venerdì 10 maggio 2013

Come scemo d'amore vado







In questi tempi difficili, ecco, si dice, è bene esser previdenti e provvedere al domani, incerto per tutti, e vederlo tutto minaccioso e lungo tanto, come se senza tramonto sia. Ma non è questo l'atteggiamento che cura eccessiva tutta a se stessi rivolge e fa grama la vita degli altri e invilisce la nostra spiritualità? La vita di tutti è un trascorrere altalenante di viltà e di eroismo. Ma tu eroi ci vuoi, mai vili! Ecco c'è chi vive una vicenda diffusa desolante, quella che lo sprovveduto avvilisce, fa pusillanime e soggioga, quella con cui il vile fa compromesso per subirne il minimo danno o peggio averne vantaggio. Questi invece la domina e ne fa occasione d'eroismo, ché se stesso e il mondo intorno a sé affranca. Che, chi lo guida? Lo sostiene l'amore, il tuo, sempre. Così egli ha attenzione e cura del destino personale, ma non esclude quello degli altri, degli ultimi anche, che sono i più oggi, ché egli lo vuole coinvolto nel proprio bene. Torbida è invece la fiumana che scende dall'egoismo, esonda, spande l'acqua sua putrida e ne inaridiscono i germogli nel terreno fecondo della nostra fede e non ne restano che sterpaglie immonde di ipocrisia. E' il mondo che il vile permette. Ecco pur viene l'aiuto invocato dal cielo nel bisogno a chi implora desolato da questa umanità, oggi tanto provata, ché chiama un'anima accorata dalle lacrima sue. Ma tu non hai mani solo le nostre! Noi siamo gli intermediari dell'amor tuo. “Qui potest capere capiat” direbbe il figlio tuo! Non dobbiamo sciupare la vita nel non vedere e non voler sentire, cupidi solo dell'accumulo personale di risorse, sì, non dobbiamo star dietro alla ricchezza. Questa è spesso frutto di ladrocinio, ché sempre è non solo da fatica personale, ma dal sudore, dalle lacrime e dal sangue di altri. E l'avaro invilisce per essa la vita sua, nulla l'inorridisce, niente lo ferma pur di accrescerla, né il sangue che potrebbe versare, né il delitto divenuto possibile. Questi ne ha tanta brama sempre da far qui la patria sua, che sciocco vede come eterna dimora, ché d'altra nostalgia non ha, né vuole. Vi muta la luce, che pure v'è fioca, in tenebra fosca, più favorevole alle trame sue, e fa coll'agir suo questo mondo più inferno ancora, ché il dio suo tu non sei, ma è mammona. Ecco, è breve per tutti la vita, una storia di normale affanno nella tristezza per lo più, con intoppi sempre, e mai fratelli, ma concorrenti, antagonisti, lupi spesso, si incontrano. E lottiamo tenaci per raggranellare poche cose di qualche conto e vile denaro sopratutto, sempre troppo poco per gli scopi prefissi. Quello che al fine ci permetta di indossare un abito ritenuto decoroso, magari decorato con galloni dorati, quelli del premio a una vita soddisfacente e perfino pensata ben spesa. Sì, un riconoscimento allucinato, tutto solo personale, ché intorno non si lascia che rancore e odio, dell'impegno tenace che primeggiare ci abbia fatto sui tanti su cui violenza s'è usata più che subita. E poi? Ecco improvvisa notte s'è fatta, tramontato è il giorno nostro! Né abbiamo agito per il bene diffuso, né pregato che s'affermasse. E ' tardi per tutto, esangue s'è fatta la preghiera nostra,disperata di pentimento, ché tu segno non dai che ci ascolti! Meriteremmo di rimanere in quest'inferno se il perdono tuo non ci chiamasse. Dobbiamo andare, soma abbiamo, no siamo, di peccati o forse solo di viltà. Che ci è mancato? Non abbiamo dato risposta al tuo amore. Abbiamo in fondo solo preso, nulla o poco dato. E io sono così proprio? Ho disperso l'amore tuo, ho fatto ancor più quest'oggi triste, manco d'amore? E dire che capir dovrei amore e le esigenze sue, ne ho ottima maestra, questa che tutta si spende per me. La favola d'oggi mi racconta che parla d'un amore perduto e così la chiude, ma nel nostro bel dialetto, Dico al vento, va, portami l'amore mio e seppure vecchio me lo portassi, io ancora più bene gli vorrei! Così m'incanta, ma pur scemo d'amore ne rimango e così vado!

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