martedì 24 luglio 2012

Piccola lode d'amore

Se, dolce compagna, ti dico che andando da te lontano per breve spazio e piccola ora, ti porto nel cuore, certo uso quella figura del dire che nomina la causa, per gli effetti suoi. E certo dir voglio della serenità e della gioia che l’averti accanto mi fa, come frutti d’amore attento e cortesissimo. Un amore così, solo signora vera, che casta e fedele ami, può donare, e tu lo sei, dignitosa, rosata di pudore, sempre certa ma anche timorosa di mostrare quel che dentro hai, e che la fortuna mia fa gelosa, e io quasi piedistallo della tua regalità mi sento con la miseria di questo mio vecchio cuore da sempre innamorato. Ma di più mi porto appresso, se vero è che da che eri ragazza, giovane e bella, come in un eterno prologo tenti dell’entrarmi dentro a seminarmi di cose eterne, come è certo questo tuo amore, un cuore altrimenti arido, fatto di sterpaglie, che il tempo accespare vuole e farne rigoglio. E lo fai superando le intralciose superfluità che la brama di conoscere vi ha accumulato e le asperità del carattere, scontroso, quasi chiuso, di cui è certo responsabile un’infanzia breve e poco felice. Ed è questa tua immagine che amo portarmi dentro, tu che perennemente mi bussi al cuore, ché io te l’apra tutto, ed è questa che mi richiamo nei momenti bui di quando son solo. Allora, senza te, sento tutto accadermi come se perpetuamente avessi dentro un angelo e un demone, che sempre si combattano, da farmi rispondere altalenando, anche di fronte a piccoli fatti di vita, o con palese ripulsa e forse viltà, o con l’eroismo del buono, che vorrebbe fiorito di bene e di bello il mondo tutto. E allora mi chiedo, se vero ho una ricchezza dentro, che mi fa essere senza nulla avere, chi ve la mantiene? Tu la difendi, lenisci la pena dell’incomprensione e dell’equivoco che sempre vi tentano i mediocri, e il dolore di vederla calpestata e derisa dagli ilari, e tenti d’arricchirla dando generosa del tuo! Ecco, altrimenti povera se ne starebbe quest’anima, scura, negletta, quasi buia falena che mendichi luce. Sì, forse solo impastata di cattiveria, ma anche agitata da impeti che tu sola dici d’amore, ma che io so sbattimenti, rabbiosi talvolta, di poca luce e tante ombre sempre, che certo talvolta suonano generosità e altruismo, ma che così rari e fortuiti m’escono fuori, da non far certo quell’ebbrezza santa, che la madre vorrebbe da chi l’amor tuo le ha destinato. Io sono o da te portato a lei o condannato alla pena della sua lontananza che l’egoismo certo mi prepara. Vero tu , “corde magno et animo volenti”, fai sì che questa farfalla si inazzurri a cercarla, quasi aquilone e tu spago generoso le fornisca a volar alto e il tuo cuore con esso vada tra le nuvole d’oro. Io so di non aver meriti, solo umile sono e un po’, prego, e per te anzitutto, ché la luce ti illumini e tu me la rifletta, ché veda la via che a lei mena e animoso con te la percorra col tremore dell’esule. Siamo peregrini e d’amore, perché se il nostro umano s’eternerà, e certo lo desidera, sarà lei a volerlo. Allora lasciami sognare, lasciami vederti come piccolo fiore col capino ondeggiante alla brezza, bianco, che la sua luce sola baci. Piccola resta la mia lode, ché vero è che sei tu sola che questo cammino alle sue stelle dipingi e soffondi di rosea luce, e tutto profumi!

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