sabato 28 luglio 2012

Non la pace del mondo

Tanto oggi da qui tranquillo è il mare sotto al chinale, che specchio lo diresti della pace. Una pace luminosa che ride alla vita! Ma quando all’inverno irosi venti tutta ne sconvolgono la superficie, la metafora non regge che per le acque assai profonde, che nullo turbamento ricevono da tanta rabbia. Così fa la vita sconvolta da tempeste, improvvise procelle sul mare in cui naviga, spesso senza stella alcuna, la navicella sua che porto agogna. Vita che la pace sua deve nascondere, se le è rimasta, e tenerla gelosa in una latebra del cuore, sperando presto torni il sereno. Spesso essa si fa tanto precaria che anche soffio di minimo turbamento, aggiunto all’ansia di sempre, spegnerla può, come talvolta soffio gelido può fare di tenera fiammella. E passeranno sì le fosche nuvole, che greve hanno fatto il cielo tutto, e la navicella riprenderà, forse un po’ più malconcia, la rotta sua, che nessuna carta nautica ha tracciata, quella fiduciosa verso la speranza. Sì, forse per me v’era questa pace, ma l’anima mia, come trepida falena, ai falsi fuochi della luce fredda della malvagità feroce, troppo s’è avvicinata, e la fiamma putrida dell’egoismo e dell’invidia le ha bruciate le ali col gelo suo e quella misera è caduta. Ora va raminga arrancando, come fa navicella in periglioso mare, e rifugio cerca da ulteriori offese. Forse nuova pace avrà, ma senza te, madre mia dolce, solo quella che il mondo sa offrire. E che pace è questa? Io ne dirò qualche aspetto, breve. E’ come quella che assicura il lercio sfruttatore che femmina tenerella ha spinto tra le avide braccia di spudorati libidinosi e poi s’atteggia, ignobile, a protettore di quella bellezza effimera che succhiar deve farsi, vendendosi, ogni notte ai quadrivi o alle passeggiate. Eppoi c’è la pace dello strozzino, che fa esangui le vittime sue, o quella del brigante, che di tutto spoglia il malcapitato. E di altri orrori tipici di quest’epoca mi taccio, la pace delle polverine, che a lento orrido suicidio conducono, la pace estorta dal locale protettore dei piccoli commerci, la pace delle promesse fatue dei politici sol del loro solleciti, “et similia”. Ecco così proprio, ma per gli esempi che ne ho fatto che dire ancora? V’era la bellezza, la speranza di roseo avvenire, un candore forse troppo ingenuo, ora pasto ne fanno lussuriosi rammolliti! V’era serenità e piccola gioia contenuta, contenta del bastevole, poi una necessità improvvisa o la perdita del lavoro o cos’altro, e l’urgenza del denaro, han spinto quel padre allo spietato esoso, che strozzerà ogni speranza della famigliola sua.
Ecco altri aveva del suo, onestamente guadagnato, eppure è venuto il predone con la pace sua di non doversi più preoccupare, spogliandolo di tutto. Ecco, sono queste comuni disavventure di percorso per gli esuli tuoi, madre cara, ma ben altro si inventa oggi la malizia, che il mondo tutto avvelena, e lì fa deserto, altrove la lugubre pace dei cimiteri dona generosa. Oh di quanta viltà e cattiveria è pregno il mondo in cui ci hai messo! E lì l’avido ricco accaparra e qui l’ipocrita velenoso importuna della presenza sua,sì,tanta la malvagità imperante! Allora io, misero, provato che farò? Chi, se non tu sola, mi darà la vera pace? Ecco, un nuovo giorno è sorto e il sole appena salito imperla di stille di luce i capelli tuoi, bagnati delle mie lacrime e la brezza vi fa carezza e asciugarli vorrebbe. Oh sì, ho pianto su te, ché su questa tua icona ho pianto! Perché? Perfidi abbagli, visioni ingannevoli, m’hanno soffocata la fede e spento la speranza di buono, di bello, di bene. Io, vanite le illusioni tutte, ne ho pianto. E donna m’ha confortato di tenero calore e m’è svanito il gelo, che sempre lascia l’amarezza del contatto col male. Ed è femmina la mia, che tanto ha di benevolenza e delicatezza, che vergogna non ha questo suo maschio di piangerle tra le braccia, unico suo rifugio. Ma allora che preghiera ti rivolgerò, se ho già questo conforto? Ti chiedo la pace, la tua, che, se sarà per me, per lei, meritevole del tuo amore, sarà! Sì, quando alla sera di mille e mille stelle si riaccende il cielo, così riappaiono gli occhi dei miei morti e dar cercano l’afflato loro all’anima mia ulcerata, allora vieni tu pure, bella di quelle lucciole, assetato delle labbra tue è questo cuore! Oh vero è che la tua pace comprende e perdona e certo accoglie cuore palpitante, che desidera il bene per tutti, e che a tutti vuol bene! Ed essa s’abbella e si profuma del tuo amore, e riempie di tenerezza cuore di donna innamorata, ché rimedio versi sulle ferite dell’amor suo. E allora riempi il cuore di questa donna, ché ne trabocchi, fa che io più non m’illuda d’amore umano, se il suo tu nel tuo muti! Dammi la tua pace, fa che nessun rimpianto o rancore mi veli il cuore, e intorbidi i miei pensieri. Dammi daccapo coscienza immacolata, che i suoi ricordi rispecchi serena senza più turbamenti, come fa questo cielo terso sullo specchio che ai piedi ha. Sì, la tua pace mi spiri come aura di primavera nell’anima che stanca tutta mi s’è rattrappita d’angoscia. Dammi la pace che vivifica e che certo rideva innata nelle pupille serene di questa donna quando ragazza era e che ora s’accora delle disgrazie mie. Lascia s’imparadisi il cuore suo. Da a lei la pace che viene dalla virtù della mitezza, della mansuetudine, della dolcezza, ché l’aiuola feroce del mondo trasformi per me in lembo del tuo cielo! Dacci la pace, che tu hai, beata, che non ode la contumelia feroce, la chiacchiera impietosa, la maldicenza che sfocia in pettegolezzo ilare. Dacci la pace che la violenza del tempo più non rapisca, quella che, come margherita preziosa, trovata dopo lunga ricerca, fa ogni cura e pena lontane, da scordare. Dacci, o rosa ineffabile, il profumo tuo che inebria e imparadisa! E a me la certezza che proprio te stringo al cuore se di questa donna così faccio. Gioia me ne verrà, che nessuno togliermi potrà!

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