martedì 31 luglio 2012

Credere nel figlio tuo

Qui si va come quando alla deriva veliero andava sotto cupo cielo. Allora se nave la caligine permetteva di scorgere, ci si affannava al megafono a chiedere l’essenziale, come l’ultima sicura posizione ottenuta dalle stelle amiche per congetturar dove si fosse. Ma breve e fugace era il contatto,il vento oltre spingeva, poi ciascuno per la sua sorte, e se ne rimaneva delusi di aver capito poco o nulla ché la ridondanza che l’ulular del vento faceva, assordante, or sì or no chiare parole ne lasciava udire. Così della vostra vicenda tragica, madre cara, cose or chiare or velate e incomprensibili ne giungono. Può il mito dell’offesa primordiale al dio fondare l’interpretazione satisfattoria del sacrificio del figlio tuo? Non si aggiunge nuovo mito ai tanti sul dio? E se leggiamo nel libro sacro solo favole, allora prigionieri siamo di una realtà crudele di poca gioia e tanto dolore e morte. Viviamo un brutto sogno e non ne sappiamo uscire! Molti e molti anni sono passati dalla vostra venuta, e l’invito del figlio tuo, “venite!”, è stato trasmesso da credenti eroici ed è arrivato ai paesi più lontani, alle società più arretrate, ai popoli più primitivi e crudeli. Ma nella nostra società, che vanta il maggior progresso, è subentrata l’indifferenza, si sta tra gente noiosa, ottusa, cattiva spesso, e si va come alla deriva, ché la speranza s’è avvizzita e la disperazione rigoglia. E al richiamo del figlio tuo, così pressante, rispondiamo pigri e tardi o non rispondiamo affatto! Voi siete quelli dell’altra nave, che presta passa, gridate e non sappiamo capirvi! Cosa fa tempesta assordante? Eccoci sempre assorbiti in altro, ossessionati da mille cure e preoccupazioni, frastornati, storditi dal vociare e dai rumori di quelli accanto e dagli interessi egoistici, che fan sordità al cuore nel viver d’oggi. E sol qualcuno trova l’amore, se ha interesse più della psicologia che della biologia dell’altro e non lascia scadere il rapporto nel bel gioco inteso a che questa specie malata, cattiva, matta si salvi dall’estinzione. E per chi, dove, cosa? Ecco la noia, il fastidio verso chi parla di valori eterni e che dice vere e importanti le sole cose spirituali! E talvolta ingrati e scortesi si diventa verso chi s’affanna a parlarcene e ne siamo sprezzanti fino al dileggio vile. Anche questi sono dell’altra barca e non li intendiamo. Le loro parole si spengono come i loro gesti di attenzione, inghiottiti dal nulla che sopravviene, e delusi alziamo le spalle e decidiamo di non curarcene. E poi non è forse vero che tanti sono i miti proposti per verità, e quelli che blaterano delle cose eterne non sono spesso ipocriti, che condotta assai diversa hanno dalle indicate giuste? E allora decidiamo che siano tutte frottole le cose che ci vengono da quei pulpiti vocianti. Ma io so che tanto livore reattivo, oppure tanta ostentata indifferenza, potranno essere perdonati da chi ha comandato di amare tutti, i nemici per primi. E chi è più nemico per voi di quelli dalla condotta spudorata, che rubano le vostre parole e fanno sì, con la condotta loro scellerata, che altri ne faccia scempio o ne abbia giustificata indifferenza? E poi la cattiveria imperante, i facitori di male che provocano e vivono delle disgrazie altrui. Orrore! Ma quello che non è difficile per voi, per noi, i confusi di qui, diventa arduo. Pensa, madre, a chi è schiavo del dio denaro, il Mammona del figlio tuo, si lascia stravolgere da matta bestialità e tutti tenta di far grami, togliendo, per la cupidigia sua, il poco o l’appena. Come perdonare e amar addirittura chi abusa dei piccoli o lascia che madri vedano morire i loro bambini di fame? E incapaci di tanto, preferiamo pensare che favola sia la pretesa di una vita eterna in cui si dispensino castighi di ravvedimento a chi ha avuto condotta disonesta, il male degli altri promuovendo, e premi a chi ha accumulato meriti, almeno agognando il bene diffuso e i nemici ha saputo perdonare e amare. Ma il figlio tuo ha detto di essere lui la vita e chi crede in lui vivrà comunque. Ma che significa credergli?
Forse solo una cosa è essenziale, attuare o almeno tentare con tutte le forze di render operativo il suo comandamento sull’amore!
Per dircelo forse è venuto!
E se questo capiamo, allora eccoci penitenti ravveduti. L’anima nostra è rivestita di fiamma,e dal candore, forse ingenuo che crede ai miti e se ne appaga, della sua fede essa raggia amore. Come fa il sole che di rosso dipinge le cime delle montagne nostre innevate d’inverno e quelle ne riflettono la luce. Morto è l’uomo vecchio e il nuovo ha indossato l’abito più bello, quello nuziale e rosseggia al novello sole, che tutto indora. Ecco i nostri buoni propositi, tentare di dissipare le tenebre! E mani non abbiamo se non le nostre, che l’egoismo anchilosar vorrebbe, siano le mani della tua luce! E gli occhi nostri i tuoi, che ci aiutino nel discernimento! Ecco un giorno lontano, saremo esenti dal frastuono assordante dell’andare a caso di qui e saliremo alla tua serenità. Ma forse rimpiangeremo di non aver fatto di più, qui tra volgarità e crudeltà. Laceri di troppo andare, strattonati, spinti in disparte, affamati di bene, assetati di giustizia ci muoviamo tra tristezza d’egoismo e ipocrita compagnia. E sanguinano questi piedi ormai ché di lontano veniamo alla tua mensa. Stupidi e ignari, nessuno ci ha detto che fare e dove andare o restare, ci ha indicato. E siamo stati pellegrini ed esuli. Ho fatto poco, ho fatto abbastanza? Non so. Ho coinvolto nei miei sogni questa compagna dolce. Avrà il mio stesso destino! Ma io mi contenterò a quella mensa delle briciole, dei rifiuti perfino, dei tuoi commensali...Ho forse fatto davvero poco per te, madre cara! Ho visto poveri, ho visto orfani con occhi grandi imploranti e poco ho fatto! Ho visto malati lacrimosi, ho toccato il dolore, ho visto la morte, son passato oltre! Sì, è vero, poco ho fatto! Ma tu m’ami, me lo dice questa donna, sì, parla con gli occhi la donna mia, e il figlio tuo il mio vero nome dirà!Io non sono l’escluso! Forse nessuno lo è!

sabato 28 luglio 2012

Non la pace del mondo

Tanto oggi da qui tranquillo è il mare sotto al chinale, che specchio lo diresti della pace. Una pace luminosa che ride alla vita! Ma quando all’inverno irosi venti tutta ne sconvolgono la superficie, la metafora non regge che per le acque assai profonde, che nullo turbamento ricevono da tanta rabbia. Così fa la vita sconvolta da tempeste, improvvise procelle sul mare in cui naviga, spesso senza stella alcuna, la navicella sua che porto agogna. Vita che la pace sua deve nascondere, se le è rimasta, e tenerla gelosa in una latebra del cuore, sperando presto torni il sereno. Spesso essa si fa tanto precaria che anche soffio di minimo turbamento, aggiunto all’ansia di sempre, spegnerla può, come talvolta soffio gelido può fare di tenera fiammella. E passeranno sì le fosche nuvole, che greve hanno fatto il cielo tutto, e la navicella riprenderà, forse un po’ più malconcia, la rotta sua, che nessuna carta nautica ha tracciata, quella fiduciosa verso la speranza. Sì, forse per me v’era questa pace, ma l’anima mia, come trepida falena, ai falsi fuochi della luce fredda della malvagità feroce, troppo s’è avvicinata, e la fiamma putrida dell’egoismo e dell’invidia le ha bruciate le ali col gelo suo e quella misera è caduta. Ora va raminga arrancando, come fa navicella in periglioso mare, e rifugio cerca da ulteriori offese. Forse nuova pace avrà, ma senza te, madre mia dolce, solo quella che il mondo sa offrire. E che pace è questa? Io ne dirò qualche aspetto, breve. E’ come quella che assicura il lercio sfruttatore che femmina tenerella ha spinto tra le avide braccia di spudorati libidinosi e poi s’atteggia, ignobile, a protettore di quella bellezza effimera che succhiar deve farsi, vendendosi, ogni notte ai quadrivi o alle passeggiate. Eppoi c’è la pace dello strozzino, che fa esangui le vittime sue, o quella del brigante, che di tutto spoglia il malcapitato. E di altri orrori tipici di quest’epoca mi taccio, la pace delle polverine, che a lento orrido suicidio conducono, la pace estorta dal locale protettore dei piccoli commerci, la pace delle promesse fatue dei politici sol del loro solleciti, “et similia”. Ecco così proprio, ma per gli esempi che ne ho fatto che dire ancora? V’era la bellezza, la speranza di roseo avvenire, un candore forse troppo ingenuo, ora pasto ne fanno lussuriosi rammolliti! V’era serenità e piccola gioia contenuta, contenta del bastevole, poi una necessità improvvisa o la perdita del lavoro o cos’altro, e l’urgenza del denaro, han spinto quel padre allo spietato esoso, che strozzerà ogni speranza della famigliola sua.
Ecco altri aveva del suo, onestamente guadagnato, eppure è venuto il predone con la pace sua di non doversi più preoccupare, spogliandolo di tutto. Ecco, sono queste comuni disavventure di percorso per gli esuli tuoi, madre cara, ma ben altro si inventa oggi la malizia, che il mondo tutto avvelena, e lì fa deserto, altrove la lugubre pace dei cimiteri dona generosa. Oh di quanta viltà e cattiveria è pregno il mondo in cui ci hai messo! E lì l’avido ricco accaparra e qui l’ipocrita velenoso importuna della presenza sua,sì,tanta la malvagità imperante! Allora io, misero, provato che farò? Chi, se non tu sola, mi darà la vera pace? Ecco, un nuovo giorno è sorto e il sole appena salito imperla di stille di luce i capelli tuoi, bagnati delle mie lacrime e la brezza vi fa carezza e asciugarli vorrebbe. Oh sì, ho pianto su te, ché su questa tua icona ho pianto! Perché? Perfidi abbagli, visioni ingannevoli, m’hanno soffocata la fede e spento la speranza di buono, di bello, di bene. Io, vanite le illusioni tutte, ne ho pianto. E donna m’ha confortato di tenero calore e m’è svanito il gelo, che sempre lascia l’amarezza del contatto col male. Ed è femmina la mia, che tanto ha di benevolenza e delicatezza, che vergogna non ha questo suo maschio di piangerle tra le braccia, unico suo rifugio. Ma allora che preghiera ti rivolgerò, se ho già questo conforto? Ti chiedo la pace, la tua, che, se sarà per me, per lei, meritevole del tuo amore, sarà! Sì, quando alla sera di mille e mille stelle si riaccende il cielo, così riappaiono gli occhi dei miei morti e dar cercano l’afflato loro all’anima mia ulcerata, allora vieni tu pure, bella di quelle lucciole, assetato delle labbra tue è questo cuore! Oh vero è che la tua pace comprende e perdona e certo accoglie cuore palpitante, che desidera il bene per tutti, e che a tutti vuol bene! Ed essa s’abbella e si profuma del tuo amore, e riempie di tenerezza cuore di donna innamorata, ché rimedio versi sulle ferite dell’amor suo. E allora riempi il cuore di questa donna, ché ne trabocchi, fa che io più non m’illuda d’amore umano, se il suo tu nel tuo muti! Dammi la tua pace, fa che nessun rimpianto o rancore mi veli il cuore, e intorbidi i miei pensieri. Dammi daccapo coscienza immacolata, che i suoi ricordi rispecchi serena senza più turbamenti, come fa questo cielo terso sullo specchio che ai piedi ha. Sì, la tua pace mi spiri come aura di primavera nell’anima che stanca tutta mi s’è rattrappita d’angoscia. Dammi la pace che vivifica e che certo rideva innata nelle pupille serene di questa donna quando ragazza era e che ora s’accora delle disgrazie mie. Lascia s’imparadisi il cuore suo. Da a lei la pace che viene dalla virtù della mitezza, della mansuetudine, della dolcezza, ché l’aiuola feroce del mondo trasformi per me in lembo del tuo cielo! Dacci la pace, che tu hai, beata, che non ode la contumelia feroce, la chiacchiera impietosa, la maldicenza che sfocia in pettegolezzo ilare. Dacci la pace che la violenza del tempo più non rapisca, quella che, come margherita preziosa, trovata dopo lunga ricerca, fa ogni cura e pena lontane, da scordare. Dacci, o rosa ineffabile, il profumo tuo che inebria e imparadisa! E a me la certezza che proprio te stringo al cuore se di questa donna così faccio. Gioia me ne verrà, che nessuno togliermi potrà!

giovedì 26 luglio 2012

Lasciamela

Tanto nella mente fan talvolta ridondanza i pensieri e lor parole, che s’accavallano, che ciò va a scapito della chiarezza e compiutezza del dirti e allora me ne sto quasi inibito come tema che il pensar mio ti sia grave, sapendo che mi leggi dentro. E allora oggi ti dirò poco. Ti dirò breve di quel che vero temo. Ecco, se pur concreto è quest’amore e io guardi e tocchi questa mia donna e vero palpitarmi la senta, temo che qualcosa, e no so che, me la voglia allontanare e farmela divenir di quelle cose, che pur s’amano senza poterle mai raggiungere. E così talor si son fatte le mie donne, estranee! Ma allora pure tu diverresti di quelle, l’icona tua smarrita, sfuggitami dal cuore. Ecco questo mi turba, fa ansia e fa la mia preghiera per te, quella d’oggi. Ma poi anche temo che tu stessa mi trovi tanto stranito da tal paura di perder con lei tutte le cose belle che amo, da volerti far lontana non più piacendoti questo cuore innamorato. Così perderti sarebbe causa ed effetto a un tempo del loro sfuggirmi, lei smarrendo. Io non so dir meglio e non so perché tutto questo m’accada! E sono esse quelle cose belle che mi permettono di sognarti e certo questo fa per prima l’icona tua e l’idea di questo lor farsi lontane e poterle perdere mi fa sgomento e tristezza. Ed è questa un stato dell’anima che fa di per sé vanire le cose, le fa perder colore, significato, velando tutto, anche nel quotidiano. Ecco, come ci sia un sole scialbo che tutto immerge nella penombra come in un’eclissi. E i pensieri, le parole più belle languono come i sogni e così fa morta gora che insetti operosi e fiori lascino il terreno in cui acqua langue. E tu hai la consistenza di quelli, eterea, e, perdendoli, nulla più di te avrei! Sì, se qui più non trovassimo cose fascinose da sostenerci l’idea della bellezza, di te nulla più sapremmo. E tu non sei le cento varietà d’erbe e fiori che fan dipinto il chinale a primavera e che gareggiano coi loro colori e profumi ad attrar a me la vista e l’odorato e delle farfalle la danza, che fa vaghezza al cuore. E poi nel lucciolaio che esso diviene le sere di tarda primavera, non sei tutte quelle che sfarfallano e che dicono amore mute, e non sei le stelle delle notti d’estate che fan di simile col brillio loro e ci palpitano parole che il cuor vuole siano le tue. E poi non sei l’oro delle aurore o il rosseggiar dei tramonti che fan meraviglia a me e alla donna mia e non certo la pioggia aulente che la terra, da lei resa giovane, imbeve benefica da far rigoglio alle sue piante novelle. E non il canto di uccelli innamorati a primavera. Ma dimmi, senza tutte queste cose belle che fan tenerezza al cuore che sapremmo della bellezza tua, del candor tuo, del tuo rosarti di tenerezza per chi ami? E poi senza il brillio d’occhi di donne innamorate in notti assetate d’amore e le parole e i gesti che ce le fan leggiadre, che sapremmo della tenerezza dell’amor tuo? Ecco come può dire un cuore, la bella del cielo è come la più graziosa e cortese, che mi bussi e quella che mi fa palpitare se m’è vicina e mi fa rimpianto e tristezza quando m’è lontana. E per me una assai dolce hai voluto a significarmi l’amor tuo e a me proprio dicesse le parole tue, sì, è quella che mi fa tristezza al cuore se la so lontana e io non agogno che di rivederla. Ecco se si vela la voce sua e l’età vuol lasci la bellezza sua, questi occhi, pur sempre belli, parlano, dicono di te, gridano l’amor tuo. E, miracolo, eccoti per lei concreta, vicina da udire col respiro, l’afflato tuo per me! Sì, è lei sola che ti trattiene nel cuore mio, t’ha legata ben stretta con tanti lacciuli! Lasciamela, ché veda, ultima luce, degli occhi suoi il brillio a cercarmi nella penombra. Sì, siano essi l’ultimo tuo messaggio d’amore per me, e poi o il nulla o te!

martedì 24 luglio 2012

Piccola lode d'amore

Se, dolce compagna, ti dico che andando da te lontano per breve spazio e piccola ora, ti porto nel cuore, certo uso quella figura del dire che nomina la causa, per gli effetti suoi. E certo dir voglio della serenità e della gioia che l’averti accanto mi fa, come frutti d’amore attento e cortesissimo. Un amore così, solo signora vera, che casta e fedele ami, può donare, e tu lo sei, dignitosa, rosata di pudore, sempre certa ma anche timorosa di mostrare quel che dentro hai, e che la fortuna mia fa gelosa, e io quasi piedistallo della tua regalità mi sento con la miseria di questo mio vecchio cuore da sempre innamorato. Ma di più mi porto appresso, se vero è che da che eri ragazza, giovane e bella, come in un eterno prologo tenti dell’entrarmi dentro a seminarmi di cose eterne, come è certo questo tuo amore, un cuore altrimenti arido, fatto di sterpaglie, che il tempo accespare vuole e farne rigoglio. E lo fai superando le intralciose superfluità che la brama di conoscere vi ha accumulato e le asperità del carattere, scontroso, quasi chiuso, di cui è certo responsabile un’infanzia breve e poco felice. Ed è questa tua immagine che amo portarmi dentro, tu che perennemente mi bussi al cuore, ché io te l’apra tutto, ed è questa che mi richiamo nei momenti bui di quando son solo. Allora, senza te, sento tutto accadermi come se perpetuamente avessi dentro un angelo e un demone, che sempre si combattano, da farmi rispondere altalenando, anche di fronte a piccoli fatti di vita, o con palese ripulsa e forse viltà, o con l’eroismo del buono, che vorrebbe fiorito di bene e di bello il mondo tutto. E allora mi chiedo, se vero ho una ricchezza dentro, che mi fa essere senza nulla avere, chi ve la mantiene? Tu la difendi, lenisci la pena dell’incomprensione e dell’equivoco che sempre vi tentano i mediocri, e il dolore di vederla calpestata e derisa dagli ilari, e tenti d’arricchirla dando generosa del tuo! Ecco, altrimenti povera se ne starebbe quest’anima, scura, negletta, quasi buia falena che mendichi luce. Sì, forse solo impastata di cattiveria, ma anche agitata da impeti che tu sola dici d’amore, ma che io so sbattimenti, rabbiosi talvolta, di poca luce e tante ombre sempre, che certo talvolta suonano generosità e altruismo, ma che così rari e fortuiti m’escono fuori, da non far certo quell’ebbrezza santa, che la madre vorrebbe da chi l’amor tuo le ha destinato. Io sono o da te portato a lei o condannato alla pena della sua lontananza che l’egoismo certo mi prepara. Vero tu , “corde magno et animo volenti”, fai sì che questa farfalla si inazzurri a cercarla, quasi aquilone e tu spago generoso le fornisca a volar alto e il tuo cuore con esso vada tra le nuvole d’oro. Io so di non aver meriti, solo umile sono e un po’, prego, e per te anzitutto, ché la luce ti illumini e tu me la rifletta, ché veda la via che a lei mena e animoso con te la percorra col tremore dell’esule. Siamo peregrini e d’amore, perché se il nostro umano s’eternerà, e certo lo desidera, sarà lei a volerlo. Allora lasciami sognare, lasciami vederti come piccolo fiore col capino ondeggiante alla brezza, bianco, che la sua luce sola baci. Piccola resta la mia lode, ché vero è che sei tu sola che questo cammino alle sue stelle dipingi e soffondi di rosea luce, e tutto profumi!

lunedì 23 luglio 2012

Un mattino uggioso

Mattino è, e le iridi mi palpitano per la luce.
Ma scialba è, ché tutto grigio è questo cielo. Stanotte è piovuto. Assetata ne era la terra e forse là, sulla collina di fronte, i pochi fiori che la calura ha risparmiato, hanno appena aperto la corolla, innamorati di te, a cercar di te la carezza. Ma vento è calato dal nord e attenuarsi non vuole, ed è fresco, forse oggi non potrò andarvi e lì sperare un incontro con le cose che parlami vogliano di te, e tante sono. E io più povero mi sento e stolto, come attenuato mi sia l’ardore bruciante che sempre mi spinge a cercarti e invocarti. Non sarà che ti perda? Spero che trascorso non sia il tempo d’amore per noi! Ma prigioniero mi sento di questa realtà, come una voluttà sadica mi ci adatti, e non vorrei, quasi lupo ormai fatto tra tutti così. Forse allora più non ti piacerò. Ma non m’accadrà, credimi, sono sempre il piccolo uomo bisognoso di parole buone e gesti, e d’amore. E straniero mi sento qui tra i molti tediati d’egoismo, quelli che bene e male confondono, mai per il danno proprio, ma degli sprovveduti solo, e vero io sono tra questi più. E sono come in un lungo incubo e svegliarmi non so. Sì, destarmi, sorgere vorrei per vita novella e con te per quest’amore, ché poco forse le ho dato sebbene in lungo sodalizio. Ecco io vorrei dirti che oggi proprio, come m’abbia contagiato l’uggioso mattino, io sono ancor più straniato dalla verità che sei e dall’amore che da te raggia, ché più lontano, come più non potessi averlo, come sfuggito, avverto. E gridarti come bambino facevo alla mamma per attrarne l’attenzione, vorrei per la tua. E quella risento rispondermi col nomignolo che la tenerezza sua inventato per me aveva. Sarà così proprio che tu mi risponda? Sì, io or lo vorrei da questa miseria che m’attanaglia, per suscitarti pena non per me, ma per quest’amore. Ti prego, chinati su noi, madre consolatrice, sfioraci con le tue mani di luce, stringi a te la nostra umiltà, la nostra miseria assetata delle tue tenerezze. Indicaci la via per un mondo nuovo senza più dolore, il solo per me “ubi consistam”. E se qui questa vecchiaia, che avida vuol prenderci, vuol trattenerci e tarda la morte sorella, che a te portarci vuole, lasciaci riscoprire le cose del quotidiano, sotto la tua luce. E’ benefica, cambia, rinnova, e annuncia la vita novella con te, lì tra le stelle. E intanto mostra i sentieri della tua misericordia, della tua pace, della tua gioia! Sì, madre, manda luce agli occhi di questi teneri amanti, che, se si amano, è te che amano, sola luce delle anime loro! Scendi allora, mostrati, restaci vicina un po’, e frattanto scorra il tempo che ci separa!

sabato 21 luglio 2012

Un oggi d'amore

Quando al mattino svegliandomi mi torna della luce il miracolo, gli occhi subito ti cercano nella penombra e, non trovandoti, la voce mia, che se ne è stata tacita, subito il tuo bel nome pronuncia, ché richiamo ti venga. Sì, il cuore, che solo non sa stare, non chiede che di iniziare un nuovo giorno d’amore con te. Allora non chiederti se questo sarà, ma come sarà, quanto intenso, quanto pieno di palpiti e sospiri, quali parole e loro immagini oggi condivideremo e speranze e sogni, da riempirtene il cuore. Questo è un nuovo oggi d’amore! Ospite hai da sempre questo cuore, che non chiede se non che tua malia gli rinnovi, già con la presenza tua dolce, che sa fargli incantamento, e subito ti cerca, ché la tua premura affettuosa ridomanda e il suono della parole tue, quali siano, anche di nuovo rimbrotto, offrendoti sempre nuova materia il mio disordine e la mia condotta talora vaga. Sì, non chiede che di palpitare ancora, incantato alle piccole cose che la cordialità tua subito gli offre a cuore sincero, a cuore pieno. Sì, inizia di nuovo il colloquio delle anime nostre che va al di là delle parole dette, del suono e del significato loro, e tutto intorno mi trascolora, ché illuminarsi pare di luce che neppure la sopravveniente aurora mi darebbe senza averti ritrovato, quella che il regno trascorso di Morfeo certo ignora con le ombre e i fantasmi suoi, in cui pure dolce m’è stato l’abbandono sapendoti accanto. Ma come un vero sogno per quest’anima inizia rivedendoti. Anzi di più! Le accade ogni volta come se uno specchio le rifletta le cose che ha davanti, ma mute fino ad allora, ed essa possa ricomporre, solo con l’immagine amata, la chiave che reinterpreta il tutto, dando al tutto un senso, che altrimenti stenterebbe a ritrovare o forse perduto sarebbe per sempre, imprigionata rimanendo essa in se stessa. Sì, senza, nulla potrebbero dirle le tante cose che pur le si affollano intorno, ché nulla essa sentirebbe, avvertirebbe, vaga esplorando un mondo senza significato alcuno, in cui straniera s’avvertirebbe. Sì, nulla è quest’anima senza te. Fredda se ne starebbe e nel freddo non germina nulla, né pensieri, fiori di vita, né vita di pensieri, fiori, che ne tappezzano la via. Una via di sogno e d’amore! Sei tu la sua eterna primavera che tutto le infiora. E se lacrime ha di gioia nel ritrovarti, lascia che non me ne imbarazzi se imperlarmi vogliono il viso, a questa sua sola luce, come rugiada che al mattino tutto ricopre, ché ne brilli ai primi raggi del sole. E tu sei questo sole. Sì, questo sei, luce per l’anima mia altrimenti buia e negletta! E quando ti son lontano, lungi dal frastuono delle ore e penso alla bella del cielo, io è a te che penso e se vi penso pensarmi, questo vecchio cuore si imparadisa!   

giovedì 19 luglio 2012

Rossella libera

Se pioggia ora cadesse sui pochi fiori, che la calura ha risparmiato, monito certo sarebbe per il nostro comportamento, ché l’insegnamento del maestro ricorderebbe, cadendo quella sulla sterpaglia prevalente. Ché così è divisa questa umanità, pochi buoni, con mediocri, o cattivi addirittura, più numerosi. Il dio comanda imitazione! Ma cosa pensare quando la nostra Rossella, ora finalmente liberata, qualcuno ha voluto avvilire, allontanandola dalla missione sua d’amore verso i derelitti, che l’aiuto suo prezioso ricevevano, come pioggia piante assetate sotto calura? Che dire di un mondo dal quale sorge chi fa vendetta del bene ricevuto? Perché si risponde odio a chi benefica? E se questo vero fanno a chi li ama che faranno a chi, ingiusto sempre, aumenta la sofferenza della gente loro? E come? Togliendo anche il meno a chi brama poco per vivere in questo mondo che l’egoismo avvelena, se è abbagliato da miraggio di dominio sul povero o perfino di lucro da chi nulla ha. Sì, tanto può la sete di accaparramento dei già ricchi, gli odiosi veri di questo mondo! Perché vero è gente che esiste qui coscientemente cattiva con gli altri, disperata d’odio, vomitante veleno verso i più sfortunati anche o sopratutto! Ma non a questi occhiuti, ben celati avidi, si rivolge l’antico, superato, contrappasso che commisurata vorrebbe la vendetta all’offesa, ma paradosso su chi offre amore dalla sua debolezza di donna e indigenza! Sì, un paradossale comportamento si è riversato sulla nostra, che più orrido è difficile pensare. Ma non furono, madre cara, già gli ebrei ingiusti col figlio tuo, che venne con parola di misericordia e perdono da amore attuoso dettata, non vollero essi appenderlo all’albero infame dell’odio sul colle dell’abiezione? Una storia che ha innumerevoli tentativi di imitazione, ingiusti contro il giusto. E nessuno è più giusto per il dio, di chi attua l’amore! Ma noi da lui abbiamo un comandamento nuovo, amare perfino chi vuol farsi nemico. Questo allarga il concetto di prossimo, ché unisce al dio lo stesso nemico in un‘unica risposta d’amore. Da allora l’amore non solo è niente senza perdono, ma scade nell’erotismo, in una frenesia gabellata per misticismo, un fantasioso isterismo, che si ferma all’esteriorità del gesto, ama la modalità, l’espressione del gesto, ma nulla ha di profondo, non viene dal cuore e non attinge al tuo, non è che un’altra espressione della dilagante follia umana! L’amore vero, che muove da te, sempre scusa, cerca di capire le condizioni aberranti che inviliscono la dignità umana fino a farle rispondere odio al bene offerto, perdona indulgente oltre ogni misura, è eroico, è sovrumano, ché tu lo sostieni! Allora non v’è posto per risentimenti odiosi, che sgretolerebbero l’amore. E’ sempre il perdono che dovrà prevalere, schietto e radicale, richiedente non parole fredde, che nulla mutano, ma nuovi fatti di bene in un impeto animoso, che sorprenda e smarrisca chi s’è macchiato di grave e lacerante ingiuria, avendo risposto col male al bene offerto. Un impeto generoso, che lo inviti a pensare a quanto più degno dell’uomo sia la risposta che venga dal cuore sempre, che sa rispondere col bene al male perfino. C’è una nuova regola di vita, dal figlio tuo dettata: “vince malum in bono”. Insomma io m’aspetto che la generosa Rossella pur provata, ritorni a breve tra i poveri del dio. La vedo tua perfetta icona, rivestita di trepida dolcezza da scoraggiare perfino la rabbia ferina che l’ha appena colpita e certo fatta soffrire per lunghi mesi in prigionia. Sì, la vedo perdonare fin a poter riamare per te, per il tuo nome, o bella degli angeli, e attingere ancora dal tuo adorabile cuore. Io la vedo così, ché so per certo che vero amore è il suo!

martedì 17 luglio 2012

Agapanthus

Dolce è ascoltarti, dolce lo stare con te e in te 
solo, dal profondo del mio cuore affannato, 
riposa e si placa l’anima mia provata, e 
pendo dalle tue parole come Maria, ebbra 
d’amore, ai piedi del figlio tuo. Sì, star con te, 
vedere te, sentir te è la gioia e la vita vera 
per me e altro non ho di sì bello e dolce! Ma 
quanto ho penato a trovarti prima che 
palpitar potessi nella felicità di averti! 
Ma come ho fatto? Ho trovato qui una tua icona, 
un fiore d’amore, un agapanthus al cuore 
mio! Bella sei in lei, proprio come il mio cuor 
ti sognava, una corrispondenza perfetta tra il 
buono che dentro celi e l’esteriorità delle 
fattezze, ma solo gli angeli chiamarti possono 
con un nome che entrambi li significhino. Io 
contentarmi debbo del nome di questa donna, 
tuo piccolo fiore, e dei cento che la tenerezza 
m’inventa per lei e allora così per te. Ché è lei 
che permette che ti veda e ti tocchi perfino! 
Spesso donne di qui privilegiate, dalle belle 
chiome e visi e armonioso corpo, presto 
intristiscono neglette da vero amore, ché le 
lusinghe tante rovinano il poco o il molto che 
dentro hanno, e confondono, sicché altro 
degno cuore, che parli sincero, trascurano, 
per chi incendio effimero avvampi della 
sterpaglia che ha nel suo! Ma donna v’è che 
dir possa a uno solo cuore, ecco bella sono 
per te solo, che m’ami, le tue parole d’amore, 
che dirmi sai mi son preziose e d’altre 
lusinghe non ho cura! Ecco l’icona! E questa 
tua risposto ha amore al mio assetato cuore, 
ché “aio tibi” ha pronunciato per lui solo! Ed è 
vero bella questa donna mia, ché quello che 
manifesta fuori, è da cuore innamorato che le 
viene. E gli occhi miei mai son sazi di lei. E 
poco importa che gli anni aggiungano rughe 
al suo bel viso e bianchi i capelli vogliono 
farsi. Cantano sempre amore gli occhi suoi e 
la voce, che vuol velarsi, sempre melliflua m’è 
al cuore. Sì, passano gli anni e vero ella 
sempre più simile ti diventa e certo là dove 
vivi, meritevole fattasi della tua giovinezza, 
occhi d’amore ancora avrà per me, ma esser 
io vorrei ad attenderla! Sì, già ora tuoi stessi 
occhi ha e il suo, il tuo sorriso. Ma è l’amor 
mio che anticipa e così già me la fa vedere! 
Quando, dove? In attimi di sogno ad occhi 
aperti nella solitudine che tutto in me mi 
raccoglie. E non v’è artista, che veda come io 
or ora vedo e che senta dentro al cuore 
magnificar la visione, da poter render con sua 
arte questa umana bellezza che s’esalta e 
trascolora nella tua! E se davvero pennello 
avessi con una tela or tra le mani, l’anelante 
anima mia che coglie l’indicibile di te dal 
ricordo di lei, fremente non lo seconderebbe, 
ché, tremula di passione, sulla tela la mano 
non ritrarrebbe forse più di uno schizzo 
ingiusto, sebbene in tonalità d’azzurro, ché è 
guardando questo cielo, verso cui questo colle 
si staglia, che si stempera la visione mia. E’ 
forse visione d’un attimo solo, che permesso 
m’hai, ché così veda il destino del mio piccolo 
fiore azzurro, lì tra gli angeli tuoi. E se cuore umano 
più possa non so, ma il mio ha un che di 
orgogliosa sicurezza, che vero sia tu quella 
che ho visto, lei ricordando, or ora nella mia 
solitaria passeggiata. Ma ecco mi si vela di 
tristezza il cuore e tremano di pena le parole 
mie per te. Penso ai giorni d’amarezza fonda 
e scuri d’umana solitudine che ci attendono se 
ci separi. Possibile, mi chiedo, che spezzar 
questo amore si debba anche per piccola ora? 
Ecco perché ogni notte nell’addormentamento 
la mano mia la cerca e al risveglio subito fa di 
simile. No, non permettere che io più non me 
la trovi accanto, ché, lei perdendo, è te che 
perso avrei, prendici insieme!

domenica 15 luglio 2012

La poesia di quest'amore

Che valore aver deve questo mio cuore se vero, tu proprio, te ne dici innamorata? Un tesoro solo per te e inestimabile, eppur tanto povero se non vi versi del tuo, generosa! Sì, io o sono questo cuore o nulla sono. Non ho altro. E’ poco, è tanto che ho? Non so, è il solo dono possibile da me per te. E tu continui a stiparlo di preziosità, parole buone, gesti d’affetto, fiduciosa che ogni tuo dono esso conservi geloso. E non sbagli, vero prezioso è ciò che gli viene da te! Ma senza desideri preventivi, senza sogni anticipatori, non vi sarebbe spuntato nemmeno un barlume, un raggio di luce spia che da fuori, da te amore gli venisse, e completamente negletto forse sarebbe ancora, nel suo buio. Sì, esso ne è diventato recettivo perché lo ha sognato già, l’ha desiderato da una vita, anticipandone la dolcezza. Ne è stato sensibilizzato dalle tante negazioni. Queste, paradosso, l’hanno educato alla speranza e tu sei venuta a tendergli premurosa le mani, invito a rientrare nella tranquillità dolce di un piccolo bene a sua misura e desistere dal cercare oltre. Sì, un piccolo bastevole amore! E oltre, da allora, il nulla per lui! E alla tua voce non ha resistito, come l’attendesse da sempre e aperto t’ha e gli sei entrata dentro. C’è in queste poche parole una vita tutta. Ripensamenti, cadute, brutture ne fanno parte e l’incubo di inabissarsi nella morte. Ma con te mi son detto, avanti ricomincia la vita! E affrettato mi sono alle tue braccia, ché tu, come da sempre avessi nostalgia di me, le mani mi tendevi. Come è stato possibile se mi conoscevi appena? Anche tu anticipato, come questo piccolo cuore, avevi l’incontro, sognandolo? Mistero è d’amore! E tutto si spiegherebbe con un paradosso. C’è là dove brillano le stelle un eterno presente e lì forse solo appisolati siamo e sogniamo lo scorrer del tempo, e forse vero tutto è già accaduto e la vita di qui è solo ricordo, brutto, bello, ma sogno, e noi vero di là stiamo e solo il sonno con le vaghezze sue ci riporta in questa realtà che forse è proprio apparenza, già stata, ora mutata, una fata le ha fatto malia e ci ha portati là dove vive, ma noi talvolta l’incubo abbiamo della vita precedente... Oh vero fosse così! E io sono rimasto nel tuo sogno e tu nel mio. E sei nei miei ricordi, tu sei stata la piccola dirimpettaia di quell’estate breve e la bambina dolce della spiaggia, che ratto mi prese, eppoi certo la biondina dei tanti sospiri, eppoi, eppoi...Così io per te, nei tuoi sogni di bambina già ero, e nelle prime vaghezze dei tuoi approcci d’amore. Sì l’una verso l’altro attratti, senza saperlo, allo stesso destino, con tante tappe intermedie e intoppi e soste e respingimenti, delusioni, come pellegrini in tante illusioni! Troppe, forse! Poi finalmente riconosciuti, l’una dall’altro... E vero è quest’amore,piccolo, ma attuoso, che da frutto, non fatto di languori, cascanti svenevolezze da mistici, non solo però indugio ad allettamenti febbrili dei sensi, ma così intensamente vissuto in ogni aspetto e possibilità, da darci certezza del dio, anzi che simili ci rende al dio, alla bella delle stelle, desiderosi di palpitare l’eterna sua giovinezza. Ché, ci diciamo, se è proprio vero che questo ci accade, allora il bello, il bene il buono ci sono e qui ne siamo in apparenza privi, li percepiamo ora, quasi li tocchiamo ora, ché forse sono appena oltre questo brutto sogno. Ma svegliarcene non possiamo! Eppoi anche, quest’amore ci dice creditori del bene, del bello, del buono del dio. Sì, l’abbiamo meritato nella gioia condivisa e nel poco nostro, che anche per gli altri è stato, dal nostro mondo di due mai esclusi. Sì, l’abbiamo meritato amando e amandoci. E se ci chiamiamo pieni d’amore e in questo buio, vero gli occhi prepariamo alla luce del risveglio, come un utero di madre ci prepari alla vita novella nella luce. E intanto semplici, modesti, un velo lirico avvolge i cuori nostri amanti e di lei sospiriamo, ché ella è la poesia di quest’amore. E le anime nostre si disfano di gioia ai sussurri suoi che vengono dalle stelle in notti incantate. Ecco, restiamo sul poggio in questa notte serena e lento ruota il cielo e declinano le stelle. Lei è mite, lei è umile di cuore, ama, e se troppo la guardiamo con gli occhi del nostro, ecco, si rosa di pudore, casta, fatta di solo puro amore! E ruotano le stelle sue lente cadendo ad occaso e gli occhi si chiudono... E’ vero, è forse tutto già stato, ora finalmente questi occhi la vedono!

sabato 14 luglio 2012

E' fatta così

Perché troviamo sempre bello il nome
dell’amata, che suona dolce sia se noi o che altri lo pronunci? E poi perché la tenerezza esigenza sente di dieci e più altri inventarne? E dolce è il nome tuo e incessante lo ripeto e lo farò finché tu quello vero, col quale gli angeli tuoi belli ti chiamano, dirmi vorrai. Ché seppur tanti a questa tua icona ne ho detti in questi anni d’amore, nulla di simile adeguato per te troverei a significarti di che amore trabocchi questo vecchio cuore. E quando esso bizze fa di stanchezza, ché tanto ha palpitato amore, troppo spesso negletto, prego che lui non si spenga prima che le mie labbra, assetate di te, abbiano almeno una volta quel nome cercato e invocato, pronunciato. Troppo voglio? Poi forse l’anima mia a quella parola vorrà che il tempo per lei si fermi e così busserà al cuore tuo, ché le apra. Ma forse per essa meglio sarà che la compagna la raggiunga, ché più candida è. Sì, ché luce le dia da velarne le colpe. Ma, madre dolce, tu ben sai che amato ho qui come ho potuto, da sprovveduto. Sopratutto le tue donne ho tentato d’amare. E la madre donna è che per definizione ama per prima, e le ho, sempre spero, risposto amore ed è te che sicuro ho amato per lei, ricambiando il tuo. Poi timido bambino sono stato e la brunetta, che sai, temevo deridesse che balbettate mi venissero le tante parole che dirle avrei voluto. Ma con la biondina fu diverso, oh ne potessi ricordare il nome, vago divenuto come l’oro dei capelli suoi! Ella, ricordi, parlava tanto e io annuivo per lo più, e speravo così, invano sicuro, di nasconderle la timidezza. Delle altre mi taccio. Ma degli occhi neri in cui mi imbattei più che ragazzo, come tacere se ancor il cuore mi pungono? E tanti gli anni che ne sono lontano! Non mi era destinata. Ma mai ombra m’ha fatto al cuore questa piccola donna, io forse sì, ma spero piccola, al suo, e non è molto! Anzi ella, appassionata sempre, ha fin supplito, col suo generoso star gentile nella mia vita, ai miei manchi d’amore per te. Ché amar te non significa scovar belle parole e dirtele suadenti. Fanno questo gli ipocriti! Ma tu vuoi amore nella concretezza e non solo verso le donne, tutte tue icone, ma farlo con parole, gesti opportuni, a chi ne domanda e sempre, e non solo il facile ricambiar amore a chi da sempre ormai ne concretizza le parole, e per me questa donna appunto lo fa. E la gentilezza sua, di parole e gesti, ho almeno sempre trasmesso, ché gentilezza e gioia diffondono, specialmente la gentilezza è contagiosa, passa dall’uno all’altro, facilmente. Eppoi son tante le parole dal cuore di questa donna e sono qui per me da che era ragazza, ma a te e a tutti, so per certo, vogliono giungere. E io a te le ripeto. Quando, come? Se in qualcuno mi imbatto quando le sono lontano, dando appunto risposte partite dalla sua gentilezza rimastami nel cuore, ma più ancora se son solo nella mia passeggiata, a lei ripensando. Ecco, cerco di ricordare la prima parola che le ho detto al risveglio, la risposta che mi è venuta dal suo sorriso, il suo premuroso informarsi se notte tranquilla la mia sia stata, il mio rassicurarla. Tutto ha importanza, pure le sue solite raccomandazioni mi ficco nel cuore, per ripensare le parole sue e come me le abbia pronunciate. E poi l’abbraccio dell’arrivederci, come ogni volta proprio partir debba e star lontano non qualche ora soltanto, e la raccomandazione di chiamarla prima di lasciar i miei sentieri sulla collina di fronte, ché il cancello della nostra casetta vuole trovi aperto il nostro suv. Sì, sempre tutto uguale eppure nuovo al cuore mio, se a tutto questo ripenso, e so, così facendo, di trasmetterti il suo per te, ché su di me, “hodie et cotidie” dal suo cuore uscito, s’è soffermato. E’ fatta così!

venerdì 13 luglio 2012

Uno per i sogni

"Io mi son uno" che da te ha il privilegio dei sogni. E’ poco? E’ tanto! E li riverso sulle cose tutte e queste imbellite ne restano, e, come stessi in un incantamento, intorno mi fanno come una perpetua danza e me ne inebrio, ché perfino musica da colori avvertir mi pare e che dai suoni colori mi appaiano! Sì, tento così di farmi intorno un piccolo mondo meraviglioso che incantata sosta mi sia, ché qui peregrino d’amore mi sento, del tuo! Sì, uno piccolo e bello a misura mia, ma consono alla speranza grande di te, incantato solo se tu vi guardi, e ne partecipo a questa donna e ve la invito suadente. E questa mi dice e dice, e le parole sue vi caccio dentro e sicuro bellezza v’aggiungono, ché sempre assai gradite mi suonano dolci, e le so da cuore che fuggir vorrebbe, e con me, là dove brillano le tue stelle, a vederti! Sarà? E se non so molto di te, se non che stretta t’ho in sogno tra queste braccia solo umane, e se lì vederti ancora, non posso, so che questa piccola donna tenta di supplire al manco di te, e io fidente sono dell’amor suo che tante e tante guarite ha ferite del cuore e manchi di bene. Ma più mi ti neghi, più ti cerco, e non so trovarti, se non in lei. Sì, occhi son questi che mi guardano, che mi invitano a fermarmi, son loro l’oasi per me, là ti cercherò e forse vero più saprò di te. E già tanto belli sono che invano vi aggiungerei orpelli col mio fantasticare. E mi invitano a smarrirmici, ché il nero che queste iridi circondano è vero mondo di sogno in cui l’anima rapita può aleggiare e mai esaurirlo tutto! E lo faccio e mi ci lascio cullare e così tra braccia di angeli mi pare di stare, le tue? Com’è strano il cuore di donna, noi lo invitiamo al nostro sogno e vogliamo farvi incanto, aggiungervi del nostro, il più bello che serbato fino ad esso abbiamo, ma quello già tanto è vago di noi che, dischiuso, il meraviglioso suo esso versa nel nostro da farlo traboccare! E gli occhi poi invitano all’oblio delle cose, uggiose tutte, di qui, un pozzo in cui cadere e lasciarsene rapire! Sì è donna che ami, il dono tuo più bello e ci diciamo, se questa dolcezza permette lo specchio suo, che sarà per noi quella che esso riflette? Ecco che il sogno su te non si ferma e altro di te vorrebbe! Ecco, di nuovo fervida la fantasia vola e vola, ma vero lo può solo sperdendosi nel nero di queste pupille che davanti ci stanno ansiose, vaghe di cuore che risponda solo amore, al richiamo loro. E vi rispondiamo accorati. E di più qui non v’è! Ma servirebbe altro ancora, potrebbe piccolo cuore umano contenerlo? E allor paghi ne siamo, ché null’altra garanzia sappiamo v’è che tu sia vero per noi, se non questo tuo miracolo che accanto viverci vuole. Oltre il buio! Sì, inebriato son di questa donna, è il mondo suo ora che mi circonda, ché è nel suo che è trascolorato il mio bisogno di farmene uno di meraviglia intorno, è questa che m’ha fatto incantesimo! E più dolce malia non v’è! E qui inebriato sono di te!

giovedì 12 luglio 2012

Luce dalle stelle

Com’è che al mattino, sciolti dall’abbraccio di Morfeo, subito gli occhi cercano la luce? Ma le mani mie anche che lei accanto mi sia accertasi vogliono e quasi mai la trovano, presto chiamata ai tanti compiti suoi. Ma torno alla luce! Sì, v’è qualcosa d’arcano nelle creature tutte che le fa cercare la luce. Sì, nati tutti per la luce! Geme in noi la nostalgia per i regni della luce, vi siamo destinati. E già balena fuori il giorno, inonda e scalda le cose tutte con le sue scintille d’amore un sole giocondo e robusto in questi giorni di calura, e chiamo la compagna, immersa nel verde del giardino suo, ché voglio farle tenerezza. E quella viene, borbotta un po’, ma poi a mille carezze s’abbandona palpitando amore. Ma quando alla sera miriadi di stelle scrivono nel cielo le tue parole, madre cara, gli occhi in su volgo speranzoso d’un cenno tuo speciale, sì uno per me solo. E l’iride degli occhi miei s’allarga e cerca e cerca. E la bella di notte del poggio, aperto ha questa sera dei fiori suoi la corolla e quelli di dolce effluvio inondano il giardino tutto. Sono pur’essi innamorati delle tue stelle? Forse ho vero rivali d’amore, e altri occhi palpitano coi cuori per gli splendori celesti, non deluderli! Ché dolce è fantasticare che se i miei inadatti sono, ché piccolo uomo sono tediato ancora d’egoismo, altri cuori più puri riconsolar possono l’anima a la luce di quelle. E quando, giovane, m’accadeva in notti come queste di cercar, dopo sonno breve, la frescura sul terrazzo, stavo così ore e speravo che pietosa scender volessi e carezzarmi con le tue mani di luce. Oh sì possa io vederti, conoscerti meglio già qui e delle tenerezze del cuore tuo innamorarmi più e più! Sì qui tutte le cose t’agognano e spasimano vederti come me nella tua luce, e io la veste mia mortale vorrei luminosa ad accoglierti. Sì, come quando sognai vederti uscir dalle onde d’una notte incantata con salmodia d’un coro di donne tue, la madre mia in quel consesso, e tu l’essere mio tutto di luce vestisti, tenue ed evanescente come gli abiti che vi rivestivano... E questa sera la donna mia viene e fa delle mani sue sul viso mio dolce carezza e sussurra qualcosa e non so che, forse son le parole arcane che tu le fai sorger nel cuore e lei volutamente le bisbiglia, ché le senta senza intenderle, ma ha importanza capirle se le so d’amore? Ma con lei anche so che sulla vanità del tempo batte l’ala sua la morte, che vorrà separarci! E un po’ consola che tu prometta luce poi a inebriarci e amore d’ardore bruciante per noi. Sì, qui poveri siamo, straniati dalla tua verità e intimiditi dalla boscaglia nera tutt’intorno, che sempre sta fuori, il giorno pure, mai saputa dai più, con molte creature impigliate e forse già imbestiate tanto da aver paura della stessa luce! Non sia mai così di noi! Sì qui ora, per noi abbracciati, barlumi ci sono, sono tuoi, consolatori dalle tue stelle, che gli occhi umidi or fan danzare in questo prologo, ché la generosità di questa donna m’offre amore dal cuore suo, or ora sotto l’incanto di questo cielo! 

mercoledì 11 luglio 2012

La risposta

Sono quel che sono, povero, stanco, smarrito, eppure donna ostinata sostiene questo cuore vecchio, che sol gemere sa. Nostalgia di pace ha e di libertà dal male e chiede libertà dagli altri e da sé, e te, bella del cielo, invoca. E gli geme un rimpianto, sarà della madre cara cui si stringeva bambino, che bella era e amorevole, sarà dei biondi capelli e del visino lentigginoso della bambina amata nell’infanzia, sarà dell’altra lì smarrita, sarà degli occhi neri della ragazza dei suoi vent’anni, sarà dei lunghi scuri capelli di questa che ancora ha accanto, e amore e amore, e fedele gli ha dato da ragazza che era. Sarà! Ma io non so che è! E ora d’un brivido trema quest’aria al tramonto, vuol spegnersi il frinire delle cicale e un cantore solitario è venuto sul maschio di carrubo. Io, nella penombra, non ho parola che fiati, tanto m’accora questo canto tutto languido e la compagna non c’è! Son ora note acute, poi basse e velate e le ultime cicale, lontane, vi fan bordone...Che dicono, che invocano? Amore! E come questo lo chiede col canto suo, da far dolcezza a cuore innamorato, io te l’ho domandato, e schietto così, t’ho bussato al cuore, e fremente d’attesa, ne ho pianto. Non ho più orgoglio, voglio te, come questa compagna dolce, e vi mendico parole, siano buone, tenere, sospiri! E qui vapori ancora ondeggiano grevi e l’afa è irrespirabile e nulla brezza viene dal mare, che la terra richiami. Tutto è avvampato di calura e un altro giorno sofferto, muore. Esco cauto in giardino, sì cauti i passi, ché non fugga, allarmato, il cantore divino. E tanto labile mi si fa l’anima che perderla posso. Lasciarmi vuole per correre, come di raggiungerti pretenda. Ma dove? Ma come? E già compaiono le prime stelle e or che il cantore languido tace sussurri al cuore, cosa esse si dicono di te, di udir fantastico, e chissà forse vero da lì scenderà a breve un richiamo e sarà d’amore. Ma or ora la compagna, tornata, mi chiama. Oh illibato cuore della ragazza che era, da cui uscito m’è amore, oh fascino travolgente di capelli tutti ingrigiti, oh dolce viso che vuol farsi rugoso, oh cara dolce voce che or velarsi vuole, ma che gridar sa amore ancora a questo sonnacchioso cuore! Tu sei la risposta dal cielo!

martedì 10 luglio 2012

Un avvenire d'amore

Strana è nel nostro mondo, e degli uomini e delle donne, la condotta, spesso si dice sì per poi far nulla, o a un incerto sì, segue un no di cui poi pentirsi o cos’altro, ma non il sì,sì o il no,no, consiglio del figlio tuo. Ambiguità nei rapporti umani sempre, quando semplici e schietti invece dovrebbero. Mai è poi chiara la risposta e vi si tiene fede, sia ad invito d’amicizia o d’amore, o a palese proposta di lealtà e sincerità nello stare di fronte o insieme. Si vive in perenne incertezza e sospetto sul comportamento dell’altro e sull’atteggiamento personale, di fronte al nuovo e al diverso, l’onesto pure ha dubbi, ché le norme di accoglienza e solidarietà, accantonate o neglette sono, nel nostro mondo più fortunato. Sì, in un mondo in cui attenuate sono o sfumate le verità tutte, non più chiare e nette sono non solo le direttive di comportamento sociale, ma quelle di giudizio anche, sul giusto, sul buono, sull’opportuno. Non c’è etica ove è il denaro, il profitto che imperano. E poi perché accade, fino a farsi morbosa, che ci sia perfino simpatia per il male nelle sue manifestazioni più truci e sconvolgenti, e si dice d’ingegno il delinquente che la fa franca, o chi, audace, temerario, rischia per accrescere il suo mai bastevole, e perché è fin esaltato e adulato, quando se ne conoscano i fortunati azzardi a danno dei più e forse degli stessi suoi estatici ammiratori? E perché sempre più frequenti prevaricazione e violenza sulla donna? Viviamo in una società in cui la contumelia del ricco orgoglioso è subita nella rassegnazione e la prepotenza più sfrontata vi trionfa a servizio di bassi egoismi e vi fa del comodo suo, lì minacciando, qui imponendo. E la legge degli uomini e del dio schernita, beffeggiata. Che mondo è oggi questo mio, per cui mai forse sarà domani diverso, se anche il passato è tutto buio? E sulla tua verità, madre celeste, c’è chi costruisce la sua menzogna e si veste d’ipocrisia e ne fa una carriera, un profitto, mentre l’ingiusto ha compassione di chi crede ancora che giustizia vi possa essere in un mondo di accaparratori che soffocano e insteriliscono la bontà, se residua eroica sopravvive. Fosco è il mondo che ignorarti vuole e il potente di turno è idoleggiato e si crea un mito solare attorno a personaggi amorali addirittura. Sì, son tante le stranezze di qui e sono di continuo cangianti gli umani allettamenti, molti volgari, altri infami che anche la fisicità di donna nel bisogno sfruttano. E così diresti che non v’è mai progresso morale. E poi mutevoli le preferenze verso personaggi di spicco, quelli che colorano di vivido la vita propria, quando i più si contentano che l’ombra di quella trascolori sulla propria mediocre, sì, nuovi idoli vengono, altri crollano effimeri, niente par sicuro e duraturo nella simpatia cangiante di una umanità, frenetica nell’apparenza, ma impotente. Una specie di rivalsa degli infimi, tali voluti e mantenuti, sui più fortunati, spesso avidi anche del poco loro lasciato. E’ così il mondo, oh quanto giusto! Così prima, così adesso e quale sarà? E dove più ti cercherà l’anima, a che, a chi s’aprirà? Ché risuonar vorrebbe sentire la voce diletta, quella di madre lontana o perduta, o sposa cara o amica smarrita, per illudersi che qualcuna trasmetterle possa la voce tua calda e amorevole, madre divina, tra tanto rumore anche di parole non senso, blaterate, gridate! E se fuggire occorre, dove, quando, come, con chi? V’è luogo abbastanza romito, che permetta d’udire il fruscio d’una falena a chi guardi le stelle tue a cercarti? Il deserto? E non è tutto deserto?
Anzi qui tutto pare un balenare di nembi come quelli che nella terra mia vengono da occaso d’ottobre o far foschia, e tetra essa ne resta tutta, o a gettar pioggia. Attende forse te questo mondo impegolato nel male, nel brutto, nel buio? Ma tu col figlio venuta già sei e nulla è mutato! Che avverrà ora? Nessuno lo sa. Il nostro mondo, il nostro occidente è decrepito, non più valori ad illuminare la vita, è tutto crepuscolo, tutto fa triste presagio, sì, vero tutto è deserto dentro e fuori. E io nascondo a questa donna, e non ho occhi che per i suoi e mani solo per le sue, il mio pessimismo e le dico che per noi e tutti ci sarà avvenire. Ma quale? Anzi, le dico, che incalzano tempi nuovi e belli e il nostro mondo di due, che s’è fatto di tre, ché te, bella, abbiamo, sarà turgido di piacevoli, sorprendenti eventi e ricco di amici nuovi, rari e sinceri. Sì, radioso! E forse mentendo, vero sono profeta, ché quello che all’uomo è impossibile, tu lo vuoi realizzato e per questo entri nei cuori, nel mio perfino, prima negletto e d’amore. Ecco è vero incalza un avvenire e vero è radioso ed è per tutti ed è d’amore, il tuo! Sì, tu sole sei e illumini di nuovo, di bello, di bene la vita, questa rimasta, superstite d’uomini e creature!
Fa che gli uomini lo credano, lo vogliano, e schermo non faccia la fisicità loro prepotente ai raggi tuoi perfino per piccoli loro, che ancora vengono nonostante tutto il buio, dentro e fuori. Sì, senza te nel cuore una certezza sola, avanza la notte! No, viene un avvenire d’amore, tu lo porti, tu ci sei, tu lo sei!

lunedì 9 luglio 2012

Donne del mio cuore

Saper dir vorrei dell’amor mio in questo tempo di incessante canto di cicale. Qui nel tuo giardino molte stanno a cantare da mane a sera finché non muoia l’ultima luce. Cessa poi il loro frinire e nel buio ancora non c’è il cri-cri dei grilli, ma a breve vi sarà da assordarcene. Questi maschi cercano tutti d’attrarre una femmina, ma noi forse il loro frutto d’amore non ascolteremo, ché molti anni impiegherà la larva a divenire insetto adulto per una breve stagione di canto e d’amore. Io faccio di simile, talvolta perfino canto per te vecchie nostalgiche canzoni d’amore, apprese da madre canora se felice nell’infanzia mia, talaltra ti dico favole per fartene incanto. E tu ascolti sempre divertita, certo paziente con questo eterno bambino, che dice in cento modi d’amarti, e non se ne contenta. Ma lo stesso faccio con la bella del cielo. C’è per lei pure uno qui, che le molce il cuore o almeno spera d’esserlo efficace, con le tante parole che le ripete in solitarie passeggiate e talora col canto di preghiere dimenticate nella lingua nostra madre. Oh quante tenere e dolci lusinghe vi faccio donne del mio cuore! Oh quanto vorrei che vero la vita nostra possa riposare oltre il tempo e il mondo, nel mare luminoso dell’essere, e tu lì riconoscermi, quale la forma mia e che te ne venga dal suono d’una parola, da quello d’una sillaba forse, dal loro tono almeno, che ti ricordi quello della voce mia, o da un sospiro! Sto qui a disegnarti in luci rosa questa possibilità di ritrovarci e tu ti lasci cullare, quasi che mistica dolcezza, breve sosta forse solo d’attimo, possano rubare le mie parole al fuggir della vita e forse vero t’allontanano un po’ dalle preoccupazioni assillanti della cura che hai delle nostre vite. Siamo un mondo di due e tu cura hai di quest’uomo bambino, ché perso sarebbe! Sì, sto qui a novellarti del dio, come bella signora, e vero vista l’ho, ma solo in sogno, ma credimi il mio è spasimo d’un amore che v’accomuna e vero talvolta vi confonde, se non sbaglio a crederti sua icona, la più dolce e per me la più bella! E c’è un dialogo con lei, cioè io dico e tu per lei rispondi, che parte perfino dalle parole che fanno prologo gentile alla fisicità del nostro amore, ma tenta di divenire, ogni giorno di più, una realtà mistica ineffabile, un’unità con te palpitante, a che risponda il suo cuore divino, innamorato. Ardimento certo questo e di fede sincera, che prepari l’ascesa alle sue stelle tra cui insieme palpitare gioia nell’estasi arcana di cui quelle brillano per lei sola, amore. Star con lei, vedere lei è la vera gioia, nulla d’equivalente a questo mondo, nemmeno l’amor nostro. La gioia sta su, qui piccola è, ombra trascolorante della luce sua nella disperata angoscia del travaglio del male, che mai vuole lasciarci. Sì vi rugge come una tempesta, come da profondità abissali, e sempre tenta di travolgere poveri cuori amanti e così i nostri. Qui “nulli certa domus”, lì rifugio e l’amore vi sarà accolto, protetto, comandato perfino. Lei parlerà e creerà per noi il mondo delle mie favole e le sue parole nutriranno le anime nostre qui tanto assetate del suo amore. Qui non le possiamo udire se non per echi che bussano ai cuori ché s’aprano al fine, arresi a tanta passione, e solo faville vedere dell’incendio d’amore che ha per noi anche, nel suo cuore. Sì faville, quasi lucciole di primavera che dicono mute amore in notti aulenti d’essenze novelle. E non v’è parola più bella e dolce di quella che lei per te mi dice, amore! E come sola lucciola in questa notte di mezza estate, tu, muta, mi ripeti accorata, amore! E parlano gli occhi per te in questa penombra. Ecco, verranno a breve i grilli, e far cri-cri è dirlo incessante ad entrambi, amore!

sabato 7 luglio 2012

Saper vincere

Saper vincere, non essere da ora più vinto, ecco della vita mia un scopo nobile, da perseguire con caparbietà perfino. Ma lo dico a me, ché sia proposito per tutti. Allora che, da che difenderci, che superare e dominare? Non certo la vita d’altri, ché prevaricazione sarebbe, vanità di potere, sensualità perfino e peccato sicuro. Ma la nostra propria, difendendoci dalle proposte sempre rinnovate del male psicologico, con le sue suadenti illusioni accecanti talvolta, fuorvianti sempre, ma anche fortificandoci nel corpo, ché sano, ospiti mente sana! Cingerlo dobbiamo come d’una rocca, prevenendo o allontanando le insidie del male fisico ché sempre ne pullula minaccioso il mondo tutto, oggi con minacce anche nuove, più ostili! Perché questo? C’è, dicono, ora e da sempre un che o chi odia d’una rabbia infernale tutto di noi, anima e corpo! Io non so vero chi o cosa sia, il dio lo sa, tu lo sai, signora del cielo! Il mito lo dipinge ingannatrice e vigliacca persona, cioè un’entità a sé, che esiste di per sé, indipendente da occasionali ospiti, e che sfrutta le pericolosità ambientali e sociali per metterci il male dentro, e che sempre lo tenterà finché il tempo non si fermi personalmente o per l’umanità tutta, accecata di autodistruzione! E’ un aspetto della nostra fede questa presenza, un po’ oscuro, credo. Io da sempre penso al più infelice dei fratelli, da sempre come perso, ma non tale per l’eternità tutta, spero! Sbaglio? Non è forse vero che altrimenti questo credere a una eterna malvagia persona aggiunga un che di più inquietante alle tante ombre e difficoltà della vita a chi crede? Perché, non è forse vero che sempre altro ancora sembrano volerci imporre così i tuoi saccenti, madre misericordiosa, che pretendono di gestire il tuo perdono dei nostri sempre ricorrenti ammanchi di bene, col mito minaccioso di un inferno perenne? Dicono, è sempre da lì che il nemico viene, insidia e là attende i reprobi, e ora qui si frappone, mina la speranza di gioia, e per essere più efficace nell’ingrato suo compito, si serve perfino del dispetto, dell’invidia, assai comuni tra noi, del rancore anche, dell’odio che semina nell’umanità da sempre recettiva, ché altri, e chi ne usa per l’altrui danno, ne subisca conseguenze nefaste. E noi, gli sprovveduti, saremmo a un tempo vittime e coadiutori dell’opera sua malefica. Io non so se tutto questo ho ben compreso, certo pensare a unica volontà di male, semplifica, ma aiuta a risolvere il problema dell’ostilità ovunque annidata? Non saper che per mito non ce ne rende più succubi? Esso ce ne dice complici tanto che dobbiamo ogni ora mendicare perdono delle azioni nostre incaute, e giusto chiamano tentazioni onnipresenti, le intenzioni non limpide, quelle non intese proprio al bene dell’altro, che capolino sempre fanno in chi imparato non ha che tutti, il nemico perfino, occorre amare nella sequela del figlio tuo! Ma fuori del linguaggio mitico, ecco vedi, madre cara, è qui, anche nel cibo attoscato, nell’aria dei tanti miasmi della modernità, una ulteriore minaccia per il corpo, poi nell’insicurezza di questo mondo d’oggi, senza giustizia e senza libertà da sempre, e ora anche senza prospettive di vita, l’insidia per la mente. E in più la cattiveria da sempre, ché a tutto questo v’è chi aggiunge dell’altro. E tu vedi giovani perdersi, attanagliati dalla noia dell’inoperosità, avviliti dall’insicurezza economica, che relega al dopo, che mai viene, le lor giuste richieste di spazio, aria pura, vita! Come vero difendersi anche dalle pretese del mito che la colpa di tutto fa risalire all’umanità primigenia, in cui un seme di male ha messo quella, da sempre buia, presenza, ed essa l’ha trasmesso, in ogni epoca, sotto ogni sole, per subirlo e promuoverlo a un tempo? Ieri forse bastava la vigilanza e la preghiera, la fiducia anche nei troppo spesso solo parolai delle cose tue, ora che, chi? Non certo il mito della minacciosa incombenza del castigo eterno può cambiare i cuori! Buona l’intenzione del mito, scarso il risultato sempre! Ma sei tu la panacea, dolce signora del cielo, quella che vista ha il veggente la testa schiacciare del male. So che pur questo è mito e io preferisco pensare e suggerire dalla mia pochezza, che sei l’unica vero capace d’amare il nemico pure, che a te solo quello s’arrenderà alla fine di questo tempo d’angoscia per l’umanità tutta e che lui tu vorrai daccapo angelo di luce quando di nuovo il bene, tu, e il figlio tuo, il dio, tornerai l’unica presenza in ogni esistente. Non pensava Origène alla provvisorietà e precarietà dell’inferno dopo la venuta vostra tra noi? E forse sarà così davvero, tutto è decrepito e sta per scadere! Ma allora, mi dico, se il destino di proprio tutti è il bene, tu sei questo destino! Allora entra, o bene palese, fa tintinnio, sussurra ai cuori sempre bambini, desiderosi di madre amorevole, dà loro una vera speranza di pace, di bene, d’amore, qui, ora! Sì, scemi la paura del male, di subirlo e commetterlo a ogni passo!Tu che sei il bene, che vuoi il bene in tutto e tutti, non potrai che essere amata! Solo un insano può ancora offenderti, rifiutandoti amore. Ma la sua è malattia, provvisorietà d’abbaglio. Tu vincerai ogni male, la stupidità anche!Tutti ne dobbiamo essere convinti e forse allora davvero incapaci diventeremo di aggiungerne altro! Ma ora nei compiti gravosi dell’oggi, quelli che sono d’aiuto a chi langue sotto il suo peso, sostieni in evidenza e di chi s’adopera, rafforza l’impegno, rendi anche i facitori di pace più ostinati nella lotta alla guerra, male immondo, ché tutti questi eroi del bene anticipano la tua vittoria! Ecco, se queste mani possono aiutarti, prendile! E se la mia mente, il mio cuore possono qualcosa, ecco sono tuoi!
Oh sì, leviamoci su, non temiamo più il male, ella, la dolce signora,la sola che può vincerlo, vero è tra noi, mettiamoci nelle mani sue, solo così sapremo di vincere!

venerdì 6 luglio 2012

Mattino nel cuore

Non è insulsa questa superficialità grossolana in cui immersi siamo a viver senza sogni? Non vi irrompono le difficoltà senza trovare comprensione alcuna nell’inedia spirituale e nella volgarità che ci circonda, non stanno tutti per conto loro anchilosati d’egoismo? Non s’addensa ora e qui la tristezza e non aduggia l’ombra della precarietà e dell’incertezza il campetto dei nostri piccoli affetti, e sogni e speranze, senza parole buone e conforto alcuno? Ecco io ho fatto da solo nel mio cammino, nessuno mi ha detto dove andare, che fare , che dire, che attendere e, soffocato ogni anelito dell’anima, messi da parte i problemi spirituali di sempre, immerso completamente nelle bagattelle del quotidiano, ho sperato che dolore e tristezza trascolorassero in vita piena. Ma la felicità arride capricciosa e certo non basta desiderare gioia o almeno serenità ché vengano, e, deluso, mi sono sbandato e aride son rimaste, come tracce di graffi, le illusioni svanite rancorose dell’anima, fattasi sterile pietraia, cui il dio non parla da sempre! E allora, disperato, ho pur al fine reagito, e mi son detto, no il destino di qui è l’amore, non vale la vita senza amore! E ho fatto scopo di vita cercare l’amore! Una via difficile sì, ancora illusioni, delusioni forse scherni, ma la vita s’è fatta da allora più luminosa e feconda e l’amore è al fine venuto! Il dolore, la malattia, la morte così non scompaiono certo, minacce rimangono di ogni vita sempre, e l’ambiente è lo stesso, ma non più tetro, l’orizzonte s’è slargato, ché gli occhi guardano diverso. Perché non c’è più un cuore di sasso freddo e duro, disperato nel suo palpitare solitario, un senza dio, ma cuore d’amore verso le cose tutte, le creature tutte, gli uomini tutti, un cuore di fiamma per un tu e che alla sera pena per quello e per tutti, ma s’aspetta trepidante che fugga la notte e il cielo buio s’incolori dell’oro dell’aurora e il calore del sole rinfranchi. Verrà sole novello? Oh sì, ed è beata perfino questa speranza! E’ un cuore questo nuovo, che il dio può visitare, e rimanervi. Cui può parlare, ché è capito un po’ al fine l’arcano suo linguaggio! E tu, bella del cielo, l’hai visitato e te ne sei innamorata! E saperlo fa la mia felicità! Sì, fiorì d’incanto questa petraia, che m’era rimasta dentro, ché luce è venuta dal cielo dopo pioggia ristoratrice e s’aprì la terra dura e ne venne verde di steli e foglie e gemme tenerelle e cento colori di corolle. E in questa festosità t’ho vista bambina correre con me a perderci nel verde in un mattino tutto indorato! E’ stato vero così tanto tempo fa, l’ho solo sognato per una bambina concreta? Non lo so più, ho sempre sognato di te solo, ora lo so! E così ho riscoperto l’innocenza, serbata in una latebra, e l’anima mi si infiamma d’entusiasmo mistico e la vita m’è diventata ebrezza continua. Oh potesse questa piccola donna, che illanguidisce, condivider la mia gioia, s’orlerebbero d’oro i suoi passi nel mio sogno! Bella e giovane, lunghi capelli castano scuro, per sempre! Ecco or proprio c’è un'esuberanza d’amore, che spumeggia al sole nel mio sogno, è lei con noi! Son riuscito a ficcarvela dentro, ché fiduciosa s’è lasciata cullare dalla dolcezza di questa favola e docile ha voluto entrarmi nel cuore!Tengo le mani di entrambe, non vi lascerò più sfuggire, sarete solo per gli occhi miei. Amo gelosamente! Ma verso dove correre puoi dircelo tu sola, fata delle stelle!
Ecco, perché dico, scrivo queste cose, che or ora vivo nella latebra dell’anima?
Vorrei che per tutti arridesse lo stesso mattino! Basta mettere te, bella signora, nella propria vita e convenire che di più fresco, gioioso e bello di quest’amore altro non v’è! Come? Dimmi, resister puoi a sincero dolce invito di cuore che palpiti amore?

martedì 3 luglio 2012

Farfalla del mare

Oggi spinge lontano un brezza leggera una vela latina sul mare, piatto sotto terso cielo.
E là dove il cielo si curva sull’acqua quasi a baciarla e i due si confondono per la foschia, quella par bianca farfalla volare come per occhi di pianto. Sì, talora oggetti tremolano se si pensa a chi s’ama, e sempre i miei umidi si fanno pensandoti, bella del cuore! Di simile la voce mi si fa con le parole che ti dico, incessante preghiera d’amore. Ecco donna sei reale sol per il mio cuore e talora donne di qui hanno per cuori innamorati simile concretezza soltanto, ché lì rimangono com’erano al tempo di lor primavera, mentre le fattezze loro reali il tempo illanguidisce. E capita, incontrandole, anche di non più saperle, ché solo in sogno si rinnova la dolce immagine dei palpiti antichi. E così accade che donna sdoppi l’immagine sua e ne venga una per viver in un sogno dove rimane, a dispetto del tempo, qual’era nel tempo suo primo e bello, mentre la vita concreta l’altra prende. E l’una resta, quella della realtà va, vive la vita sua, che le permette d’amare e di piangere, e quella la prende tutta, la coinvolge fino a far rughe talora anche d’amarezza sul bel viso. Sì, tanto che incontrandola, a vederla sì cambiata chi ha conservato l’altra nel cuore, maga vorrebbe pietosa che cacciasse fuori le parole di sua magia da far quella del cuore modello, sì che il tempo si fermi e arretri nelle conseguenze sue per la reale, e così ridarla al mondo come amor l’ha conservata in cuore puro. Ecco, tu stessa come maga buona sei e mi abiti dentro da sempre, e ora vorrei che malia facessi per uscir dal sogno mio, ché vederti ti possa tra questi fiori ultimi. Sì, questa calura africana rinsecchirli tutti vuole, sicché vorrei t’affrettassi per essere nel tuo incantamento io stesso rapito tra essi! Ti preferirei un minuto in questa realtà che di continuo muta le cose, e tra le braccia mie avide, che vederti altri cent’anni ancora in sogno e lì solo permettermelo! Ma questa preghiera, forse folle un po’, tale tanto non deve sembrarti, se fai sì che la gioia di rivedermi dopo questa breve passeggiata, questa icona tua sembra mutare, e più bella, quasi la ragazza che era, ora mi pare. E la invito a guardare lontano sul mare se mai scorga ancora la vela lontana, e pur’ella farfalla del mare la vede!

domenica 1 luglio 2012

Amate i vostri nemici

Molto tempo è passato. Ho capito di te?
So che solo il male è qui banalmente presente. Il bene, il buono, il bello rari, precari, spesso non capiti o non voluti, tanto avvezzi siamo al deserto di dentro e fuori. Eppure tutto ciò che vi è in questa realtà in cui sono mio malgrado ancora, è presenza di chi è in quanto è, il pur sempre lontano o vicino, il bene, il dio. Ma il significato delle cose o s’è nascosto o non sappiamo più capirlo nell’essenzialità, sì, ché tutte hanno del bene, una forma di bene comunque e da sempre non vediamo chiaro. Sì, lo hanno anche se suona spesso sgradevole o nocivo lo stare tra esse. Ma crederlo nonostante quest’evidenza, è da veri buoni, da santi! E tu mi sei lontana, o vicina, non lo so più! Questo mi sconcerta e mi fa angoscia. Amo disperatamente questa donna, è piccola, indifesa, eppure pretende di difendermi. Oh vero lo potesse e da me stesso! Sei in lei, sei lei? Sto qui a pormi le stesse domande di sempre e le risposte trovate, non soddisfano! E’ sera, anche della vita ormai e io ancora mi chiedo, “ cur deus homo”? Perché colui che è, ha voluto esserci in forma d’uomo? Sì qui tra noi, tu e lui in un momento storico preciso, e da allora per sempre rimasti o sempre stati, “deus absconditus”! Dove? In me, nella piccola donna che mi guarda con ardore di innamorata e con pietà di madre, ma anche in lui, quello accanto, in lei, quella appena dopo, nell’altro, in chi incontro e saluto o che è indifferente o ha volontà di diniego e di rifiuto, o vuol essere addirittura nemico! E cambia per me saperlo e la vita mi diventa più sicura? Cioè io so il “quia” di quell’evento, ma il “quare” posso al più intuire e mi chiedo, cambierebbe per me qualcosa ora e poi, saperlo anche vagamente, come son tutte le cose del cielo per l’anima mia? Forse è accaduto solo perché il figlio tuo potesse dirci chiaro, amate i vostri nemici! Egli lo fa, tu lo fai, voi amate fin i nemici! E noi non sappiamo ancora farlo! Non io almeno, e non so quanto la comune umanità in cui sto lo possa! Ma penso che da sempre l’uomo è così comunque amato, il più abbietto anche o sopratutto! Paradosso, mistero? Ecco si fa lontanissimo, nemico si fa di chi è il bene, e tu e il figlio tuo lo amate, nonostante o forse più ancora anche di quanto amiate chi tenta di conservarsi o farsi buono! E io mi son fatto vicino, come chi tenta di far apprezzare la sua amicizia, il suo interesse, il suo amore, ma poi ancora lontano, più lontano, come dispetto di non aver ricevuto chiara risposta, deluso! Una perenne altalena di vita, di scelte, di occasioni di bene o mancate o mal realizzate e poi l’aridità completa, il disinteresse anche per il bene personale che sempre viene se per altri lo si tenta. Sì, generoso fino al ridicolo della pena e della cura per tutti o in chiuso egoismo, anchilosato. Tanto da illudermi di star tra i più senza disagio, non più diverso, ma mediocre, uno comune chiuso in sé, che si contenta del poco o del molto che crede d’avere e che rinuncia al vero bene, irraggiungibile. Eppure in segreto timoroso di non essere più raggiunto dal tuo amore, sì, poi di nuovo ho sempre daccapo voluto correrti incontro. Ma dove, come, per quale via? Ma forse vero sono stato solo mediocre, eppure sempre lo stesso amato! E il mio atteggiamento sul comandamento nuovo, altalenante, ché, come molti, non voglio capirlo e tento di sottrarmi. Eppure vero non ce ne sono altri, almeno non di sì pregnanti, e trascurarlo rende inutile perfino l’osservanza stretta, virtuosa e da santi, del decalogo. Ecco, ci sono uomini che sperimentano su sé la carenza del credervi. Rimangono dubbiosi di fronte a tanta radicalità, si sentono inadeguati e preferiscono credere la vita virtuosa consistere nell’essere osservanti di ogni altra norma e pii, con lo star nei riti, tra quelli che pregano incessante, ottusi però se la nuova essenziale norma ignorano o trascurano, o la tacciono a sé e ai fratelli. E invece è richiesta la vita eroica! Sì, è questa nuova la norma che le riassume tutte! E poi chi è il nemico, sta dentro, sta fuori, qui, là, dove? E passa il vento, qui sconvolge, lì schianta, ottusamente! Passano gli anni, apparente sono nuove le situazioni, poi il solito accade. Cosa? Agisce il male banalmente, guasta e passa oltre, con conseguenze di rabbia, dolore, disperazione. E’ ora nascosto di nuovo, tace, ma c’è, sornione. E’ senz’altro il nemico! Ma a questo vivere nella minaccia sua, s’aggiunge la contumelia dell’orgoglioso, la prevaricazione del potente, la stupidità, l’insensibilità, la mancanza di umanità dei più. E poi per tutti anche per i più fortunati, l’abbandono, la vecchiaia , la morte. E saremo sicuro di nuovo lontani da te quando il nostro provvisorio stare, e precario, ci sorprenderà al suo scadere improvviso. Non abbiamo in fondo vissuto appena sebbene esposti al disagio e nel pericolo? E questa realtà tutta vive la lontananza da te, qui i disperati, là gli indifferenti e i gaudenti o i prevaricatori, quelli che aggiungono, perversi, male al male. Ma se è vero che ami il tuo nemico, che è il male stesso e chi lo nutre, ecco questo tuo nemico muore per il tuo amore, ma vivrà del tuo amore, fattosi pur’esso bene palese, solo bene evidente, come nascostamente forse già è, e non lo sappiamo, o troppo turbati non vogliamo saperlo! Tutto già s’affretta a te, tutto ritorna a te. E’ attratto e non sa, la sua ostinazione scema, la distanza si riduce e non s’accorge di caderti tra le braccia! Sì, tutto sta tornando, tutto vincerà e muterà l’amore se vero il figlio tuo è venuto a dirci,
diligite inimicos vestros”. Non so altro, non voglio sapere di più. Io credevo d’aver tanti nemici, in fondo ne ho uno solo e sta dentro, il dubbio! Finirà? Saprò vero amare, essendo amato? Sì, io sono amato, me lo dicono gli occhi di questa donna, che ancora mi ripete, finché ti guardo io, non ti potrai morire! Come la bella canzone romanesca. Oh sì, ti ripeto,
domina, ad adiuvandum me festina”!