mercoledì 29 maggio 2013

Don Gallo







Ma poi chi è un vero prete? Uomo consacrato per il rito? Intermediario per il perdono divino? Anche, e questo certo era don Gallo, ma più ancora e sopratutto chi sta con gli ultimi e lui vero era così, così voleva e sentiva d'essere, dalla parte loro e per loro, sempre. E noi che con le nostre debolezze e lamentele sollecitiamo il tuo amore o ce ne illudiamo se nella crudezza dei rapporti umani c'è insospettata gentilezza, o dolcezza un po', chi siamo? Bisognosi perché mediocri! Sì, molti di noi abbisognano di comprensione, nemmeno richiesta però ché inconsapevoli se ne è spesso, di non “petita excusatio” insomma, per il loro stare e fare sempre inadeguati, mediocri appunto, o addirittura per il porsi al latere, appartati sempre, come se il problema del vivere non si avvertisse, anzi pensandosene esentati da privilegi veri o solo presunti e così dagli affanni della gente comune. E allora non agire, sì, poco o niente fare, molto chiedere o pretendere. Ma anche questo sentire e comportarsi è in verità stare tra gli ultimi, ché questo pensando o così agendo, s'è veri bisognosi e spesso nemmeno lo si sa. E di che? Di perdono sopratutto, e da chi? Ma dall'ultimo di tutti noi, quello in coda alla lunga teoria dei non adeguati a questa vita, a questo mondo, chi ci si è voluto mettere per salvarci tutti, il figlio tuo! Ma perdono anche dai vicari suoi, quelli che si pongono con lui, quelli come don Gallo, che lo imitano nell'amore, che si impegnano si sprecano per l'amore. Lo danno generosi e forse nemmeno l'hanno, ché, scomodi, spesso amati non sono! Così si è con gli ultimi perché come loro ci si sente, si vuol essere, ma allo stesso tempo capaci di far per loro qualcosa, o tentarla, auspicarla almeno, o pregare che il cielo la mandi! Ma più ancora degli inadeguati o impreparati, fermi, anchilosati nel promuovere bene, mediocri nel tentarlo, quelli che chieder devono perdono per la loro vita senza o con poco significato, ultimi sono i disprezzati, gli emarginati, gli abbandonati alla solitudine, come sempre accade se gravi sono le menomazioni del soma e della mente, con cui si nasce o si diventa per l'incuria degli altri, di tutti! Attendono questi penosi, ma buio è sempre, quasi mai barlume, o viene palese, chiara risposta, ché chiuso pare sempre il tuo cielo. Ma anche se insufficiente alla durezza ed enormità dei problemi, poi qualcosa viene, qualcuno la fa, la tenta almeno, ma sempre chi è eroe dell'amore. Perché che fa la massa se non starsene timidetta con i simili suoi e far gregge? Nulla! Oppure fa di peggio è volutamente disattenta a tante richieste di un po' d'aiuto, di parole, di gesti, di carità insomma. E' chiusa nell'egoismo, ma pure così si diventa ultimi, ché di tutto si manca, specie della capacità d'amare. Ma c'è appunto chi vicaria l'amore divino e diventa per essi pure, buon pastore. Così chi vero si impegna nell'”imitatio christi”, è tuo uomo speciale. La chiesa sua, da vero prete, apre a tutti, mediocri e indifferenti, stupidi o troppo furbi, generosi ed egoisti. Sì, costui è il vero prete, ha gesti e parole opportuni, non fa finta di non vedere, sta per gli infelici sopratutto, i veri ultimi appunto, anche se tutti lo siamo. Don Gallo era così. Cercava di capire e condividere. Scomodo era perché schietto, inviso per le sue idee politiche alla gerarchia, ma pur sottomesso. Sì, vero tuo uomo era, quello del bene, nonostante l'indifferenza e l'ignavia dei più, e il significato della vita sua era stare, e ad ogni occasione, dalla parte dei bisognosi di tutto e d'amore specialmente. Insieme uomo vero e vicario d'amore. Povero cristo tra poveri! Spero che, perdonato di certi suoi apparenti eccessi, ora sia con te, madre dei piccoli suoi angeli negletti. Io tra questi, certo campione, ma di mediocrità!

lunedì 27 maggio 2013

Dolce nenia canti







Quando l'orrore torna in tutta la crudezza sua, forse novella alba tituba ad annunciar l'aurora sua, trema, incerta se mostrarsi deve ancora su tante sciagure umane e da te attende assenso. Ecco cos'è accaduto, gocciolano le lacrime amare d'una madre disperata. Un demonio s'è fatto un giovane, carnefice d'una adolescente e, feritala, bruciata l'ha viva. Dimmi madre chi peccò tanto da evocarlo, ché il male coagulasse ed entrasse nella mente d'un ragazzo spingendolo a tanto? Non chiama sempre a gran voce il male il peccato di tutti e quello viene? E ora ricoperto ha di putrida fanghiglia i solchi di speranza, che il bene aveva seminato e irrorato per quella ragazza! Oh quante aspettative di vita e d'amore cancellate, negate, e l'anima sua forzata a varcar anzitempo la soglia che fuori dal tempo mena! Consola sapere che è dove il profumo tuo respira? Ma pur verrà al fine il perdono da tanta gente offesa, se agognato sarà da chi tanto spregevole s'è reso. Ecco allora l'amore del figlio tuo anche questo orrore cancellerà e a tutti, anche alla mente sua malata, la pace ridarà. Turbata è oggi la gioia di vita di tanti coetanei suoi e forse tante anime semplici sgranano gli occhi per cercar luce, ché assai greve sembra il cielo pur lì oggi sereno. Ma sono solo delle anime accorate le ombre, allora “quisquis suos manes patitur”, pur tornerà al fine per ognuna la luce! Sì, apparenza labile ha ora il bene, come un riverbero di luce sull'acqua scura del mare che fa metafora a tanto male. Ma pur c'è e crescerà! E le anime di questi ragazzi riconquisteranno la libertà, sì le anime loro si riapriranno alla fiducia, alla speranza, alla vita sotto il tenero tuo sguardo, dolce madre di ogni dolcezza. E intanto ti mostri alla fantasia mia nella bella tua persona..., seduta ora sei e sulle gambe tue stanno due bambini, il figlio tuo che sempre "parvulus" per te si fa, se l'occasione gli è data, e la poco più che bambina mo mo arrivata. Tu al tuo seno li stringi ché paura più non abbiano e canti loro dolce nenia che il sonno e l'oblio concili. E facciano tutti silenzio, io pure, ché addormentati si sono or ora insieme!

sabato 25 maggio 2013

Credere











C'è un dio? Io davvero ne ho solo tenace speranza, ma talora anche onesta certezza. Come un barlume, una piccola luce che non riesco a dire. Penso se ne possa avere un credo, e sfumature dello stesso, diverse nella stessa retta fede. Questa qual'è? E' quella che dall'amore solo è misurata, non vuole altro criterio. Se ho amore posso dire, Ecco, questo mio povero stare qui, soffrire, amare fonda la mia speranza, e avere questa è la mia fede. E ogni altra cosa mi fa buio. Sì, un solo dio ci deve essere e so che è dio d'amore! Posso con sicurezza dire che ogni altra affermazione è congettura, fondata nel mito ed è fuorviante. Egli è chi tutti ama, e non è altrimenti! Ma ci hanno detto, egli ha parlato, si è manifestato, svelato. Ma lo ha fatto sempre come amore, ogni altro credere è umana congettura, mitica appunto. Ma nessuno può dire io sono nel vero, tu nel buio e noia ho dal tuo dire. Solo se ho l'amore, il solo vero possibile, che viene dal dio, o per lo scettico ne è solo illusione, dirò al fratello, Ama tu pure e forse così il dio c'è davvero e lo vedremo. Noi cristiani da duemila anni crediamo che il cristo sia stato in un'epoca precisa manifestazione del dio. Sì, il dio è venuto tra la sua umanità, visto in forma umana, come comune uomo. Altri uomini gli hanno causato sofferenze indicibili e ne è morto. Risorto, è rimasto in forma d'uomo a garanzia del destino degli uomini buoni, tutti! Dov'è ora? In chi soffre da questo mondo brutto. Altri pensa, io sono tra questi, che la madre sua stessa il dio significhi e manifesti, ora di simile nascosta pur ella. E il nostro sacerdote che consacra il pane e il vino, simboli viventi del dio, che ce ne fanno la prossimità, il sacramento, sa che quella stessa è la carne e il sangue della madre sua. Complicata forse la teologia, ma non per chi ha fede nella speranza d'amore ricambiato, se non dagli uomini, sicuro dal dio. Questa speranza la fede nostra è. Ma perché il dio è diventato uomo? Cur deus homo? Forse per dirci che stare dalla retta parte è amare sempre, anche e soprattutto i nemici. E' cosa inaudita da santi! Ebbene egli chiede, pretende questo, che ci facciamo santi. Solo così saremo suoi fino alla morte e oltre. Quanto è stolto chi oggi non ama, vuole il male con gli orrori suoi! Ecco a Londra l'orrore, un innocente trucidato, dicono i più. Altri giustificano l'orrore con la legge del taglione, così gli autori di quel misfatto. Questa un senso aveva nella barbarie, per limitare la vendetta dell'offeso nel tempo antico, prima che il dio dicesse, Io solo sono l'amore! Allora pensare così è regressione, nuova barbarie, perdere la speranza, la fede nel dio. Io sono sicuro che gli eredi autentici del profeta Maometto aborriscano questo che è e rimane delitto, atto ingiusto, dettato, venuto da barbarie appunto. I maomettani veri hanno concezione pura del solo dio, altissima! A noi chi lo ha manifestato ha detto di perdonare, anzi amare chi vuol esserci nemico. Ne ha testimoniato la necessità fino alla morte di croce! Ogni altro atteggiamento è ingiustificato per il dio, ci allontana da lui, fa che qui prevalga il male e pesante diventi l'assenza sua apparente, ché ricacciato nel mito così ne viene. Solo se amo ho speranza d'amore e forse già tra le braccia sto della madre sua dolcissima. Altro non so. Dico, Ecco le donne tutte sono icone della donna celeste. Qualcuna è di più, ne è specchio, ché quella fa per amore ciò che ella fa. Avere tra le braccia una tal donna è già l'amore in terra, quello trasmesso dal solo dio? Sì, è toccare l'amore, così forse avere piccola luce, un po' più della mera speranza che vero il dio sia. E io, che ho simile fortuna, altro non so!

mercoledì 22 maggio 2013

Quella che ti vicaria











Ecco son pure di quest'epoca nuvole grevi che vengono, corrono fin qui ed oltre, da occaso e talora qui proprio il carico loro versano rabbiose, e non ai vicini monti che corona fanno al golfo, cui di solito destinate paiono. Eppure è da tempo primavera! Sconvolte ne restano, tanta la violenza, piantine or ora nate e getti nuovi ai cespugli e loro fiori, anche in boccio, e d'alberi annosi le foglioline novelle. Ma molto peggio è quel che altrove accade, ben altro lo sconvolgimento lì in America, sì lì la vera furia del vento, lì distruzione e morte, e di bambini pure! Il coinvolgimento che il male fa di piccoli, in crisi mette la fede mia. E mi dico e ti dico. Se la maternità tua metafora non è, perché impedito non l'hai? Ecco questa compagna di cui talvolta critico l'eccessiva cura che ha dei figli suoi, adulti da tempo. Io non ne capirei ambascia, quella che le fanno lor problemi, perché dentro in me avuti non li ho. Ed ha del vero questa sua protesta al mio motteggio, bonario sempre, ché anche in questo le sensibilità nostre diverse sono. Sicuro la diversa biologia con i legami d'affetto creati, condiziona, verso chi amiamo, il giudizio di fatti veri o temuti e pena ne viene, talora, o a torto pensata, eccessiva. Così per ogni madre, piccoli sempre e da proteggere, i suoi... E tu? Perché interromper sembri le cure tue? Perché lasci che il male, eccessivo, duro, crudele sempre prenda i piccoli tuoi? T'è arrivata la storia di quel piccolo dal male vinto, inarrestabile la malattia sua, precoce destinato al tuo cielo? Desiderava vedere la regina di quel paese, che andare a quel dolore potuto non ha... Ma, pietosa, sua interprete sulle scene ne ha fatto le veci, rendendo il piccolo felice. Ma non è sempre così, non viene la regina e non si trova vicaria che della presenza sua mancata, illuda. Oh quanto più semplice sarebbe se tu e il figlio tuo non foste venuti a rinnovarci la speranza d'ascolto del cielo! Sì, alle tante pene d'una umanità che il dio, quello che su tra le stelle sta, scordato deve avere dopo il tempo dei miti suoi, su questa fragile crosta su cui il male spadroneggia! Chiudere gli occhi, nulla sentir più di orrendo e aspettar morte pietosa, che chiuda la finestra triste su questo mondo d'angoscia! Ecco forse ormai è questo che voglio! Sì, è orribile la vita, la regina, se pur v'è, è ad altre cure sempre impegnata, e noi moriamo! Vecchi, piccoli..., che importanza ha per il male ottuso, come questo vento di tramontana, che tutto schianta? Sì, soli o d'amore confortati, annosi o mo mo alla luce di questo scialbo sole appena venuti, subito è sera, dice il poeta, e la luce si spegne nel dolore! Ma il bene c'è, e il bello e il buono, seppure carenti e dispersi, e femmina buona talora qui proprio ti vicaria. Non pare avere talvolta altro scopo la vita sua, sorride, ha occhi lucidi di pianto, ma nasconde l'angoscia sua, e me proprio come figlio suo vuole e tratta, ché adottato m'ha per te, la pena mia scoprendo... Favole dice come a piccolo suo... e questo vecchio addormentarsi vuole tra le braccia sue e sogna che il male più non sia. E dice, ecco la fata tua buona, la bella regina è tornata! e io sorrido al suo sorriso!

martedì 21 maggio 2013

Come rugiada all'aurora











Viene per tutti un'epoca in cui rivedere la vita tutta, e v'è un criterio di giudizio, il bene realizzato, non le scarse gioie sempre e gli inevitabili dolori. Sì, è l'amore il criterio, ché carità deve essersi fatto. Ma che è la vita per ognuno? Poche cose rimaste, ricordi dolci o amari, solo poveri ricordi! E di che, di chi? Parole non dette, ma nemmeno udite, gesti attesi e non venuti, ma nemmeno tentati, cuori rimasti delusi quasi sempre. Sì, mancato amore, non dato, non avuto, vite perdute, sciupate, occasioni di bene mancate, oppure senza nessun pregio, ché non per il bello, il buono sono state. Bene che pure, bambini, pareva possibile, vicino, da cogliere, sì, garantito a tutti, qualcosa da avere, ma anche molto da donare. Ma poi mal speso il tempo, che quando avvenire era, roseo e sicuro pareva, e poi diventato non pienezza di vita vissuta, ma egoismo, viltà spesso, e noia e buio, mediocrità sì, un appena stare, dare, ricevere, da farci temere che la meta per noi così non sia il tuo cielo, ma il nulla. Ma se solo cadessero dalla mensa dei santi tuoi briciole, me ne nutrirei per farmi un po' come loro, pur ora che alle spalle ho forse una tal vita. Così dalla sicurezza nuova raggiunta dell'amor tuo nonostante lo star mio tanto carente a questo mondo, dir potrei, Non piangere! E a chi? Anzitutto alle donne tutte, le amate dei ricordi miei. Appena o molto. Tutte illusioni del mio cuore! Perché? E' con loro che ho tentato l'amore, quello che quando benedetto e realizzato, può poi divenire carità, cioè partecipazione, estensione del bene conseguito agli altri che il cammino nostro condividono, se la bontà innata nel cuore di ciascuno è potuta crescere a quella fiamma. Difficile, credo, amare tutti da vita solitaria e buia, negletta, senza amore! Ecco per me, la piccola capelli d'oro. Dimmi, l'hai già tra gli angeli tuoi o le fiabe sue or dice ai piccoli dei suoi nati, quelle che a me incantato, raccontava? Ricordi quanto mite era il suo sorriso e come rosato il visetto suo al mio audace bacio, invito a un altro incontro? E poi dovetti perderla... Ricordi la mia fidanzatina occhi neri, dolcezza aveva nelle parole sue almeno quando per me cantava, ma forse anche nei rimbrotti suoi ben meritati, credo, e la persi? Ricordi la soavità d'incanto dell'altra, che or nel vago della mente sua persa mi dicono, e me ne addoloro, calda, appassionata, anelante, e dovetti perderla? Ricordi la piccola della spiaggia e la dirimpettaia d'una estate? Mai motto feci loro dalla timidezza mia, eppure quanto le amai, bambino! Ecco, qui questa mia compagna, la più dolce e soave di tutte, che sempre mi parla d'amore con liliale pudore. E sta nella mia vita, e sta nei miei ricordi, e sta nei miei sogni ancora! Ecco, se triste mi scopre in quest'ultima vita, solo coi ricordi miei per lo più tristi, che proprio perché senza rimedio, torturano e consumano talvolta, ella mi dice, Non piangere, tu hai me! Ma io pianger vorrei copioso, stretto al suo seno per farmene asciugare amorosa le lacrime, ma non sono abbastanza bambino! E parole sue ha per me lievi, suadenti, e olezzano profumo. E' così la donna mia, buona sempre, bella ancora! Gli occhi miei il tempo ha velato e inaridito, e così forse vero piangere non possono, e il cuore mio le amarezze hanno indurito, eppure c'è qui chi lenisce ogni mia pena. Quella che mi venga dalla mia mediocrità riconosciuta, ché né buono, né santo da meritare il tuo cielo, sono stato. Ecco questa mi dice che così non è, che c'è del buono, del bello in me e, lei lo dice, da riempirle il cuore e farlo traboccare. E' bello per me che, pietosa, di questo cerchi di illudermi, ché la mia vita tutta così pare aver un senso. Cercarti in lei e nel mondo, negli altri! Ma che tu donna m'abbia dato per un amore che olio spalmi sue piaghe dell'anima mia, è leggero comprendere che vero tuo dono sia stato, il più prezioso possibile, anche per lo stupido maschio che sono da sempre o forse ora diventato. Ecco ha sanguinato questo cuore che il male ha avvilito, livida la vita tutta fatta. Oh quante occasioni di pianto, falsi sinceri gli amici, false buone le femmine incontrati! Eppure per questo amore donatomi, strappato hai questo cuore dall'onda vorticosa che perderlo voleva e gli hai dato pace. Ma se me ne uscissero lacrime vere, di riconoscenza almeno, e quanto le vorrei!, come rugiada indorata sul viso mi diverrebbero dal piccolo bagliore riflesso dalla luce tua, che pare le esca dagli occhi belli, specchi di piccolo generoso cuore, ché farebbero con la luce loro come il sole che qui di mattino presto, tutte le erbe colora dell'aurora sua!

venerdì 17 maggio 2013

L'amore è amore!











Ecco s'apre il cielo e d'azzurro son gli squarci suoi e se ne bea la vista mia, e corron le nuvole grevi ancora, dopo la recente pioggia, lontano, forse ai monti nostri o altrove vanno, chissà!


Son metafora dei pensieri miei. Perché? Grevi sono di simile, forse perché solo formali? No, ma incerti sono sulla meta loro. Sono per te, ma dove sei? Sei oltre questo cielo, con oggi tante nubi che forse a morir corrono ai monti, sei più lontano fra le stelle? Sì, vanno i pensieri miei, ma dove? Ecco, qui tra noi, cenciosi, derelitti, sofferenti. E poi i diversi, gli stranieri, i nemici pure. E poi? Gli esclusi, i malgiudicati, quelli che oggetto son di scherno dai pregiudizi della gente benpensante, ma in fondo pettegola e cattiva. Quella che esclude, separa, giudica, disprezza appunto, perché c'è anche chi ama, ed essa pensa non si dovrebbe, persona dello stesso sesso. Perfino il nostro sommo poeta nell'epoca sua lontana, aveva compreso che questa è variante dell'amore umano. Sono sì per lui peccatori quelli che incontra nell'ultima balza di purgatorio, ma per gli eccessi loro, in schiera diversa da quelli che ecceduto hanno nell'amor loro, invece “ermafrodito”. Quello tra maschio e femmina, giusto per il comune ipocrita pensare. Eppoi c'è ancora di peggio, chi disprezza le donne, e non vuole capire che tu stessa, femmina rimasta, così manifesti il dio. E' una umanità obnubilata questa, ottusa, bigotta, eppure giudicante. Sceglie nella cerchia sua, la ristretta delle frequentazioni sue per bene, i più convenienti alla morale sua distorta, e li chiama amici, mentre per gli altri tutti ha disprezzo! E' questa che meriterebbe il ritorno del dio che allora, nella incrudelita società dell'Israele antico, la fantasia malata aveva descritto come il solo, amante dei suoi soltanto, ma così anche inflessibile tiranno, un dio di vendetta e assai poco di perdono. Io non pregherei un dio così. Pensar così il dio, mette gente contro gente, popoli contro popoli. Giustifica barriere ai diversi e l'odio, non l'amore, che fosca fa la terra tutta e accumula barbarie su barbarie, delitti su delitti. Tu sei la donna celeste, la madre, che fa il dio mio risponder soave ai gemiti di tutti, e se vero è che tu ora tra noi sei, tra noi ultimi, non più rivolto al cielo pregar ti devo! Ecco la misericordia sua, per te sola, vola basso su questa terra amara, ché qui brulicano le creature sue le più amate, di tutto mancanti, di fede pure, ché così ridotte le hanno gli ipocriti tristi. E qui conforta, lì asciuga lacrime o addolcisce il dolore e lo fa con mani spesso impure, quelle di chi lui invita a scuotersi dai propri errori di giudizio, ad abbandonarli, purificandosi col promuovere il bene. Quello che vuole per tutti, nessuno escluso. E questi, rinsavito, via da te non fugge più. Sei tu che ci indichi la via giusta, ché senza accoglienza degli ultimi, i peggiori tra i peccatori saremmo, e ci dici chi è il prossimo: gli aborriti per pregiudizio e falsa interpretazione della volontà tua.


Lo fai in ogni bassura, lo fai in ogni palude morale, quella dei benpensanti di ogni tempo. La carità tua è nuova sempre, è vera divina , è la tua, dolce madre del dio e di noi tutti. E tu non tolleri esclusioni di sorta, non perché si è diversi, non perché si ama diversamente. L'amore è amore! Sempre!

giovedì 16 maggio 2013

Parole, pause











Parole, poi pause di silenzio, ma che pur dice, parla a cuore di te innamorato. Sì, tu parli a questo cuore anche senza parole. Sempre dir mi vogliono gli occhi tuoi, che, amorevoli, sol per me paiono voler esser anche pietosi! Sì, novellando mi sei venuta nei sogni e poi hai taciuto per tempo che pareva interminabile. Ho frainteso, pensandomi solo, da te lasciato solo. Ho sbagliato, sempre tenerezza hai per me inesprimibile e il cuore mi si disfa nell'ascoltare anche il tuo silenzio apparente. E se la mente nulla ritiene delle parole tue e solo ne rimane dolcezza e il calore della tua voce, tu, se taci di noi pensosa, lascia mi parlino il sorriso e gli occhi tuoi, per questa donna! Non son forse già mite e umile nel cuore, non amo solo questa tua vicaria, e non ne capisco forse l'amore, che da te le viene? Ma tutto il mio passato fino a quello assai prossimo va redento. Che, chi se non l'amore lo farà? Sì, proprio quello che da te viene attraverso lo spessore di caligine che qui fa il male e che recettivo cuore ritiene per l'uomo suo. Così, umano divenuto, nel cuore che l'ha non rimane. Che fa? Sa ascoltare altro cuore, sa dirgli, non lo giudica, sa comprendere, e con quello, che dire gli sa, ne lenisce ogni pena. Donne così vengono a noi semplici. Ma non da chi fa gregge e sempre loda eccessivo la condotta del potente, adula sperandone favori e d'appartenere al codazzo suo, non ha ritegno, anzi s'onora. Non da chi pronto si dice al servizio suo e poi, al cambio di sorte, si appropria delle spoglie e degli ormai cenci del caduto. Ma la nostra ci avvicina spesso nella umiliazione, ci aiuta a superare il dolore che ci fa angoscia. C'è anche nell'abbandono della fortuna, quella che fa folla intorno, sì, nella solitudine pure. Quanto diversa è una tal donna da chi fugge via alle minime difficoltà della vita insieme! Falso l'interesse suo, falso quello che dice, falsi più ancora gli arzigogoli dell'egoismo suo di femmina vana. Questa mia non è così. Sa che l'amore vero non umilia, sa tacere. Ecco quest'amore tutto di sé sa donare generoso e lo fa di slancio, senza falso pudore interposto. E questa pur ancora sa sorridermi quando anche, or proprio, pianger l'abbia fatta! Non hai qui per me migliore icona, ti fa specchio, ché mima il tuo fare e il dire e il silenzio del tuo amore, e non sa di farlo! E' mite, è umile. E tu, “inter omnes mitis et super omnes speciosa”, fa che da me più non abbia a soffrire. Sanale gli affetti suoi di cui oggi ha angustia. Amala più e più ancora, più di quanto io possa amarla mai. D'amore è piena, ne trabocca e qui proprio nei sentieri lividi del male, che con me percorrer vuole. Dalle la gioia, che darle non ho saputo. Amala e lascia per me un sol raggio dell'amore tuo. E' lei la buona, sì lo dico ancora, quella che ti imita senza saperlo. E' di te simbolo vivente, fa qui in tua vece ciò che le metti nel cuore. E' ella che da sveglio prolunga il mio sogno e fa che ad occhi aperti, continui a vederti. Io sono stupido maschio, non sapevo che solo l'amore avvicina a te. Piega le cose tutte, ferma su poveri amanti il tempo. L'amore di ora in ora si rinnova, anzi s'accresce fino a riempire di sé già duro cuore. Solo così fa cespo, fa rigoglio il bene, ché esso si fa carità e dono per tutti esser vuole. Sì, muta l'indifferenza in attenzione, partecipazione, condivisione. E se c'è cosa che altro angusti, ecco sua diviene. Ed io? So porvi rimedio? Bene! Non so? Prego! Ecco che fa vera donna, muove alla tenerezza indurito cuore. Fa parlare perfino il tuo silenzio. Pause, ma ora di sorriso, parole sulle vostre bocche, tutte espressioni d'amore che fan dolcezza a questo vecchio cuore!

martedì 14 maggio 2013

Quel che il cuore mi dice







Interrogato ho il cuore, scosso, ché ne uscisse il vero. E la domanda, Hai un amore terreno ancora? E lui, L'ho nei ricordi. Perché così? Questa mia, tu pronuba, candidata con me s'è alle tue stelle. Ecco, allunga le ombre sue la sera e languori porta su questa terra, ma ne sfuggo, ché mi fingo fiorellino d'una radura del bosco tuo incantato, ove solita sei, sole declinando, visitare gli affetti tuoi cari, che poi potranno addormentarsi felici. Sola non sei, altra bianco vestita t'accompagna. Leggiadra è pur ella sui passi suoi e discorre con te amorevole. E' lei proprio, e scalza è come te, e dolce, lieve, posa le piante sue, ché nessun senta il suo peso, che forse più non ha. Un brivido scuote i fiorellini tutti e me, ché doppia carezza ricevo e gli aliti vostri sento sulla corolla, chinate a baciarmi...Ecco, qui favole simili racconto a questa donna, ché ne faccia materia dei sogni suoi, imminente la notte. Ed ella le sue vuol dirmi, e son d'amore, e loro più ci fanno estranei da questo mondo. Ma ella è madre, e alle preziosità del cuore suo resta legata. E' bene rimanga e visiti la radura incantata quando, fiore fatto, da tempo trapiantato lì mi avrai. Ecco, nel mio racconto, tanti nomi pronunci a indicar or quello or l'altro di noi, i nostri veri, quelli che significano di ciascuno la storia. Ed ella li intende tutti e se ne intenerisce, ché nell'amor tuo legge. Ma tutti siamo una sola fragranza, tutti per voi allo stesso modo belli. Lontano s'è fatto il frastuono delle ore dabbasso e mai qui, sotto a greve cielo, filtra del sole giocondo pallida la luce. Fa sempre primavera e noi variopinta la vallea rendiamo e della presenza nostra, essa che di noi ride, profumata è tutta. Ma il sole, roggio, già tutto declina e invita al sonno e così al sogno, stanchi gli uomini in terra rimasti, e noi a sognar di voi... Ecco, tutto uggioso a questo racconto, il mio giorno esser non può. Io la guardo alle piccole incombenze sue di donna, e or sorride alle facezie mie, poi serio di nuovo si fa il volto suo, ché forse ella si interroga sul significato della mia fiaba, che mi dico e ridico, ché piccolo e insignificante vi sono, ma amato. Esso per me ancora è tanto bello che quasi portarmene vorrei altrove il ricordo. E' lei, sai, che con le storie sue d'amore e con le bagatelle, che s'inventa da farmi credere indispensabile a risolverle, che qui mi trattiene. Pretende su tutto il mio consiglio e poi credo faccia a modo suo. E' fatta così. Ma il legame nostro non è fatto più per questo mondo, i cuori nostri, innamorati, etereo lo fanno, e tutto il nostro mondo di due è d'azzurro colorato e tu visitarlo puoi, e ti piacerà. E la rassicuro, la ricorderò, se tu d'andare mi chiedi. E allora ti dirò. Giovane timida era e bella coi capelli suoi lunghi castano scuri e mi molceva il cuore. Poi donna sicura a far conforto al declino mio del calore suo. Attenta sempre, amorevole, dolce. Tranne che la gelosia di altre femmine non la prendesse. Ma più bella nei crucci era e adorabile pur negli inevitabili rimbrotti. Come scordarla potrei! Distratto dagli occhi suoi non m'hanno i tanti luccichii di lì, e gli occhi tuoi belli ora ai suoi mi rimandano... Oh quanto ancor distratto mi sono, prefigurando con te il destino mio, e quanto ancor ella s'è lasciata incantare sul far della sera in un giorno di primavera! Starò con te ad attenderla fin quando chi qui l'ama, la lascerà fino a noi volare.

domenica 12 maggio 2013

Le tue parole







Quanto son belle le tue parole, son d'amore sempre nelle favole che mi racconti o taci! Ma me ne dicono gli occhi tuoi, supplendo alla ritrosia tua d'eterna timida innamorata. Fan esse carola con i pensieri miei che cerco degni per la fata del cielo. Salgono con essi vaporose e lente come nebbiolina che il primo sole sollevi dai bagnati dopo pioggerella, in questo tempo di primavera. E io mi ci smarrisco di felicità e ne sospiro nostalgico quando ti sono lontano. Che fai quando solo il mio cuore continua a vederti? Che pensi tutta intenta a piccoli mestieri nell'orto? Che dici alle gallinelle tue quando le pasturi con mistura sapiente o con foglie di lattuga di cui sono insaziabili? E che ti dice di meraviglia il cuore quando, rovistando la stia, vi trovi più uova? Io so che far la contadinella ti fa felice e io t'aiuto nelle colture di stagione se qualche compito me ne affidi. Sta trascorrendo così questa nostra ultima età. Serena ne sembri e non più tanto ansiosa delle bizze del mio cuore, che al buon medico che il figlio tuo è diventato, affidi. E io alla passeggiata tra le variopinte essenze di novelle fragranze ti penso, e prego. E qui al cuore, che cantar vuole dolce canzone d'amore, fan bordone uccelletti amorosi all'arte loro intenti. E c'è volo di farfalle vaghe che andar potresti vedere di fiore in fiore, dopo che se ne sono allontanati i brontoloni bombi, che rovistano tra le loro corolle. E' un mondo incantato non meno ameno del tuo. Tu al mio ritorno saper vorrai di ben altri incontri e di lor facezie per amiche in cui mi imbatto, che qui lor cani conducono. Ma te solo vedo nelle altre tutte e faccio come a te parlassi. E così accade che qualcuna sorrida a quel che sempre ancor per te fingo e invento. Ma poi quelle, benché tentino dolcezza dalla loro giovane età, le tue parole non hanno e capisco che è tempo che torni a te e agli occhi tuoi che accompagnano dolce quel che dici al mio cuore. Che farò quando, seppure per brev'ora, ne sarò privo tra le stelle?


Ecco, è appena giunta Argo, la nave che ne porta novelli al labirinto delle stelle e io la mia Arianna più non ho! Che sarà quando la bella donna che qui regna vedrò? Forse parlarmi vorrà con le tue stesse parole, e il tono della sua voce sarà come il tuo caldo e dolce, e le rideranno gli occhi belli come i tuoi.


Anche così faceva nei sogni che la bontà sua talvolta mi regalava dabbasso alle bassure del mondo in cui or lasciata t'ho. E assai bella vi era, cereo il viso, nell'abito suo candido. Questo continuerò a dirti per i miei fortunati incontri con la bella innamorata del cielo. Ma fuor di metafora, vero vorrei che vedendola in sogno, come la mente mia la vede, te ne innamorassi più ancora, come io lo sono. Capiresti come ti renderà bella agli occhi miei avidi, quando tutta per sé t'avrà nel cuore. Assai piccola cosa è l'amor mio per te, briciola di quello promesso che le dovrei attraverso la tua persona dolce, ma un giorno le parlerò, parlandoti, con parole simili a quelle sue che tu m'anticipi qui in questa nostalgia del suo cielo!

venerdì 10 maggio 2013

Come scemo d'amore vado







In questi tempi difficili, ecco, si dice, è bene esser previdenti e provvedere al domani, incerto per tutti, e vederlo tutto minaccioso e lungo tanto, come se senza tramonto sia. Ma non è questo l'atteggiamento che cura eccessiva tutta a se stessi rivolge e fa grama la vita degli altri e invilisce la nostra spiritualità? La vita di tutti è un trascorrere altalenante di viltà e di eroismo. Ma tu eroi ci vuoi, mai vili! Ecco c'è chi vive una vicenda diffusa desolante, quella che lo sprovveduto avvilisce, fa pusillanime e soggioga, quella con cui il vile fa compromesso per subirne il minimo danno o peggio averne vantaggio. Questi invece la domina e ne fa occasione d'eroismo, ché se stesso e il mondo intorno a sé affranca. Che, chi lo guida? Lo sostiene l'amore, il tuo, sempre. Così egli ha attenzione e cura del destino personale, ma non esclude quello degli altri, degli ultimi anche, che sono i più oggi, ché egli lo vuole coinvolto nel proprio bene. Torbida è invece la fiumana che scende dall'egoismo, esonda, spande l'acqua sua putrida e ne inaridiscono i germogli nel terreno fecondo della nostra fede e non ne restano che sterpaglie immonde di ipocrisia. E' il mondo che il vile permette. Ecco pur viene l'aiuto invocato dal cielo nel bisogno a chi implora desolato da questa umanità, oggi tanto provata, ché chiama un'anima accorata dalle lacrima sue. Ma tu non hai mani solo le nostre! Noi siamo gli intermediari dell'amor tuo. “Qui potest capere capiat” direbbe il figlio tuo! Non dobbiamo sciupare la vita nel non vedere e non voler sentire, cupidi solo dell'accumulo personale di risorse, sì, non dobbiamo star dietro alla ricchezza. Questa è spesso frutto di ladrocinio, ché sempre è non solo da fatica personale, ma dal sudore, dalle lacrime e dal sangue di altri. E l'avaro invilisce per essa la vita sua, nulla l'inorridisce, niente lo ferma pur di accrescerla, né il sangue che potrebbe versare, né il delitto divenuto possibile. Questi ne ha tanta brama sempre da far qui la patria sua, che sciocco vede come eterna dimora, ché d'altra nostalgia non ha, né vuole. Vi muta la luce, che pure v'è fioca, in tenebra fosca, più favorevole alle trame sue, e fa coll'agir suo questo mondo più inferno ancora, ché il dio suo tu non sei, ma è mammona. Ecco, è breve per tutti la vita, una storia di normale affanno nella tristezza per lo più, con intoppi sempre, e mai fratelli, ma concorrenti, antagonisti, lupi spesso, si incontrano. E lottiamo tenaci per raggranellare poche cose di qualche conto e vile denaro sopratutto, sempre troppo poco per gli scopi prefissi. Quello che al fine ci permetta di indossare un abito ritenuto decoroso, magari decorato con galloni dorati, quelli del premio a una vita soddisfacente e perfino pensata ben spesa. Sì, un riconoscimento allucinato, tutto solo personale, ché intorno non si lascia che rancore e odio, dell'impegno tenace che primeggiare ci abbia fatto sui tanti su cui violenza s'è usata più che subita. E poi? Ecco improvvisa notte s'è fatta, tramontato è il giorno nostro! Né abbiamo agito per il bene diffuso, né pregato che s'affermasse. E ' tardi per tutto, esangue s'è fatta la preghiera nostra,disperata di pentimento, ché tu segno non dai che ci ascolti! Meriteremmo di rimanere in quest'inferno se il perdono tuo non ci chiamasse. Dobbiamo andare, soma abbiamo, no siamo, di peccati o forse solo di viltà. Che ci è mancato? Non abbiamo dato risposta al tuo amore. Abbiamo in fondo solo preso, nulla o poco dato. E io sono così proprio? Ho disperso l'amore tuo, ho fatto ancor più quest'oggi triste, manco d'amore? E dire che capir dovrei amore e le esigenze sue, ne ho ottima maestra, questa che tutta si spende per me. La favola d'oggi mi racconta che parla d'un amore perduto e così la chiude, ma nel nostro bel dialetto, Dico al vento, va, portami l'amore mio e seppure vecchio me lo portassi, io ancora più bene gli vorrei! Così m'incanta, ma pur scemo d'amore ne rimango e così vado!

martedì 7 maggio 2013

Una parola sola







Keplero, che alla tua luce guidato si pensava dalla luce della scienza, al tempo in cui molto si dibatteva sul caos iniziale da cui questo cosmo ordinato sarebbe venuto fuori, chiese così il parere della giovane moglie. Ella offerto gli aveva un'invitante insalata. Ebbene, pensava ella che gli ingredienti usati, da lei, certo sapientemente dosati, si fossero separati dal caos primordiale, perché in un preciso momento nel tempo e luogo nello spazio, ella li utilizzasse, ultimo intermediario, per quel gustoso piatto? Rispose ella, convinta, che non poteva essere accaduto proprio per quella sua insalata, che ella evidente preparata aveva con in più l'amore. Keplero abbandonò l'idea che dal caos provenisse l'ordine delle cose tutte. Perché questo aneddoto? Io in certi momenti pregare non so, mi turbinano senza pace parole e frasi con quelle, ma da quelle tante che dentro sento, nulla di degno ne esce per te. E' il dramma di chi ti invoca da mane a sera, caos gli fa amore dentro, e non sa più che fare e dirti di vero bello, per catturartene ascolto. Amata sei, è la sola cosa certa, e tenta per te il cuore dolcezza, ma poi continuare non sa. E tu ché non mi soccorri? Sì, spira sull'anima mia avvilita come aura di primavera, che le cose tutte di qui alla vita ridesta. Canti la voce tua nel mio cuore e lo faccia puro, fresca più della rugiada dell'alba, feconda più del sole, che alto rosseggia su queste essenze che tutte nuove ha ricreato e rivestite di splendido manto. Vieni in queste notti serene e fa ridere la pupilla di questa mia donna, che virtù ha della mitezza e della dolcezza, e che riguarda con pia malinconia l'ansia mia. Fanne simbolo vivente tuo nel cuore mio, e vi agisca e ti significhi e porti ordine e luce là dove s'attarda la notte e si combattono le ombre sue. Ecco, mi invita a sottrarmi alla rozzezza del tempo e a sostare con lei nel suo giardino fiorito che olezza primavera, ché lo senta oasi sotto l'incanto delle tue stelle. Ella ombra di malignità non conosce e ha candore se ripetermi vuole che è amore la vita e che è amore a farci palpitare navicelle su mare immane sospirando porto. E quale? Questo cielo, ché sull'orlo del mondo questo tanto incurva i mille e mille brillii suoi, quelli che avacciano di incanto i cuori nostri, che per noi, che porta amore, trapassare in essi facile diventa. E' l'ultima favola sua! Io resisterle non so e se carezza ora mi fa come a bambino sperduto che di madre il seno cerca amoroso rifugio, e mi dice parole, ecco dolci sono e io so ora cosa dirti, quello che oso per questa che le lacrime mie bacia. Che le dico? Una parola sola, Amore!

domenica 5 maggio 2013

Quando amor falla







Ecco, un mistero aleggia in tutte le cose e gli uomini spinge a porsi problemi, cui cercar risposte sempre più adeguate. Si interroga sempre daccapo la natura, si vagliano le risposte già date, parole chiare e soddisfacenti non si trovano, e “naturalia” suscitano nuove congetture, e come fanno gli “arcana dei”, celate rimangono. Presto ci si accorge che la radicalità di certi giudizi sconsolati dello stare al mondo, come il “nihil sub sole novum” dell'autore biblico e il “nil admirari” del nostro Orazio, sono solo semplificazioni amare, accettate da chi la vita ha fortemente deluso. C'è molto che dà motivo di speranza, oltre al goder delle piccole cose belle e buone che la vita offre, su cui i due autori convengono. E che? L'amore, credo. E se manca, le piccole gioie, che danno le cose in natura, vi suppliscono. Perché? A chi le sa guardare senza preconcetto e superficialità, non sono scontate e ripetitive, non sono tristi nella noia che suscitano sempre uguali, ma hanno del degno del nostro interesse, e la curiosità che generano è premessa a vero godimento dell'anima. Ecco un piccolo toporagno. Immane fatica fa lungo la scarpata il cui terriccio frana sotto le sue zampette, che inutile agita, per forse riguadagnare della tana la sicurezza e la pace. Lo prendo e quello inutile protesta agitandosi tutto, pensandosi vittima di un animale da preda. Mai ho visto di più minuscolo bello, mai ho avvertito di più morbido! E, madre, ti ringrazio per avermelo consentito, poi lo adagio sull'erba e lui va. Ecco, godere di questi fatti, saper che nelle cose e dalle cose, si può avere motivo e occasione di sentirsi sereni e spesso felici, per uno spirito semplice, può divenir l'ultimo rifugio, se l'amore umano lui trascura o esonera come talvolta fa, ingiusto. Ma è anche l'ultima possibilità per te d'amarlo. Tu principalmente ami attraverso noi, se e quando altri amiamo. Ma l'amore vero è raro quanto è sublime, parvenze, luccichii se ne hanno e spesso, vanito precoce, ne restano solo vestigia. Talvolta esso non può andare oltre l'intenzione espressa o taciuta, perché circostanze, contingenze, psicologia avversa, vi fan barriera. E nello speciale rapporto di amicizia tra esseri complementari, l'andar più oltre talora sconsigliano considerazioni di opportunità, come quella che barriera fa una notevole differenza d'età. Allora l'amore va auspicato per l'altro e una possibilità insospettata si ha nell'imitare l'amor tuo. Tu spessissimo ami per quello che persona può offrire ad altra, molto o poco, ché ami attraverso cuore umano, generoso o geloso del suo. Così se di giovane donna si gode confidenza è meglio dal proprio cuore dirle, Se qualcuno t'ama è per me come amarti, ché il bene tuo desidero. Perché? Forse non è bene che gentilezza sia per tutt'altro scambiata, e scada nel ridicolo. Ecco così proprio, oggi mi sono candidato a imitarti! Ma cos'è il più che si può fare? Vi sono qui derelitti che l'amore umano neglige, allora, e valgono per tuoi, piccole attenzioni e gesti di opportuna cortesia entrano a far un po' di luce, come parvenza d'amore, in quel mondo di solitudine. E poi che resta? L'amore di un piccolo fedele animale, l'afflato delle cose tutte, come queste di primavera, fiori, farfalle, uccelli. Perché? Io stesso, che son fortunato e amar mi puoi per cuore di piccola donna interposta, ne godo. Poi il nulla! Oh onnipotente proprio non sei! Non filtra per lo spessore del male l'amor tuo e tutti non raggiunge, anche tu sei nella solitudine, manchi di molte risposte e solo ne sospiri!

giovedì 2 maggio 2013

Semi di odio e di speranza







Quando, madre, si guarda attraverso un caleidoscopio, le immagini offerte sono continuamente cangianti a seconda della disposizione reciproca dei frammenti di vetro colorato, e qualcuno rimane incantato, come a me, bambino, accadeva. Al contrario, il multiforme susseguirsi di quelle dà ad altri impressione di monotonia di cose di poco conto, nonostante le tante combinazioni offerte, e non suscita meraviglia, non si è bambini abbastanza, ma noia. Così nei fatti di questo mondo confuso. C'è chi scorge ricchezza e bellezza nella varietà e nel mutamento, come lo star tra gente diversa, chi al contrario, blocca la mente nella fissità del consueto e la diversità provoca anzi disappunto, ansia e ne vuole l'esclusione dal proprio mondo. C'è in questi un pregiudizio di fondo che tiene in uggia il nuovo e l'imprevisto e non tollera il contatto appunto col diverso. Proviene dalla propria posizione sociale, proviene dall'educazione ricevuta e dai valori offerti, lo stare in un ambiente che osserva certe tradizioni, il vivere in una terra che richiede certi adattamenti e regole, l'esprimersi con una determinata lingua, il non tollerare altri giudizi e diversa scala di valori per le cose. Si diventa allora gelosi delle prerogative, dei vantaggi, delle esenzioni che vengono dall'appartenere a una casta, a una etnia, a un popolo, a una storia. Ecco è come se lo stare in un luogo, tra gente che si conosca o da cui non si tema minaccia, sicuri faccia della lontananza di un pericolo, ché tra pari si pensa improbabile. E se tutto questo ha motivazioni giustificabili, tu accettar però non puoi l'egoismo. E poi cacciando i diversi, senz'altro vaglio, da casa propria si finisce col mettere alla porta il dio stesso, te, il totalmente diverso, l'altro. Si dimentica che tu proprio hai predilezione per i minimi senza credito alcuno né voce, i vinti dalla lotta per la vita, i disprezzati, e stai tra loro e sei in loro. Ecco allora che talvolta la “vox populi”, che dice le ragioni sue di esclusione dello straniero o del diverso, adducendo che molti guai vengono dalle pretese degli appena arrivati, e fa agire per pregiudizi col rifiuto, non è “ vox dei”. Occorre allora per non perderti, rischiare il disaccordo con la propria gente, occorre rischiare, per le proprie giuste idee, la solitudine dell'emarginazione, il marchio di amico dello straniero. Certi atteggiamenti di diffidenza del diverso e talvolta anche del più debole e bisognoso, non vanno troppo tollerati, sono quasi sempre eccessivi e non troppo giustificati, ché sono il seme della violenza e del razzismo, sempre risorgente minaccia, ricorrenti nonostante condannati dalla civiltà e dalla storia dei popoli. Ecco, proprio qui da noi, la nomina di una donna diversa per il colore della pelle, a occuparsi, al massimo livello, dei problemi dell'immigrazione, ha scatenato un vespaio di feroci commenti e ha fatto gridare allo scandalo. Io sarei tentato, se non me lo vietasse il buon senso e la dimestichezza, di cui ho vanto, con te, di rispondere all'offesa, offendendo, col chiedermi. E' da parte di gente solo mediocre o c'è di più della stupidità, c'è malignità? Ma sarebbe insolente aggressività, offesa appunto, pari al loro blaterare, questa risposta. Ma io non posso, né voglio, comprendere questa mala genia che fa il proprio e l'altrui danno, allontanando da te, che hai raccomandato l'amore per tutti. Come posso dire d'amarti se non rischio amando? Ogni amore è rischio, possibilità di sconfitta, di venir ricambiati col disprezzo e odio addirittura. Sì, di esser incompresi, di venir insolentiti, scherniti per la propria offerta di bene. Non è la frequentazione saltuaria o assidua del sacro, non è recitar formule, aver fede riposta sui dogmi, che fa il tuo credente, ma chi ama. Soprattutto chi è scomodo, primitivo, senza costume, e fa paura perché non come noi. Se io non ho l'amore, ogni ricchezza che mi proviene dall'osservar regole e consuetudini è un di più che fa peso, soma. L'amore non appesantisce, libera l'anima, ché si inazzurri fino a raggiungerti. Mai bisogna perdere tenacia nell'attesa fiduciosa di te, la speranza che tu e il figlio tuo veniate palese. Il futuro viene, ma non come ripetizione del passato, non è ripetizione di luoghi comuni, pregiudizi fondati su idee antiquate che giustifichino il rinchiudersi nel proprio saputo e sicuro senza i problemi posti dai diversi per provenienza, colore,costumi, credenze, religione, è novità. Sì, in tanto male il nuovo non può essere che bene, il tuo bene!

mercoledì 1 maggio 2013

Un solo amore







Oggi tra stormi di rondini, che giulive armonizzano con la primavera di qui, sono. Perché rispetto a me, che lento guadagno del chinale l'altezza, volano basso da lasciarsi ammirare. E nugoli di piccole nere vespe, credo, salgono a interferirne il volo perdendosi nell'azzurro. E quando il cielo si fa sgombro di quei muti araldi di primavera, ecco i balestrucci che a piccoli insetti mirano e velocissimi quasi mi sfiorano, ma poi alti volano. Fanno questi metafora dei miei pensieri per te, piccoli, leggeri, timidi sono e in alto vanno a cercar ascolto. Ma da dove vengono e se di te son degni, mi chiedo. La psiche nostra è luogo di tanti conflitti, ché immagini vi si affollano, parole vi risuonano, ricordi ci allietano o disturbano, e poi emozioni, impulsi, desideri contrastanti, tutti vi fanno ridda. Ma, ché non si dissolva l'unità di persona, devono conciliarsi, cercar compromessi e aggiustamenti, spesso tra opposti, e se ne fossimo consapevoli, consci, ne sarebbe proibita la allora stridente sintesi. Invece accordo vi fanno, ché le inibizioni razionali, affievolite e inefficaci a zone profonde e oscure dell'inconscio, giungono. Ecco allora la perplessità mia. Io ti penso dal cuore, che metafora è dell'insieme dei sentimenti belli e cari, che sono, fanno l'umanità mia. E' la parte mia migliore e vi ti conduco. Ma da lì tutto pervaso ne devo essere, il mio celato profondo anche. Ma là non ho diritto di coerenza e di farvi armonia, così non ho sicurezza che le mie parole per te, rimedio siano alla promiscuità che là regna e che di per sé è male. Più ancora, le cose belle concepite per te, anche volar vorrebbero e raggiungerti fuor dei miei meandri, lì impegolate nel me remoto, primitivo e oscuro. Ma volano basso, son rondini comuni, non balestrucci. Resistenza vi fanno le bagattelle di qui e vi rimango impigliate come uccelli in rete presi. Ecco allora, io dico, è bello pensar di lei, ma le mie parole non mi santificano, ché già in me resistenza trovano, e poi fuori disperse forse sono, senza speranza d'ascolto. Allora, madre cara, che mi resta? Solo un appello all'amor tuo, e dico. Se bene mi vuoi e convinta dell'amor mio, raccogli allora le parole mie, imprecise, fragili, timide accennate, diverse dalle meravigliose in me nate, attardate da mille intoppi. Falle tue! E quando la preghiera mia si fa accorata, ché mi fa pena o mi strugge la sorte di qualcuno, amplificala. Aggiungi del tuo. Bagnala delle lacrime tue e dei gemiti tuoi rafforzala. Il figlio tuo non le resisterà! E quante richieste simili avrei, tu vedi che ne piango! Ecco, profumo si spande dalle prime infiorescenze, e qui a lungo rimane a far primavera, senza vanire. Fa che di simile accada alle parole mie, sono per te, sono per lui. Passino per te saturandosi, ché se ne respiri aria “unguenti fragrantis” e così questa a lui le porti. Non sei tu che lodi la mia piccolezza, ti meravigli della mia sincerità, scorgi del buono in me e incanto ti fanno le favole mie d'eterno bambino e lì corri con me bambina, la mano nella mia, a saltar cespugli? Sì, leggi oltre le superficiali apparenze e “nomen bonum” m'hai dato, e lo porto con timore e sofferenza, cercando di rimanerne degno. Allora oggi accogli la mia lode, forse piangerò domani cercando il tuo soccorso, e allora le mie pene farai tue. Noi siamo due e quanto diversi! Ma così come dico di me e questa piccola donna, un solo amore!