martedì 30 dicembre 2014

Amore silente






Come or che povero d’erbe è il chinale e quasi tutti spogli i suoi cespugli, posso sì immaginarlo di primavera, bello di fiori novelli trapunto, ma nessuna visione, per quanto ricca suggerita dalla mente o ad essa richiamata dal passato, vero ne può anticipare la meraviglia, che mi desterà l’immediata percezione della sopravvenuta bellezza, così certo accade a tutti se si tenta di presagire la vita futura promessa. Talvolta un bel sogno m’apre prospettive inimmaginabili oggi ancora, come spesso m’accadeva bambino, perché in quello il pur breve piacevole vissuto fa nell’anima mia nascere una gioia, che si prolunga e resta al risveglio, e coagula nella speranza che di simile mi possa accadere nella realtà, previsione quel sogno, a dispetto della monotonia e grigiore dei miei giorni comuni. Ma quando poi vero m’accadesse, il previsto ne sarebbe sempre scialba parvenza. Così per tutti, se langue la terrena, la vita futura è sospirata. Tuttavia presto arrendersi deve la fantasia anticipatrice, carente restando per quanto audace, mai liberata delle immagini inadeguate a tal compito, quelle che qui s’affollano e tra cui si spende nella vanità o pur trascorre, quasi sempre distratta, la vita. Ma timidi azzardi sono possibili, e io sperar voglio che ripresentate saranno le occasioni di bene, qui da me disattese. Allora anche per me, che certo qui ho molto deluso e talvolta invece sono restato amareggiato, i personaggi di quelle manchevoli storie forse pienamente godranno della gioia, qui lesinata o negata, nel dare e ricevere. Perché? Noi saremo diversi, certo migliori e, nuova legge nel mondo della bontà, sempre aperti all’accoglimento riconoscente del ricevuto, mentre i destinatari del nostro eventuale dono lo magnificheranno prezioso, quando pur piccolo sia stato. Ma se il nuovo è il mondo dell’amore, io più ancora vi desidero, che occhieggianti fiori vi siano sul mio cammino e mi ridano, io incontro a loro andando. Siano per me compenso della pena che ho avuto, sempre rinnovata, nel ricordo di occhi che qui, disattento, ho fatto sicuro piangere, carente l’amore manifesto e le parole sue. Sarà perché questo vero m’accada che qui mai mi sazio di contemplare quelli assai belli della mia donna, sì, proprio per ritrovarli nella memoria e rivederli nel sogno futuro. E sarà la presenza loro, pur nell’apparenza di fiori novelli, che mi dirà che vero tutto quel che intorno m’accade mi appartiene, fa la mia vita, la mia nuova storia, la mia favola. Vero, come qui i suoi occhi solo per me sono, non sarà un susseguirsi di pur belle immagini, sì come di favola, ma cui solo assisterei da estraneo, come quando bambino m’accadeva soffrendone, qui solo restato, escluso nell’indifferenza degli altri. No, quegli occhi mi diranno che tutto sarà per me solo, una realtà che per esistere mi chiederà soltanto di desiderarla! E a questa donna pur dico parole povere per un sì grande sogno che con sé la vuole, come bambino, balbettando, tentavo di dire, Mi piaci, alla piccola occhi belli di quella estate, e questi occhi, come quelli dei sogni d’allora, mi ridono di gioia, occhi di silente amore!


Ego sum resurrectio et vita. Quicumque credit in me, etiam si mortuus est, vivet!

sabato 27 dicembre 2014

Ritorna il cristo



Credo che nessuna obiezione desti l’affermazione che ogni storia umana sta nelle potenzialità di vita di ogni altro uomo. È come dire che dei fiori gialli di cui tutto si ricopre a primavera questo chinale, la sortita, la crescita e il declino di ognuno facciano la storia, il destino di ogni altro e li anticipino per le stagioni belle future e li ripetano per le passate. Ma se dico che nella vicenda del cristo sta ogni altra umana, esprimo di più, ché includo la speranza che nel destino particolare di ogni uomo finirà col manifestarsi la gloria della resurrezione sua. Un’ affermazione che va a se stessi chiarita, nocciolo della fede, svelamento del dio. Complessa è questa nostra vita, esposta alla viltà, all’ingratitudine e all’indifferenza di molti. Ma se dico che il cristo ha la potenzialità del destino di tutti, e vi includo l’uscita dalla pace riguadagnata dai sopravvissuti e dal loro oblio, cui i morti tutti sono destinati, ecco c’è come un salto in quest’affermazione che richiede la fede, è dirli perdonati e già nel suo cielo. Tutti sperimentiamo il dolore e ogni vita solo s’acquieta cessando, quando vanisce il male che tutta l’impregna. Ma lui la completa per tutti, ché tutto grida alla giustizia negata nella sua personale storia e nel suo di morente c’è ogni altro grido, ma c’è altro ancora. E che? La comprensione della necessità del subito, la propria responsabilità nell’accaduto e nell’epilogo, il perdono ai detrattori, e più ancora il perdono, no, di più, l’amore per i nemici, almeno corresponsabili! Ma oggi, come sempre, una dilagante voglia di orrori rinnovata e d’ebbrezza da altrui pianto, e la storia del cristo è daccapo ignorata o nulla dice ai novelli sordi, scudo agli ipocriti ancora la croce, eppure tutto si ripete! E io che farò? Anticipo il perdono per chi vuole il mio annientamento, ma l’amore come potrò? Va vissuto anche se per un istante solo di sopravvivenza, palesi i nemici! E sarà la mia morte forse solitaria e nell’indifferenza dei più, anche se donna ho in piccolo amore, che mi coinvolge, impegnata. Ma forse invece sarà con tanti in una nuova guerra, ingiusta e indifendibile come lo sono tutte. Sì, nemmeno al sangue versato dal califfato nero può seguire necessaria, ma come uscir di questa novella paura collettiva proprio non so. Ché mi gridano dentro, e griderò anch’io nella coscienza di altri, i morti di ogni violenza e con loro i bambini mai nati, vittime d’egoismo, e con tutti grida il cristo! È proprio buio ora, solo l’amore lo squarcerà, ché il cristo ritorna! E con lui la luce, la vita! Non è anche questo la resurrezione, non è questa la fede che domanda il nostro dio?

lunedì 22 dicembre 2014

Icone tue




Giovane, bella e solitaria pendi da questa parete altrimenti bianca. Certo stai lì per la mia preghiera, quando alle cose che ti dico o anche taccio, volti cari richiamo. Ma se in un tuo luogo tra le stelle anche stai e perché tanto lontana, non so. Ecco, sono già tante le mie parole, s’affollano, vorrebbero uscire, eppure le trattengo, le stipo in cuore già per sé gonfio. Ti raggiungono anche non pronunciate da cuore che restare non sa muto, nemmeno un po’? Vero leggere vi sai? Ma qui anche altra tua icona fa d’analogo. Anche per lei parole mute, trattenute, inespresse e lei ciononostante ne sente e molte, quelle che bussano più insistenti al cuore suo, ché pur da frasi incomplete venute, le accolga preziose. Ben strano è questo modo di dirle amore, ma fanno forse così tutte le donne che amano ed è, dimmi, l’amore tuo che si frammenta, ché per loro tu risponda a coloro che ti invocano, pur con scarne frasi? E come raggiungi chi donna che l’ami non ha? Piove amore dal tuo cielo in altri modi e forme? Sì, amore è sentore sempre di tua presenza e vive del tuo respiro, dei tuoi sospiri, e batte col tuo cuore. E se dico per amore è sempre un appena di te, del mistero tuo, ché tale esso rimane, nonostante tante intuizioni. E ora che nella natura smagliante sto ancora a pensarti, come bambino mi soffermo incantato a quest’erica, cespuglio fiorito, tutto imperlato di goccioline iridescenti. Così fantasmagoria di colori mi fingo tra i capelli tuoi soffusi di rugiada, che lieve agita, come fa con le infiorescenze di quello, questa brezza sotto a pallido sole. E un po’ m’acquieto, come risposta m’avessi dato, analoga muta a scarna domanda, Dove vero sei piccolo amore! Ma presto altra immagine di te ho, vivida col volto tuo come di mille stelle luminoso e vi sei come assai giovane, più di quanto richiami il ricordo della consueta immagine della parete bianca, proprio come vedo ancora gli amori di qui. Oh quanto vorrei questi due miei amori terreni, l’antico, ora anche smarrito tra le nebbie della mente sua, e quello che la benevolenza tua mi conserva rinnovato, ancora per me gli stessi di quando esse ragazze erano, condurre tenendoli per mano a specchiarsi in te, se sapessi dove! Ché belle si vedano come nessuna qui è, per aver amato, e chi?, un immeritevole di così tanto!

lunedì 15 dicembre 2014

Il vento




Perché non ricordo le prime parole che t’ho detto? Eppure a me sembra di vivere già con te l’eterno presente promesso, quello in cui tutto verrà riproposto in forma nuova per riviverlo prezioso, là nel luogo del solo amore, che forse è tra le stelle. Ascolta! mormora alle frasche del canneto il vento, dice parole confuse. Ha ascoltato, ha raccolto e lontano ha portato, fin qui ché le udissimo, forse cose dolci di innamorati, sospiri anche o pianto. E vero par ora pigolare un debole lamento. Amara sente forse la solitudine sua, tocca, sfiora e niente l’accoglie, lo trattiene e passa oltre. Dove va? Porta con sé qualcosa, foglie in questa stagione, le ruba agli alberi, che dormono forse sognando canto di innamorati uccelli e profumo di fiori novelli, ché pur sarà ancora primavera! Sì, solitario è il vento come l’anima mia, e come di quello alcuno ne sa legger parole, e forse solo intuirle, così quelle del mio cuore, che nemmeno tu sai complete, ignorate restano. Perché le taccio, quando dirtele vorrò? Tutto corre via proprio come vento fa, e passa, non per noi certo il tempo dell’amore, ma forse solo m’illudo e quelle di oggi scorderò certo come le prime pronunciate. E tu eri ragazza e io tanto innamorato, eppure nascondevo l’amore come temessi perderlo e non sapessi che lo si conserva, bene prezioso, solo se s’accresce condividendolo. E l’amore è fatto anche di tante parole e io sempre ne sono stato avaro! Oh quanto stupido ero, oh quanto stupido sono!

venerdì 5 dicembre 2014

Amore e odio



L'amore è un sentimento che ha necessità di magnificare l'oggetto del suo interesse e chi ne beneficia è libero di realizzare ciò che gli augura l'altro, che può promuoverne anzi il successo, nello svelare e far apprezzare la personalità e l'umanità sue. Assai diverso è l'odio, amarezza, giustificata o meno, di un cuore deluso, nei rapporti che con lui intercorrono, dall'oggetto del suo diniego. Ed è un sentire difficilmente unilaterale, come invece può essere l'amore, indifferente restando al suo invito l'altro. Perché l'amore può restare un'offerta disattesa, ma l'odio comporta sempre una risposta che è analoga quasi sempre, a meno che l'oggetto suo non risponda addirittura con perdono e amore all'offesa che gli viene dall'atteggiamento che l'altro gli fa subire, restando allora fedele al comandamento del cristo, con risposta simile alla sua, che sulla carne sua sperimentò fin dove può l'odio, che può desiderare e attuare l'annientamento dell'oggetto suo. Deleterio però è sempre l'odio, dà solo l'illusione di attuare il bene proprio, anche impedendo che l'altro realizzi se stesso e il suo bene. È sempre precarietà di entrambi i coinvolti che svilisce ogni loro ambizione. Quella che per lo più è celata, sempre temendo le conseguenze dell'invidia dell'altro, ritenuto sì indegno e mediocre, ma capace di nefandezza. Sì, l'altro è sempre oggetto di disappunto e disprezzo in una lotta senza regole, e, in segreto, o più o meno palesemente, se ne desidera l'annientamento appunto, ché sempre lo si vede come chi impedisce la propria felicità, pur con la semplice esistenza sua, che fastidiosamente è come gli si ponga di fronte nel suo cammino. Sì, l'odio genera altro odio quasi sempre! E per quanto vasto il mondo, quelli che reciprocamente si odiano vivono come in un carcere buio, in cui non c'è distinzione tra carceriere e carcerato, entrambi condannati a una stessa pena, in angustia e senza luce alcuna. Ma allora io mi chiedo, si può assentire all'affermazione di Papini, che l'odio non sia che amore imperfetto e inconsapevole di sé, in ogni modo migliore tirocinio d'amore che non l'indifferenza? Quando, come può esserlo? Se io odio, lo faccio come niente sia ogni valore, ogni riscontro positivo nell'altro, ben meritando una risposta analoga da costui. Ma io se continuo, impegnato nel pretendere riscontri alle mie svalutazioni ossessive dell'altro, non realizzo compiutamente me stesso. Spreco, brucio il meglio del mio, delle mie possibilità che possono restare in nuce o no, embrionali, non giungendo mai a un fine, o invece guadagnandolo con deludente ritardo. Posso allora riconoscere che la fonte della mia infelicità e non realizzazione completa è in fondo il mio stesso atteggiamento. Questa consapevolezza è già iniziare a risalire la china dal basso in cui sono precipitato e riguadagnare così luce e bene e, inconsapevole, farli riguadagnare a chi vi ho trascinato. E posso accorgermi di riottenere serenità di giudizio se rinuncio alla svalutazione preconcetta dell'altro. Processo che può continuare fino a scoprire valori prima negati, e questo può essere preludio, tirocinio d'amore, come vuole, pretende il cristo. Perché? Nell'altro possono non esserci evidenze, ma se la sua reazione si smorza e non si guarda alla superficialità e alle apparenze, ecco venir fuori il buono e il bello, che è possibile apprezzare, quando fiducia sia accordata e ben percepita dall'altro, che così può lasciarli trasparire. È allora che, nell'incredulità degli astanti, il primitivo odio ha creato, meraviglia!, premesse d'amore. L'odio è diventato problema dapprima per una coscienza onesta e ha potuto evolversi, se v'è del buono in chi lo abbia a lungo ingiustamente lasciato vivere nel proprio cuore, che se ne è ammalato. Comprendiamo, vivendo simili esperienze, il perché dell'amore sempre voluto dal cristo anche per i nemici? Siamo più preparati ad accoglierne il messaggio come comunità, come umanità, che va sempre educata all'amore? Ma il male, la colpa continuano, allora il cristo s'è lasciato morire invano? La società resta divisa in gruppi, qui il bene, nell'altra parte, ogni altra, gli avversari e il male. L'umanità in popoli, qui gente giusta e buona, altrove i cattivi che tentano di prevaricare. Proprio non c'è speranza? Forse no, se ognuno inizia dai rapporti personali e li migliora, davvero scoprendo che l'odio, è tentazione sì, ma anche possibilità, anzi già amore sebbene imperfetto, quando ad esso si sia ceduto e volontà s'abbia di uscirne! Un tirocinio che nessuno esenta, ché in tutti sorgono prima o poi le ragioni dell'odio, verso cose, istituzioni, persone, ma positivo se si diventa capaci di essere vero se stessi. Un vero sé che non classifica più cose e uomini, buoni- cattivi, giusti- ingiusti, e rinuncia a conformismi morali, ma che tutto accetta e scusa, ché riconosce che se la malattia morale è nell'altro, c'è sopratutto in esso stesso. Occasione irripetibile per capire e accettare il cristo!

martedì 2 dicembre 2014

Noli me tangere







Quando, dopo la resurrezione, il cristo stava per lasciare la concretezza di questo mondo con solo le parvenze dei morti suoi, tutti nel suo perdono, pregò la più amorevole e riconoscente delle sue devote di non trattenerlo, noli me tangere! Era anche come affermare che, pur non abbandonando l'uomo, anche continuando a guardarlo, direttamente più nulla avrebbe potuto e affidava a lui la cura dei fratelli amati, delle creature tutte, del mondo. Sì, come affermare di non avere più che le mani dell'uomo, e i suoi passi, di non avere più che il cuore dell'uomo a guidarli! E che così, soltanto per l'uomo, a tutti e tutto fosse da allora dovuto amore, lo stesso suo! E i problemi che da sempre assillano l'umanità? Cercarne soluzioni si sarebbe dovuto rimanendo nella sua luce! Invito al coraggio nell'apparente assenza del cristo, cercare risposte, tutte solo umane, coerenti con proprio credo vissuto. Sì, nessuna barriera posta dalla fede, rimanendo nell'amore! E quelli che in ogni epoca tentano di imbrigliare la volontà dei facitori di bene con pregiudizi, e pretendono che solo nelle valutazioni tradizionali sia quel che è richiesto per star dalla parte giusta, sbagliano, ché nulla è di più falso. Se il bene è meta e sta sempre oltre il realizzato, allora si resta ammirati, stupiti dal conseguito, dal raggiunto dai migliori di noi a dispetto dell'inerzia della prudenza predicata da certi saccenti delle cose del dio. Alcuni tra noi vogliono tenacemente il bene diffuso, sola guida la luce del cristo, nella libertà, quella dell'agire nel tentativo, eroico spesso, di trasformare l'impossibile fino ad ora, in possibile, conseguibile, raggiungibile, nel difficoltoso avanzamento della creazione verso il bene. Il ritorno suo al dio, ostacolo il male. Sono quelli che s'occupano dei problemi di tutti, privilegiando nell'ascolto quelli, quasi ormai senza più voce, perduta la speranza di appena diversa migliore condizione, che par vietata dai privilegiati di qui. Questi gli ultimi di ogni epoca che, soffrendo, busseranno alle porte del cielo ché si spalanchino, sì, intrent ut astra flebiles, ché tu, madre, recludis coeli cardines! Sì, son quelli proprio che recano offesa e disgusto con l'esistenza loro misera agli occhi dei benpensanti benestanti di questo mondo tanto ingiusto. Esistono scomodi testimoni della precarietà, dell'indigenza, della malattia, dell'abbandono. I loro sono problemi sempre accantonati, non solo nell'oggi che attanaglia tutti con difficoltà economiche tanto diffuse. Ma sono davvero insolubili? Certo l'uomo non è onnipotente, neppure il dio qui può tutto. Può ridare quello che la vita ha strappato dal nostro cuore? Ma all'uomo il suo cristo ha affidato un compito, amare, nonostante il negativo che la realtà sempre oppone, e quella d'oggi anche con le mostruosità sue. Uccidono qui ancora nel nome del dio! Allora nessuno può esimersi, rimandare, e dire al prossimo nell'urgenza del bisogno, noli me tangere! Sarebbe allontanarsi dalla realtà, che invece, coi problemi che pone, oggi specialmente, terribile più di sempre, tocca, trattiene, imbriglia la coscienza di chi sa d'averla in sé, nel cuore! Sarebbe dire al fratello, Quanto t'assilla non mi riguarda! Sto in una posizione diversa che t'esclude, ed è giusto, ché va così il mondo! È la vigliaccheria che il cristo aborre! Seguirlo vuol dire lasciarsi coinvolgere e perdere qualcosa o molto, anche tutto. E c'è ancora chi perde la vita per il cristo! Allontanarsi, o desiderare di farlo, di fronte al male, che tutti in qualche misura stringe, almeno per taluni come fastidioso problema, è perdere il cristo e il dio suo col suo cielo! Vuol dire restare, la vita tutta, a un bene minore, contentarsi che sia per sé e gli intimi almeno. Eppure verrà daccapo il cristo col la sua terribile domanda, Che hai fatto per me, che ne hai fatto della libertà che t'ho dato? Io non sono andato via, mi hanno trattenuto i buoni che sempre credono di fare a me quel che l'amor loro suggerisce per gli altri, e così voglio sia!





Sì, lui che ha detto noli me tangere, è stato trattenuto, rimasto nascosto e rimarrà finché ci sei tu, sconosciuto fratello, capace d'amore! Eppure quanti perché senza risposta! Perché la violenza sui bambini? Ancora e ancora! Ecco, sono alle soglie del bosco e mi ci inoltrerò, incantato in questo tempo di tardo autunno...Eppure sta in questo l'inferno!

mercoledì 26 novembre 2014

Iddio mio!







Se vero è che il bene è eterno, infinito, e sta in un suo luogo, oltre la finitezza delle cose di qui, la loro temporaneità, asceta è colui che tenta di raggiungerlo con i mezzi che lo star qui, attuale sua precaria condizione, gli consente. Ricerca del bene metafisico, qui presenti soltanto sue parvenze, che pur ne sono preludio e invito, è sicuramente anche tentativo di libertà dai contrasti del vivere qui, paura, dolore, morte! Ma è più ancora. Perché? Aspro ne è il cammino con impedimenti a ogni passo, ma deve essere continuo superamento del realizzato e mai appagamento, anche d'averlo reso disponibile per gli altri, se vero è che se si ha qualcosa, ne va condiviso il godimento e, se si aspira al bene, ne va condiviso il sogno, atteggiamento, richiesto dalla natura di ciò che si agogna, che chiamiamo amore. E il raggiunto va tenuto nel cuore, mai svelato! Sarebbe come se il seguace di Epicuro, asceta che cercò la libertà col raggiungimento del piacere metafisico, avesse la tentazione di fermarsi ai mille richiami, che il proprio sé ha dagli allettamenti del mondo e tenti di goderli, illudendosi di libertà, a scapito della liberazione degli altri, ignorando che quanto si ha di godibile, è permesso da un mondo ingiusto, che molti calpesta, affinché il fortunato possa sorridere o ridere sotto al sole, in un particolare piacere appunto. E, come seguaci così degeneri meritarono e meritano tutt'oggi, ché ancora e sempre ci saranno gaudenti, l'appellativo di porci, che si rotolano nel fango del loro stesso sterco, così nell'impegno al bene, alcuni meritano solo d'essere chiamati ipocriti, molti tra i frequentatori di preghiere corali! Chi sono veramente? Sono quelli che ostentano il bene raggiunto. L'hanno solo per se stessi e quelli più strettamente prossimi, e così non si curano dei più, e perdono l'anelito al bene e, rimanendo nel proprio hortus conclusus, perdono l'anelito all'amore, illudendosi di viverlo, avendolo così limitato! Non è questa la ricerca del bene, non è questo l'amore cui aspiriamo o avvertiamo, cercando colui che chiamiamo il dio. È vero, questi pur sta nelle piccole cose, successi, atti, però conseguiti o spesi a vantaggio di tutti. Solo così si cammina e non si sosta, pensando ai pochi raggiunti, quando molti sono ancora esclusi, non richiamati da alcun invito o che deliberatamente rifiutano il nostro interesse. Cioè chi non smette di agognarlo forse l'ha già, nel cuore almeno, ma certo il dio sfugge a chi è pago del bene conseguito, o con linguaggio del suo cristo, a chi guarda indietro, e così, per farlo, sosta!





Allora cercare il dio è inappagamento, e può essere mortificazione, tormento anche, ma non ci si può contentare del conseguito a prezzo di tanto impegno e forze spese, occorre che, anche se piccolo, il bene raggiunto abbia la massima estensione! Io devo includere nel mio raggio di sole, chi mi è strettamente vicino, ma pure chi m'è o si mantiene distante, per incomprensione, per invidia, per odio. Sì, chi mi è nemico! È questo, credo, il richiesto, stante la natura dell'oggetto d'amore. E come il vero asceta epicureo sta contento del suo poco e vive nascosto, l'asceta del bene s'appaga sì del poco e ne vive, ma pur esso ha messo a disposizione di tutti, pure di quelli che non l'amano e lo disprezzano, e vive nascosto. Non certo nel suo sé, ma schermato dal tenace suo impegno, discreto sempre, che mai ostenta, sempre anzi è umile e si ritiene inadeguato, insufficiente, per il suo compito, essere per tutti. È la sua insoddisfazione del raggiunto, e lo fa correre quand'anche vecchio, ché il suo cuore metaforico giovane è sempre ed entusiasta del bene e detta amore per tutto e tutti. Ecco nuove storture, angosce, impedimenti tanti. Ci sostenga allora la preghiera! E io che dirò, Sono già vecchio, timoroso di danno e mi minaccia, o già mi insidia, il dolore autentico, forse mi possiede, mi stringe dappertutto. Sono già nell'abbandono e nelle sofferenze del cristo? Non so, ma almeno, come lui, amo nonostante, disperatamente! E che dirò al dio? Perdonami! Mi sono addormentato sulle mie disgrazie e non sono stati bei sogni! Passato è forse il tempo dell'amore per tutti, ché forse nulla ho da donare ancora. Donabo me ipsum! Ho detto, e ora ripeto nell'angoscia! Ma ho bisogno d'aiuto, ho bisogno d'amore, di questa mia donna, di te! Tu non sei tra le stelle, forse stai nel mio cuore inappagato e deluso, stai nella mia solitudine, stai nel mio dolore, stai nella mia malattia e starai nella mia morte! Ti invoco con Francesco, Iddio mio, iddio mio!




giovedì 13 novembre 2014

La misura dell'amore



Dorme questa natura, stanca di aver tanto speso di sé, qui nel bello per tutto il tempo appena trascorso. Ora riattende stabile il bel tempo, né l'inganneranno suoi effimeri anticipi, ma, venuto l'atteso, sarà per essa qui ancora primavera, ché tutti ne godano! E sarà incanto di foglioline verde novello su alberi e cespugli, di erbette e fiori, e ne sarà variopinto il chinale, di ronzio di bombi affaccendati, di nettare vogliosi, di canto di saltellanti uccelletti innamorati e inseguirsi vago di farfalle in giochi d'amore. Così fa la vita tutta qui e altrove, sembra sopita ora, così l'umana che pare sonnolenta attendere tempi migliori, quando ora tutto le fa noia. Ma forse esercita la virtù della pazienza, che, se è tregua consigliera del forte, che freme e solo attende l'opportunità d'agire per più certo successo, può divenire tentazione d'accidia per il pavido debole, che tema di perdere pur il poco, che lo stare tra molti agguerriti, gli abbia consentito di trattenere a sé. Ma nella vita religiosa, col pungolo che di continuo fa alla coscienza del buono l'amore del dio, la pazienza è sempre colpevole se troppo temporeggia, fa allora resistenza, quando non ostacolo, al successo dell'azione del bene, ché stimola la sempre guardinga reazione del male, che arma i suoi tanti nemici. Né giustifica l'inazione la minaccia al proprio sé, quando prema l'urgenza di chi soffra e cerchi il benevolo atteggiamento da chi intuisce possa mitigargli la pena. Sì, l'amore divino non sa, né può attendere, le sue necessità vogliono, pretendono risposta, totale e pronta! Sì, non si può essere attendisti o peggio rinunciatari all'incalzare del male coi dolori e danni suoi. L'attendere è sempre sospetto di tema di coinvolgimento, ed è almeno tiepidezza, se non vigliaccheria. Questo è un mondo di troppi indifferenti e vi prevalgono quelli che eludono la propria responsabilità con mille pretesti, alla cui opportunità finiscono essi stessi per credere, tali la loro ragionevolezza e sensatezza, ma sempre deludono chi da loro molto o poco s'aspetti. Chi altri? Essi tradiscono anche la paziente fiducia di considerazione e di benevolo aiuto di chi assista al trasformarsi progressivo della propria favola, in farsa di vita. Tanto da apparire risibile, nei risvolti suoi spesso tragicomici, ai ridanciani superficiali, ma che, quando d'improvviso tragica diventi, quegli stessi rinserra nel cantuccio loro di vigliacchi inani, vedendo da quali mali la sorte, al momento, li risparmi. Lo dico dalla mia esperienza di vita, anche se riconosco non sia mai lecito indurre conclusioni generali dalle personali vicende difficoltose, quando non palesemente dolorose e penose. Né m'è lecito pensare al dio, che, pur buono, non mitighi il danno, né ne contrasti la causa all'origine. È dell'affamato di giustizia pensare al dio, come a chi mai parla, mai si giustifica, mai chiede perdono! E si arriva a perdere la fede, com'è accaduto bambino, ragazzo e ancora da adulto. È dolorosa esperienza di molti, quando l'impotenza di fronte a certi fatti estremi, morti, malattie, di persone care, tradimenti, raggiri, da persone in cui fiducia era stata riposta, induca la sensazione di star chiusi in un serraglio in cui, follia e ragione, indifferenza ed empatia, indecisione e pronta risposta, odio e amore, si equivalgono di fronte allo spadroneggiare del male e nel silenzio del dio, complice o indifferente tentati di pensare, tanto rende folli il dolore vissuto! E allora si grida a lui, e io, disperato, l'ho fatto più volte, tentazione demoniaca! Perché, perché non sono morto io e non è stato risparmiato il fratello caro di sicuro più buono, perché di quel male non sono morto io e risparmiato chi amavo, perché quella malattia non ha preso me e risparmiato persona cara, perché in quell'inutile lotta sono sopravvissuto ed essa non m'ha annientato? Perché questa vita mediocre fin qui mantenuta, perché non ho rotto la mia testa con colpo possente contro al muro del male, perché il mio, ora inutile, tanto sapere non l'ha scalfito nemmeno? Una risposta sola, Il dio mi ha in quelle ore, quei giorni, quegli anni abbandonato! Ma poi l'ho ritrovato e lui, scacciato, ho avvertito corrermi incontro, e mi son detto, La mia passata follia era forse giustificata, anche se eccessiva, m'è ora comprensibile, ma lo è anche scusabile o perdonabile? Non ho forse calpestato volutamente l'amore del dio? Ma ora daccapo spero nell'amore rifiutato più volte, sono stato un ribelle, sono ora un soldato, debole ormai, ma determinato a che in questo muro s'apra una breccia e l'ostinazione durerà fin a che forza residua duri! Non voglio più stare solo a guardare e, se io stesso vittima, nulla m'aspetterò, e richiederò poco, forse solo un appena dalla dolcissima donna, che mi vive accanto. A null'altro chiederò, sapendo quanto difficile sciogliere l'egoismo ostinato imperante, e quanto venale spesso è dei medici l'aiuto. E il dio che nemmeno allora parlerà? Pretende l'eroismo dell'amore, mi dirò! Vuole che il tempo ci faccia tutti santi! Dove sarà che si attui questa sua pretesa? Qui, per quelli che spenderanno la vita per contrastare e attenuare le conseguenze che ci vengono dall'unico vero problema, il male! Dopo, per un tempo personale, per i più, quelli tra cui sono, colpevoli di aver rimandato quel problema, accantonato sine die, il che è abitudine del pavido, sì, l'attendere che altri si spenda, e tutti siamo così in qualche misura, sempre attendiamo che altri faccia! Ma c'è qui chi vince la paura della probabile sconfitta, altri, e sono tanti, che si rassegnano a restare succubi rinunciatari. Allora penso nella mia, forse fallace, eterodossia, che sarà comunque il perdono e l'amore palese, già qui per quelli che riesaminano la propria vita alla luce di quanto qui possibile, divenuti capaci di bene, per i più, e lì mi vedo, quando ulteriore tempo sarà dato di là, perché continui a parlare la propria coscienza fino al ravvedimento, permettendo così s'entri nell'eternità, vera meta e destino di tutti! Ma fino a che qui si resta, che fare? Pregare occorre, ché il dio ci illumini su una cosa fondamentale, nella nostra azione o nella nostra rinuncia, sono sempre implicate persone, sono i sofferenti, in cui il dio soffre! L'indugio ne aumenta la pena! Chiedo al dio di fortificarmi il cuore, per correre incontro ai bisogni, non attenderli a portata, tutto fa necessità, tutto urge nel dolore! Non tarderà che con misura, pigiata e scossa, ci sia dato il vero cibo dell'anima, l'amore suo! Ma ci accorgeremo solo allora che anche qui era donato, anticipato nella fiducia che il dio già aveva, garante una persona per amore, da noi e da lui riamata! E sta anche in questa sua capacità di avallo per solo amore, il perché la donna mia verrà dove starò ad attenderla! Sì, la misura è già colma, riempita da chi qui ci ama! Ma sarà anche pigiata e scossa, e traboccherà!