giovedì 16 ottobre 2014

L'importanza del fine


 
Quando in mezzo a questo bosco sono, forse la pace che vi regna scorrere fa veloce i pensieri e quasi sempre sono sulla vita e il significato suo. Comincio, come sempre, da considerazioni già fatte e ne traggo altre conseguenze. Ma lo scopo finale sarà avvertire l'umanità mia vero umana, preoccupato di non solo di auspicare l'attuazione del sogno divino, ma di come impegnarmi per esso nel tempo che resta. E qual'è? Che siano abolite le barriere che le diversità di razza, di credo, di doti fisiche, mentali, di possibilità economiche, sempre frappongono tra uomo e uomo, gente e gente, tutti allo stesso modo amati. E perciò anche frapposte tra l'uomo e il dio. Ma non basterà abbatterle, anche se allora la vita qui sarà molto migliore, ci vorrà dell'altro per raggiungerlo! E allora mi chiedo quale sia il compito dell'amore umano in quest'anelito. E inizio così, La vita, quella in questo bosco, favorita è da ciò che la rende possibile e l'accoglie, ma ostacolata, fino a perdersi, da ciò che la contrasta, ma essa lotterà per prevalere e mantenersi. Molto diversa quella dell'uomo? Questo sta tra i simili suoi e si assoggetta alle leggi sociali che regolano la convivenza, che sono leggi anche morali oltre che politiche, e fanno la storia personale del singolo e la collettiva della comunità. L'adesione sarà più o meno convinta, ma una regola inconfessata condurrà a che ci siano multa mala e pauca bona nel bilancio di quella storia. Quale? Accettato sarà qualunque mezzo, giustificato dall'importanza del fine. La sopravvivenza del suo sé tra molti giudicati più agguerriti. Allora il singolo cercherà il suo posto tra gli altri con ogni mezzo, anche la tacita trasgressione delle norme, pur di garantirsi il fine, l'appena sufficiente o il più del necessario. Ma la collettività potrà fare di simile, l'uso di ogni mezzo per un fine? Sembra addirittura più fragile nel suo procedere. La sua storia è nella natura. Intanto la storia globale è condizionata da fattori imprevedibili, crisi politiche, sconvolgimenti economici, pandemie, guerre, tutti dell'oggi. Poi al di là di tutto essa sembra seguire un suo corso, in un oscuro disegno di salvezza della specie, apparente solo fine, in cui la storia del singolo, sempre trascurabile per la sua non essenzialità, può rimanerne schiacciata. Eppoi di tutto è spettatrice la natura indomabile, come stanno a significare fatti recenti da noi accaduti, danni e morti da alluvioni, complici gli sconvolgimenti climatici e l'incuria dell'uomo, a far misera la sopravvivenza nella precarietà in essa della vita di tutti. E allora? L'uomo ha un'ultima risorsa, il dio. Pensa che il bello e il buono, che vorrebbe almeno per sé e chi ama, gli siano peculiari e che la sicura benevolenza verso chi viver deve da lui distante, permetta dei compensi, esenzioni perfino. Naturalmente è mera illusione, ché il dio ha una sua storia in quella umana, riassunta, anticipata per noi posteri, in quella tragica del suo cristo. E questa sembra volerci dire che non lo si raggiunge che per la porta del dolore. Questo non è assurdità tra le tante, ma è l'unico mezzo che si giustifichi con la preziosità del fine, la pace! Dovrà essere accettato da tutti, tanta l'importanza di questo fine! Dove, quando sarà raggiunto? Sarà dove e quando il dio chiamerà, se non avrà vinto la disperazione a interromperne l'attesa! Allora evitarla sarà il precipuo scopo dell'amore, e la sua misura è quanto si è capaci, alla luce del cristo, di prendere su sé il troppo che schiaccia l'altro. E non fa questo, qualcuno nella mia vita? Prende del mio e ne fa sua angustia! E lo fa con tenera delicatezza di donna.

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