lunedì 9 luglio 2012

Donne del mio cuore

Saper dir vorrei dell’amor mio in questo tempo di incessante canto di cicale. Qui nel tuo giardino molte stanno a cantare da mane a sera finché non muoia l’ultima luce. Cessa poi il loro frinire e nel buio ancora non c’è il cri-cri dei grilli, ma a breve vi sarà da assordarcene. Questi maschi cercano tutti d’attrarre una femmina, ma noi forse il loro frutto d’amore non ascolteremo, ché molti anni impiegherà la larva a divenire insetto adulto per una breve stagione di canto e d’amore. Io faccio di simile, talvolta perfino canto per te vecchie nostalgiche canzoni d’amore, apprese da madre canora se felice nell’infanzia mia, talaltra ti dico favole per fartene incanto. E tu ascolti sempre divertita, certo paziente con questo eterno bambino, che dice in cento modi d’amarti, e non se ne contenta. Ma lo stesso faccio con la bella del cielo. C’è per lei pure uno qui, che le molce il cuore o almeno spera d’esserlo efficace, con le tante parole che le ripete in solitarie passeggiate e talora col canto di preghiere dimenticate nella lingua nostra madre. Oh quante tenere e dolci lusinghe vi faccio donne del mio cuore! Oh quanto vorrei che vero la vita nostra possa riposare oltre il tempo e il mondo, nel mare luminoso dell’essere, e tu lì riconoscermi, quale la forma mia e che te ne venga dal suono d’una parola, da quello d’una sillaba forse, dal loro tono almeno, che ti ricordi quello della voce mia, o da un sospiro! Sto qui a disegnarti in luci rosa questa possibilità di ritrovarci e tu ti lasci cullare, quasi che mistica dolcezza, breve sosta forse solo d’attimo, possano rubare le mie parole al fuggir della vita e forse vero t’allontanano un po’ dalle preoccupazioni assillanti della cura che hai delle nostre vite. Siamo un mondo di due e tu cura hai di quest’uomo bambino, ché perso sarebbe! Sì, sto qui a novellarti del dio, come bella signora, e vero vista l’ho, ma solo in sogno, ma credimi il mio è spasimo d’un amore che v’accomuna e vero talvolta vi confonde, se non sbaglio a crederti sua icona, la più dolce e per me la più bella! E c’è un dialogo con lei, cioè io dico e tu per lei rispondi, che parte perfino dalle parole che fanno prologo gentile alla fisicità del nostro amore, ma tenta di divenire, ogni giorno di più, una realtà mistica ineffabile, un’unità con te palpitante, a che risponda il suo cuore divino, innamorato. Ardimento certo questo e di fede sincera, che prepari l’ascesa alle sue stelle tra cui insieme palpitare gioia nell’estasi arcana di cui quelle brillano per lei sola, amore. Star con lei, vedere lei è la vera gioia, nulla d’equivalente a questo mondo, nemmeno l’amor nostro. La gioia sta su, qui piccola è, ombra trascolorante della luce sua nella disperata angoscia del travaglio del male, che mai vuole lasciarci. Sì vi rugge come una tempesta, come da profondità abissali, e sempre tenta di travolgere poveri cuori amanti e così i nostri. Qui “nulli certa domus”, lì rifugio e l’amore vi sarà accolto, protetto, comandato perfino. Lei parlerà e creerà per noi il mondo delle mie favole e le sue parole nutriranno le anime nostre qui tanto assetate del suo amore. Qui non le possiamo udire se non per echi che bussano ai cuori ché s’aprano al fine, arresi a tanta passione, e solo faville vedere dell’incendio d’amore che ha per noi anche, nel suo cuore. Sì faville, quasi lucciole di primavera che dicono mute amore in notti aulenti d’essenze novelle. E non v’è parola più bella e dolce di quella che lei per te mi dice, amore! E come sola lucciola in questa notte di mezza estate, tu, muta, mi ripeti accorata, amore! E parlano gli occhi per te in questa penombra. Ecco, verranno a breve i grilli, e far cri-cri è dirlo incessante ad entrambi, amore!

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