ma falso, e perciò inducendo spesso ad erronee decisioni e preferenze, sempre nella libertà di poterlo e quindi doverlo fare. Allora è proprio il dio, in ultima analisi, che costringe alla libertà, anche dell'errore, che insidia ogni mio passo? È il dio che ha condannato l'uomo ad essere libero? Ogni situazione pare sfuggire ai suoi comandi tramandati scritti, che fanno la norma della mia comunità di credenti. È nuova, inedita, ed esce quasi sempre dai limiti del non far danno all'altro uomo, quindi di per sé non dice come si debba decidere e agire. Ma la libertà in cui muoversi non è solo minaccia di danno proprio o d'altri, ha una positività, fa capire a chi tentenna che la presunta norma attribuita all'espressa volontà del dio, è angusta perché nemmeno intesa alla salvaguardia della specie, ma della comunità, del gruppo dei credenti. L'altro è il correligionario, non l'uomo in quanto tale! Ed io, proprio perché libero, e allargo l'orizzonte e voglio mio prossimo ogni altro uomo, pur pecco di vista e decisione corte e inadeguate. Allora scopro che, inaudito, quella che sembrava costrizione è il dono più prezioso fatto all'umanità. Quale? Modificare i propri angusti concetti, anzi ritenere la norma non rigida, ma da adeguare non ai tempi, ma all'orizzonte slargato della propria coscienza che deve salvaguardare non solo l'uomo, ogni altro, ma ogni cosa che vive o sta sotto al sole, con pari diritto ad esistere, a lasciarsene illuminare e scaldare. Ma questa realtà è dura e irrevocabile, tocca me, chi mi è accanto e mi ama, chi noi amiamo, chi incontriamo nel nostro vagare a caso a far il cammino della nostra vita, e tocca le cose tutte che occhieggiano a farci intendere che loro pure sono. E allora non c'è proprio criterio alcuno e ritornare si deve alla costrizione del dover decidere, all'idea dell'uomo costretto ad essere libero? È chiaro che l'uomo vero non può lasciar fare al destino e lasciarsi rimorchiare dagli avvenimenti, subirli succubo di questa vita e in ultimo del dio suo. Non deve essere così, pena la sua decadenza al rango di cosa, mero oggetto inessenziale all'economia e al progresso del tutto, quello che si lascia prendere, spostare, usare ad arbitrio. E accadrebbe così, riduzione a cosa, non a causa di ogni altro uomo, ma di quanto gli si agita, non tanto intorno, ma dentro, spingendolo alla non libertà dell'indecisione. E allora? Forse un criterio c'è nella scelta attiva, che non tanto la limita, ma le da la forza e dignità di frutto di decisione ponderata, responsabile. Quella del minimo danno per sé, gli altri e cose tutte sotto al sole. Ma è un criterio del tutto laico, piacerà al dio? Sì, se vivere così, è vivere in timore e speranza, cauti a ogni passo sentendo tutta la responsabilità di gestire la propria libertà, dono del dio. Ma lui vuole di più! Se gli errori sono, nonostante la cautela, frequenti o inevitabili, eccesso comunque, o trascuratezza riprovevole, bisognerà ricordare che per quanto forte sia il personale carattere, pure gli occorrerà umiltà, quella almeno di accettare i suoi limiti, ma sopratutto quella, donata dal dio, della capacità di chiedere perdono. A chi, a che? A tutto, perfino all'aria consumata e alle cose viventi che son dovute diventare suo cibo e alla natura così saccheggiata e anche insozzata dalle deiezioni sue. E potrà accadere solo sentendo il peso delle conseguenze dei suoi comunque vistosi, anche se all'apparenza solo larvati, errori, non occasionali ma dolorosamente frequenti. Egli che pur possedeva sensibilità, fantasia, salute, forza e bellezza, se femmina, le ha sciupate tutte nell'ondeggiare delle situazioni, scegliendo in definitiva solo per sé o al più pro domo sua. Ecco, riconoscersi indegno egoista fa sì, in ultimo, che l'uomo riconosca che non alla libertà è stato costretto, ma chiamato all'amore per ogni cosa del mondo, che il dio ha per lui creato per farglielo amare e così farsi amare! Ma l'amore, come solo criterio nella libertà d'agire, perciò non comunque per mero arbitrio, ma allo scopo di essere in una umanità vero umana, è riconosciuto da me e da tutti solo lungo la strada del perdono. E mi dirò, La mia libertà non va spesa per aumentare il disordine e il male a questo mondo, ma con l'intento di ridurli, e lo potrò solo amando, ecco il mio criterio nella libertà! Questo capirò per la via che percorro nell'umiltà, avendo chiesto perdono. Questa via per quanto angusta e dolorosa è breve, qualcuno ci corre incontro dall'altra parte e ci chiederà perdono per primo! Chi è? Il cristo! E di che? Di averci amato tanto da renderci arbitri nello scegliere e decidere, permettendo anche che sbagliassimo dolorosamente, ma solo perché capissimo l'amore, il ricevuto da lui e da tutti e quello da donare a tutti e a lui. Sì, affinché gli uomini tutti lo riconoscano degno d'amore, che nel dolore del pentimento non è più costrizione, ma il più suadente degli inviti, da colui che è chi piange con l'uomo!





Anche una sola vera lacrima versata non è mai solitaria!

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