martedì 31 luglio 2012

Credere nel figlio tuo

Qui si va come quando alla deriva veliero andava sotto cupo cielo. Allora se nave la caligine permetteva di scorgere, ci si affannava al megafono a chiedere l’essenziale, come l’ultima sicura posizione ottenuta dalle stelle amiche per congetturar dove si fosse. Ma breve e fugace era il contatto,il vento oltre spingeva, poi ciascuno per la sua sorte, e se ne rimaneva delusi di aver capito poco o nulla ché la ridondanza che l’ulular del vento faceva, assordante, or sì or no chiare parole ne lasciava udire. Così della vostra vicenda tragica, madre cara, cose or chiare or velate e incomprensibili ne giungono. Può il mito dell’offesa primordiale al dio fondare l’interpretazione satisfattoria del sacrificio del figlio tuo? Non si aggiunge nuovo mito ai tanti sul dio? E se leggiamo nel libro sacro solo favole, allora prigionieri siamo di una realtà crudele di poca gioia e tanto dolore e morte. Viviamo un brutto sogno e non ne sappiamo uscire! Molti e molti anni sono passati dalla vostra venuta, e l’invito del figlio tuo, “venite!”, è stato trasmesso da credenti eroici ed è arrivato ai paesi più lontani, alle società più arretrate, ai popoli più primitivi e crudeli. Ma nella nostra società, che vanta il maggior progresso, è subentrata l’indifferenza, si sta tra gente noiosa, ottusa, cattiva spesso, e si va come alla deriva, ché la speranza s’è avvizzita e la disperazione rigoglia. E al richiamo del figlio tuo, così pressante, rispondiamo pigri e tardi o non rispondiamo affatto! Voi siete quelli dell’altra nave, che presta passa, gridate e non sappiamo capirvi! Cosa fa tempesta assordante? Eccoci sempre assorbiti in altro, ossessionati da mille cure e preoccupazioni, frastornati, storditi dal vociare e dai rumori di quelli accanto e dagli interessi egoistici, che fan sordità al cuore nel viver d’oggi. E sol qualcuno trova l’amore, se ha interesse più della psicologia che della biologia dell’altro e non lascia scadere il rapporto nel bel gioco inteso a che questa specie malata, cattiva, matta si salvi dall’estinzione. E per chi, dove, cosa? Ecco la noia, il fastidio verso chi parla di valori eterni e che dice vere e importanti le sole cose spirituali! E talvolta ingrati e scortesi si diventa verso chi s’affanna a parlarcene e ne siamo sprezzanti fino al dileggio vile. Anche questi sono dell’altra barca e non li intendiamo. Le loro parole si spengono come i loro gesti di attenzione, inghiottiti dal nulla che sopravviene, e delusi alziamo le spalle e decidiamo di non curarcene. E poi non è forse vero che tanti sono i miti proposti per verità, e quelli che blaterano delle cose eterne non sono spesso ipocriti, che condotta assai diversa hanno dalle indicate giuste? E allora decidiamo che siano tutte frottole le cose che ci vengono da quei pulpiti vocianti. Ma io so che tanto livore reattivo, oppure tanta ostentata indifferenza, potranno essere perdonati da chi ha comandato di amare tutti, i nemici per primi. E chi è più nemico per voi di quelli dalla condotta spudorata, che rubano le vostre parole e fanno sì, con la condotta loro scellerata, che altri ne faccia scempio o ne abbia giustificata indifferenza? E poi la cattiveria imperante, i facitori di male che provocano e vivono delle disgrazie altrui. Orrore! Ma quello che non è difficile per voi, per noi, i confusi di qui, diventa arduo. Pensa, madre, a chi è schiavo del dio denaro, il Mammona del figlio tuo, si lascia stravolgere da matta bestialità e tutti tenta di far grami, togliendo, per la cupidigia sua, il poco o l’appena. Come perdonare e amar addirittura chi abusa dei piccoli o lascia che madri vedano morire i loro bambini di fame? E incapaci di tanto, preferiamo pensare che favola sia la pretesa di una vita eterna in cui si dispensino castighi di ravvedimento a chi ha avuto condotta disonesta, il male degli altri promuovendo, e premi a chi ha accumulato meriti, almeno agognando il bene diffuso e i nemici ha saputo perdonare e amare. Ma il figlio tuo ha detto di essere lui la vita e chi crede in lui vivrà comunque. Ma che significa credergli?
Forse solo una cosa è essenziale, attuare o almeno tentare con tutte le forze di render operativo il suo comandamento sull’amore!
Per dircelo forse è venuto!
E se questo capiamo, allora eccoci penitenti ravveduti. L’anima nostra è rivestita di fiamma,e dal candore, forse ingenuo che crede ai miti e se ne appaga, della sua fede essa raggia amore. Come fa il sole che di rosso dipinge le cime delle montagne nostre innevate d’inverno e quelle ne riflettono la luce. Morto è l’uomo vecchio e il nuovo ha indossato l’abito più bello, quello nuziale e rosseggia al novello sole, che tutto indora. Ecco i nostri buoni propositi, tentare di dissipare le tenebre! E mani non abbiamo se non le nostre, che l’egoismo anchilosar vorrebbe, siano le mani della tua luce! E gli occhi nostri i tuoi, che ci aiutino nel discernimento! Ecco un giorno lontano, saremo esenti dal frastuono assordante dell’andare a caso di qui e saliremo alla tua serenità. Ma forse rimpiangeremo di non aver fatto di più, qui tra volgarità e crudeltà. Laceri di troppo andare, strattonati, spinti in disparte, affamati di bene, assetati di giustizia ci muoviamo tra tristezza d’egoismo e ipocrita compagnia. E sanguinano questi piedi ormai ché di lontano veniamo alla tua mensa. Stupidi e ignari, nessuno ci ha detto che fare e dove andare o restare, ci ha indicato. E siamo stati pellegrini ed esuli. Ho fatto poco, ho fatto abbastanza? Non so. Ho coinvolto nei miei sogni questa compagna dolce. Avrà il mio stesso destino! Ma io mi contenterò a quella mensa delle briciole, dei rifiuti perfino, dei tuoi commensali...Ho forse fatto davvero poco per te, madre cara! Ho visto poveri, ho visto orfani con occhi grandi imploranti e poco ho fatto! Ho visto malati lacrimosi, ho toccato il dolore, ho visto la morte, son passato oltre! Sì, è vero, poco ho fatto! Ma tu m’ami, me lo dice questa donna, sì, parla con gli occhi la donna mia, e il figlio tuo il mio vero nome dirà!Io non sono l’escluso! Forse nessuno lo è!

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