giovedì 29 dicembre 2011

La madre di Calcutta

La madre di Calcutta
il nulla spesso aveva in cuore gelido…
Saperlo, la sua anima vicina
e preziosa rende
e il niente dentro, conforta.
Così la sua santità credo
di più, eroicità della sua vita.
Sì, io che nella vita ho cercato,
sfiorando le cose belle tutte
e quelle serene d’apparenza
e i loro inviti dolci…
E ho chiamato presenza del dio
la mia aspettativa trepidante e fiduciosa,
di stare tra loro sempre…
Anche quando la speranza
m’è tornata rattrappita,
a celarsi in cuore gelato
da solitudine infinita!
Di più nella vita ho cercato...
e tra le cose tutte e le più misere anche,
e nei fratelli e in quelli nell’angoscia,
e ho chiamato dio,
la volontà di bene di cui giovarci tutti.
Ma questa, delusa sempre m’è tornata,
e contagiata dal male, che pur vincere voleva!
E la preghiera perfino
mi s’è inaridita dentro
e tutte le sue parole, vane!
Ma anche questa desolazione ho chiamato dio…
Sì, il mio poco del dio,
non è nelle cose, non nei fratelli,
non un dono prezioso, geloso nel cuore…
ma è solo l’aspettativa di bene,
mortificata, ma rinnovata,
nonostante il male, sempre.
Solo questo il mio bene,
solo questo l’amore, che finalmente ho.
Francesco sperò il dio
nelle cose, nei fratelli
e poi nella morte solo!
E’ così per me?
Così questa mia povera vita
s’imparadisa?
Ma avrò come lui,
sofferto abbastanza?


 

mercoledì 28 dicembre 2011

Perché il dio è uomo?

Perché se del dio mi parli,
rosata sei di pudore?
L’anima mia si disfa
tanto delicata sei!
E ora che, per lunga pioggia,
quest’erta di montagna,
fangosa e più faticosa s’è fatta,
tu un po’ ristai e mi chiedi:
perché il dio è uomo?
Cur deus homo?
Volle farsi e restò così?
Certo più della ragione,
i miti sacri ci parlano, intuendo del dio…
Ma una verità troppo nascosta,
occorreva svelata.
Che egli ci desidera suoi compagni qui.
Tribolati, derelitti,
deformi nel corpo e nella mente,
da natura matrigna o da uomini,
qui una folla immane, s’agita e preme,
che il cielo ne sbianca
e  ne trema l’aria,
tanto è il dolore!
In tutto questo che vedi e ascolti è il dio,
tutto questo è il dio!
Dovunque sei, ovunque vai,
cose irripetibili, orrende,
in questa oscurità disperata che è il mondo!
Venuto il dio, v’è rimasto,
come invischiato, e in queste plaghe
e in queste paludi s’è disciolto…
E qui non sole, non stelle,
non aria tersa o aulente, non parole dolci
non il bell’aspetto di cose o di compagni,
non qualcuno che dal cielo
risponda soave soave…
Ma solo scandalo e ripugnanza.
Ma qui c’è il dio.
Ma questo è il dio.
Qui i poveri veri,
i malati, feriti nel corpo e nell’anima.
Sì, da sempre in questi lividi sentieri del male.
Come una mandria senza meta, sbandata,
senza forze, senza dignità…
E l’odio desola la terra e la foscheggia senza speranza.
E da Assisi un poverello si mosse
a baciar piaghe di corpi e anime,
ché il dio gli mendicava amore.
Egli l’udì, rimasto senza speranza,
senza luce alcuna,
gridare abbandono contro al cielo chiuso
dalla sua novella croce!
Così noi, più fortunati,
del dio mendico
compagni e benefattori solleciti, diventiamo!
Non lasciamolo più solo!

Preghiera ancora

Quanta miseria mi preme,
tanta indifferenza mi circonda.
Cerco aiuto e non trovo!
E ben qualcuno ha detto d'amarci
e comandato il suo amore!
Sì, proprio in tutti palpita cuore
agli altri vicino, eppure solitario…
E molti gemono e pregano,
ché è la stessa la nostalgia
della pace perduta.
Ma proprio per tutti urge l'eterno,
che liberi e sani,
e certo questo superbo tempo
vanisce e poi ben verrà il Signore!
Ma intanto alla sua porta busso,
e, disfatto da un'angoscia desolata,
non oso più fiatare nemmeno...
Non chiedo più per l'anima mia.
E, sebbene intorpidito da un corpo provato,
un pianto dal profondo mi fiotta
e mi strazia e nulla può consolarmi.
Le scaglie che mi infoscavano
la vista del cuore sono, improvvise, cadute
e, francato, esso mi vibra ebbro
d'una profondità d'amare prima forse sopita.
E tu, madre della Vita e dell'Amore,
lascia che la speranza dolce
mi rifiorisca…
Sì, lasciami un momento del Tuo paradiso!
Allenta dalla fanghiglia putrida chi amo,
Risanalo!
So che ben avanza,
nel sogno mio per ali diafane d'angeli,
sincera preghiera da già provato cuore,
che sua pena abbia fatto
l’angoscia di chi sa finalmente
ricambiare d’amore.
E questa, ora, ancora tenta di esprimere
con le parole che ha migliori,
le stesse, forse, che inutile,
ha sperato da te udite
nella sua personale, antica pena...
Ma ogni problema accantonato,
non viene certo dalla tua amorevole cura, obliato…
e tu certo soffri di non poter ancora risposta sperata,
tanto forte e immane è il male!
Non soffrire più per me!
Ché ora, per solvere novella pena
di chi ben hai dato al mio amore,
pressante accorata nuova preghiera per me ti giunge.
Sì, così proprio fa questo mio cuore
e con antico candore!
E mi rasserena perfino questa rinnovata confidenza,
forse solo nuova illusione,
che tu ascolti propizia ed esaudisci…
Così non sia!
Non  daccapo velino
nuvole di dubbio e d'angoscia
questa, in fondo solo richiesta d’amore
espresso palese, che ho fatto mia,
e con le parole del santo che tanto t’amò!
E così ti grido di speranza:
monstra te esse matrem
e possa per te il Signore amato,
che unito m'ha a figli dilettissimi,
ora nella difficoltà,
accomunarci nella salvezza!
Ma io nel nulla vanire proprio vorrei
per far loro posto
al caldo sole del tuo amore,
ché alcun raggio ne assorba la mia persona,
ma solo per loro sia la tua tenerezza…
 

Uno strano aprile

Che strano aprile!
Un vento, un vento forte
ha agitato stanotte d’onde rabbiose il nostro mare,
che ora  alto spumeggia con fragore
su questi scogli molli d’alghe...
Sono qui a guardare da un po’
e tu con me.
Le mani ti freghi e un po’  i piedi batti,
ma non ti lamenti.
L’aria gelida t’ha fatto livide le labbra e teso il viso,
i capelli t’arruffa e ti scompone la veste,
e gli occhi stringi
a difenderli dall’acre spuma.
Poi dietro alla mia mole cerchi riparo
e stringi di tenerezza quest’uomo,
che ancora, vano, cerca Dio
nella meraviglia!
 

Lucciole

Lucciole belle, 
che venite in queste sere di tarda primavera 
a danzare come faville in questo buio giardino 
dalla calda brezza di terra portate, 
e muti messaggi d’amore lanciate per tutta la notte 
quasi stelle su questa terra cadute, 
dovremmo somigliarvi un po’! 
Sì, pulsare d’amore, 
quel po’, quel tanto, che rechiamo; 
qui s’accenderebbe un richiamo,
cui un altro risponderebbe 
e poi ancora più in là e oltre. 
Sarebbe il pulsare del dio che rechiamo, 
come certo manifesta questa creazione tutta, 
pregna di Te, Signore!
Tutte le cose Ti somigliano, 
ciascuna T’esprime con un palpito suo proprio! 
Ma se davvero di Te abbiamo, 
perché timorose lanterne cieche ce ne stiamo solitarie,
 eppure tanto vicine, qui e al buio? 
Dovremmo come Tue lucciole, 
aprirci improvvise a lanciar fuori la Tua luce,
che con inutile cautela celiamo: 
Ti apparteniamo, dovremmo gridarlo                                   
 a mo’ delle cose tutte!
Sì, ora che il male non è più tanto, 
mille lucciole in una scatola vorrei riporre,
oggi, come da bambino facevo con i miei sogni
e ora non più …
 Parlano di Te queste lucciole di prima estate,
briciole di stelle, 
e io forse le intendo ora.
Tu ritorni! è questo che vogliono dire,
tanto diffondono amore! 
 

A Gino Strada

Non so se il poco di vita d’oggi
mi rubi i sogni,
o li avvilisca, 
ma certo quelli lontani scolora.
E insinua qualche rimpianto …
Ma può un goffo volatile
dell’ aquila l’ampio etere guadagnare?
Pure l’ho sognato!
E i miei tardivi studi di medicina
testimoniarlo evidente possono.
E mi vedevo a curar lebbrosi
nella terra della sua generosità,
emulo di un grande. 
Forse poi, più della prosaicità
del quotidiano, poté 
la stanchezza del mio cuore …
Ma questo cuore zoppo,
ad altri, ed ormai senili sogni,
mi porta …
E ben lo può se è proprio vero
che sei tu qui laetificat juventutem meam.
Sì, è ben strano che, provato cuore,
giovane si senta per altri eroi
e con loro si veda dietro a un grande medico …
Ma ho trepidato e pregato per loro …
La calunnia, temo,
sia del freddo animale,
l’arma con cui tutti possiamo
venir percossi.
Quegli audaci, in una terra
oltraggiata dalla violenza,
a riparare le indicibili offese
ai tuoi poveri, erano 
caparbiamente intenti …
Pure qualcuno, di tanta generosità
invidioso, li ha macchiati
di sospetto …
Ma tutto è passato …
sono liberi, innocenti.
E la loro orma, simili a loro eroi,
potranno ancora di te lasciare
per le vie, fangose di torti 
e lacrime, di questo strano mondo.



 

Sindone

Di quante parole, fatti, luoghi, cose è la memoria!
E di immagini, volti anche …
Alcuni noti, e dolci e cari,
o enigmi inquieti, vividi nei sogni …
E la loro storia tentano di dire e senza parole.
E l’arte quanti ne ha ritratti o solo immaginati!
E il loro ambiente, la loro storia,
più o meno fedeli, ha rappresentato.
E se un’opera contempliamo, 
ad altri fatti per analogia veniamo rimandati.
Sì, cose, desideri della nostra vita o dei sogni.
Così io, che desidero un varco, una via
per raggiungerti e vederti,
spero che una tua immagine,
invito alla preghiera, 
mi parli e suggerisca.
Questo fa l’arte e io ne vivo.
Ma forse la tua vera icona ora c’é.
E non uno dei tanti volti nei secoli,
belli ed improbabili,
ché tanti diversi non fanno alcun vero volto!
Ma tu sei quello della sindone misteriosa,
che fedele, ci ha rappresentato 
la tua storia tragica.
Ma se tu non lo sei,
e solo uno dei sogni e delle visioni
vuoi rimanere, velato come il cristo di Napoli,
chi è, inspiegabile, lì ritratto?
E perché è così dolce,
uno che affascina e inquieta?
Che storia racconta?
Forse di un tempo ugualmente lontano parla.
Quello iniquo dei crociati,
predatori della tua santa terra.
E vuol dirci che lui, quelle genti offese,
feroci, dello stesso tuo supplizio,
oltraggiarono.
E allora le sue molte colpe nulla poterono
ché santo divenne.
Ed eletto dal martirio, certo la madre tua
tra i tuoi angeli lo portò.
Ma chi e perché si prese cura delle sue spoglie?
E in un lino candido e prezioso le avvolse,
e non le dimenticò, ma alla terra non le affidò,
e altrimenti a corvi e cani le sottrasse ...
Ci sarà una spiegazione?
Ma forse non basterà … 
e proprio, in fondo, necessaria non è!
Se è proprio vero 
che nella sofferenza sei in tutti,
allora uno, che, completo, ti imitò,
ben fu degno di prestarti un volto autentico!
Così io credo alla tua icona …
E a Torino, città della gentilezza,
uno dei tuoi estasiati ammiratori essere ora vorrei!

 
Occhi per gli occhi, 
Mani per le mani, 
siamo due che così sempre insieme vanno...
Pure tutto sarà cenere morta!
La scienza per ora, meschina, 
vincer la morte non può, 
ma lo potrà sicuro e forse giorno vicino,
tanto il suo fervido cocchio é veloce!
Allora continuare questa vita
vorranno insieme, 
a noi simili, cuori amanti, 
fin quando, fin dove amore li porti.
Allora forse solo volontario sarà
l'abbandono del mondo,
quando in amara delusione finisse amore
o affacciato mai si fosse a tenero cuore.
Tutto in quell'epoca potrà essere surrogato,
consenso, fortuna anche, 
benessere perfino e salute certamente, 
ma non la gioia del vero amore. 
Quello, e sono gli occhi tuoi a dirmelo,
che nostro è ora, senza inganno, senza equivoci,
l'unico che l'idea stessa di morte divora.
Quella la cui ombra minacciosa 
ora sempre torna a rendere 
precaria ogni felicità, baleno nei cuori,
e che affascina e affosca ogni anima.
Ma sempre l’amore spira,
invenzione d'uomini non davvero,
e raggia dai cieli divini,
vero balsamo a cuori in tumulto.
Sempre per questi ci sarà di sogni
il bisogno, nostalgia avranno della primavera
e per tutti la speranza di dolci aurore,
esso rinnoverà nelle tante storie tristi,
pastoie comuni di questo mondo.
Ma la madre divina già chiama …
Ne senti l’afflato?
È del suo amore! 
L’amore di cui il nostro, pur ricco, ma solo umano,
è metafora, sacramento perfino.
Ella sarà il luogo, il tempo del suo amore …
le motivazioni, le espressioni, le parole del nostro,
l'unico che ucciderà la nostra morte.
Eppure noi passarne dovremo le strettoie gelide
per veder tanto bel sorriso promesso e sentirne calore 
e battiti di cuore che sì soavi s'annunciano,
e in Lei ritrovarci.
Che c’è?
Chi grida? Di chi questi singhiozzi?
Così anch’io so … e che ti dirò?
Oh quanto pesarti deve 
la croce di tanti tuoi bambini violati!
Chi li aiuterà, chi t’aiuterà?
Chi conforterà tante madri e la tua?
Io, cireneo mancato d’altra storia,
non oso se non dolermi di tanto scempio
e pregare …
Per chi?
Per loro certo e per te anche,
ché di tante lacrime è questa croce
eppure come piombo pesa!
Fusa l’ hanno tristi anime, nere
come gli abiti loro, portati indegni.
Sì, proprio la fece 
chi brutale nella rapina 
di fiducia e innocenza,
ben altra risposta doveva 
di casto sacro amore.
Di te proprio fece strazio
in quei piccoli corpi oltraggiati …
Sì, a te proprio rivolse le sue insane pulsioni!
Povera infanzia tradita,
povero dio violato!
Non ci sono al mondo bastevoli macine
per attuffare nella broda di sterco
e di porci, questi infami
ai bambini lupi!
E altro ancora ti fanno i calunniatori,
quelli che la tua chiesa tutta di sospetto
coprono, tentando di macchiare 
il vicario tuo santo!
Così il già orrendo peccato lievita,
e del suo marciume l’aria tutta attosca.
Ci sarà perdono?
Ché il grido di questi bambini 
é il tuo stesso inarticolato
dalla novella croce …
E tu, dalla malizia vinto e dalla maldicenza,
ne muori!
Quando risorgerai?
È una pasqua amara
senza resurrezione questa!
Ché questi pianti non si chetano
e queste grida non  si spengono …
Mi vibrano dentro fin nelle ossa
e l’anima mi tarlano …
é meglio che con te ne muoia!
Possa la misericordiosa madre tua,
oltre lo sperabile, osare perdono!
Se, temo, la terribile bestemmia
allo Spirito,
é proprio quello che c’è!

martedì 27 dicembre 2011

Sulla battigia, conchiglie …
Onde rabbiose stanotte 
ai fondali delle loro pasture
le hanno strappate.
Quasi tutte hanno valve aperte,
ché straziate le hanno
vocianti bruni uccelli,
spudorati ingordi.
Taccole credo,
o similari volatili
immondi.
Così bambini mai nati,
nelle orride gole del nulla
gettati sono da non meno
avidi faccendieri di morte,
a svuotare uteri solleciti.
E non c’è vita, né sole
in questo gelido mattino,
ché care presenze amiche 
fuggite sono altrove.
Sì, i gabbiani,
a me solerti in questa spiaggia deserta,
non mi confortano dei loro
voli e gridi …
E questo freddo mi è entrato dentro
e landa triste e desolata
la vita m’appare
e non c’è conforto,
né oso preghiera …
Dove fuggirò e cercherò di nascondermi,
a ignorar d’aver visto
piccoli informi bambini morti?
Progetti di vita e d’amore
rimasti abbozzati e per sempre,
ché fragili anime rapite alla vita …
E voi madri mancate,
tristi, costrette al peccato
da disperazione sempre, ma frivolezza talora,
chi vi perdonerà?
La volontà d’amore spezzata,
l’orrenda bestemmia pronunciata,
no alla vita, no al dio.
Ma forse la Madre lo potrà …
Il suo utero caldo d’amore
accoglierà il sogno divino interrotto,
lo farà rivivere …
Sì, i vostri grumi di vita
da infami gettati nel nulla,
raccoglierà sollecita piantandoli in sé 
e ve li restituirà
bambini perfetti in altra vita.
Ché quelli le vostre carezze
proprio vogliono e le vostre poppe
allora gonfie e generose, bramano.
Sì , per Lei l’amore, il vostro, rivivrà,
la gioia della maternità, che vi siete negata,
vi inseguirà e raggiungerà!
Destinate all’amore comunque!
 

amore di donna

Che è quest’oggi, che pare
più desolante l'angoscia
e sento nella vita più opprimente tiranno?
I miei occhi cercano inquieti …
E dove e cosa?
Ma le tue braccia aperte trovano.
Di blande carezze sembrano ora rifugio …
e so che stringermi al seno tu vuoi
e asciugarmi queste lacrime,
che ora prepotenti mi vogliono uscire.
Sì, soffiami nel cuore che ho indurito,
i tuoi sogni, e lascia siano i miei.
Portami per essi tra molli,
fresche erbe di rugiada e fiori,
che, appena schiusi, per te ridono amore.
In altro sogno anche la madre mia
aspetta e freme nella nostalgia ...
ché solo così raggiungerla posso!
Sì, ho anche desiderio di lei …
Senza l’amor tuo,
solo a fragile navicella di vele
tremule ai venti
dell'immane oceano dei ricordi,
lo affiderei …
Ma presto s'abbuierebbero i cieli dell'anima,
attoscata dai rammarichi,
parole non dette, cose non fatte,
opportunità rimandate...
E presto sperduto senza luce di stelle,
dispererei sospirata meta …
Ma tu ora, quasi candida ala
di uccello amico, rendi palpitante
la sua cara dolce immagine,
non più diafana, come nel ricordo!
Sì, tu, cuore e vita di cuore, di vita,
tra le avvolgenti spire di questo male,
ci sei a indicarmi sicura terra vicina ...
Sì, tu mi rammenti l’icona
di quella fede, ingenua e preziosa,
che, bambino, lei proprio volle donarmi …
Quella che dona la pace.
Ma già al tuo sguardo ammiccante,
le vaporose cose dei sogni,
occhieggianti nella penombra d'attesa,
prendono consistenza …
Son qui ancora …
Ma l’amor tuo scorger mi fa nitido,
un sentiero che forse con te correre posso,
e verso le sue mani tese,
le stesse della Madre celeste.
Sì, la tranquillità dolce, ch'avevo bambino,
nel suo amore, mi ridai ora col tuo!
Solo di madre può essere una cura sì dolce!
E forse ne sono già sanato.
E’ strano davvero l’amore di donna,
complesso sempre, completo talora,
di amica, sposa … ma di più,
di madre presenza anche.
E l’avevo da far mio!
Sì, con te lascio le imbelli pause
di pensieri infruttuosi
che sanno di chiuso e stantio,
ed esco al sole,
dove null'ombra aduggia
e ogni dolore scolora
tanta feconda luminosità,
e riscalda tanto gradito calore.
E Tu Madre nostra dolce,
che ogni anelito di vita
sorreggi ed inciti,
portaci lontano,                           
portaci altrove,
da lei, da te …
Generaci, figliaci daccapo!
Sì, facci nascere là dove sei!
Ascolta!
L’usignolo è tornato …
E tacciono altri innamorati cantori …
Solo il suo richiamo
per compagna da fronda nascosta,
di languide note avida,
rimane a perdersi nel giorno che muore …
E noi fermi e tesi,
timorosi di rompere l’incanto,
né parole osiamo,
né quasi respiriamo,
da questo canto rapiti,
di mille variazioni
e dai dolci brividi.
E piove, ma di una pioggia leggera,
e tutto è, come immerso in una nebbia sottile,
irreale, da sogno.
E come quella monda
da patina polverosa le cose tutte
e più caldi nitidi colori ne mostra,
così le anime nostre,
che inermi sono restate,
da tanta melodia vinte,
questo canto celeste
l’una all’altra dischiude
e partecipa un che di prezioso,
quello che finora ciascuna celava gelosa.
E con occhi incantati ci guardiamo,
ché quelle si sentono l’una all’altra,
belle e fondersi vogliono …
E un’altra epoca tutto ora pare
e sei tu la ragazzina,
che nel buio incipiente
incitava la mia timidezza
e diceva:
vié che aspiette!
Così sollecito, t’amo
e del tuo stesso amore …
Non è questo lo stesso Suo dolce?
Quello che Lei, ché l’amassi,
raccomandava in un sogno,
di ricambiarti palese?
Non ha proprio età quest’amore!
Cuore che s'intorpidisce nel gelo,
bocca che si chiude delusa,
orecchie dolenti del niente,
più che da torrente di parole, offese.
Languido, smorto
come cencio sono rimasto,
ché lasciato m’ha la fiducia
che Tu l'ombra del male allontani.
E se è proprio vero che lo puoi,
come non hai udito,
o chi T'ha distratta dalle mie parole?
E se oltre sono andate
dove, chi le ha raccolte?
Forse nel nulla son svanite?
O le cose tutte le hanno rapite all'aria,
e se ne sono impregnate, come i vecchi banchi
di questo sacro luogo,
che cento e cento preghiere hanno udito?
E poi forse ridette Te le hanno,
amplificate della loro stessa pena?
Sì, forse davvero vasta come il mondo,
orante ad una voce,
fatta d'uomini, altri esseri, cose,
una comunità d'amore c’é!
E ora qui qualcuno un dolce, umile canto
ha intonato … e così piano
che parole non ne comprendo.
Un dire grazie, una lode, un'ave forse...
E so che a Te veicola i miei pensieri,
e le mie povere parole, che non pronuncio,
trascina...
E là qualcun altro prega accorato,
una madre, una fanciulla …
E anche per loro s'affida il mio per Te.
Sì, c'è come una musica,
che pare fluttui nell'aria
e s'arricchisce di mille note
come passa svuotando i cuori.
E ora pare all'occhio umido,
che s'allunghino le fiammelle dei ceri
fino a lambire,
danzanti scie luminose,
la Tua icona prima muta.
E gli occhi Tuoi parlano ora,
mi parlano finalmente!
E questo demonio, che lupo
mi ha ululato dentro stanotte,
s'è ammutolito d’improvviso.
La iena sogghignate,
in qualche latebra s'è nascosta,
e forse più non l’udrò …
Sì, davvero il male invincibile non è.

A Bernadette



A Bernadette






Dolce icona della madre celeste, ella com'è? Come tu sei stata, più che come tu la vedesti. Nella vita breve, nascosta nel silenzio, sola, stretta nel dolore da malattia crudele, sola nelle umiliazioni da gente da perdono esclusa ... Eppure dalle tue mani sante forza d’Amore raggiungere poté, qui noi soffrenti, da dolore immane, vinti. E menti e corpi risanare per acqua da perenne sorgente pregna d’amore. Tu apparentemente negletta, tragica, dignitosa vita rapida traversasti …Oh beato colui
che gli occhi tuoi casti e innamorati, sfiorarono d’amore. Cara, cara fanciulla, cui la Madre mostrarsi volle e rispettosa del destino senza gioia cui t’affidava, entra, entra in me, sii il mio cuore! Rendimi umile ... e paziente nel dolore forse inevitabile di questa mia ultima stagione. Saziami del tuo candore, dimmi all'avido orecchio, le tue parole d’amore, quelle che finalmente dire hai potuto
all'uomo dei tuoi sogni di bambina, nel cielo ritrovato …Sì, in me per sempre rimani, amica.

Favoleggiava mia madre



Favoleggiava mia madre: come aulenti piogge nubi grevi versano su arida terra e questa, feconda,
erbe e fiori getta, così se un'anima chiama forte o piano, o lacrima accenna, pronto scende l'Amore dai cieli e discreto e muto ridesta fresca la vita, ché cuori riscalda, sciogliendo geli, e menti rinfranca, nebbie e fumi dissipando. Ma Dio non ha mani se non le nostre, anche diceva ... Le ho creduto bambino, e disperatamente lo voglio ancora … E così prego. Tu, Madre santa, che sperperi il tuo amore a mani d'oro, tanta è la sensibilità del tuo cuore, fa che io gli rimanga fedele. Tu generosi invogli a rispondere con slancio soave, se gemiti fraterni implorano, desolati, nel bisogno. E io che farò? Non sia io come i più che quel poco o tanto che hanno all'uso di se stessi solo destinano. Rendimi buono, uno dei tuoi!Fa che, contagiato d'ebbrezza santa, nell'arida sterpaia del mio tempo
e sui torridi deserti del mio mondo, solerte tuo servo, faccia fiorire e fruttare visibilmente l'amore Tuo divino. Siano le mie le tue mani! Sì, raccontami Tu la favola bella di appena ieri, ché non lasci ad altri compito da invito sì pressante, né lo rimandi! Il tempo mio è saturo, per me non chiede che d'eternarsi. E già tremula luce nuova a me forse favilla e mi ride da sterminati orizzonti celesti. Sì, l'anima mia, qui straniera, proprio raggiungerti vuole!

Ho invocato rugiada

Ho invocato rugiada come campo arso in torrida canicola, ho invocato perdono. Se qualcuno da lì mi ha risposto, non so … e taccio ora e delusi ho occhi e orecchie. Che sono? Un nome, un nome semplice come sillaba, che qualcuno ha scritto, ma sulla sabbia, e poi ha scordato … O se smarrito, poi l'ha pronunciato, nelle vie paurose del mondo, udito non l'ho o voluto. Avessi da nascondere peccato vero come i malvagi, e duro essermi stritolato nella penitenza come i santi! Ma mediocre, solo avevo voce da querulo e ho implorato, e disperato ne sono restato. E ora solo un deserto e tenebroso m'è diventata l'anima, senza parole, né vita... A chi dirò questa pena, questo gelo, a chi racconterò ancora di me? Forse solo a mia madre dire potrei del cammino tragico fin qui, senza soste o conforto, senza perdono... E, ascoltato, riavvertire la speranza dolce da teneri occhi. Ma più non l'ho! Vuoi esserlo Tu?

Dedicata a Don Benzi



Piccolo giglio, trepida creatura, occhi fatti per i cieli, proprio tu baratti ai quadrivi, sotto livide luci, il tuo corpo ancora di bambina. E ti prostri ad un'umanità imbestiata, che disfiora senza lusinghe o prologhi d'amore. E ti ghermisce, sebbene acerba, e ti divora feroce, straziandoti con voluttà da spavento. E dopo tanto peregrinare, forse su gelide coltri il bel capo poni e le membra provate. E l'anima senti sfinita, offesa quanto il bel corpo violato … e ti prepari ad un sonno senza sogni, pausa dall'incubo di sozzure immonde ove costretta, bruci effimera giovinezza. Chi sei, ti so io? Sì, veduta t'ho altrove, un'icona ti somiglia. Qui, come i tuoi, dolci occhi di bambina. Ma le vesti ora eccessive, composte e caste, e le mani solo mostrate, atteggiate in preghiera. E' proprio la piccola madre, così come ingenuo artista la vide. E ora serena indulge sulle miserie che vede, con sorriso misterioso... Un cero, pochi fiori di campo per questa povera immagine non di tempio pomposo, ma d'un'edicola da strada, che pietà remota pose. E tu, madre mia bambina, che sei quella d'ogni pena, qui negletta da poco solerti custodi, forse davvero da lì scendi ogni sera, quando pur dormono occhi supplici d'altre madri, e sola te ne vai per paduli, vie di mondo fangoso, per proprio essere in chi, vinta, nuovo scempio permette di sé a rinnovata rabbia di lenoni e vogliosa, mai sazia, bramosia di cani.

Che strano è ora quest'oggi



Che strano è ora quest'oggi che declina e solo di comune giorno sapeva. Pare come una gioia, prorompere da ogni dove. Io la ignoravo, ma pur esserci doveva sopita, e tutte le cose ricreate paiono or ora, tutte nuove, acque, erbe, alberi, animali. Sì, proprio tutto s'abbella sotto sole d'un caldo arancio al tramonto. E presto è notte, Ma di stelle, miriadi, come occhi e di bimbi, che paiono festosi inseguirsi fin dove lo sguardo può perdersi... Sì, tutto è incanto e miracolo … e gli occhi ho pieni d'ingenua meraviglia, come di bambino grandi. Timoroso, anzi casto,
m'affaccio a questo mistero. Tutto ora si fa sonoro, anzi canoro, o forse solo bisbiglia parole nuove,
mai udite, all'avido orecchio. C'è come un respiro, anzi un sospiro, che come grazie, anzi ave, dicono incessanti le cose tutte... E pur io mi sento riconoscente, figlio della loro madre e briciola che sol ora palpiti e per lei sola, amore. Tanto Ti chiamano queste parole, che ripeto balbettando, che Tu forse verrai!

Richiamo



Ubbie di vecchio, d’ improvviso non senso, parole amare, forse immeritate, che il cuore oppresso ha mozzato ché più non sentissi ed ora come echi di tomba vuota, dentro mi risuonano... In quali abissi,
anima mia, t’ho immeschinito! E rassegnato nell'abbandono del dio e fiaccato, d'aridità polverosa t'ho rivestita … E, nascosta, solo frutto d'egoismo, amaro hai gustato... E fuori sguardi, sorrisi anche, forse trepide attese … Delusi tutti ché nel calcolo volgare della vita, perfino t'ho attardata! Ma ora le vecchie strettoie della mente son svanite, sei proprio libera! Solo dedizione di madre e forza d'amore vi hanno potuto. E sì pronto è l'invito e caldo, Che come gli resisterai? Incamminare ti devi e affrettare, senza nulla portare … Né tanti grevi ricordi, e voci d'affetto che pure hai avuto, e immagini care nemmeno! Albeggia una vita nuova …La Madre ti chiama e per sé sola proprio te vuole, gelosa.

Sogno







Follia cieca di sterili pensieri stantii, aria greve di ombre effimere, giogo duro di vita senza sogni...
Ma fuori aria fresca … ed erbe, fiori, alberi. Tutte creature sorelle, sorrisi del Tuo amore di madre,
e danzano, tuoi palpiti, volo di farfalle e canto d'uccelli... Libero corro alla Tua luce …E le mani protese, le Tue pendenti dal cielo radioso, raggiunger vorrebbero, ma pur greve è questo corpo e vecchio. E il cuore palpita ormai zoppo... che seduto presto devo rimanere. Ma non deluso, ché dolci faville rimangono del sogno di Te, che svanisce in polle di mistero, e ogni fatica di vita, leggera sento
e ogni voce aspra, e ogni parola dura, lontane... E l'alba rapida pur dispare... Oh quanto distratto mi sono in quest'incanto, sorriso giocondo delle cose tutte! Ma tra queste oranti più peregrino non sono.

A Maria



A Maria






Ma tu che tutti chiamano così che madre sei? Taci. E questi occhi vedono, eppure sono nel buio. E ho orecchie e sentono e parole capirei, ma questo vociare, rifiutato, s'è fatto brusio indistinto e gelido, come silenzio. E questa bocca dire saprebbe, ma è senza più parole e voce, che altri non ha udito o voluto, c'era troppo rumore! E nutrimento ricevo, e sì respiro, ma tutto sa d'amaro, e fame ho,
ma d'aria fresca, e non trovo. Occhi per vedere, ma che, ma dove? E queste orecchie, e questa bocca... Ho scordato, ma un respiro di madre confondere col mio vorrei, e tenerezza e le parole dette ad un bambino. Ho nostalgia di madre.
Sì ho occhi che non vedono, orecchie che non odono, polmoni senza respiro... Così ero nel grembo di mia madre, così nel tuo ora, Madre. Che io nasca e ti veda!

Invito a una visione mistica del mondo



Ho profondo rispetto per tutte le fedi nel dio. La mia è quella di mia madre, devota cristiana. Tutti dovrebbero rimanere nella fede della propria madre, perché quasi sempre la via indicata è stata anche sofferta, testimoniata da una vita discreta, nascosta talvolta, del dio innamorata sempre. Forse troppe cose ho già dette, ma Dio non si stanca e io ho scritto quel che tento di dirgli con la preghiera muta di questi miei giorni brevi. Credo veramente che la ricerca di Dio debba essere il nostro forte impegno. Si raggiunge solo nella carità, amore nonostante il Suo silenzio, perché questo è, ché noi ama! Ogni altra immagine è mito. Ma se la carità dobbiamo a Dio come sola risposta, allora essa è per gli altri dov’ Egli vive, nello Spirito del Cristo che fa a meno di parole parlate, ma vuole gesti concreti. Conoscere Gesù è sapere di Dio. Altre vie di conoscenza sono possibili, tutte buone, giuste, ma chi pratica la carità è, inconsapevole,cristiano de facto, quale sia il suo particolare credo, è uno che il Cristo al suo ritorno, porrà inter oves in parte dextra. La conoscenza di Gesù non è infatti un mero fatto culturale, che si apprende e perché non rimanga in verbis, si tenta di inserire nella vita, ma per appropriarsene occorre rivivere e fin in fondo, la sua vicenda. Egli è il modello del vero santo, colui che ama perfino nell’abbandono del dio. Siamo da sempre abbandonati, ma c’è una radicalità che solo Gesù ha sperimentato che è necessario rivivere coscientemente e con la giusta valenza nella vicenda particolare della nostra vita: sarà quel che sarà, ma tutti subiremo; quanto? molto o poco, ma sarà pur sempre nella vecchiaia, nella solitudine, nella malattia, nella morte. Favole ci hanno sempre raccontato! Egli pure, nulla può se non piangere e gridare con noi. Egli non è affrancato, ma sempre coinvolto. Ascolta parole, richieste ostinate, vede l'orrendo sogghigno dell'Angelo nero sempre vittorioso che ci priva di tutto, della dignità perfino, e sente l'amarezza dell'impotenza! Egli è in ogni lamento, in ogni pianto, che per molti s’è fatto pigolio, e nella pena di ogni ascolto agghiacciato e inerme. Come è il mio, quello di tutti…


Ora, come Paolo ha detto, la nostra conoscenza del dio è imperfetta, solo mitica ed è la fede in Gesù a colmarne le lacune, ma se anticipiamo l’amore nell’attesa, è l’invito di Gesù a imitarlo, nonostante il buio di qui e il gelo, di più Lo conosciamo. Gesù è il vero prossimo, ne è l’archetipo, quello che ogni altro prefigura in metafora ; l’amore per Lui è la carità dovuta a tutti, a chi può accoglierci o respingerci, ricambiarci o giudicarci. E Dio che farà? La parte migliore di me, il dio che ho dentro, sempre m’accoglie, non rifiutando, ma scusando la mia mediocrità; e se nella sincerità mi posso ogni volta far perdonare, così sarà: sarò perdonato e l’amore ricambiato palese! Allora la risposta che devo a Lui la prefiguro, la concretizzo, la anticipo, - nel rovesciamento di sequenza da Lui voluto: prima riconoscenza, amore per l’altro e perciò per il dio nascosto, poi Suo svelamento, conoscenza faccia a faccia, come Paolo dice- ,con quello che devo alle attese di tutti, ma anche ad ogni cosa sotto il sole, che reca comunque di Lui: ad Deum per creaturas! C’è ora un unico comandamento, l’amore di Gesù! Gesù, la sua persona e quindi il mondo tutto, è il sacramento, cioè l’accesso al sacro, al divino. Per Gesù il dono di sé è ora e qui presente con la massima estensione, è sparso e disperso. Sì, tutto è pervaso da lui, tutto significa lui e quindi il dio. Credo che dimorare in Cristo misticamente, significhi proprio questo, essere nella condizione di chi lo riconosce nei fratelli e in tutte le cose, perché il mondo tutto è il corpo suo vivente. Quindi in modo esaustivo tutti, tutto è già in lui ed è santificato, è lui stesso. Questo è essere Israelita, lo è chi abita misticamente nel Cristo, nel mondo. Questa la mia visione, maturata, confermata negli anni, e, se ho ben compreso, quella stessa di Giovanni. Essa però richiede coerenza, perciò non parole ancora, ma concretezza. E quando questa non sia possibile, la preghiera sempre. Volontà di bene che il dio non potrà ignorare, ma dovrà permettere si concretizzi, per chi, per quando non è dato sapere, ma non è meno vero, meno certo. Lo scopo della vita è la preghiera almeno!


Quelli che hanno fin qui letto hanno, però, ricevuto parole soltanto in un rovesciamento inevitabile, ma che non deve essere contraddittorio. Tocca però a loro superarle e, come di fronte a uno schermo, saltare oltre e so di non chiedere poco. Invito perciò alla tecnica del superamento del verbale, che è quella stessa che l’uomo buono usa per superare le parole di chi gli dovrebbe fatti, per non essere costretto a respingerlo e potere accoglierlo lo stesso in sé.


Il solo atteggiamento dell’uomo di Dio è infatti giustificato in senso religioso, ogni altro è rapina, dispregio e fuga dal dio. Ognuno deve attendere paziente di ricevere senso e dare senso in un’accoglienza reciproca nell’amore del Cristo. Io mi sforzo di essere così: guardo con pazienza e chiedo pazienza e so che tanta ne chiedo sempre! Ma io devo essere visto nella concretezza del gesto perché così vedo tutti. Perché avrei scritto, per chi? Certo per i più anche, perché la stessa loro ripulsa mi è dovuta, se il mio è comunque un atto inappropriato, ma d’amore. Cosa ho comunicato? Forse un appena stare a questo strano mondo, sempre confuso dal silenzio di Dio, piccole pretese, ingenuità forse, le poche mie gioie, un’idea forse delle molte amarezze, quelle stesse che ognuno ha celate dentro. Ma tutto questo è senza importanza; non su me certo voglio attenzione, dacché ho amaramente scoperto che Lui, Gesù, è l’ultimo della fila, a Lui guardo e Lo vorrei guardato: io vorrei fuggire verso la luce e il sogno e Lui qui al buio rimane! Oh, quante illusioni ho coltivato con quella della bontà e della santità perfino! Lui invece ha scelto il perenne abbandono affinché tutti lo precedano e siano salvi! Quante lamentele ho sparse per una vita e più ancora ho taciute, prigioniero dell’abissale ignoranza di Dio; Lui sta qui in silenzio, di me a spartire tutto: la vita tutt’altro che eroica, il lasciar perfino coscientemente morire il bene, lo starmene a guardare, perché questo comportamento vile non m’è estraneo e sono io dopotutto a condurlo per il mondo, perché lui sta proprio in me! Sono confuso, ho necessità d’aiuto lo chiedo a Lui, lo chiedo a tutti, ma senza parole ormai. Le parole sono il mio inutile fardello!


Un altro scritto... non sono tante altre parole? Le parole non annoiano? Corro questo rischio...


Ma libri senza parole ho letto in lunghe passeggiate nei boschi, nell’infanzia dei miei figli, negli ultimi anni di mio padre... Ho avuto molto! E poi gli occhi del mio cane, proprio come quelli di certi miei pazienti cui devo riconoscenza ancor oggi ché più non sono medico: ansiosi, imploranti la guarigione eppure dolci e rassegnati e pieni di pietà per me. E quando fui costretto a rinunciarvi ebbi il cuore spezzato più che dalla malattia … E poi ancora il caldo affetto di Poli, gatto sol occhio e di Bella la sua dolce compagna nata per le fusa... Sono stato fortunato, ho letto molte cose in libri senza pagine e le mie parole mute sono state ricambiate: sono stato amato! Sono amato, Dio mi ama; me lo dice l’ostinazione, la continua premura, la dolce violenza, la velata inquietudine, la tenera malinconia della mia donna in questi giorni difficili, altrimenti uggiosi. Sì, Dio ama tutti! Possano tutti avere questa meravigliosa consapevolezza nonostante le pene e le amarezze: Lui le raccoglie preziose! Gesù sta in fondo alla lunga teoria dei fatti assurdi di questo mondo e noi viviamo tra due realtà polari: non è possibile scavalcarlo in basso e tutti ci fa procedere verso l’alto, le tenebre si risolvono in luce e il male cessa come un gelo provvisorio; noi stiamo senza accorgercene correndo, sospinti verso il Padre, tutto s’affretta a Lui! Tutto ci parla di Lui. In tutto, ovunque, è sempre lui che tocchiamo, palpiamo, respiriamo. Tutto vive del dio!


E noi pure. Potremmo non averne consapevolezza, pensare di esistere soltanto qui e soli, senza scopo; invece pro-esistiamo, cioè stiamo davanti e perciò per gli altri e così per sempre; e ci sono parole dentro, anche mai chiare forse, accennate appena, velate o mute addirittura; e sono le Sue parole, che, se sono per noi anche, per gli altri soprattutto vogliono essere. E noi le ripetiamo, le balbettiamo o le recitiamo muti. Sempre diciamo di Lui e per conto Suo comunque, anche d’altro parlando, sempre Lo esprimiamo, sempre lo raccontiamo se diciamo, anche solo col gesto, ciò che ci palpita dentro. Attenzione vogliamo talvolta e c’è un bisogno d’amore sempre, ma Lui li grida per Sé e chiama in noi e fuori e per mille bocche, per mille sguardi e volti e mani tese, proprio noi cerca e il nostro nome vero, quello che solo Lui conosce, incessante ripete!


Vorrei saper chiudere a mo’ delle lettere Santa Caterina: Gesù dolce, Gesù amore! Ma qualcosa, una chimera forse, scioglie i miei pensieri e porta via le mie parole e apparentemente non prego più, sebbene ne conservi l’atteggiamento e resto senza più nulla, muto davanti a Lui muto. Ma forse è che ci parliamo ormai così!






Et ecce ego vobiscum sum omnibus diebus usque ad consumationem saeculi.


(Matteo: 28-20)

domenica 25 dicembre 2011

Notte di stelle cadenti



Notte di stelle cadenti, notte di desideri... Tu solo, Signore sai a quante stelle stanotte s’affideranno ingenui sospiri e quanti giovani sogni come queste cadranno! Bambino, i miei pensieri quell'estate
erano per la piccola ospite della casa di fronte. Io non sapevo il perché delle bambine, ma quegli occhi neri, null'altro ricordo di lei, m’attraevano e m’arrampicavo sul muretto per sbirciare nel suo giardino, quando la strana cantilena dei suoi giochi sentivo... e me ne stavo appiccicato alla rete ed ella mi ignorava e io mai le dissi parola. Ma quell'estate finì e sul muretto un fiore trovai, così la seppi partita. Né più la rividi. Tu ne sai il destino. Tu ne sai i desideri che forse affidò a simili lacrime di fuoco in notti come questa... Ma vorrei che quegli occhi non avessero pianto mai.
La cantilena dei sogni di quell'estate vorrei ricordare,ma solo quegli occhi e null'altro di lei più so!


Signore,


ora so per certo, e me lo dice senza parole la mia compagna nella tenerezza, che l’amore di donna non è che per-dono, oltre e più del dono di sé e attinge sicuro al Tuo amore.


Tira un vento ottuso, abbatte e scompone fiori di prato, ma io ho qui il piccolo fiore che hai voluto donarmi... Piccolo fiore, piccolo fiore conservami, Signore! È la mia cantilena ché il mio tempo è breve anche se fosse di anni ancora e lo sguardo più non voglio distrarre da questi occhi che mi guardano lucenti più che stelle d’inverno, a volte ansiosi, tristi un po’, ma appassionati sempre. Fortunato? Fortunato!

Tremolanti stelle



Tremolanti stelle di Dio, che a brillare mute nel cielo d'estate venute siete dall'immensità del creato,
che dite a me che stanotte non voglio dormire, ma continuo attonito a rimirarvi? Forse che eterne siete e che la morte è solo di quaggiù, attimo che non prevarrà? O forse, occhi dei nostri morti,
a raccogliere sogni di dormienti, pene di veglie e a leggermi l'anima venute siete? Le parole promesse all'amico malato, la preghiera santa, pronuncio lentamente... Potessi ripeterla, Ave efficace, tante quante voi siete! Sulla collina di fronte, nella casa dei preti, una sola finestra accesa da ore: qualcuno là veglia, forse lavora, forse prega, chissà! per una guarigione forse... e forse altri con lui. Tutti un po', per tutta stanotte dovremmo e così vorrei facessimo per ogni notte ancora per la nostra malattia che è mancanza di Dio! Come voi forse fate lassù, palpitanti, a mo' del mio cuore stanco... Sì, io vi ricambio un sorriso di speranza e non aspetterò l'alba imminente, ché Sirio è già salita alta e la Croce assai bassa declina e un chiarore diffuso s'annuncia, ma addormentarmi potrò e rivedervi ancora.

Ragazzo



Ragazzo, ho detto parole di sogno, ho detto parole d'amore... Inascoltate! Al vento le ho affidate, sulla sabbia le ho scritte, a qualcuno le ho ripetute... Inascoltate! Ma a Te sussurrate le ho credute e se Tu mai mi hai parlato, che parole m'hai detto? Nello stormire di questi alberi antichi a prima sera d'estate, nel brusio di mille piccole vite per l'orecchio attento nelle notti di primavera, nel rumoreggiare sordo delle onde combattute d'inverno, nel primo scroscio d'autunno sulla nostra terra arsa dal lungo sole, Tu certo sempre nuove, tenere le dici per me e oggi che più giovane non sono, ma pur sogno e più d'allora, l'anima mia senza età potrebbe forse coglierle se sempre vaga altrove ancora non cercasse... Ma forse stasera, che dal cielo dolce di prima estate per l'occhio umido più tremolanti stelle sono venute, riascoltare le mie Tu vuoi!





Quel giorno che mia madre morì



Quel giorno che mia madre morì non era bel tempo ché più estate non era, ma Tu l'attendevi e la sua anima via volò. Quella notte affannava... io le chiedevo, inebetito, che avesse e piccolo mi facevo nel lettino accanto al suo; ma ella voleva dormissi, perché nulla diceva d'avere e io piangevo in silenzio, perché nulla potevo per lei. Quella mattina strani uccelli verdi a vociarmi intorno vennero, triste presagio, quando, intento a piccoli mestieri, nell'orto stavo, ché ad altro volevo poter pensare, ma, irrequieto, non mi riusciva. Ed ella mi mandò a dire che un po' riposassi, ché bene stava e m'aspettava quella notte e non andassi prima da lei. Ma poi mi volle e io accorsi che spirava e c'era solo mio padre a piangere smarrito e incredulo ed ella non poté dirmi parole ma solo tenera guardarmi, prima che nel vago volgesse gli occhi. E venne una tempesta quel giorno e pensai che dal cuore mi fosse uscita; e con la pioggia, un vento forte dal mare e sperai che pietoso, via volesse portarmi... Non era tempo di partenze, però, quel giorno che mia madre morì... Eppure ella dovette andare, ché Tu la chiamasti ché più estate non era.

Preghiera



Dedico questa preghiera a Padre Francesco Vaccelli, di Gaeta, passionista.
Entrambi siamo innamorati di Maria.

Vere dilecta Virgo, veni, clamat cor meum. Reverte, divina, in somnia mea. Veni, ante omnia secula nata,  ad me, cadentem saucio corde. Me deprecante, in eo fieri sentio quod spero. Filium tuum dare me venire ad te. Et venio, et curro ut una habitemus in latebra animae meae, aeterne captivi in aspectu amoris. Dulce desiderata verba in aurem insurrata. Dulcior, te proxima, sonat spes esse tua. Atque tu, vocata a me longe, meis, benigne, praebe aures tuas. Permulce poenam senescente corde meo. Tolle fallacis caliginem noctis a mente mea, egente, intra multa vana, te amore. Possem in te absumi, sicut aqua super labella site vel sine amore, arida. Et labella supplicia, incessante prece, dicunt: Veni, amor, veni.


Vergine veramente amata, vieni, invoca il mio cuore. Ritorna, divina, nei miei sogni. Vieni, nata prima del mondo, a me cadente, ferito nel cuore. Pregando, in esso sento accadere quanto spero. Che tuo figlio permetta che io ti raggiunga . E vengo, e corro per abitare insieme in un recesso della mia anima eternamente innamorati. E’ dolce che parole desiderate, siano all’orecchio sussurrate. Più dolce suona la speranza che, tu vicina, siano proprio le tue. E tu, invocata da me da lontano, porgi benigna le tue orecchie alle mie parole. Addolcisci la pena per il mio cuore che invecchia. Togli la caligine di una notte di illusioni dalla mia mente, che ti agogna amore, tra molte vanità. Mi possa in te estinguere come fa l’acqua su labbra aride di sete o d’amore. E labbra supplichevoli, con preghiera incessante, dicono: vieni, amore, vieni.

Il dio ritrovato

Il dio ritrovato. Un poeta ha detto di essere stato solo come una galleria da cui anche gli uccelli fuggivano…Ma proprio allora, quando tutto il nostro mondo di fuori, rifiutato, s’è frantumato e non si può che chiudere gli occhi e guardarsi dentro, è da lì che si può sentire a poco a poco rinascere un che di importante, come una cosa nuova.. sì, che prima non c’era, e suggerita forse dal più intimo noi stessi, compresso, schiacciato, ma non completamente spento, nonostante il vissuto. E’ la sensazione di poter essere ancora e forse di più al minimo cambiamento di sorte… E’ il rinascere della speranza, forse è in nuce daccapo il sì alla vita… Sempre nella disillusione più che dall'amarezza ci si sente oppressi dal proprio giudizio e dall'altrui incomprensione e indifferenza, e più ancora a terra ci sentiamo, addirittura come colpevoli (sic!), se siamo colpiti, negli affetti o nella persona, dal male… Ma ora, a dispetto dell'accaduto, alla vissuta infelicità, subentra a poco a poco, timida dapprima, ma sempre più consapevole poi, come una speciale serenità, che ci riconcilia col mondo di fuori. E' quella che nasce dai piccoli fatti banali, trascurati per lo più e presto dimenticati dei nostri giorni comuni, invero mai completamente vuoti. Sono le piccole cose del nostro quotidiano, i piccoli oggetti delle nostre abitudini che, solo ora veramente apprezzati, potendoci su essi soffermare, ci attraggono come illuminati e fatti preziosi da un senso nuovo. Essi sembrano avere colori più vivaci, forme più decise, un posto preciso, diventato essenziale sotto il nostro sguardo, che solo ora è capace di sosta attenta e rispettosa. Sì, esso non cade più sullo sfondo indistinto del fuori fattosi ostile, prima rifiutato, dacché da quello sono riemerse d'incanto forme precise, le consuete del nostro immediato, piccolo mondo. Si é di nuovo certi, allora, di stare accanto, di stare con, e non più soli, sospesi a fluttuare nell'atmosfera di irrealtà in cui ci precipitò quanto ci accadde… Non siamo davvero scivolati nel fondo del niente, sembra che tutto questo ci voglia suggerire e, a poco a poco, anche promettere nuove occasioni, riscatto, forse gioia, vita comunque. Stiamo uscendo dal buio… E di più fanno i nostri piccoli amici di sempre, gli alberi, i fiori, gli uccelli, il cane e il gatto fedeli! E gli occhi sempre dolci e comprensivi di chi, sempre un po’ trascurato anche nei trascorsi momenti migliori, pur ci è rimasto accanto! E’ il nostro ritorno! Allora anche, in rinnovata padronanza, addirittura sentiamo di poterci rimuovere tra le cose e quelli di fuori senza eccessivo disagio e ansia, ricomprenderne meglio le parole, le ragioni, e forse perfino reinserire nei loro discorsi, le nostre parole migliori, le mai dette prima, le significative, ora forse finalmente considerate, ascoltate, forse accettate… Sì, io ora so di essermi sentito a torto da sempre senza contraccambio d'amore, e sentendolo rinascere dentro, so che posso e voglio ancora donarlo; così già faccio con le mie attenzioni e premure a quelli che ho ritrovato perché rimastimi a dispetto del buio. E se da sempre ci sono state per lo più parole amare per me, le sento rinascere diverse, nuove e dolci, dentro e pronte ad avere un senso per chi, sono certo, pur ci sarà ad accoglierle; e intanto le dico ai fiori e agli altri piccoli amici e finalmente a chi da sempre le attendeva per lei preziose…Sì, forse ho ora la giusta risposta per tutto. Perché c'è come un anelito, un soffio nell'anima, che va oltre ogni siepe, ogni ostacolo, ogni annientamento, ogni possibilità di alienazione, che sempre sono frutto perverso di malizia subita, di superficialità, di trascuratezza, di abbandono e della caduta di tutte le illusioni e anche, per chi pensava d’averlo, della perdita del dio. E tu, Signore, cos’eri? Dov’eri quando questo subivo? Mi perdono ora, mi ri-amo perfino, perché ero giunto a disprezzarmi; mi riconcilio con gli altri, accettandoli così come sono, perdonando le disattenzioni, le manchevolezze, le parole che feriscono... Ed è, credo, proprio questa l'autenticità irripetibile del mio stare a questo mondo: potermi perdonare e poter perdonare, e così ritrovare in me e nel piccolo mondo del mio quotidiano, ragioni per restare, per riascoltare umile e attento, per rispettare, nell'attesa fiduciosa, l'indugio di chi dovrebbe darmi molto o poco. Sono fuori dal tunnel. Sento che è così. Quanto è durato? Uno, pochi giorni, o mesi, o anni, sempre un tempo troppo lungo! Io da sempre ho come una sensibile coscienza del dolore in me uomo, ma ora, mai prima in questa misura, anche di quello forse inconsciamente minimizzato o ignorato, di tutte le cose che mi palpitano accanto, testimoni muti o parlanti di un comune tragico destino, non solo di uomini, ma che proprio tutti coinvolge nel subire o infliggere sofferenza. Ho ora la sensazione drammatica del dolore, che ristagna in tutte le cose, ma c'è ora anche una cosa nuova, una volontà che sempre più si rafforza, di superamento, di affrancamento; e una vaga, al momento, certezza di riuscita. Io, proprio ora, posso mettermi in ascolto di me stesso e scoprire di avere una sensazione condivisibile, come di stare in una sorta di comune attesa, come di partecipare a uno strano rito in cui forse molte orecchie sono attente e muscoli sono tesi a percepire come un fruscio che muove da dentro ciascuno, che come me sia stato provato dal male e tentato a questa perversa reazione, a rendere palese l'inutilità e l'assurdità dell'odio per chi o quanto lo provocò. Ne sono certo ora, il male mai può essere ripagato con altro male! E' come qualcosa di sopito e relegato nella latebra della coscienza, d'impaccio alla umanità frenetica d’oggi, che si muove grossolana nel pragmatismo dell’utile immediato, del conveniente oggi o del meno peggio adesso, ma che ora sembra reclamare una giusta considerazione. E io posso e voglio capire quanto mi suggerisce. Sì, questo stesso qualcosa ora mi ridà nitida la convinzione di dover rimanere, non fuggire da questo mondo, ma poter ritrovare parole incomprese, ricomporre prospettive sfumate, ricostruire vie cancellate, per riaffermare in ogni circostanza il bene smarrito. Ora io sono daccapo certo che questo sta un po' più oltre la mia vicenda e, per ora sfuggito, sono sicuro raggiungerò ai nuovi tentativi. E’ proprio questa, ora così nitida, la sensazione iniziale mal definita, risvegliata dal buio fuori e dal grigio dentro. Restare, perdonare, incamminarmi verso il bene a dispetto delle cose di prima. Ma in fondo che cerco di dire? Forse ciò che tutti constatano prima o poi: sempre accanto alla disperazione, ma l’irreparabile può talvolta accadere, e il dio sa perché, c'è il riaffacciarsi della speranza che addita nuove possibilità, nuove ragioni di vita. E' come se di fronte al possibile cedimento ci si potesse affidare a un'ultima risorsa che evita il tracollo; a un nocciolo dentro, al quale da ultimo facciamo appello; questo nella vita di sempre, sarebbe di impaccio forse o di imbarazzo, ma ora s'è fatto prezioso perché, ridando vita alla speranza, ci dà una vaga certezza di ben altro destino. Io penso che proprio questa sia la natura divina cui partecipiamo; se ne sta discreta e celata, ma come accade di certe erbe che occorre pestare perché mandino il loro buon odore, così per l'uomo è il fatto estremo, il dolore che svela a se stesso quello che reca dentro. Non può essere diversamente e lui stesso, il dio é incomprensibilmente ambiguo: c’é e non c’é, é l'assente-presente e si mostra e si vela, soccorre e nega a un tempo ogni aiuto! Ma sicuro ci ha messo un qualcosa dentro che lui ha chiamato con un nome particolare, un tesoro prezioso, una risorsa estrema. Nascosta, sopita, ma che prima o poi verrà fuori permettendo un sì ancora alla vita. Ma dalla follia e dalla morte si può venire attratti… è il male estremo. E’ forse un compito duro persino per l’angelo nero, che, nella metafora dell’incomprensibile, diciamo che le insinua dentro. Perché distruggersi, perché rifiutare la vita? Ma ora questa convinzione ho raggiunto dopo tante esperienze amare di vita e anche dopo la perdita di tutte le illusioni. C'è a un certo punto nella latebra di noi stessi come una cuspide della coscienza, cioè un qualcosa che comporta una svolta. Benché c'è chi resta annientato e non vede che la fuga nella follia o nella morte, il dio solo ne sa il perché, i più possono evitare le estreme conseguenze di auto-annientamento della disperazione e parlare di prova passata di cui diventa perfino piacevole parteciparne, e io lo faccio ora, la tribolazione, quando, ormai affrancati, ci si sente lontani dalla catastrofe sfiorata. Quanto brutta la malattia che i medici chiamano depressione! Riflettere su questa assai comune disgrazia, quando affrancati, credo sia utile. Un’ ottica attraverso la quale sia possibile trovare anche una chiave d'apertura al mistero del dio. Anzi io credente, vedo in questa dolorosa esperienza, come una sacra rappresentazione che riattualizza la sua storia d'uomo morto e risorto; e questo anche in chi soccombe alla disperazione, vittima della evidente sconfitta del cristo in noi, nell'abbandono completo del suo e nostro dio, che a lui pure, uomo, accadde allora e può riaccadere ora nella nostra vicenda, che io credo lui stesso ri-viva, a causa del male che subiamo, perché egli sta proprio in noi. Io trovo ben strano che l'animo nostro, da sempre provato, sia sempre rinnovato dall'apertura al bene, se quanto è stato è come trascorso, sbiadito, come sanato, senza più tanto peso di fronte alle possibilità del futuro, al nuovo che viene e che anzi è diventato di un'attesa trepidante. Questo attendere un futuro sempre benigno, questo aprirsi ogni volta alla sua accoglienza, è già in concreto qualcosa, cioè un valore in noi stessi, il possedere una sorta di bene. Anzi noi, che ci ribelliamo al male anche solo con la speranza di superamento, ci sentiamo ora affrancati dalle sue possibili estreme conseguenze di follia e di morte. Questa consapevolezza è già essere passati oltre, proiettati al bene sperato, come accade nell'uscita dall'acme di ogni malattia di cui guariamo, ne siamo certi, avendo scongiurato conseguenze temibili. E' quindi una realtà di bene che ci vive dentro. A tutti si svelerà prima o poi, perché tutti verranno manipolati e morsi dalla vita nel mondo di qui e vedranno cadere sogni e illusioni. E saranno tentati di rispondere al male col male verso se stessi. Non essere più se stessi, essere ridotti appena e pensare di non farcela a ricominciare e perdere l’ultimo noi stessi rimastoci… Ma forse è proprio vero, noi siamo come l'ultimo suo rifugio, del cristo che ri-vive voglio dire, il sostegno del bene che egli è, e che siamo pronti a riproporci come scopo; altrimenti come utopia lo lasceremmo precipitare nel vago degli incontri improbabili, che appartengono ai bei sogni irrealizzabili, concreti solo per gli ipocriti, i falsi pii e i fanatici… Perché quanto il mondo ci fa subire nella contumelia e prevaricazione altrui, lo mostra scacciato, braccato, ucciso altrove. Solo in noi benché sofferente della nostra sofferenza può vivere, altrove deriso, umiliato,di nuovo lacerato, respinto non può. Noi le sue mani, i suoi occhi, i suoi piedi, il suo cuore… Siamo il suo ultimo esserci, qui, ora, in questa realtà da incubo. Il dio sta in noi! Altrove il poco di lui, forse il nulla. Tutto è precario e illusorio, transeunte. Transit scaena mundi. L’unico vero bene è in noi. Non deve essere atteso da parole, circostanze, cose d’uomini, è già in noi. Sì, noi conteniamo di lui. E’ come una forma di bene, che ci fa concepire ogni altro bene e ce lo pone davanti, ri-atteso possibile, concretizzabile, nonostante mille smentite. Sì, tu, Signore, sei anzitutto in noi. Sempre con occhi miopi, ma i soli dopo tutto a poterlo fare, ti contempliamo: io poco so, poco vedo di te e se tento di dire quello che di te ho dentro, devo esprimermi per metafora. Io non credevo di averti, ti cercavo in posti, fatti, uomini, parole d'uomini, eppure già mi appartenevi! Eri proprio il guardare fiducioso al nuovo giorno, sorridere daccapo al sole che sorge dopo una notte insonne e respirare l'aria nuova della brezza lasciandomene inondare... Sì, seppure evidente, io distratto, smarrito negli inganni, dolci o brucianti della vita, non ti vedevo! E doveva venire il dolore! Altri però, e a ragione, ma in un'ottica diversa e ristretta, parlerebbe di una peculiarità del reagire umano, come di un istinto, che da sempre permette d'attendere dal domani quello che nega l'oggi; perciò anche poter restare qui nonostante tutto e potersi adattare alle novità amare, che sempre fanno dura la vita… E' questo, però, fermarsi ai fatti, che sono i contenuti sublimi, ma anche i limiti in cui si muove il pensiero scientifico. Ma l'uomo religioso, e questo io voglio essere, vuole attingere oltre le cose, i fatti, le loro leggi, che egli considera al di qua della realtà meta-scientifica che chiama Dio. Egli crede di potervi avere accesso e, privilegiando l'analogia, cerca un varco con passione e ostinazione che al dio solo, che concilia ogni dissidio, ricompone ogni contrasto, anche quelli psicologici del suo animo tormentato, perché egli deve pur restare alla realtà di qui, cederanno. E forse talvolta il miracolo si compie e l'intuizione può laddove ogni frase, ogni ragionamento è, come ogni attenersi ai fatti, respinto al di qua. Egli allora, per un attimo forse, è nella visione! Ma quando tenterà di spiegare o solo rivedere l'intravisto, dovrà fare i conti con le insidie della comunicazione per parole. Ho io questa pretesa? Io riferisco in onesta condivisione quello che sento e so di essere giudicato un po’ o molto ingenuo. Ma serve non esserlo affatto, rischiando di non vedere mai nulla perché troppo timorosi del proprio e dell'altrui giudizio? Tutto è rischio di ridicolo; le parole sono brevi metafore e la realtà resta inesprimibile, un problema drammatico con risposte forse da sempre ingenue. E tu chi sei, Dio, che nulla semplifichi e continui a riproporti come problema a me forse davvero inguaribile ingenuo? Non certo la proiezione del desiderio del bene, non eros oggettivato, anche se, confesso, a lungo ho vissuto questa tensione, oggi superata d'incanto. Tu sei piuttosto il bene in me, un nocciolo che persiste nonostante gli attacchi del mondo e che diviene l'unico riferimento nell'aridità e desolazione, che subentrano alla caduta delle illusioni e al dolore subito. Al dolore di oggi, di domani, di sempre. Possa esso sempre resistere e non soccombere del tutto ed io ricominciare! Sì, sempre… anche nella morte. Sì, quando tutto sarà buio per l’ultima volta, possa io da esso lanciare il mio anelito oltre l’inevitabile per ritrovarmi e ritrovarti, Signore. E’ la mia preghiera, la mia beata speranza di credente! Ma poi chi, in questo mondo frenetico, che non lascia nemmeno pensare, ti cercherebbe col rischio dello spreco e del ridicolo che brucia, se non avesse di te un minimo in sé? Non è coltivando illusioni di protezione e rincorrendo il bisogno di affrancamento o di perfezione e avendo l'idea vaga dell'assoluto o della giustizia, della bontà, della bellezza, attributi consueti anche del dio utopico, che si è, credo, sulla strada giusta. Sempre seguirà il disinganno e la perdita del creduto raggiunto. Ma quella giusta, ora so, è muovere da una concretezza: è il sentirsi parte di te. Sì, questo è possibile dopo la disillusione, perché si scopre di non aver perso la capacità di comprensione del bene, che è anzi sempre riproposto come conseguibile. Anzi noi sappiamo che ci riprogettiamo in ogni momento nel bene atteso, poiché avvertiamo carente l'io passato e solo provvisorio l'io attuale, se è vero che tendiamo a una sempre maggiore realizzazione e che non siamo altrimenti se non in questo ricollocarci, ogni volta, nella prospettiva del bene e quindi, di te. Io ti penso, infatti, come bene soprattutto, e devo concludere che noi non siamo senza il dio, senza te. E tu almeno stai nell'attesa fiduciosa di quello che forse mai verrà, nella solitudine anche, nella disperazione perfino, ma che portano a speranza di nuovo, di diverso, di meno brutto, di un po' di bene appunto. Stai nelle sconfitte inevitabili di questa vita di mille prove, che però fanno anelare ad altre occasioni dall'esito creduto diverso, più favorevole; stai proprio nella povertà di fondo del nostro io decaduto nella fallacia, nell'ingiustizia, nell'insufficienza, che stringono me uomo da ogni parte: proprio tutto questo ti svela e accoglie te, il Santo, il Bene! Sì, proprio quando avevamo già rinunciato nel cammino solitario della vita senza orme accanto alle nostre effimere, tu sei diventato il compagno che pensavamo accanto e invece rechiamo dentro. Sei tu che suggerisci un nuovo noi stessi non realizzato ancora, ma non disgiunto da quello consueto e ce lo mostri conseguibile. Noi, mortificati dal male, o addirittura sotto la sua suggestione, ci riapriamo per quest'attesa al futuro, che ri-attendiamo con recuperata dignità, perché ci sentiamo ora rasserenati, ricomposti, fiduciosi. E' davvero una dolce scoperta questa piccola, eppure immensa, luce dentro, anche se, nel nostro cammino di vita è pur sempre solo un barlume, perché fuori è sempre buio e freddo e sempre siamo sprovveduti un po' o molto, e tanto indifesi. Essa ci induce all'indulgenza, al perdono, all'oblio, ma senza dissociarci dalla realtà non meno amara, ma che ora, più non tentati di rifiuto, accogliamo. La chiamerò, a ragione credo, carità, briciola di te, che non sei che carità, amore nonostante, gratuità immemore della mia indegnità, se sempre puoi rispondere con dolcezza ai miei denti stretti e al mio pugno chiuso, che non ti risparmio nell'amarezza! Infatti ora sono capace di accogliere ciò che ho giudicato sgradevole, inopportuno, immeritato, ciò che non è bene e che volentieri fuggirei; accolgo cioè ciò che è privo di senso, assurdo a questo mondo e gli do la dignità di necessario alla mia vita, di opportuno, in fondo meritato. Ora so che comunque si risolverà e, forse, nella maniera più consona ai miei desideri, si muterà gradito, così come è lo stesso bene, che la speranza dolce riaccesa in me, mi fa ri-attendere fiducioso. Ma si tratta di una novità per la mia coscienza perché credevo la mia natura solo desiderio, eros appunto, sì bisogno, volontà di appagamento. Ma ora so che questo non sarebbe senza la carità che ho scoperta in me, giacché essa lo ri-permette quando le circostanze lo avviliscono e vorrebbero spegnerlo. Penso cioè che proprio dalla carità mi provenga la peculiarità d'uomo e non viceversa. Cioè dalla natura divina proviene la capacità di desiderare qualcosa, di volerlo appagare al minimo almeno, e perciò andare al mondo, cercare contatti, sbagliare forse, peccare anche, ma sempre cercarne il superamento per l’anelito sempre rinnovato al vero bene, alla luce vera in mezzo a mille falsi luccichii… Sì, lo dobbiamo ammettere: ci riproponiamo al bene perché ne rechiamo la comprensione e la volontà; è la carità che ci riassume senza rimpianti o rammarichi il passato, ci fa accettare l'oggi non proprio favorevole, ci muove alla realizzazione completa di uomini, rinnovando il piano delle aspettative, che ci riprogettano nell'autenticità. Infatti io ora so, Signore, che dobbiamo considerare un tentazione maligna, l'identificazione di noi con quanto fin qui realizzato nel lavoro, nello studio, nel rapporto con gli altri, in tutto quello che una immeritata fortuna o una perversa volontà di accaparramento ci trattiene attorno; noi non siamo la nostra capacità, non siamo la nostra intelligenza, né per fortuna il nostro denaro poco o molto, non siamo gli amici che abbiamo, la donna che abbiamo, i figli che abbiamo e quant'altro possiamo pensare per coagulare il nostro io e sentirci sicuri. Invece io ora so di stare nella provvisorietà e nell'attesa: sono progetto sempre rinnovato; il me stesso autentico non so definire, perché è una realtà che trascende il mio io transeunte, che è solo coscienza di tensione e di pathos e si infrange inevitabilmente contro il muro del mondo. Ma alla caduta non segue l'annientamento e ogni volta quasi mi sento migliore; e io lo riconsidero questo mondo d'angoscia, lo accolgo, non lo demonizzo, non lo lascio cadere nel disprezzo e nell'odio, ma perfino ne ri-attendo fiducioso improbabili azioni di bene. So di aver un che dentro che mi riconcilia con esso, me lo fa apprezzare perfino, amare anche, dal momento che lo reinserisco nel progetto rinnovato di me volto al bene. Sì, questo brutto mondo, immeritevole, cattivo a volte, mi sta davanti perché lo ami! Assurdo? Ma la realtà, questa spesso sgradevole o addirittura infame, è la sola via da percorrere e la si percorre con una risposta eroica, l’amore nonostante tutto! Sì, dare qualcosa di sé sempre senza nulla attendersi, lasciare che altri si appropri del tempo, delle aspettative, della serenità, delle occasioni rimaste, degli ultimi sogni… Imitare il cristo. Non c’è altro modo per vivere il dio. Questa è in nuce la santità. Ora so cos’è! A tutti il compito duro di cercare di essere santi. Sì, è la carità che reco che deve essere la mia risposta al mondo a torto giudicato solo ottuso e insipiente. Sbagliavo, c’è tanta potenzialità di bene, tanta aspettativa, tanto bisogno anche d’amore, tanta attesa del dio… Io stesso ora mi scopro briciola, frammento del bene, questo in me. Perché? So di non sbagliare, io ho, a un certo punto, netto il sentore che solo apparentemente sia io a contenerlo, ma che invece io gli appartenga come briciola, nullità forse, perché ne resto ogni volta determinato; infatti quanto sempre mi qui accade tenderebbe a frammentare nel vago il mio io, cioè la coscienza che ho di me come persona, verso l’alienazione e la morte perfino. Perciò io, in realtà, non sono senza, io sono sempre in conseguenza di questo nocciolo dal quale ricostruisco le attese di bene per me e per chi e per quanto mi circonda. C'è, quindi, a un certo punto, un rovesciamento cosciente di prospettiva: io ospite della carità, mi sento ospitato da essa, accolto in una realtà più ampia, che esiste di per sé, non per me, che solo sono per essa. Allora sono certo che il dio-carità ripartito nell’umanità tutta, non è semplicemente la somma dei suoi frammenti. E’ di per sé. E ora e qui ripartito proprio perché è Carità, necessità d’essere per tutti e in tutti! A noi la gioia della scoperta in noi di ciò che ci trascende, del dio stesso un po'. Proprio di te, Signore, e t'ho da scoprire, da fare più coscientemente mio. A questo po' di te presto ormai attenzione, l'alimento quasi per farlo crescere e cerco di dargli una risposta, la stessa che devo a tutti nella necessità di imitarti, certo inadeguata, ma mi sforzo sia d'amore, così come al momento posso, e certo di più potrò, se avrò ancora vita. So che a poco a poco lo sentirò colmare ogni mia carenza, chiudere la mia incompletezza e darmi accesso alla realtà ultima che sei, che penso chiudere il mondo stesso con la risposta a ogni perché. Sì, raggiungerò per suo mezzo il vero me stesso nella creazione promessa di cui questa è parvenza, progetto, mezzo, nella ultimità che sei, che tutti chiamano Dio, il dio. Ora lo so, egli è simultaneamente via, meta per me e granello già in me. Sempre carità in ogni momento e aspetto. E altro di te non so! Ma importa? Vorrei tanto aver saputo dire, essere stato chiaro e convincente nel tentativo, certo quanto ambizioso tanto ingenuo, di guadagnare al dio con me, tutti. Ma chi ha visto troppi orrori, difficilmente, quali siano le argomentazioni, concederà dignità a quelle che non possono non sembrargli che mere congetture e, se benevolo, le riferirà a vaghezze d’una mente senile. Fatti ci vorrebbero, ben altri pianti per i dolori, diceva mia madre! Ma io rispetto profondante chi nega il dio dal suo o d’altrui dolore. Posso solo pregare. Io stesso, medico, ho toccato, ho palpato il dolore e la vita m’ha pestato bene nel suo mortaio! Sono stato negatore anch’io e tentato da quel baratro che non è un posto, non è fuori, sta dentro! Davvero ora altro non ho che possa partecipare! Ho solo un minimo del dio, dopotutto! Ma il minimo del dio che ho, non vorrò più perdere, non me lo lascerò più strappare! Sì, lotterò per la fede come suggerisce San Giuda, solo allora potrò ben dire: Christe, cum sim hinc exire… fac ut animae donetur paradisi gloria! Oh Madre dolce, rimani a noi vicina, nunc et mortis in examine!