domenica 25 dicembre 2011

Il dio ritrovato

Il dio ritrovato. Un poeta ha detto di essere stato solo come una galleria da cui anche gli uccelli fuggivano…Ma proprio allora, quando tutto il nostro mondo di fuori, rifiutato, s’è frantumato e non si può che chiudere gli occhi e guardarsi dentro, è da lì che si può sentire a poco a poco rinascere un che di importante, come una cosa nuova.. sì, che prima non c’era, e suggerita forse dal più intimo noi stessi, compresso, schiacciato, ma non completamente spento, nonostante il vissuto. E’ la sensazione di poter essere ancora e forse di più al minimo cambiamento di sorte… E’ il rinascere della speranza, forse è in nuce daccapo il sì alla vita… Sempre nella disillusione più che dall'amarezza ci si sente oppressi dal proprio giudizio e dall'altrui incomprensione e indifferenza, e più ancora a terra ci sentiamo, addirittura come colpevoli (sic!), se siamo colpiti, negli affetti o nella persona, dal male… Ma ora, a dispetto dell'accaduto, alla vissuta infelicità, subentra a poco a poco, timida dapprima, ma sempre più consapevole poi, come una speciale serenità, che ci riconcilia col mondo di fuori. E' quella che nasce dai piccoli fatti banali, trascurati per lo più e presto dimenticati dei nostri giorni comuni, invero mai completamente vuoti. Sono le piccole cose del nostro quotidiano, i piccoli oggetti delle nostre abitudini che, solo ora veramente apprezzati, potendoci su essi soffermare, ci attraggono come illuminati e fatti preziosi da un senso nuovo. Essi sembrano avere colori più vivaci, forme più decise, un posto preciso, diventato essenziale sotto il nostro sguardo, che solo ora è capace di sosta attenta e rispettosa. Sì, esso non cade più sullo sfondo indistinto del fuori fattosi ostile, prima rifiutato, dacché da quello sono riemerse d'incanto forme precise, le consuete del nostro immediato, piccolo mondo. Si é di nuovo certi, allora, di stare accanto, di stare con, e non più soli, sospesi a fluttuare nell'atmosfera di irrealtà in cui ci precipitò quanto ci accadde… Non siamo davvero scivolati nel fondo del niente, sembra che tutto questo ci voglia suggerire e, a poco a poco, anche promettere nuove occasioni, riscatto, forse gioia, vita comunque. Stiamo uscendo dal buio… E di più fanno i nostri piccoli amici di sempre, gli alberi, i fiori, gli uccelli, il cane e il gatto fedeli! E gli occhi sempre dolci e comprensivi di chi, sempre un po’ trascurato anche nei trascorsi momenti migliori, pur ci è rimasto accanto! E’ il nostro ritorno! Allora anche, in rinnovata padronanza, addirittura sentiamo di poterci rimuovere tra le cose e quelli di fuori senza eccessivo disagio e ansia, ricomprenderne meglio le parole, le ragioni, e forse perfino reinserire nei loro discorsi, le nostre parole migliori, le mai dette prima, le significative, ora forse finalmente considerate, ascoltate, forse accettate… Sì, io ora so di essermi sentito a torto da sempre senza contraccambio d'amore, e sentendolo rinascere dentro, so che posso e voglio ancora donarlo; così già faccio con le mie attenzioni e premure a quelli che ho ritrovato perché rimastimi a dispetto del buio. E se da sempre ci sono state per lo più parole amare per me, le sento rinascere diverse, nuove e dolci, dentro e pronte ad avere un senso per chi, sono certo, pur ci sarà ad accoglierle; e intanto le dico ai fiori e agli altri piccoli amici e finalmente a chi da sempre le attendeva per lei preziose…Sì, forse ho ora la giusta risposta per tutto. Perché c'è come un anelito, un soffio nell'anima, che va oltre ogni siepe, ogni ostacolo, ogni annientamento, ogni possibilità di alienazione, che sempre sono frutto perverso di malizia subita, di superficialità, di trascuratezza, di abbandono e della caduta di tutte le illusioni e anche, per chi pensava d’averlo, della perdita del dio. E tu, Signore, cos’eri? Dov’eri quando questo subivo? Mi perdono ora, mi ri-amo perfino, perché ero giunto a disprezzarmi; mi riconcilio con gli altri, accettandoli così come sono, perdonando le disattenzioni, le manchevolezze, le parole che feriscono... Ed è, credo, proprio questa l'autenticità irripetibile del mio stare a questo mondo: potermi perdonare e poter perdonare, e così ritrovare in me e nel piccolo mondo del mio quotidiano, ragioni per restare, per riascoltare umile e attento, per rispettare, nell'attesa fiduciosa, l'indugio di chi dovrebbe darmi molto o poco. Sono fuori dal tunnel. Sento che è così. Quanto è durato? Uno, pochi giorni, o mesi, o anni, sempre un tempo troppo lungo! Io da sempre ho come una sensibile coscienza del dolore in me uomo, ma ora, mai prima in questa misura, anche di quello forse inconsciamente minimizzato o ignorato, di tutte le cose che mi palpitano accanto, testimoni muti o parlanti di un comune tragico destino, non solo di uomini, ma che proprio tutti coinvolge nel subire o infliggere sofferenza. Ho ora la sensazione drammatica del dolore, che ristagna in tutte le cose, ma c'è ora anche una cosa nuova, una volontà che sempre più si rafforza, di superamento, di affrancamento; e una vaga, al momento, certezza di riuscita. Io, proprio ora, posso mettermi in ascolto di me stesso e scoprire di avere una sensazione condivisibile, come di stare in una sorta di comune attesa, come di partecipare a uno strano rito in cui forse molte orecchie sono attente e muscoli sono tesi a percepire come un fruscio che muove da dentro ciascuno, che come me sia stato provato dal male e tentato a questa perversa reazione, a rendere palese l'inutilità e l'assurdità dell'odio per chi o quanto lo provocò. Ne sono certo ora, il male mai può essere ripagato con altro male! E' come qualcosa di sopito e relegato nella latebra della coscienza, d'impaccio alla umanità frenetica d’oggi, che si muove grossolana nel pragmatismo dell’utile immediato, del conveniente oggi o del meno peggio adesso, ma che ora sembra reclamare una giusta considerazione. E io posso e voglio capire quanto mi suggerisce. Sì, questo stesso qualcosa ora mi ridà nitida la convinzione di dover rimanere, non fuggire da questo mondo, ma poter ritrovare parole incomprese, ricomporre prospettive sfumate, ricostruire vie cancellate, per riaffermare in ogni circostanza il bene smarrito. Ora io sono daccapo certo che questo sta un po' più oltre la mia vicenda e, per ora sfuggito, sono sicuro raggiungerò ai nuovi tentativi. E’ proprio questa, ora così nitida, la sensazione iniziale mal definita, risvegliata dal buio fuori e dal grigio dentro. Restare, perdonare, incamminarmi verso il bene a dispetto delle cose di prima. Ma in fondo che cerco di dire? Forse ciò che tutti constatano prima o poi: sempre accanto alla disperazione, ma l’irreparabile può talvolta accadere, e il dio sa perché, c'è il riaffacciarsi della speranza che addita nuove possibilità, nuove ragioni di vita. E' come se di fronte al possibile cedimento ci si potesse affidare a un'ultima risorsa che evita il tracollo; a un nocciolo dentro, al quale da ultimo facciamo appello; questo nella vita di sempre, sarebbe di impaccio forse o di imbarazzo, ma ora s'è fatto prezioso perché, ridando vita alla speranza, ci dà una vaga certezza di ben altro destino. Io penso che proprio questa sia la natura divina cui partecipiamo; se ne sta discreta e celata, ma come accade di certe erbe che occorre pestare perché mandino il loro buon odore, così per l'uomo è il fatto estremo, il dolore che svela a se stesso quello che reca dentro. Non può essere diversamente e lui stesso, il dio é incomprensibilmente ambiguo: c’é e non c’é, é l'assente-presente e si mostra e si vela, soccorre e nega a un tempo ogni aiuto! Ma sicuro ci ha messo un qualcosa dentro che lui ha chiamato con un nome particolare, un tesoro prezioso, una risorsa estrema. Nascosta, sopita, ma che prima o poi verrà fuori permettendo un sì ancora alla vita. Ma dalla follia e dalla morte si può venire attratti… è il male estremo. E’ forse un compito duro persino per l’angelo nero, che, nella metafora dell’incomprensibile, diciamo che le insinua dentro. Perché distruggersi, perché rifiutare la vita? Ma ora questa convinzione ho raggiunto dopo tante esperienze amare di vita e anche dopo la perdita di tutte le illusioni. C'è a un certo punto nella latebra di noi stessi come una cuspide della coscienza, cioè un qualcosa che comporta una svolta. Benché c'è chi resta annientato e non vede che la fuga nella follia o nella morte, il dio solo ne sa il perché, i più possono evitare le estreme conseguenze di auto-annientamento della disperazione e parlare di prova passata di cui diventa perfino piacevole parteciparne, e io lo faccio ora, la tribolazione, quando, ormai affrancati, ci si sente lontani dalla catastrofe sfiorata. Quanto brutta la malattia che i medici chiamano depressione! Riflettere su questa assai comune disgrazia, quando affrancati, credo sia utile. Un’ ottica attraverso la quale sia possibile trovare anche una chiave d'apertura al mistero del dio. Anzi io credente, vedo in questa dolorosa esperienza, come una sacra rappresentazione che riattualizza la sua storia d'uomo morto e risorto; e questo anche in chi soccombe alla disperazione, vittima della evidente sconfitta del cristo in noi, nell'abbandono completo del suo e nostro dio, che a lui pure, uomo, accadde allora e può riaccadere ora nella nostra vicenda, che io credo lui stesso ri-viva, a causa del male che subiamo, perché egli sta proprio in noi. Io trovo ben strano che l'animo nostro, da sempre provato, sia sempre rinnovato dall'apertura al bene, se quanto è stato è come trascorso, sbiadito, come sanato, senza più tanto peso di fronte alle possibilità del futuro, al nuovo che viene e che anzi è diventato di un'attesa trepidante. Questo attendere un futuro sempre benigno, questo aprirsi ogni volta alla sua accoglienza, è già in concreto qualcosa, cioè un valore in noi stessi, il possedere una sorta di bene. Anzi noi, che ci ribelliamo al male anche solo con la speranza di superamento, ci sentiamo ora affrancati dalle sue possibili estreme conseguenze di follia e di morte. Questa consapevolezza è già essere passati oltre, proiettati al bene sperato, come accade nell'uscita dall'acme di ogni malattia di cui guariamo, ne siamo certi, avendo scongiurato conseguenze temibili. E' quindi una realtà di bene che ci vive dentro. A tutti si svelerà prima o poi, perché tutti verranno manipolati e morsi dalla vita nel mondo di qui e vedranno cadere sogni e illusioni. E saranno tentati di rispondere al male col male verso se stessi. Non essere più se stessi, essere ridotti appena e pensare di non farcela a ricominciare e perdere l’ultimo noi stessi rimastoci… Ma forse è proprio vero, noi siamo come l'ultimo suo rifugio, del cristo che ri-vive voglio dire, il sostegno del bene che egli è, e che siamo pronti a riproporci come scopo; altrimenti come utopia lo lasceremmo precipitare nel vago degli incontri improbabili, che appartengono ai bei sogni irrealizzabili, concreti solo per gli ipocriti, i falsi pii e i fanatici… Perché quanto il mondo ci fa subire nella contumelia e prevaricazione altrui, lo mostra scacciato, braccato, ucciso altrove. Solo in noi benché sofferente della nostra sofferenza può vivere, altrove deriso, umiliato,di nuovo lacerato, respinto non può. Noi le sue mani, i suoi occhi, i suoi piedi, il suo cuore… Siamo il suo ultimo esserci, qui, ora, in questa realtà da incubo. Il dio sta in noi! Altrove il poco di lui, forse il nulla. Tutto è precario e illusorio, transeunte. Transit scaena mundi. L’unico vero bene è in noi. Non deve essere atteso da parole, circostanze, cose d’uomini, è già in noi. Sì, noi conteniamo di lui. E’ come una forma di bene, che ci fa concepire ogni altro bene e ce lo pone davanti, ri-atteso possibile, concretizzabile, nonostante mille smentite. Sì, tu, Signore, sei anzitutto in noi. Sempre con occhi miopi, ma i soli dopo tutto a poterlo fare, ti contempliamo: io poco so, poco vedo di te e se tento di dire quello che di te ho dentro, devo esprimermi per metafora. Io non credevo di averti, ti cercavo in posti, fatti, uomini, parole d'uomini, eppure già mi appartenevi! Eri proprio il guardare fiducioso al nuovo giorno, sorridere daccapo al sole che sorge dopo una notte insonne e respirare l'aria nuova della brezza lasciandomene inondare... Sì, seppure evidente, io distratto, smarrito negli inganni, dolci o brucianti della vita, non ti vedevo! E doveva venire il dolore! Altri però, e a ragione, ma in un'ottica diversa e ristretta, parlerebbe di una peculiarità del reagire umano, come di un istinto, che da sempre permette d'attendere dal domani quello che nega l'oggi; perciò anche poter restare qui nonostante tutto e potersi adattare alle novità amare, che sempre fanno dura la vita… E' questo, però, fermarsi ai fatti, che sono i contenuti sublimi, ma anche i limiti in cui si muove il pensiero scientifico. Ma l'uomo religioso, e questo io voglio essere, vuole attingere oltre le cose, i fatti, le loro leggi, che egli considera al di qua della realtà meta-scientifica che chiama Dio. Egli crede di potervi avere accesso e, privilegiando l'analogia, cerca un varco con passione e ostinazione che al dio solo, che concilia ogni dissidio, ricompone ogni contrasto, anche quelli psicologici del suo animo tormentato, perché egli deve pur restare alla realtà di qui, cederanno. E forse talvolta il miracolo si compie e l'intuizione può laddove ogni frase, ogni ragionamento è, come ogni attenersi ai fatti, respinto al di qua. Egli allora, per un attimo forse, è nella visione! Ma quando tenterà di spiegare o solo rivedere l'intravisto, dovrà fare i conti con le insidie della comunicazione per parole. Ho io questa pretesa? Io riferisco in onesta condivisione quello che sento e so di essere giudicato un po’ o molto ingenuo. Ma serve non esserlo affatto, rischiando di non vedere mai nulla perché troppo timorosi del proprio e dell'altrui giudizio? Tutto è rischio di ridicolo; le parole sono brevi metafore e la realtà resta inesprimibile, un problema drammatico con risposte forse da sempre ingenue. E tu chi sei, Dio, che nulla semplifichi e continui a riproporti come problema a me forse davvero inguaribile ingenuo? Non certo la proiezione del desiderio del bene, non eros oggettivato, anche se, confesso, a lungo ho vissuto questa tensione, oggi superata d'incanto. Tu sei piuttosto il bene in me, un nocciolo che persiste nonostante gli attacchi del mondo e che diviene l'unico riferimento nell'aridità e desolazione, che subentrano alla caduta delle illusioni e al dolore subito. Al dolore di oggi, di domani, di sempre. Possa esso sempre resistere e non soccombere del tutto ed io ricominciare! Sì, sempre… anche nella morte. Sì, quando tutto sarà buio per l’ultima volta, possa io da esso lanciare il mio anelito oltre l’inevitabile per ritrovarmi e ritrovarti, Signore. E’ la mia preghiera, la mia beata speranza di credente! Ma poi chi, in questo mondo frenetico, che non lascia nemmeno pensare, ti cercherebbe col rischio dello spreco e del ridicolo che brucia, se non avesse di te un minimo in sé? Non è coltivando illusioni di protezione e rincorrendo il bisogno di affrancamento o di perfezione e avendo l'idea vaga dell'assoluto o della giustizia, della bontà, della bellezza, attributi consueti anche del dio utopico, che si è, credo, sulla strada giusta. Sempre seguirà il disinganno e la perdita del creduto raggiunto. Ma quella giusta, ora so, è muovere da una concretezza: è il sentirsi parte di te. Sì, questo è possibile dopo la disillusione, perché si scopre di non aver perso la capacità di comprensione del bene, che è anzi sempre riproposto come conseguibile. Anzi noi sappiamo che ci riprogettiamo in ogni momento nel bene atteso, poiché avvertiamo carente l'io passato e solo provvisorio l'io attuale, se è vero che tendiamo a una sempre maggiore realizzazione e che non siamo altrimenti se non in questo ricollocarci, ogni volta, nella prospettiva del bene e quindi, di te. Io ti penso, infatti, come bene soprattutto, e devo concludere che noi non siamo senza il dio, senza te. E tu almeno stai nell'attesa fiduciosa di quello che forse mai verrà, nella solitudine anche, nella disperazione perfino, ma che portano a speranza di nuovo, di diverso, di meno brutto, di un po' di bene appunto. Stai nelle sconfitte inevitabili di questa vita di mille prove, che però fanno anelare ad altre occasioni dall'esito creduto diverso, più favorevole; stai proprio nella povertà di fondo del nostro io decaduto nella fallacia, nell'ingiustizia, nell'insufficienza, che stringono me uomo da ogni parte: proprio tutto questo ti svela e accoglie te, il Santo, il Bene! Sì, proprio quando avevamo già rinunciato nel cammino solitario della vita senza orme accanto alle nostre effimere, tu sei diventato il compagno che pensavamo accanto e invece rechiamo dentro. Sei tu che suggerisci un nuovo noi stessi non realizzato ancora, ma non disgiunto da quello consueto e ce lo mostri conseguibile. Noi, mortificati dal male, o addirittura sotto la sua suggestione, ci riapriamo per quest'attesa al futuro, che ri-attendiamo con recuperata dignità, perché ci sentiamo ora rasserenati, ricomposti, fiduciosi. E' davvero una dolce scoperta questa piccola, eppure immensa, luce dentro, anche se, nel nostro cammino di vita è pur sempre solo un barlume, perché fuori è sempre buio e freddo e sempre siamo sprovveduti un po' o molto, e tanto indifesi. Essa ci induce all'indulgenza, al perdono, all'oblio, ma senza dissociarci dalla realtà non meno amara, ma che ora, più non tentati di rifiuto, accogliamo. La chiamerò, a ragione credo, carità, briciola di te, che non sei che carità, amore nonostante, gratuità immemore della mia indegnità, se sempre puoi rispondere con dolcezza ai miei denti stretti e al mio pugno chiuso, che non ti risparmio nell'amarezza! Infatti ora sono capace di accogliere ciò che ho giudicato sgradevole, inopportuno, immeritato, ciò che non è bene e che volentieri fuggirei; accolgo cioè ciò che è privo di senso, assurdo a questo mondo e gli do la dignità di necessario alla mia vita, di opportuno, in fondo meritato. Ora so che comunque si risolverà e, forse, nella maniera più consona ai miei desideri, si muterà gradito, così come è lo stesso bene, che la speranza dolce riaccesa in me, mi fa ri-attendere fiducioso. Ma si tratta di una novità per la mia coscienza perché credevo la mia natura solo desiderio, eros appunto, sì bisogno, volontà di appagamento. Ma ora so che questo non sarebbe senza la carità che ho scoperta in me, giacché essa lo ri-permette quando le circostanze lo avviliscono e vorrebbero spegnerlo. Penso cioè che proprio dalla carità mi provenga la peculiarità d'uomo e non viceversa. Cioè dalla natura divina proviene la capacità di desiderare qualcosa, di volerlo appagare al minimo almeno, e perciò andare al mondo, cercare contatti, sbagliare forse, peccare anche, ma sempre cercarne il superamento per l’anelito sempre rinnovato al vero bene, alla luce vera in mezzo a mille falsi luccichii… Sì, lo dobbiamo ammettere: ci riproponiamo al bene perché ne rechiamo la comprensione e la volontà; è la carità che ci riassume senza rimpianti o rammarichi il passato, ci fa accettare l'oggi non proprio favorevole, ci muove alla realizzazione completa di uomini, rinnovando il piano delle aspettative, che ci riprogettano nell'autenticità. Infatti io ora so, Signore, che dobbiamo considerare un tentazione maligna, l'identificazione di noi con quanto fin qui realizzato nel lavoro, nello studio, nel rapporto con gli altri, in tutto quello che una immeritata fortuna o una perversa volontà di accaparramento ci trattiene attorno; noi non siamo la nostra capacità, non siamo la nostra intelligenza, né per fortuna il nostro denaro poco o molto, non siamo gli amici che abbiamo, la donna che abbiamo, i figli che abbiamo e quant'altro possiamo pensare per coagulare il nostro io e sentirci sicuri. Invece io ora so di stare nella provvisorietà e nell'attesa: sono progetto sempre rinnovato; il me stesso autentico non so definire, perché è una realtà che trascende il mio io transeunte, che è solo coscienza di tensione e di pathos e si infrange inevitabilmente contro il muro del mondo. Ma alla caduta non segue l'annientamento e ogni volta quasi mi sento migliore; e io lo riconsidero questo mondo d'angoscia, lo accolgo, non lo demonizzo, non lo lascio cadere nel disprezzo e nell'odio, ma perfino ne ri-attendo fiducioso improbabili azioni di bene. So di aver un che dentro che mi riconcilia con esso, me lo fa apprezzare perfino, amare anche, dal momento che lo reinserisco nel progetto rinnovato di me volto al bene. Sì, questo brutto mondo, immeritevole, cattivo a volte, mi sta davanti perché lo ami! Assurdo? Ma la realtà, questa spesso sgradevole o addirittura infame, è la sola via da percorrere e la si percorre con una risposta eroica, l’amore nonostante tutto! Sì, dare qualcosa di sé sempre senza nulla attendersi, lasciare che altri si appropri del tempo, delle aspettative, della serenità, delle occasioni rimaste, degli ultimi sogni… Imitare il cristo. Non c’è altro modo per vivere il dio. Questa è in nuce la santità. Ora so cos’è! A tutti il compito duro di cercare di essere santi. Sì, è la carità che reco che deve essere la mia risposta al mondo a torto giudicato solo ottuso e insipiente. Sbagliavo, c’è tanta potenzialità di bene, tanta aspettativa, tanto bisogno anche d’amore, tanta attesa del dio… Io stesso ora mi scopro briciola, frammento del bene, questo in me. Perché? So di non sbagliare, io ho, a un certo punto, netto il sentore che solo apparentemente sia io a contenerlo, ma che invece io gli appartenga come briciola, nullità forse, perché ne resto ogni volta determinato; infatti quanto sempre mi qui accade tenderebbe a frammentare nel vago il mio io, cioè la coscienza che ho di me come persona, verso l’alienazione e la morte perfino. Perciò io, in realtà, non sono senza, io sono sempre in conseguenza di questo nocciolo dal quale ricostruisco le attese di bene per me e per chi e per quanto mi circonda. C'è, quindi, a un certo punto, un rovesciamento cosciente di prospettiva: io ospite della carità, mi sento ospitato da essa, accolto in una realtà più ampia, che esiste di per sé, non per me, che solo sono per essa. Allora sono certo che il dio-carità ripartito nell’umanità tutta, non è semplicemente la somma dei suoi frammenti. E’ di per sé. E ora e qui ripartito proprio perché è Carità, necessità d’essere per tutti e in tutti! A noi la gioia della scoperta in noi di ciò che ci trascende, del dio stesso un po'. Proprio di te, Signore, e t'ho da scoprire, da fare più coscientemente mio. A questo po' di te presto ormai attenzione, l'alimento quasi per farlo crescere e cerco di dargli una risposta, la stessa che devo a tutti nella necessità di imitarti, certo inadeguata, ma mi sforzo sia d'amore, così come al momento posso, e certo di più potrò, se avrò ancora vita. So che a poco a poco lo sentirò colmare ogni mia carenza, chiudere la mia incompletezza e darmi accesso alla realtà ultima che sei, che penso chiudere il mondo stesso con la risposta a ogni perché. Sì, raggiungerò per suo mezzo il vero me stesso nella creazione promessa di cui questa è parvenza, progetto, mezzo, nella ultimità che sei, che tutti chiamano Dio, il dio. Ora lo so, egli è simultaneamente via, meta per me e granello già in me. Sempre carità in ogni momento e aspetto. E altro di te non so! Ma importa? Vorrei tanto aver saputo dire, essere stato chiaro e convincente nel tentativo, certo quanto ambizioso tanto ingenuo, di guadagnare al dio con me, tutti. Ma chi ha visto troppi orrori, difficilmente, quali siano le argomentazioni, concederà dignità a quelle che non possono non sembrargli che mere congetture e, se benevolo, le riferirà a vaghezze d’una mente senile. Fatti ci vorrebbero, ben altri pianti per i dolori, diceva mia madre! Ma io rispetto profondante chi nega il dio dal suo o d’altrui dolore. Posso solo pregare. Io stesso, medico, ho toccato, ho palpato il dolore e la vita m’ha pestato bene nel suo mortaio! Sono stato negatore anch’io e tentato da quel baratro che non è un posto, non è fuori, sta dentro! Davvero ora altro non ho che possa partecipare! Ho solo un minimo del dio, dopotutto! Ma il minimo del dio che ho, non vorrò più perdere, non me lo lascerò più strappare! Sì, lotterò per la fede come suggerisce San Giuda, solo allora potrò ben dire: Christe, cum sim hinc exire… fac ut animae donetur paradisi gloria! Oh Madre dolce, rimani a noi vicina, nunc et mortis in examine!

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