domenica 25 dicembre 2011
C'è il dio?
C’è il dio? Tenterò qui solo di affermare la sua possibilità, avendolo nel cuore, cosa preziosa, un dono, ma assai precario come ogni altro amore e non vorrei! Perciò anche parlerò della sua possibile perdita. Ma pur nei momenti migliori, ripeterò con S. Agostino: timeo deum transeuntem. Passa e non so vederlo! Dove? Negli altri senz’altro. Dico subito che deus absconditus rimane sia per chi lo nega, sia per chi lo ama. C’è impossibilità a cogliere l’assoluto, una specie di difetto connaturato, una colpa si direbbe con linguaggio religioso, ed è consapevolmente quasi sempre una corsa vana per una mente onesta non importa quanto raffinata. Anche quando teorie fossero tentate con espressioni solo formali, terse da immagini equivoche del linguaggio comune, pure criticamente sarebbero inadeguate perché caratteri antropomorfici sempre vi farebbero capolino facendole perdere in rigore. Un mito pur sempre rimarrebbe ogni discorso su Dio. Anche finirebbe palese quel che si riteneva ben celato, il punto di partenza, il rifiuto o l’amore. Perciò sebbene nei secoli innumerevoli risposte siano state tentate onestamente, il problema rimane aperto. Si parla, in tono più dimesso, di necessità della fede, di dono della fede da parte del suo stesso oggetto però. Una specie di tautologia. Chi l’ha, quando coerentemente onesto, richiesto di dire le sue ragioni, sa che esprimere quello che pure nei momenti migliori avverte come certezza, svilisce nelle parole. Chi invece nega, solo apparentemente è più sicuro. E si incontrano facilmente atei buoni e di fatto cristiani autentici, e cattivi cristiani, formali e in fondo atei. Il vero credente nel dio, anche non cristiano, rinuncia a dire quasi sempre e piuttosto lascia parlare i suoi gesti. Ne sono ben consapevole… ma i miei gesti dalla mia azione sempre poco efficace, timida quasi sempre, si sono fatti rari oggi e più carenti, perché più non parlano da sé senza parole e le mie parole, prima avvertite inutili, le sento ora necessarie sebbene inadeguate e talvolta perfino cadute nel non senso…Triste è doverlo constatare. Ma Paolo soccorre la mia confusione dal fallimento completo, come la mia insipienza e io, che dovrei arrendermi dalla mia inadeguatezza, afferro la sua mano tesa. Tutto è creato in vista e per Gesù. E la lettura de Le milieu divin ha rafforzato la convinzione suggerita. Il mondo c’è non solo perché il Cristo doveva venirci col suo destino tragico, perché il dio ha scelto di non essere solo e ha voluto l’altro accanto e distinto da sé, il completamente diverso, questa realtà e per esservi coinvolto, ma anche perché vi deve tornare a separare pecore da capri e tutto gli sta correndo incontro, tutto sta convergendo, affrettandosi, al punto omega! Mundus moritur festinatim. So di più, che anche nella visione beatifica, quando non si penserà più miticamente il dio, pure l’unica possibilità di comprensione dalla nostra limitatezza per quanto illuminata, sarà solo attraverso il suo cristo. L’umanità sebbene in Dio, sarà soccorsa ancora da Gesù che è trasparenza di Dio, sempre. Ancora rifletto, quindi il dio non è per sé soltanto, cioè non è solo per la sua auto-comprensione, ma ha voluto esser-ci, cioè essere in questa realtà. Come diceva il mio professore, il buon Archita, ateo, ma che il papa buono, che tanto ammirava, ha certo portato in cielo, Dio ha voluto e fatto questo mondo per non essere più solo. E ha voluto esservi uomo. Allora egli è, perché c’è nel completamente altro, il mondo, la creazione tutta e l’uomo in essa, capace di riconoscerlo, non altrimenti. Insomma è perché c’è, scelta della sua libertà. Noi cristiani diciamo all’angelus : et verbum caro factum est et habitavit “in nobis”, inoltre crediamo, altrimenti, come ben dice Paolo, vana sarebbe la fede, che l’uomo Gesù sia ora in Dio come l’umanità tutta vi sarà, lui garante. Tutti in un’epoca imprecisabile della nostra infanzia ci siamo accorti di esserci, cioè di essere al mondo, e nel mondo stare non solo passivamente, ma di partecipare a questa realtà. Per lo più subendola, è vero, ma talora agendovi con successo perfino, effimero, parziale, ma positivo epilogo di talune nostre azioni. Ma presto anche c’è stata l’amara scoperta. Noi siamo sì nella vita ma essa è immersa nel male… e a un mondo ostile si aggiunge la malizia di quelli accanto, nel silenzio di Dio. Quanto è lungo, quanto opprime questo silenzio! Sono tentato continuamente da esso di negare ci sia un dio buono, il dio. E mi dico: sì, questa realtà potrebbe essere da sé, esistere così com’è, carente e brutale, da sempre. Essere, come il dio avrebbe potuto e rinunciò, per sé sola. Questa congettura ha dignità, ma stranamente allora la realtà diventa un’affermazione di Dio, cioè dell’altro dal mondo, e proprio del nostro dio perché il bene qui, anche raro, c’è, quindi un’affermazione del solo soltanto buono. Il dio, Allah. Perché se qualcosa che non posso negare, standovi dentro, il mondo dove sono, c’è con gli attributi essenziali del dio, essere da sempre causa di sé, egli almeno come possibilità c’è. Cioè io non posso negare il mondo, questo stesso da’ a Dio la possibilità di esistere. Dio è possibile, quindi è? E’ stato ben detto che non è lecita tale deduzione. Allora tutto poteva rimanere così, solo congettura per alcuni, mito appagante per molti, che credono il dio sia sebbene senza oggettivi riscontri. Ma la mera possibilità, per noi cristiani, è diventata concretezza, si è coagulata a un certo punto della storia, e c’è stato chi ha potuto ascoltare e toccare colui che ha la vita in sé (1Giov.1). Noi abbiano fiducia che sia stato un accaduto, un evento. Siamo con-fidenti e per questo ci diciamo cristiani. Che altro? Le distanze reciproche tra le galassie si scoprono in continuo aumento, fenomeno chiamato espansione dell’universo, e tutto accade come se lo spazio in cui stare per la realtà, venga continuamente non solo aumentato, ma “creato”, perché al di là non c’è che il nulla. Insomma mi hanno spiegato che non accade come per una figura disegnata su un palloncino gonfiato a dismisura, la quale così può espandersi in una stanza vuota. La stanza semplicemente non c’è, c’è solo in palloncino col suo disegno, oltre il niente. Non pre-esiste uno spazio in cui l’universo può dilatarsi. Allora come l’universo fisico si espande nella possibilità dello spazio, che c’è come tale solo quando concretizzato, occupato dalla materia, così il cosmo, l’esistente tutto, che comprende l’essere pensante uomo, si espande anche nella possibilità dell’assenza-presenza del dio. Perché, mistero, c’è il male sicuro e barlumi di bene anche. Questa ambiguità della sua presenza-assenza viene percepita, cioè avvertita come problema, necessità di confronto e di risposta, non importa quale, non importa quanto provvisoria, solo quando il male-bene irrompe nella vita umana personalmente coinvolgendoci: privazioni, malattie, lutti…oppure, al contrario: esenzioni, parole buone, tenerezze, piccole-grandi gioie… Ma anche collettivamente: guerre, pandemie, terremoti e quant’altro di una orribile serie subita da sempre, dovendo da sempre le specie tutte evolvere in competizione in una natura ostile e le menti affinarsi nella lotta perfino, oppure al contrario, benessere che ci veda partecipi in qualche misura, così come sicurezza sotto protezione di governanti saggi, temporanee assenze di rabbia e barbarie...Ma il passo ulteriore per dio, da mera congettura, ipotesi del pensiero, ad esistere uscendo dall’ambiguità di sempre, c’è stato a un certo punto, perché egli ha parlato, è stato visto e toccato. Da’ proprio brivido il prologo della prima lettera di Giovanni! Non è diversa la certezza per le altre religioni. Dio ha parlato, ha operato, ha portato Israele fuori dall’Egitto, l’ha liberato dalla schiavitù, ancora s’è rivelato, ha dettato per mezzo del suo angelo, il suo Corano. No, per nessuno dei veri credenti il dio è mito o congettura, egli è perché c’è stato e c’è, anche ora, qui, nascosto. Dire che il dio è nei cieli è metafora. I pagani pure avevano una certezza simile. Lucano accredita a Catone una tale dignità facendogli dire: Giove è tutto ciò che vedi, è ovunque tu vada, così che Dante lo incontra custode delle anime purganti. Allora io cristiano so che il dio c’è stato, ha visitato la sua umanità e sta qui accanto e in me proprio. “In nobis”, parlando dell’incarnazione del Verbo, più che tra noi è da intendere anche e meglio, dentro di noi. E noi saremo dentro Dio, essendovi già Gesù e sua madre assunta, garanti del nostro destino. Saperlo può oggi smorzarmi l’ansia di dover esistere, sforzandomi piuttosto ad avere coerenza di credente. Sì dico convinto, cum sim hinc exire da per matrem me venire ad palmam victoriae, quando corpus morietur fac ut animae donetur paradisi gloria (B. Jacopone da Todi). Ma poi mi riscopro fragile, ogni evento tragico, ogni lutto mi turba... e la mia depressione senile fa il resto e spesso gli occhi mi diventano lucidi e ne sono imbarazzato, e le immagini tremule… E’ di oggi che il padre di un amico carissimo, sta per lasciarlo. Son rimasto sconvolto anche, come molti, credo, per il recente terremoto da averne una brutta Pasqua e di più dall’apprendere di quella giovane donna, morta col suo piccolo appena nato e i soccorritori in Corsica. Ma se è vero, come afferma il salmo settantuno, che Dio ci amati e protetti fin da quanto eravamo informi nell’utero materno, chiamandoci alla vita con quel nome, che lui solo sa e che diciamo anima, sì quello che di noi non muore, perché allora quell’accaduto? Di nuovo il male diffuso mi gela…Se questo accade e perché Dio non c’è, ho voglia di gridare. Una ricorrente tentazione. Molto vi può la preghiera, mi dicono. E io prego. Il mondo cammina col le sue brutture che ci coinvolgono e noi ripetiamo: Ave Maria! Cento, mille volte. E pare non bastare! Chi mi risponderà, chi rassicurerà la mia ansia? Ma forse una risposta c’è nel nostro particolare credo. Sì noi crediamo nel Padre del Signore. Lui il dio. Io solo così posso capire che intendeva il missionario che in Amazzonia si occupava di lebbrosi e si diceva non perfettamente felice finché non fosse stato uno dei malati di Dio e non sapeva di esserlo già! Accade a tutti: coltiviamo illusioni di bontà e di bene e vogliamo soccorrere, occasionalmente, chi giudichiamo stia peggio. Forse i migliori, che aspirano alla santità, sono di maggiore perseveranza. Ma in fondo tutti chiediamo di essere esonerati e vogliamo lasciar solo il Signore, malato e povero finché c'è chi lo è. Tale è il disordine di questo mondo che, se io scampo, qualcuno è afferrato al mio posto. Sì, ora capisco e mi scopro assai diverso: non umile né povero e ciò che ho detto o fatto è niente per il Signore perché, intanto che in futilità mi perdevo, qualcuno ha piantato mille sue croci ancora. Come non fosse lecito che rimanesse vacante il nero palo che vedo talvolta nell' allucinazione di pensieri stanchi, lì sulla brulla collina da cui tutti miei sogni sono fuggiti, hanno di nuovo preso il più inerme, mentre io ero riluttante a quella vista… Sì, uno dei viandanti, che un po' insieme discorreva qui con me su questa strada del mondo, che percorro fidente. Sì, mi sono fatto eterno pellegrino sulla strada di Emmaus. Ma l'albergo del riconoscimento del Signore è lontano... Viandante, mi accompagno a quelli che mi camminano accanto, muti o parlanti. Sì questa via da una parte conduce, ma chissà dove e chissà quando! Sì di qualcuno di compagni mi sento privato, e ora ben lo riconosco, il suo non può essere che il volto del Signore stesso! Ho pregato per lui, ho pregato per me. Ma dove mai finiscono le parole e le lacrime? Una sua piaga il Signore svelò a San Bernardo in nome della quale sarebbe possibile che venga esaudita ogni giusta richiesta... Ma apparentemente mai alcuna preghiera, pur estrema e pressante, è soddisfatta! Forse perché nella disperazione e nell' urgenza dimentichiamo che proprio lui alla nostra flebile voce da’, contro al cielo chiuso, la forza del suo grido disperato dalla sua nuova croce. Siamo gli abbandonati, è l'abbandonato! Nessun barlume, nessuna voce, tutto è estraneo e indifferente! Solo l'incessante battito del nostro cuore stanco, il suo stesso cuore. Sì, possiamo credere a un dio così! Io mi rivedo bambino in un meriggio di primavera assolato. C'era molta gente all'ingresso del convento e neri cavalli frementi attendevano, scalpitando e un bieco vespillone a cassetta faceva del suo meglio per trattenerli. La vecchia suora della mensa era morta. Tutto il giorno stava alle pentole indaffarata e si irritava se si invadeva il suo regno o le si rivolgeva la parola. Io la temevo, né mai l'avevo vista sorridere. Le mie preferenze andavano alla pallida, giovane monaca occhi neri, che ci leggeva dalla Bibbia la storia di Giuseppe venduto dai fratelli, cui la moglie del funzionario del faraone tendeva insidie... Ma solo se buoni e attenti, le preziose figure del libro ella ci mostrava alla fine. Però quella simpatia finì il giorno che mi sgridò per una pipì sul muro della chiesa, la casa di Dio! Sì, avrei voluto fosse morta lei quel giorno, perché certo meritava un castigo divino, tanta era la vergogna che sentivo di fronte ai compagni! Si parlava della morta... tutto si diceva di lei nell'attesa, sebbene solo bisbigliando. Seppi così che, sebbene di nobili natali, nonostante la sua buona educazione, aveva voluto rimanere una suora conversa addetta a umili mansioni. Quando poi s'era ammalata era stata senza chiedere nulla, né s'era lamentata mai. Ed era stata giovane, qualcuno lo ricordava benissimo, e assai bella. Allora me ne stetti confuso e divenni triste quando all'ufficio, le monache con voce commossa cantarono i salmi. Quella notte sognai un castello e una bella principessa, che fuggire doveva non so per quali contrasti da una vita di sogno; un cavaliere faceva giustizia dei torti subiti e le assicurava una sorte degna e io ero quel prode! Ma da quel giorno cominciai a capire che valore e sofferenza coesistono discreti e muti, quasi sempre ignorati e Dio solo può leggere un cuore e intendere il linguaggio della pena e della rassegnazione. Favole ci hanno sempre raccontato! Il Signore stesso nulla può, vittima egli stesso del male che ha permesso, se non piangere e gridare con noi. Egli non è affrancato, ma sempre coinvolto. Ascolta parole, richieste ostinate, vede l'orrendo sogghigno dell'angelo nero sempre vittorioso che ci priva di tutto, della dignità perfino, e sente l'amarezza dell'impotenza! Cento volte l'ho sentita e lui con me! Sì, egli è nel pianto che per molti s’è fatto pigolio e nella pena del mio ascolto agghiacciato e inerte. E muore un altro giorno e io soffro di ogni morte e la luce di dentro s'è fatta fievole... Mi parli lui solo! Sì, intra tua vulnera absconde me, domine, ne permittas me separari a te! Sì, questa mia vita passata che lunga teoria di amarezze! Tornerò a parlare, a dispetto, spero, delle angustie del momento. I ricordi s’affollano tanti e la luce del monitor ora mi infastidisce…devo smettere! Dico a me, dico a tutti: Rimetti la tua vita e le sofferenze che ti angustiano alla fida cura di Colui che regna in cielo. Colui che segna il corso e la via alle nuvole, all’etere, ai venti, saprà trovare anche la via su cui potrai incamminarti. ( Bach: Passione secondo Matteo) Per me solo un’uscita ormai, dignitosa spero. Da per matrem…
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