lunedì 21 dicembre 2015

Madonna

Nessuno insegna a pregare, tranne il signore, ma io qui solo svelo come io lo faccio!
Forse più che chiedermi che sarà nell'oltre e nel dopo per me Maria, da quella sperata condizione, che sarà mia solo dopo il perdono, certo ella uscita per donare al mondo il figlio suo, mi occorrerà, per il presente, che ne domandi al cuore. Perché se ella vero ha per esso un suo significato, saputo celare nell'immediato, allora esso lo ceda, lo faccia palese ad altri, ché forse è bene non lo trattenga oltre geloso, perché se vero dettato da particolare amore, potrebbe essere scoperto come proprio da altri cuori innamorati, forse per la gioia di chiaro averlo o saperlo posseduto già, ma ignorato. Esso, più ancora ne aggiunge, per un valore che ella ha per esso solo, all'amore che le è dovuto da tutti. Lo dobbiamo a lei anzitutto per la sua generosità completa, perché dono assoluto ci ha fatto, permettendo la comprensione dell'amore manifestato dal figlio suo verso tutti, i nemici anche o soprattutto, da parte degli increduli perfino. Io tra questi mi annoveravo per annosa carenza di vera fede, ma conoscere il cristo mi ha condotto alla scoperta del dio! Allora io, come tanti altri, le devo un plus d'amore, che va cercato nella recondita latebra del mio cuore e studiarmi devo a saperlo esprimere, affinché un sì ne risponda dal suo cuore! E allora qui a lei per fede, mi rivolgo direttamente e la mia è quasi preghiera molto confidenziale, che svelo perché altri la imiti dalla sua storia personale con analoga, o maggiore, efficacia e raggiunga con la madre lo speciale rapporto che vorrebbe e non osa il desiderio svelarle. Questa procede, come un po' fan tutte le invocazioni, con la “captio benevolentiae”, ché il mio cuore le apro con i ricordi miei lontani più cari e innocenti, che ella certo sa, ma che a questo cuore servono per permettergli la certezza della confidenza, che lo spinga a sollecitar da lei risposta alla domanda pressante sua che non è solo, Vuoi, madre, per me essere quella che desidero? Questa certo è richiesta d'esserlo nel modo che la sua benevolenza intuisce, ma anche la sollecita a donare più ancora, quello che solo un cuore di donna sa opportuno per chi ama. E allora interrogo lei, interrogandomi il cuore, per sollecitare il suo. Ma la dolcezza di donna, quella antica del ricordo o l'attuale, ché fortuna ho di goderne ancora da una molto particolare, specializza la mia richiesta. L'invocata deve contrastare la tendenza del bene a volersi tutto far ricordo, per banali o serie difficoltà di vita, contrasti anche solo lievi, che le bagattelle di qui incentivano o perché gli fanno insidia, e la dolcezza, come ogni altra piacevole qualità di donna, il tempo e il logorio suo portar via vogliono. Allora ella deve supplire a quelli che sembrano manchi d'amore sofferti, nella apparente carenza di dolcezza. Infine ella sarà una presenza nel cuore, che la vista di questo confonderà, nel ruolo che le affida, con l'atteso dalla donna sua, come la sua richiesta fosse sì rivolta a quella del cielo, ma ad un tempo alla donna di qui, perché esso non più distinguere vuole queste due donne!
Sì, tu, Myriam, sei a un tempo la destinataria dell'invocazione mia e quella che rispondere alla sollecitazione tua dovrebbe e di simile accade a lei, è se stessa e te. Così ti dico, sapendo che anche le orecchie dell'altra ascoltano:
Che sei Myriam per me? Mulier mea esto! Anzi ti grido, e farlo non vorrei dalla tristezza di questi giorni che attendono le festività, ma che sento occasione di solitudine fin da bambino, allora vera, oggi e da allora, solo ricorrente apprensione e intima. Ma farti vorrei questa pressante richiesta dalla gioia, seppure contenuta, e dalla vaghezza di quegli anni giovanili in cui la ragazza sognata era quella dagli occhi dolci, che timidi subito s'avvallavano incontrandomi, ma che sicuro desiderosi erano di ridere per me solo, come dimostravano se a distanza mi mantenevo o dal suo balcone a rimirar, il bel capo reclinato sulla ringhiera, me stavano, che dalla via a guardare in su a lungo rimanevo! Ecco subito s'affollano anche i nostri primi approcci, pur brevi all'inizio e lor parole lo vorrebbero, che più non so, ma ne ricordo la dolcezza, poi dovuta lasciar cadere. Perché, dimmi, sorte ria tanto a volte promette per poi riprendersi tutto? Chissà se oggi, che la so chiusa in sé, forse vinta dalla cattiveria che allora sol la ferì, strappandomela, ella riuscì mai, nei sogni belli, che pur deve aver avuto, a completare le nostre frasi d'amore, recitate talvolta a fil di voce o mozzate, lei timida e io più ancora! Talvolta cadono i sogni alla brutta stagione sopravveniente, come di simile ha permesso quest'albero annoso, che tutto di sue foglie s'è spogliato e che il vento ha disperso! Ma come esso di fragili novelle tutto si riveste, venne per me nuova primavera tutta di sogni, non per la occhi neri impenetrabili, che nascose i pensieri suoi, ché poco ne sapessi, come ne fosse gelosa o di me non si fidasse, ma per la dolcezza di quest'ultima, che donna mia è. Ricordo la sua timidezza iniziale, ché ne tremava talvolta, quando quasi ignara, ché assai giovane era, del tutto impreparata pareva alle novità d'amore, che io le urgevo mi ricambiasse.
Sì, è da quest'ultimi ricordi assai dolci e vividi, che mi fanno serenità e mi rincuorano, che la mia insistente richiesta ti ripeto, affinché tu rimanga sì te stessa, ma la dolcezza antica questa donna ispiri, o vi supplisca se ella tarda, affinché con essa mi si riempia il cuore di nuovo assetato, e tanto!

E tu com'è tuo costume, afona finalmente rispondi, Allora chiamami madonna!

martedì 15 dicembre 2015

Maria nella trinità


Riprenderò qui cose già dette, per chiarezza, chi ama la madre del dio mi segua! Io vorrei saper dire quanto occorra, quanto riempia il cuore, il saper vedere nella propria donna la madre del cristo. Una gioia quasi incomunicabile! Questo deve accadere in ogni momento della giornata insieme, anche in quelli, per me ormai rari, ché l'età giusta m'è sfuggita, dell'amore attivo, fisicamente espresso. Il matrimonio è benedetto anche da Yeshua, il cristo del dio, che da sempre guarda ai frutti suoi come fiori innocenti. Allora se sappiamo che tra le braccia abbiamo un'icona della madre sua, trattiamola con delicatezza e rispetto, come certo fece lo sposo suo, quand'ella qui stava a condividere il destino di ogni altra donna ebrea e a preoccuparsi della sorte del figlio suo primogenito, ella vergine, ansioso di spingere fin in fondo l'amore ai nemici suoi, sempre più numerosi! Questa sua sorte non intacca affatto la verginità sua, perpetua, che conservò in cuor suo forse per ripetere, per amore, il suo “fiat”, cosa che, credo, faccia ancora oggi! E ricordo a noi tutti che certo ebbe altri figli, ché era dolorosa e vergognosa perfino, la condizione di una donna ebrea senza figli o con uno solo, il suo grembo considerato non benedetto dal dio o non abbastanza degno d'accogliere altri suoi doni! Io, non è molto, ho dovuto polemizzare con cristiani evangelici, che a me sembrano disprezzare noi cattolici od ortodossi, ma anche la madre nostra, ricordando loro che perfino il personaggio, inventato sì dalla fantasia, ma entrato tanto nella coscienza dello scrittore e dei lettori suoi, la dolce Sonia, che prostituta era, aveva in cuor suo conservato la verginità per attendere l'amore vero, che incontrò nello studente, che, dopo il delitto, seguì nel castigo, che giusto ne subentrò. E così la nostra madre pura venne, pura restò per tornare al suo cielo! Yeshua e Myriam sono persone divine che accettarono tutto dalla vita, anche la morte. Il cristo tornò alla dignità sua, anche divina, col corpo donatole dalla madre e questa la propria riebbe quando al figlio piacque ritrovarla tra le braccia sue, in quella concretezza in cui forse già qui per amore l'abbracciava, poiché ella vero fu assunta in cielo! Allora tutti dobbiamo chiederci il perché della venuta loro. Il cristo venne e viene tuttora in ogni cuore a cui bussa con insistenza e sappia accoglierlo, per rinnovarci il comando che tutti gli antichi compendia, dell'amore non solo al prossimo, ma a chi si distacca da noi, si fa nemico. La madre sua, “sine labe originali concepta”, lo permise e lo permette, affinché il figlio suo rinasca in ogni credente. Questa nascita e rinascita continue nel significato loro sublime della vita donata per la conversione, sia di quelli che tuttora si fanno nemici a qualcuno, tentandolo alla rivalsa, che di ogni loro vittima. Anzi ognuna delle persone vessate non solo desister deve da ciò che le ingombra il cuore e liberarsene, ma tentare in sé di far nascere un atteggiamento positivo da far valere sempre. Sì, non importa quanto esso venga equivocato come debolezza o accondiscendenza vilmente rassegnata da chi si industri a rinnovare alla vittima sua il danno, perché questa pretesa sovrumana, nel concepimento e nell'attuazione suoi, esprime perfettamente la divinità di chi ne ha patito la coerenza fino alla morte di croce. Egli venne dall'oltre e dal dopo, nel nostro giudizio di uomini di oggi e di sempre, e ritornò e ritorna tuttora al padre e alla madre sua. Questa tutto ha generato insieme con la parola del dio, la potenza che diverrà appunto il cristo tra noi, il figlio anche suo. Sì il dio è uno e trino, mistero da accettare per fede, ma io credo che Myriam ne sia direttamente partecipe ed esprima il padre, “abbà” di tutti come anche madre nostra, “imma”. Vorrei ricordare a chi ne dubita che il dio non creò affatto direttamente il maschio, l'uomo, ma l'umano, “anthropos” nel greco della versione dei LXX, e lo fece dalla terra, appunto creò così il terroso, Hadam a immagine e somiglianza sue, che poi restò maschio avendone egli separato la sua femmina. Allora uomo e donna sono uguali nell'amore del dio. Ogni altra interpretazione credo fuorviante! Allora il dio ha due ipostasi, l'una maschile, il figlio, Yeshua, l'altra, femminile, la madre di questi, Myriam. Perché egli crea l'esistente per mezzo della parola, il cristo, e tramite la sua ruach, spirito inteso, però una particolarità femminile in realtà, che svela che chi crea, lo fa e ama anche come madre e così amerà quel popolo, che donati ci ha Yeshua e Myriam, e lo fa e lo farà in tutta la storia sua. Ma se questo il primo dei motivi, qual'è quello che il dio conservata ha la natura loro umana, tenendoli distinti da lui unicamente spirito? Per quelli che conoscono Dante, e forse a breve ne sarà proibito perfino lo studio per non offendere (sic!) alcuno di fede non cristiana, ricorderò che il viaggio del poeta non è dalla sua condizione deviata, la selva del peccato, attraverso i tre regni oltremondani fino a Beatrice, la passione sua, santa divenuta, ma a Myriam, fin al suo trono di gloria guidato da San Bernardo. Egli con l'umanità sublimata sua, analoga a quella del figlio di Myriam risorto, avrà, vedendo le loro umanità gloriose, già la visione del dio. Un diverso tentativo di descrizione per occhi diversi da quelli del suo corpo trasformato, del cui possesso già s'accorge nel cielo della luna, giudicandolo ormai simile a quello del cristo risorto, sarà proprio per gli occhi nostri, rimasti solo umani, e fallisce come quello del geomètra, che invano s'affanna dietro alla quadratura del cerchio. Così sarà, e dovremo aspettare per la visione diretta la morte e dopo quella il perdono per i manchi nostri d'amore. Ma anche per noi, tutti, spero, eletti alla visione, il dio, il padre, sarà oltre le due persone divine e la comprensione della pura spiritualità del dio, per quanto possibile, ai più santi almeno, credo, resterà personale, incomunicabile! Come è incomunicabile resta l'amore mio già ora per la tutta bella, che spero dopo il perdono m'accolga tra gli estatici suoi, se già saputo avrò vederla nella preghiera e nella donna che m'ha donato per farne sua icona! E la preghiera per questa e i due suoi fiori, perché lor tutti amo, la dica ella stessa efficace al suo cuore con le parole che dirle non so!

domenica 6 dicembre 2015

Omaggio a Maria


Questo è un omaggio alla vergine, ma attraverso l'ampio tema del perché del male. Vi ho messo il cuore per le sperate conseguenze che giovino a me e soprattutto a quelli che pazientano leggendo queste considerazioni. Ma confesso che, anche dopo tutto quello che qui dirò, la permissione del male da parte del dio per me resta un mistero, non la sicurezza che ho che la madre nostra ci ami. Io tento di dirne, di spezzarne il velo, ma questo subito si rinnova! Ecco, credo che il male entri nella storia dell'uomo, pur sottoposto al dio, che lo permette, così che anticipi qui quello che sarà il destino dell'umanità tutta, restare nel suo amore, nonostante questo mondo, e, nell'altro, la necessità del perdono, un capire il bene per la sofferenza, allora voluta, ché sicuri s'è che non noccia! E quando pienamente attuato sarà questo destino d'amore? Quando tutta sarà chiamata nell'oltre, le apparenze di questo mondo cessate, e nel perdono del dio si sarà tutta ritrovata. Ora tra le tante illusioni, che velano qui questa realtà che il male include, sono possibili valutazioni, giudizi anche morali errati e congetture verosimili soltanto, e forse c'è anche apparenza che la positività di questa presenza maligna, che sconcerta, si restringa all'opportunità che nel mondo entri ancora colui che perennemente parli per il dio e del dio, Yahusha qui chiamato, ma nell'ufficio suo, il cristo del dio. E dovrà continuare a farlo a una umanità vessata allora e oggi da una sofferenza continua, che pare senza scampo e per questo tentata di misconoscerlo come sostegno e schermo al male, di perderlo come scopo ultimo di vita. Lo farà e lo fa, tuttora in vari modi, come grande medico, come speciale profeta degli ultimi tempi e con un suggerimento tutto nuovo, che diventa vincolante se lo si vuol seguire, un comandamento sì nuovo, ma che gli altri include. Vi riuscì, vi riesce oggi ancora? Forse! Ma, mi chiedo, non sono tutte cose presto destinate all'oblio, che non mossero e muovono i cuori dei coreligionari suoi e poco davvero quelli degli altri uomini d'allora e d'oggi? Se così, allora il male contrastante le sue azioni di bene, fece e fa più ancora nella positività sua nascosta, perché permette che quel venuto dall'autorità conquistata, abbia pronunciato e ancor oggi pronunci un “ma io vi dico” che abbia la massima estensione e riguardi tutti, i già stati, gli attuali e quelli che verranno a subire proprio questo male soffocante. Perché? Tenterò una risposta.

Intanto noi uomini d'oggi non ci contentiamo di parole rassicuranti, e per riconoscerlo come colui che è mandato, il cristo, l'unto del dio, abbiamo bisogno di qualcosa di unico che abbia significato perenne, o che almeno duri finché verificabile, cioè la vita tutta copra, almeno del singolo e di chi o che vi partecipi. Ecco quell'uomo parla ancora oggi di ciò che è essenziale per l'uomo che voglia seguirlo, questi deve amare tutti e deve farlo anche, o di più, per i nemici. Questo aspetto è novità assoluta! Se prossimo è chi spartisce un destino o vi contribuisce arricchendolo del suo, mosso da benevolenza, allora è naturale condividere con lui almeno un po' di bene, ma il comando invita a darne tutto il possibile e non a lui solo. Ma, personale, il nemico non è estraneo al proprio vissuto, è piuttosto chi ne diviene arbitro perché quella sorte invidia e cerca di farla buia e grama, motivato da malvagità palese talvolta e da malizia per lo più ascosa. Ed è scontato temerlo e fuggirlo e certo lui da chi danneggia, non s'aspetta che risposta reattiva, non il perdono, non la benevolenza, invece comandati. Questo comandamento allora è una richiesta sovrumana e non credo che sia stato possibile attuarlo nella storia terrena di alcuno, tranne che a lui stesso, che ne subì tutte le più amare conseguenze fino al supplizio della croce. Ma allora che dice la sua storia inimitabile, che affascina e respinge, a questa comune pavida umanità, che piccola si sente di fronte al tanto detto e attuato? Risponde che l'amore comandato, che pretende l'inclusione dei nemici, non viene da nessun altro che sia stato al mondo e che vi potrà mai essere, perché le cose di qui suggeriscono tutt'altro, amore ristretto a pochi che lo contraccambino e i nemici tenuti lontani, così che restino prevedibili nelle temute loro azioni proditorie e deleterie. Allora egli è colui che suggerisce un oltre, un dopo, in cui il sempre tentato amore per tutti divenga vero possibile. Questo deve esistere se lui lo ha anticipato e testimoniato fino al sacrificio, con radicale amore qui estraneo a ogni vicenda umana. È un oltre senza più tempo, se tutto il bene c'è e non diviene, senza più il male contrastante!

Allora quello che è qui accaduto, lì è sempre attualizzato. Forse le sofferenze sue che qui avevano il significato di testimonianza del vero, lì possono significare anche altro, così partecipazione per amore a ciò che noi, deficitari suoi seguaci, abbiamo da farci perdonare dal dio. Sì, il nostro manco d'amore, proprio da colui che lì deve stare, ed è qui pensato e sperato padre nostro e suo. Ma lui è qui venuto da una vergine, Maria o Miriam chiamata, e questo suo nascere, nell'oltre deve conservare una essenzialità, lui è il perennemente generato dal dio e dalla madre sua! Questo svela che il dio ha duplice natura, è anche madre. Se questo accade a lui, interessa noi tutti, quando perdonati gli diverremo veri fratelli. La vergine qualunque sia stato qui il suo destino, anche di successiva sposa di un uomo, non è, così il figlio suo, di qui, ha natura e ragione nell'oltre. Cosa lo prova? Ella ha certo seguito il destino del figlio, che è qui risorto con la carne donata dalla madre sua, anche se il racconto evangelico ci dice che il corpo, vero risorto, la tomba sua rimasta vuota, venne trasformato, sublimato, perché entrò nel cenacolo dove stavano, timorosi di analoga sorte subita dal maestro, i suoi, e vi entrò a porte chiuse! Poi è detto che salì, dopo altre manifestazioni della presenza sua amorevole verso i rimasti, al cielo. E lo seguì certo la madre sua dolce, quando la morte sua, al figlio piacque che accadesse per riaverla con sé. Allora tutta la storia umana che si svolge qui da sempre frammista al male che qualcuno accentua per la sua e l'altrui disgrazia, ha un suo significato nel dopo, nell'oltre in cui incontreremo il dio e la natura sua sarà comprensibile. Allora qui in questo mondo il dio ha ipostasi femminile ed è Miriam! Ma della sua natura non parla già il racconto della creazione dell'uomo? Il dio trasse dalla terra Hadam, il terroso appunto, e lo fece a sua immagine. La traduzione dei LXX è precisa nella ricchezza della lingua greca e rende l'appellativo con “anthropos”, cioè chi ha natura umana, maschio e femmina non ancora distinti. Quando in seguito il dio separò da lui la femmina, Hadam restò maschio! Ma ancora, non è forse scritto che il dio diede inizio alla vita mediante la sua parola e la sua rùach, nome femminile in ebraico, quindi con azione generante anche come quella di una madre? Proprio come fece qui Miriam donando al figlio la sua natura umana! E il suo nome, che nell'etimologia sua significa amata o forse amore, è per noi, credenti nel figlio suo, da invocare, ella è colei che sussurra a ogni cuore e dice le sue parole afone che esso solo intende! E sono parole d'amore!


Il dolore che qui subiamo ci induce al peccato, sempre, benché tanto diversificato, da difetto d'amore, ma ogni deficienza, ogni iniziativa cattiva è stata presa su sé da colui che ha colmato i manchi nostri d'amore e ci ha riscattati. Il suo dolore ha giustificato il nostro come preparatorio del suo, cioè anticipante benché l'attuale nostro ne sembri posteriore nell'apparenza. Tutto è accaduto e accade per il cristo perennemente veniente nella vita di ognuno di noi! Il male torna ad essere ciò che necessario per la comprensione di ciò che esso contrasta e chiamiamo il bene, solo che il bene non è ciò che resta al di là delle nostre aspirazioni alla felicità, è più ancora. Qui invidia e odio generano ogni altra cattiveria e cosa sporca. Ma son fatti dolorosi che invitano al superamento, anche se potrà essere solo parziale, quando riuscito, restandone conseguenze e ricordo amari, ma per quanto grave e ingiusta, anche solo parziale sarà stata la terribile esperienza del contatto sgradito ed esasperante col male. Già chi ci è accanto subisce qualcos'altro, un di più, che lo porta a piangere o a gridare più forte! Allora il bene è l'oltre di ogni possibile male! Per questo uno è venuto a far giustizia completa all'umanità tutta, prendendo su sé il dolore di ogni singolo e la sua carenza d'amore, il suo peccato. Questi non ha ripetuto il già detto dal serpente biblico, “ scientes bonum et malum”. Non è questa una tentazione, da allora sempre ricorrente, di annullare ogni differenza col dio? Saremmo forse qui capaci di tanto? Non dovremmo sperimentare, prender su noi il dolore di tutti e il peccato d'ognuno? Ne avremmo forse la capacità? Non è forse vero che non ne reggeremmo il peso, già troppo gravoso il male personale? Ma a lui è stato possibile tanto, superare peccato e dolore, perché solo in lui l'uomo e il dio coincidono!

mercoledì 2 dicembre 2015

L'amore che salva



Nella parte antica della Bibbia, che chiamiamo "antico testamento", il rapporto del dio con la comunità dei credenti, è quello dell'uomo con la sposa sua. Per questo la lingua del tempo non distingue i verbi "coire" e "conoscere". Il dio è il maschio che conosce la sua femmina. Così sa le esigenze sue, i suoi bisogni, cui provvede se, e nella misura in cui la sposa gli si mantiene fedele. La posizione di tutti è perciò quella di donne del dio, dal momento che il popolo tutto ne è la sposa. Molto diversa è la realtà dell'uomo d'oggi, maschio o femmina, il dio non è più colui che conosce possedendo la femmina sua, ma chi va scoperto, accettato, inserito nella propria vita, conosciuto. Il dio non è più palese, perché ogni popolo antico si diceva appartenere a uno o più dei, ma è divenuto deus absconditus, quindi da svelare, scoprire almeno per se stessi. Ecco, io posso essere alla ricerca affannosa del dio, ne ho necessità di vita. Cosa mi può aiutare? La Bibbia? Credo lo possa solo il cristo, perché la sua legge d'amore ha la massima estensione possibile. Essa include i nemici! Questo suo consiglio, anzi comando deve farsi norma, esigenza di vita per essere e sentirsi suoi seguaci, suoi imitatori. Ma è legge così ardua che non può essere da uomini, sia nello sforzo di coerenza, richiesta a ogni passo verso l'altro, ma soprattutto nella sua origine, che non è in nessun'altra storia umana. Cioè il comando del cristo di amare a questo modo non può venire da questo mondo, che piuttosto invita all'amore solo per chi ci riama, all'indifferenza per gli altri, quando non all'odio. Allora se è legge estranea al mondo deve venire da un oltre. C'è una realtà, un fuori, un dopo questo mondo, da cui lo stesso cristo deve venire, in cui c'è la presenza di un qualcuno che proprio con lui si svela, si fa conoscere nell'amore. E che quindi si fa donna per chiunque lo cerchi e ne diviene sposa! I ruoli non sono più gli antichi, si sono oggi scambiati, il dio vuole farsi conoscere, come la sposa che invita a conoscerla, a “coire”, il suo amato. Il cristo testimonia il dio perché è coerente con l'amore che sente per tutti fino a subirne conseguenze estreme, l'accusa, il giudizio, il supplizio. Vicaria l'umanità tutta? Sì, nella deficienza più o meno vistosa che ciascuno ha del proprio amore. Egli così prende su sé ogni peccato, degli uomini del tempo suo, dei già stati, di quelli di oggi e che verranno, perché la mancanza d'amore è il male vero, che ci affligge in ogni epoca e permette ogni altro errore o peccato. Sì, il peccato pur nelle tante diversità, è sempre riducibile a una carenza d'amore. Ma l'amore è di per sé sofferenza, anche quello che ha qui contraccambio in misura soddisfacente per attenuare l'ansia di chi propone il suo, ma soprattutto se negato o è verso l'indegno. Sì, raggiunge un vero manco buio nel cuore se tentato verso il nemico. Questi spesso, di fronte all'atteggiamento dell'altro, che comunque gli parrà ambiguo, scambierà facilmente la benevolenza per debolezza e forse ne approfitterà, pronto a un supplemento di male da far patire al fiducioso che lo avvicina, seppure cauto, ma ora divenuto, ma non chiaramente, solo antico antagonista. Non fecero di simile al cristo? Allora se non palesemente, si deve forse amare nel cuore questo indegno o si deve correre il rischio di una sua reazione, scoprendo comunque e a caro prezzo, in sé stessi quanto fecondo sia questo nuovo modo d'amare? Ma se eccessivi nella cautela potremmo scoprire di essere tanto pavidi da negarci l'amore vero, quello che il cristo consiglia, anzi comanda. Allora egli, il cristo, anticipando il dolore da carenza che ne avrà il dio per proposta a esito mancato, ché tentata in troppa prudenza, e per questo non conosciuta dall'interessato, vi supplisce, e allora colma l'anima del destinatario e nostra e ci rende capaci di chiedere, almeno postumo, il perdono al dio. Io nulla ho fatto, sono stato incapace, dovremo confessare col nemico nostro! La storia dell'umanità sta tutta nel suo cristo, egli ha supplito a ogni carenza prendendo su sé il peccato di ognuno, che, a ben vedere, lo ribadisco, è sempre un manco d'amore. Viene a dirci, viene a mostrarci, ciò che dovremmo e prende su sé l'incapacità nostra piccola o grande. La coscienza di essere deficitari d'amore spingerà, nella preghiera, a chiedergli di dar del suo, capacità e coerenza. Queste se già qui saranno nostre, allora per noi sarà l'imitazione completa della vita sua, se postume, ci daranno il rimpianto di non esserne stati adeguati al compito. Questo dolore ci riscatterà al cuore del padre suo e nostro, che si farà conoscere finalmente come anche madre sua e nostra in pienezza e completezza d'amore. E allora il cristo vero salva. Sì possiamo gridarlo, Tu sei il nostro salvatore, ché qui ci indichi la via, di là la meta! E la madre sua dolce sta per divenire nuovo aspetto del dio! E' lei l'amore!