domenica 25 dicembre 2011

La perdita del dio

La perdita del dio. Romano Guardini afferma che è difficile essere cristiani, meglio non dire di esserlo, ma solo di volerlo diventare! E’ proprio vero, si è sempre soli di fronte al dio di Gesù. Monaci. Quelli dalla vita solitaria, se è vero che si può essere soli anche in mezzo agli altri. Nessuno sa una via breve per raggiungerlo e nessuno potrebbe suggerirla anche nell’illusione di conoscerla. Forse ci si avvicina se ci si sforza nella coerenza, ci si allontana fino alla perdita se si è solo formali credenti, dimentichi delle sue parole: …ebbi fame e mi deste da mangiare, oppure m’avete trascurato; ebbi sete e mi deste da bere, oppure non lo avete fatto; fui straniero e mi accoglieste, oppure mi respingeste; fui nudo e mi vestiste, oppure com’ero m’avete lasciato; fui ammalato e mi visitaste, oppure non mi avete assistito; in prigione e veniste a trovarmi, oppure ometteste di farlo. Sto parafrasando Matteo 25 ver. 31-46. Prego di rileggerli. Ma perché siamo diventati sordi alle sue richieste? Queste di sicuro sono state disattese nell’accoglienza mancata ai migranti o negli odierni “respingimenti” dei disperati del mare. Nessuno si illuda, nessuno tenti giustificazioni, tutti dobbiamo essere coscienti della nostra inadeguatezza di fronte a tanta chiarezza, se vogliamo tentare di essere cristiani. Lui proprio ha parlato per ogni epoca. Nient’altro è importante. Per nient’altro si verrà giudicati pecore o capri e separati. Sì, si può essere anche collettivamente assai lontani da lui. Noi lo siamo. Io, io proprio lo sono. E personalmente forse anche un’altra tentazione è in agguato più sottile e infida, e mi arresta e mi fa regredire, più ancora dell’ostentare una fede che di fatto non c’è… E’ improvvisamente scoprirmi dall’altra parte, ramingo, migrante, mendico, bisognoso, malato…, un senza voce, un senza speranza, senza neppure più Dio, e aver invidia di ogni altra sorte. Due grandi paure quindi. Non aver la risposta semplice ed efficace suggerita dal Signore, non appena volgo lo sguardo accanto o dietro, e scoprirmi nella necessità, nella precarietà e non saper accettare il mio stato, nel diniego, nell’indifferenza di quelli avanti o accanto, che ferisce e uccide più del male stesso. Il male assai diffuso, vero, è l’indifferenza degli altri, sì, più dei fatti stessi che ci attanagliano. Tutti stranieri ancora in questa terra d’Egitto! Ma ora, nell’Egitto di adesso, non accolti più, nemmeno come schiavi. Sì, la nostra civiltà è morta, siamo diventati intolleranti per i diversi e paura abbiamo dello straniero e tutti possiamo esserlo o sentirci tali. No, non possiamo dirci cristiani…, io, così proprio, non posso più esserlo. Qualcuno con la sua retorica avvelena la mia vita e in una lotta impari, so che dovrò arrendermi, perché non so spingere la mia coerenza fino al sacrificio del mio me, del mio stare con gli altri ora e qui, nel presunto o autentico credito che ho, se parlo o faccio. E poi mi si ripete ossessivo, tutti dicono, tutti vogliono così. Ma tutti chi? Non si tenta in questo modo solo di dare dignità alla frivolezza che partorisce simili idee? Noi che le ascoltiamo dalla verbosità dei politici, abbiamo un solo vero problema. Che ci condizionino, allontanandoci dalla necessità vitale di somigliare al cristo. Ne sono lontano? Il mio cammino fin qui verso lui non so se sia stato lungo o breve, ma ne so le pene, i continui inciampi. Sto nella sensazione di chi avverte con gioia il futuro che può portargli finalmente il dio, quando ancora sente l'amarezza del passato o la bruttura appena subita o commessa, cose sgradevoli che non vogliono proprio lasciarlo. Ma ora so che la mia vita non imita più quella del cristo. Perché a tutto questo s’è aggiunta la pena per la manifesta incoerenza di cui ho ora vergogna. Sì, questo oggi mi accade, e ancora nel completo suo silenzio. Nemmeno so se saranno molte o poche le tappe da percorrere, ma se sbaglierò ancora sarà un arretrare verso il buio, perché la completa perdita di Dio è possibile sempre, sta appena dietro l’angolo e il tempo non è più tanto per me. Sì, stretto è pur sempre il divario tra i miei sinceri gesti-parola per lui, che di sicuro è in tutti, e la negazione più completa, fatta anche di parole amare, perché mi sento attanagliato come da un male esistenziale, che vuole inghiottirmi, più che per quello fisico pur presente e che ora sento non completa affatto le sofferenze del cristo come per Paolo. E chiedo al Signore che me ne liberi! Sì, per questo anche ho gesti disperati, non verso gli altri che non vorrei in alcun modo ferire nel rispetto del loro sé, che oggi ho spinto fino alla mortificazione delle mie convinzioni, ma verso la parte migliore di me, il me dentro che conserva il dio nonostante il disincanto e vuol farlo caparbiamente persino nella disperazione per la sua assenza nel mondo di fuori. O al contrario ho belle, ma vuote frasi d'affetto perché prive di gesti concreti, verso chi nel mio mondo sta peggio. Ma nessuno è esonerato. Tutti pecchiamo singolarmente, perché il dio passa e non lo vediamo , timeo deum transeuntem, ci ripete S. Agostino, e collettivamente perché siamo una società che ha trovato un ubi consistam e ne è gelosa. Avete mai visto quello che accade alla fermata del tram? Tutti s’affollano per non perderlo e quelli che prima o altrove sono saliti non fanno più luogo per gli altri giù e piuttosto subito si lamentano e motteggiano e vorrebbero che il manovratore più non facesse altre fermate fino alla loro, la sola dovuta…Così nella vita. Io sono già su a comportarmi villanamente come tutti o sto giù perché altri ha impedito che salissi… e dovrò andare a piedi e forse arriverò tardi o non arriverò affatto alle poche occasioni rimastemi e me ne lamento e invidio quelli di su, assai più fortunati, quale la loro sorte. So che questo mi accadrà ancora e già forse sta ri-accadendo perché a me solo bado e, indifferente, non presto ad altri attenzione. Sì, proprio ignoro le raccomandazioni della lettera di San Giuda! Ma so che poi di nuovo, a dispetto della colpa di oggi, s'allargherà la speranza di ritrovare lui proprio come l'atteso conseguibile di un sogno piacevole, ma forse un po' confuso starò nel nuovo sogno ad occhi aperti, non del tutto dimentico…ma vorrò questa nuova illusione e ne rimarrò disilluso ancora. E sarò stupidamente fiducioso perché vero insipiente delle cose di Dio, che da me vorrebbe forse tutt’altro, la coerenza, credo, almeno e più non so. Che vuoi da me, Signore? Io da sempre, infatti, lo cerco in rinnovata fiducia di un chiaro incontro imminente e mi illudo possa esserci anche appena dopo quello che di noi due qui dico. Sì, sono come chi dice qualcosa, sapendo un po’ di lui, eppure sempre balbetta. E' come se da sempre da dentro, sui fianchi della mia barca spingessi per guadagnare la riva dell’invito del Signore e non sull'acqua per farla avanzare e come bambino, credessi efficaci questi inappropriati tentativi. Che voglio? Perduto è il mondo infantile delle calde tenerezze materne, la gioia delle cose semplici, bastevoli eppure tanto carenti d' allora! La vita che poteva scorrere protetta e serena… Non sono cresciuto alla scuola della vita? Non ho forse capito che tutti siamo nella precarietà, che ogni pace è effimera e che quanto inteso al mantenimento del proprio sé, è a scapito della propria umanità, e non resisterà al severo auto-giudizio che verrà, immancabile, per le parole non dette, le omissioni e manchevolezze verso gli altri, che pur invadono con le loro ansie il nostro mondo, anche protetto da isolamenti e barriere? Io, se ho ben capito, non devo nascondere la testa nella sabbia delle cose celesti, non lasciare che la fede si stemperi bastevole nel rito e nella preghiera formale solo domenicale. So che il mio rito deve essere piuttosto tentare di stare con gli altri nel quotidiano, ascoltando, tacendo, e non solo alla domenica per non più riconoscere alcuno all’uscita dalla chiesa, e la mia preghiera sforzarmi sia gesto, non importa quanto efficace. E' il Cristo sofferente negli altri e in me che deve illuminare la mia vita! Sì, se questo riaffermo ora e qui, allora sento proprio vicina una possibile vera appropriazione del divino; è solo intravista, iniziata, non conclusa, che si nutre sì di speranza, ingenua come lo sono tutte, ma vuole muovere nella concretezza del gesto, motivato da carità, non posseduta appieno, ma creduta conseguibile, rimanendo salda alle cose di questa terra, agli uomini di questo mio mondo, che vuole coinvolgere, cui si vuole ripartire per non essere più corsa vana e nuova illusione. Ecco lo scopo che vorrei mio, pur nell’incertezza della rotta che la mia barca dovrà seguire. Col bagaglio delle mie convinzioni tradotte in operato, le mie parole, il mio fare e dire per il suo regno. Egli mi chiama afono e io prego che s’avvicini a questo indegno…di più, perché non lo vedo, ma so c’è anche nel buio, in questo di oggi! Ma drammaticamente già sento ignorato ogni invito. E' daccapo il silenzio assordante di Dio! Scopro che la mia è aspirazione ingenua da uomo pio: l'invitato mai arriva, lo sposo tarda alle nozze e io, deluso, inutilmente ho acceso luci e ho preparato una cena! Ma forse l'atteso già c'era. Era forse il più indigente che, mio malgrado, ho evitato perché d'aspetto meschino e lui, rifiutato, oltre è passato; sì, era forse il povero tra i più poveri che ottusamente ho escluso, il malato tra i più disperati cui non ho saputo che dare parole! Serve poi soffrire di questa amara scoperta? Non s'è fatto davvero tardi per me e sono finite tutte le occasioni? Chi consolerò, chi curerò più? E chi mi consolerà, chi mi curerà? Medice, cura te ipsum , anima e corpo! E io non lo so più fare, non per me almeno! Qualcuno, se capace, m’aiuti e come me, non stia a dire soltanto! Dove più cercherò Dio? Sta forse nella mia stessa sofferenza? e non c'è forse sempre chi ha una pena più grande? Sta forse nelle mie carenze e privazioni sofferte? e non ce ne sono sempre di più radicali? Sì, finché c'è chi piange, c'è chi ne ha più motivo e lo fa, a ragione, più forte! Così è, durando questo strano mondo! Ma se Gesù era e rimane il più povero, egli ancora s'è posto dietro a tutti e, credo per la salvezza di tutti, stia ora qui in coda. Non sono io lui, ma per me è quello accanto e di più lo è l'altro che viene dopo me e il mio compagno, e così via. Una lunga teoria di bisogno e d’amore soprattutto. Ora so che il suo invito: venite! dolce e suadente, chiede di condividere il suo continuo farsi umile e sprovveduto tra tutti noi più agguerriti, il suo spogliarsi della dignità che aveva presso il Padre che è ancora necessario rimanga come perduta, smarrita e lui sia daccapo l'ultimo, che dalla croce ripiantata, riavverta terribile il silenzio del suo e nostro dio… E’ questa sua vita, che pure conosco, che ora mi è impossibile imitare. Da qui il fallimento. Forse sono sempre vissuto sulle sue spalle, come gli ipocriti, e ora forse l’ho perso completamente! Sì, la perdita del dio, è un evento drammatico per chi l'ha cercato faticosamente e l'ha onestamente creduto trovato; questa sensazione di vuoto si presenta prima o poi al pari di altri fatti gravi, perché non c'è vita abbastanza breve da non sorbirne amarezze! Questa la più amara! Invero io da sempre lo cerco e ormai disperatamente nel mio tempo breve. Bambino ho dai miei saputo di lui e una certa atmosfera in casa mia mi ha suggerito qualcosa; e poi le prime esperienze da adolescente e della maturità m'hanno dato l'impressione di stare come sotto a uno sguardo da una realtà serena, che volesse da sempre coinvolgermi. Ma se anche mi è accaduto di essere così momentaneamente esonerato dal destino di ignoranza religiosa dei più e di sapermi avvicinato all'appagamento di ogni aspettativa, della pienezza di vita che si pensa solo lui possa dare, poi ne sono sempre rimasto disilluso! Infatti sempre quanto agognato è possesso effimero, sfugge alla minima distrazione, passato oltre, forse nei sogni di altri che ancora possono illudersi, ma in me proprio spento, come carpito e disperso nella superficialità e indifferenza di quelli accanto, che coabitano il mio mondo blaterando e che, ancora una volta, forse ridono di me, daccapo confuso. Sono senza riferimento alcuno, disingannato dalla vita. Sì, ho perduto Dio, il dio! Sì, il colmo improvvisamente si fa vuoto e alla vetta subentra il baratro; il tutto spalanca il nulla; alla sicurezza segue il dubbio e poi la ripulsa; alla gioia della scoperta, il dolore della sua inconsistenza; poi la vergogna per l'ingenuità palese; poi il panico per la mancanza di ogni riferimento e la rabbia perfino d'essere solo invece che con gli altri, affrancati al momento da tutto questo nel loro mondo di parole. Non è questo in fondo il dramma di ogni vita e specie di quella giovane spinta alle polverine, nell’assordante conformismo delle comitive e delle discoteche? Sono stato giovane e solo disperatamente sebbene con gli altri, come oggi accade a troppi…Oggi è diverso per me: sono vecchio, solo, come non avessi più nessuno, sebbene, fortunato, sto con una compagna dolce, e non meno angosciato. Sì, ho l’angoscia di stare a questo mondo, che non è seguita alla noia, ma all’impotenza del non saper più che fare, più che dire… Sì, invece della padronanza di me, c'è insicurezza di nuovo. Quella che ragazzo avevo e mi faceva balbettare e mi rendeva timido e sprovveduto… e che sembrava vinta per sempre. Sì, ora so la verità. Tutto mi ri-accade perché l’ho perso ancora, non sto più nella visione del bene e la malignità trionfante non s'occupa di me, mi respinge, inidoneo per tutto, sebbene non mi esoneri dal motteggio. Sono gli ilari a discorrere di me, quelli che consenso elargiscono ai potenti del momento, ammantando di falsa dignità la propria pochezza. Anche così fanno, e a ragione in questo mondo di troppi succubi e vili, ma in fondo contenti sotto un sovrano, gli stimati, i molti giusti di qui, che sempre scherniscono chi non s'occupa nelle loro nobili cause: il popolo con le sue giuste attese di sempre e quelle stringenti di questa contingente crisi economica, i superstiti dell’immane recente terremoto, temuti homeless nel freddo che immancabile tornerà tra breve… l'ambiente con le sue irrinunciabili priorità in un mondo che muore avvelenato dagli scarti e dai rifiuti dell’opulenza, che c’è molta, anche se non ostentata… e cose simili. Sì, tutte invero assai belle nei propositi, ma mai risolte completamente se non in anticipazioni oratorie, volte al consenso, nell’enfasi di promesse per lo più senza riscontri di utilità ed efficacia e per lo più deludenti, almeno nel concreto immediato. O forse apposta mantenute eterni problemi per la riflessione di animi forti e nobili! O forse perché fiumi di parole siano versate, pro e contro, nelle dispute dei nostri politici per lo più ministri solo di se stessi… Mentre io col mio problema solo personale, sono tragicamente solo, monaco ancora, di fronte a un dio sempre nascosto. Così proprio è! Lo cercherò ancora? M'è restata forza, tempo? Non sono ormai come Francesco che lo cercò disperatamente nella natura, negli uomini e alla fine solo sperò di incontrarlo nella morte? Tutto negli anni ho vagliato, fin dove i limiti non molto ampi della mia cultura, sempre insufficiente e troppo piccola, se non proprio angusta, e della mia intelligenza troppo poca, se non proprio scarsa, m'hanno consentito. Lo sguardo ha interrogato ogni cosa muta e ho ascoltato paziente i parlanti e i blateranti di lui, perfino; e la mia sensibilità ha lottato impari in ogni circostanza e s'è ritrovata sconfitta in ogni accaduto, e ora il suo silenzio s'è fatto duro, da opprimere. Io non sto, però, nemmeno più sotto il suo sguardo muto, ma benevolo, perché nemmeno mi sento più guardato nell'arido deserto che s'è fatto intorno, e le parole che altri ha scritto o detto significative su lui, sono improvvise, cadute nel non senso; e per me non c’è comprensione, non benevolenza, ma sguardi freddi o sfuggenti, i soli dovuti al dubbioso e a chi peggio, sconfitto, non sa più pensare e fare e dire per restare tra gli altri senza disagio; e sono giudizi radicali e senza appello, da negare ogni speranza di riscatto. E poi il mio tempo è quasi tutto dietro di me ormai…Che fare, che dire o ridire al mio me? Sto ora nella incomprensione e nella confusione con la sola coscienza di essere ridotto appena e solo, a guardare, allibito e impotente, il continuare del mondo che mi esclude, ma che nemmeno più voglio. Ho perso l’ultimo tram della vita… Ed ora, come avessi preso un narcotico, sento tutto a poco a poco drammaticamente sfumare nella monodia di un brusio e in forme contorte e indistinte d'un unico colore spento… Solo chi ha sperimentato fatti estremi di questa vita può concepirlo, se fuori ne è venuto. Ci sono cose gravi da annientarci: lutti, abbandoni, malattie senza speranza... sì, soggiogati e vinti sempre! E per quelli che amano il dio, c'è amara la sua assenza, il suo silenzio non di parole, ma di fatti. E più ancora l’avvertilo come fardello inutile di tutta una vita di illusioni. E avanti il nulla. Sì, questo silenzio può uccidere. E come il salmista gli grido. Che ti servirò da morto? Sì, egli non è più l’assente-presente della cena rinnovata, fa parte solo dei bei sogni, perché non c'è un dio e lui stesso, il cristo, si illuse; non venne per lui, non viene per i buoni di qui. Non per me, non buono, ma mediocre nel bene e nel peccato, uno che il Signore vomiterebbe e forse l’ha proprio fatto… Non di sicuro per gli ipocriti, gli ossequiosi, quelli dalla schiena curva verso i saccenti e i potenti, o per i falsi pii della domenica o per i fanatici, che negare vogliono ogni evidenza. E non di sicuro per tutti quelli, i vips, politici per lo più, che vogliono sempre il riconoscimento della loro presunta dignità pretendendo che consul factus, consul semper. Perciò vogliono ovunque i primi posti e l’ossequio dei deboli, dei clientes e l’affermazione delle parole, in verità spesso non senso, che hanno pensato e detto, o forse solo ripetuto a una voce nella parte cui hanno aderito, per vantaggio per lo più personale o di chi in verità hanno servito senza disagio o vergogna...Oh felici, veri uomini, quelli che, indossando un cappello, non lo toglievano nell’attesa del dio, quindi mai, di fronte a nessuno! Perché qui ora non c’è, né per i buoni, né per i mediocri, o gli ipocriti. C’è sicuro solo questo mondo fecale, quest’inferno per tutti, gaudenti, ilari o infelici, disperati. Forse perché tutti abbiamo peccato e da questo il vuoto, il nulla. Sì, io di sicuro, perciò noi meritiamo questo mondo. Ma io grido al mio dio fattosi improbabile: Deus, qui nos in tantis periculis constitutos, pro umana scis fragilitate non posse substinere, da nobis salutem mentis et corporis ut ea quae pro peccatis nostris patimur, te adiuvante vincamus…Sì, fa che non mi rifugi nella follia, fa che possa ricominciare a lottare col tuo angelo, che non lascerò sfuggirmi più, se me ne darai la forza. Fa che non ceda alla stupidità dilagante, al conformismo dell’intolleranza e della xenofobia… Oppure fammi vero stupido, fa che così sembri a tutti, ma tuo autentico e per sempre. Sì finalmente cristiano! Ma al suo ritorno troverà la fede il tuo cristo inascoltato? Deus, quare me reppulisti? Domanda solo retorica ormai, io ora so perché!

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