domenica 25 dicembre 2011

Fedeltà a Maria

Fedeltà a Maria. Qui da noi la fedeltà a Maria è dovuta. Questa è la città dell’Immacolata. Fu il papa fuggiasco a meditare proprio qui questo dogma. Tutti quelli che la riguardano esprimono debiti d’amore. Dobbiamo a Maria l’amore di ciò che di Dio per ora non comprendiamo. Questo ci deve essere caro particolarmente. Perché qui proprio, nella precarietà del momento, lo Spirito divino visitò la mente di quell’esule riempiendogli di grazia il cuore e donandogli un destino di grandezza pur nella sua palese incomprensione dell’incalzare della storia. Per esso e ancor più per quello posteriore dell’assunzione della Vergine, i malevoli parlarono di pochi o nulli riscontri scritturali. Ma come disse S. Agostino: caro Christi, caro Mariae. Sì l’amore di Cristo per Maria è così grande che egli rimane uomo sì per noi, ma per sempre con la carne di sua madre. E il Corano stesso lega i due in un binomio indissolubile, invito a questo libro, sacro a molti, prezioso per i credenti tutti. Allora l’icona di Dio seguì in tutto il divino figlio. E sulla croce come disse Dante, salì sì madonna povertà, ma anche, dico, la Nostra, anche se fisicamente rimase in giuso, cuius sacratissimam animam doloris gladius pertransivit. Sì, macula originalis non est in tota pulchra ed ella è già completamente in Dio come anche noi, per suo mezzo, raggiungendo Gesù, saremo, non importa il nostro particolare credo, legato al nostro mondo e alla sua storia, o alle conclusioni della nostra mente spesso provata da fatti sconcertanti di vita e perciò spinta alla negazione. Tutte le vie, tutti i destini portano al dio. Ella è garante del nostro pezzetto di cielo. Da sempre è stata quello che di Dio sappiamo. Ma Dio è altro e solo suo figlio è completamente Dio. E’ peculiare del cristiano che il dio abbia visitato l’umanità. Ma per noi Dio è almeno ciò che è Maria. Tentare di comprendere il dio, Allah dei nostri fratelli in Abramo, appieno non è di oggi, ma un compito da santi nella vita da venire. E l’eternità non basterà. Sì, Maria è manifestazione divina, è finestra sul mistero di Dio. Ne sono profondamente convinto, un’intuizione comune, penso, ai cattolici. Ella è corredentrice. Ma io, che nulla sapevo delle cose di lassù, devo queste intuizioni di oggi a riflessioni del mio professore, don Savino, matematico-sacerdote, in peregrinazioni napoletane, quando lui già pensionato e io giovane docente, negli intervalli spesso assai lunghi delle mie lezioni, andavamo per vie e vicoli della vecchia Napoli a tenerci compagnia. Di esse mi fece parte parlandomi, con voce velata e occhi lucidi, delle apparizioni mariane, manifestazioni divine. Dio stesso, per lui, apparve più volte come sua madre è. Ma forse non dobbiamo pensare alle madonne delle numerosissime icone della nostra arte e religione, piuttosto a una bellezza palestinese, bruna sicuro, forse dalla pelle un po’ scura. Quella che io ho visto più volte è una madonna nera, africana. Peccato, però che sia stato solo in sogno! Maria è la generosità completa e il suo primo atto è il per-dono, cioè il dare oltre il dono. Dono di suo figlio a una umanità da sempre immeritevole. E poi l’annichilazione, la κενωση stessa del Cristo, lo spogliarsi della dignità di Figlio, si completa certo in Maria nella sua condizione di donna su cui una società maschilista è da sempre tentata di prevaricazione come su ogni altra donna. E se Gesù uomo, visse la sua precarietà di subordinato dignitosamente finché fu possibile, fino alla croce, l’epilogo fu poi quello che è per tutti, nell’abbandono. E noi anche, gridiamo e senza dignità dalla nostra croce personale, nell’indigenza, nella malattia, nella solitudine, e Maria ancora al dio con noi. Rimane madre. Ma la nostra dedizione a Maria è ben diffusa. Qui si respira un’aria mariana. Me lo dicono le numerose chiese, quella della Solitaria specialmente, a me tanto cara. E poi la tenera immagine di lei allattante della nostra chiesetta della Catena e quella pure tenerissima nello stesso atteggiamento della minuscola chiesa del Colle. Gloriosa virginum, sublimis inter sidera, qui te creavit parvulum lactente nutris ubere… E poi le numerose icone dei vicoletti del nostro Borgo. E poi l’incantevole nostra festa a mare. Anche se i soli bambini possono apprezzarla e percepirne la gioia, quella stessa della nostra devota gente di mare. Ma io, bambino, non apprezzavo affatto la statua dal copioso manto azzurro. Troppo rigida, altera quella figura di donna, non somigliante ad alcuna delle nostre. E poi il divino Bambino vestito allo stesso modo e con i boccoli anche, una femminuccia! Ma allora non capivo, da sprovveduto com’ero e forse sono, che l’ingenua mano dell’artista aveva rappresentato, involontariamente suppongo, un fatto innegabile da dover dire: qualis mater, talis filius. Una verità teologica. E poi quell’accaduto per me assai increscioso, oggi ancora che tanta distanza v’è interposta. Come tutti gli anni la statua veniva deposta dalla nicchia in alto, per essere rispolverata, preparata per la processione solenne, in sacrestia. Era un affaccendarsi intorno. Ma chissà come quella volta a noi più piccoli capitò di restar un po’ soli con essa. E ci fu tra noi un temerario che guardò sotto al manto e ne venne fuori ilare, invitando tutti noi a imitarlo. Ma il mio turno non venne anche se, per compiacere i miei compagni, mi sarei cacciato sì sotto, ma a occhi chiusi. Il prete furente ci sorprese e ci inseguì gridando alla blasfemia. E noi dovemmo tra la folla della chiesa sgattaiolare per salvarci. Ma cosa videro i compagni non seppi mai. Forse solo un fantoccio di pezza senza intimità. Così vidi io con disagio e pena, molti anni dopo, una santa star nuda, giacere come bambola senza attributi, per la vestizione prima della festa, a cui i notabili soli, sedendo in circolo, potevano assistere in quel paese di Sardegna, la terra dei miei avi. Comunque stetti senza andare in chiesa per mesi, più che per timore della bastonate, per vergogna. A mia madre non feci mai parola. E sì che ella continuava alla domenica a mandarmi digiuno a quella messa perché prima facessi la Comunione. Ma alla Madonna dissi tutto e le chiesi perdono con moltissime Ave. Le dicevo proprio tutto e lo faccio ancora. Pene di bambino, delusioni molte, sogni, chimere…, ansie di oggi. A lei, inter omnes speciosa, inter omnes mitis, cui ripeto incessante: monstra te esse matrem. Dante l’invocava da mane a sera! Il suo fu un viaggio a Maria, non a Beatrice. E quando San Bernardo lo invita a guardare fisso Maria, è in quel volto quello del Figlio. Dio stesso manifesto. La descrizione ulteriore pure c’è, vana però…Dante come il geomètra che invano s’affanna sulla quadratura del cerchio. Ma mia moglie afferma che indulgo troppo nei miei ricordi e più ancora in quelli che ho vividi di bambino. E’ vero. Senilità? Ma tutto può servire a far comprendere la necessità, l’urgenza che noi abbiamo di appropriarci di Maria, della sua dedizione, della sua umiltà, del suo candore, della sua verginità perenne, del suo silenzio. E cominceremo a mangiare del Figlio, la sua stessa carne. Poi la cercheremo ovunque, in ognuno… in cui ella, novella Eva, di sicuro vive. Signum magnum apparuit in coelo, mulier amicta sole et luna sub pedibus eius et in capite eius, corona stellarum duodecim. E’ la Nostra, quella del dogma. Qualcuno vede in questa figura apocalittica il popolo biblico, da cui il messia è venuto. Non credo sia così. Infatti troppa scienza fa perdere verità, come nel nostro bel dialetto, mi ripeteva mia madre, continuo invito all’umiltà! Per noi di qui, tante donne concrete come madonna Laura, non Beatrice…, ma una sola da amare, un maschio è solo il messaggio d’amore di una donna per un’altra donna! La donna del messaggio, che la madre naturale trasmette, è Maria. Così che sia possibile una habitare, una deum amare. Avere nel cuore Maria è conservare la fede in Dio. Una cosa non da poco. Seria fin troppo per tutti. E per me anche, al di là delle mie riflessioni oneste e digressioni anche se sincere, e della tentazione al…latinorum. A proposito, c’è un refuso nella mia nota precedente: ho scritto querens, ma naturalmente è da intendersi quaerens. Di Maria San Pier Damiani, quello di Dante, ha scritto quello che qui ho tentato di illustrare: Cum Deus in omnibus rebus sit tribus modis, in Virgine fuit quarto particolari modo, scilicet per identitatem, quia idem est quod ipsa. Quanta profondità e quanto amore! Queste parole verrebbero sciupate se ne tentassi una traduzione, che delego alla personale cura del lettore. Però non vorrei apparire saccente e tentato così di nascondere la mia insipienza, come quell’uomo di scienza che onestamente richiesto di spiegare il perché del volgere delle foglie alla luce, laconicamente affermò trattarsi di eliotropismo. Ancora però, cito a mente e spero senza nuovi refusi. Faccio così perché ho da anni l’abitudine di pregare in latino e sono ormai molte le preghiere e altre cose che tengo a mente in quella lingua. E poi il perpetuo disordine tra i miei libri raramente mi consente di ritrovarne le fonti. Ma questa abitudine aiuta la mia mente se è vero che memoria minuitur nisi eam exerceas, e non mi permette sterili divagazioni e futilità senili nelle mie lunghe e per lo più solitarie, passeggiate mattutine. Mio cugino, il buon medico cui devo molto, pregava in auto tra le visite domiciliari. Invito tutti a fare così, a pregare se si è soli, possibilmente nella lingua della nostra civiltà e religione. Così pregava mia madre e tutti noi cristiani fino a pochi anni addietro. Poi buio, latino negletto, a scuola e in chiesa perfino! Comunque la comunità dei nostri santi, quelli del nostro credo che ci hanno preceduto, come prega ora, mi chiedo senza capacitarmi, se per due millenni lo ha fatto in latino? Domanda ingenua sì, oziosa forse, ma nessuno potrebbe rispondermi, vuoi per ignoranza delle cose di là, vuoi per palese imbarazzo, suppongo. Ho avuto un’ottima insegnante di scuola media, fortuna anche in quei tempi ancora non bui, la Bartoccini, che io la possa rivedere! L’amico carissimo Peppe la cercò e abbracciò per sé e per tutti noi, allievi devoti, veri pupils, ormai assai avanti negli anni. E poi mia moglie che mi preparò allo stesso modo, paziente, alla maturità perché potessi studiare medicina. Devo molto a entrambe. Ma nel greco antico, che vorrei tanto conoscere, inappagata aspirazione anche per Dante, nessuno m’aiuta… il solo a farlo è il più discreto amico, fedele per definizione, quando non inquieto per virus e altro dal web. Allora che dirò ancora? Oh, potessi con Paolo dire: sono giunto al termine della mia vita, ho combattuto la mia battaglia, ho conservato la fede…perché Lei ho amato! Come, quando? Attraverso ogni sguardo, ogni parola, ad ogni occasione… Lei ci vuole fedeli. Dio è fatto così.

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