sabato 30 maggio 2015

La speranza invitta



Parlo qui di due tipi possibili di speranza. Una a risposta che la fede fa certa, un’altra incerta nella risposta nonostante la fede. Io posso riporre nel dio la mia speranza, come mio ultimo rifugio in una vita tribolata. È come dire, il dio misericordioso sostiene la mia speranza di vita finalmente felice in lui. Ma, mi chiedo, spero nel sostegno da lui comunque, indipendentemente dalla sostanza delle cose desiderate, che mi auguro o pretendo attuabili oggi, non nella vita futura? Credo di no, piuttosto che quel qualcuno che credo m’ascolti, sostenga le mie giuste, ma generiche aspirazioni d’uomo di fede, che io davvero non ho bisogno di precisare. Già le sa per definizione, come colui che ascolta e accoglie, direi, se richieste da credente, che ne sappia linguaggio e limiti. E rimango in una speranza fiduciosa e tranquilla, nella preghiera formale soprattutto, perché so per certo che quando lui vorrà sarò nel suo luogo d’amore. Ma io posso trovarmi in una condizione particolare, pressante, di rovina o malattia per me o che minaccino persona cara. Allora considerata la legittimità, la necessità, l’urgenza di cose essenziali alla mia sopravvivenza o dell’altro, che farò? Non griderò forse per me o per l’altro assai caro e per chi amo, anch’ella nella miseria caduta dopo il mio turbamento, il mio assillo al dio? Ecco, ho implorato, ho pianto, pregando, rotto ogni formalismo, incessante fino allo stremo, ora ho occhi rinsecchiti e voce roca. Attendo trepidante, ma so anche che può non esserci risposta! Un dio che sfugge e fugge di fronte al mio dolore, direi allora nella amara delusione, amare le mie lacrime! E m’è accaduto bambino! Ecco, ora ricordo anche giorni assai diversi, rinfrancato, mi vedo in cammino tranquillo. Sì, sono tra queste cose belle di primavera, incanto d’erbe novelle, fiori e canto d’uccelletti. Ma è davvero così, un spettacolo sciorinato sotto a questo caldo sole or ora per il mio diletto dal buon dio? Ma non sono io stesso a giudicarlo godibile, perché così me lo fa vedere cuore sereno al momento e avido di cose nuove, che belle trova, forse dopo lunga privazione? Sì, non è piuttosto che io stesso dia al tutto un cuore palpitante, che al mio risponda, o forse il mio estenda, nelle aspettative e negli apprezzamenti suoi, fino a includervi ciò che ora fa la mia meraviglia? E allora, mi chiedo, non v’è di simile in questa mia preghiera accorata, cui urge una risposta? Sì, non la vorrei forse ascoltata con priorità dalla mia angoscia? Ecco che mi capita, a un certo punto avverto un che di imprecisato, ma che si rafforza fino a potermi dire, So che c’è un qualcuno nel buio che mi circonda! Sta lì per me, potrebbe, mi chiedo, di più del mero ascolto? Finisco col crederlo. È forse il dio buono che provvederà sollecito a ridarmi luce e fiducia, scemata un po’ la pena? Ma altro non v’è che questo mio sentire confuso in tanto buio in cui compare poco più di un fantasma benevolo, che io chiamo in modo cattivante, invoco fiducioso, ma che certo m’illudo intenda la mia speranza e ne concretizzi le particolari affannose richieste… Forse è davvero così, soli e disperati siamo in un mondo indifferente! Ma perché allora questo moto del sé, dell’anima, questo che da dentro mi viene e non trattengo, ma che fuori uscito, non si smorza, non cede all’evidenza ed è cosa che degradare non posso a mera illusione, dal momento che risposta non ha, non può avere? Sì, calpestata, derisa, da una sorte ria, riprende vigore a dispetto del vissuto. Come è davvero strano questo che di dentro, non vi resta, non teme di venir disilluso! È ora fuori e fa come la luce che nel vuoto sostiene le onde sue, quanti, stille che così viaggiano dalla sorgente loro. E non ho vuoto io tutt’intorno, di comprensione, di aiuto, di parole buone, d’amore? E allora che fa la mia speranza? Va in questo vuoto che mi fa tutt’intorno l’indifferenza umana tanto diffusa e se stessa sostiene! E grida, grida le sue ragioni al dio distratto o troppo lontano. E se lui non è da nessuna parte, o se lo star qui lo ha reso disperato, quanto e più di me, nel non potere che amore impotente, come un cristo perennemente in croce, ecco lui è allora la mia speranza invitta!

"In me omnis spes vitae et virtutis" dice di sé Maria. Ella sempre sperò nel figlio, che l'amò e l'ama tanto da restare nella sua stessa carne per sempre!

giovedì 28 maggio 2015

Rifugio nel dio



Ad dominum confugio, deficit in dolore vita mea et anni mei in gemitibus. Sì, ma non vorrei sia proprio così, Mi rifugio nel signore, la vita mia scema nel dolore e in gemiti i miei anni, per trovarvi consolazione dalla disperazione, da cui invece fin d’ora chiedo esonero. Ma l’ho davvero trovato? Sta almeno in questa fragile donna, nei pochi che ho vicini e in quelli che posso in rari momenti fortunati avvicinare? Tutti ne hanno un barlume e dir non posso, ecco sta lì o qui piuttosto, ma anche è vero che ci sono momenti in cui diventa più facile goderne la prossimità. Sì, la bontà sua è dispersa nella creazione tutta, non ne recano or ora bellezza questi fiori di chinale? Hanno un cuore, loro e le cose tutte di qui e del cielo? Sì, il nostro! Sembra stiano lì a sentire note or acute or gravi del canto d’amore che l’aere riempie e disperde or vicine, or lontane… e ne diano assenso, il capino ondeggiando alla brezza leggera, di più profumandola, ché sale d’acre spuma odorando di sotto dal mare, che frange agli scogli mosso ancora, per vento, or caduto, da est dei giorni passati. E gli umani anche e più ne recano, se capaci di capir la bellezza. Ma ora io, che qui mi sento quasi intruso e le mie mani trepide sfiorano l’erbetta molle ancora di rugiada di questo quadro che un pittore sublime or ora dipinge per il mio diletto, so di star vicino al dio. E dagli altri ho di simile? Sì, ma solo da alcuni che lasciano che sfugga loro il buono e il bello che pur dentro hanno. Sì, in rari momenti d’abbandono, come l’accompagnarmi oggi a piccoli passi in tanta meraviglia o di confidenza, come io stesso devo suggerire a questo mio compagno col mio parlare ingenuo di fiori, alberi e uccelletti, e di primavere lontane anche fiorite d’occhi di ragazze, e da quei ricordi al me stesso d’ora, ma con pudore, più timido ancora di pocanzi, confidargli cosa m’attendo o temo pur in questi giorni di serenità tanto diffusa. E così spinto è a dire il suo, e lo fa come da tempo non volesse altro, ma non trovasse modo e occasione per svelare di sé. Altrimenti no, così generalmente accade, ché ciò che dentro hanno tutti celato, proprio quando potrebbero confidarlo, è come se faccia loro d’improvviso imbarazzo e temano gli interlocutori prenderlo per debolezza, o piuttosto, in ambivalenza del loro sentire, sappiano d’avere qualcosa di prezioso e temano, svelandola, di perderla nella banalità che li circonda. Cui io stesso potrei ora partecipare se il mio dire, eccessivo prudente, forse poco sincero o falso addirittura suonasse, come dettato in cortese anonimato, tanto da far diffidenza, allontanare il compagno dal farmi confidenza e rendergli tutta banale la bellezza in cui immersi ci siamo. E con questa donna diverso non è, pur dopo tanto sodalizio. Sa d’aver un che di non svelato che impreziosisce l’animo suo o teme che povero sia per il mio cuore avido, e tace e perfino avara si fa di gesti, improvvisa tornando alla timidezza di quando aveva per me solo acerbo amore, ma assai dolce allora. Ma forse non sa quanto m’è cara, con ancora il suo chiudere gli occhi alle mie carezze, ora più di quando, io, fingendo un dolore acuto, l’indussi a un atto di estrema ingenuità, ma che tanto mi innamorò il cuore, che volle irrinunciabile il suo! Ella più di tutto e tutti misura la prossimità del dio alla voglia che ho di farmene rifugio. Ora che, avendola come tesoro, disperato esser non posso! Non sarà anche per questo che indugio e m’abbandono, se tra le braccia sue mi trattiene, raro oggi lo faccia spontaneamente?

lunedì 25 maggio 2015

Una congettura d’amore


Forse è stato davvero così, come qui dirò, per il dio dover farsi uomo, una necessità d’amore. Questa la mia congettura sul “cur deus homo?” . Modo non v’era diverso per farsi amare che far come uno di noi. Ecco, uno attende attenzione da un particolare tu, parole buone che il cuore proprio s’aspetta e quello dell’altro certo detta, se sta nella confidenza e non teme, ma il bene attende ricambiato, anticipato il suo. Sì, proprio come due che attratti, si muovono l’un verso l’altro, e l’un crede di anticipare ciò che l’altro ha già offerto, anche se lo ha fatto solo con le parole afone del suo cuore, ma che spinto l’hanno incontro a lui proprio. È sempre un dirsi parole avvertite nuove nella dolcezza loro, ma appunto già dette o già sognate nel cuore. Fino ad avvertir l’altro come un se stesso che gli sta davanti, come se uno strano specchio ne rifletta anzitutto l’intimo, e così l’uno scopre che l’altro ha il suo stesso sentire e dice le parole dello stesso proprio cuore. Allora lo stesso specchio fa di più, fa sentire che l’altro è anche il proprio corpo e la propria carne sebbene in una forma adorabilmente diversa. Non è questo che chiamiamo innamoramento? Non deve essere molto diverso col dio in forma d’uomo, non hanno spinto così tanto il loro sentire i mistici di ogni epoca? E io fin dove arrivo? Anzitutto credo che cristo io cerco nella misura di quanto lui mi stia cercando. Io non lo vedo nella forma attesa, l’orientale di quando sulla terra di Palestina camminava, ma in quella che egli si dà ogni volta che qualcuno si muove per incontrarmi, per chiedermi la benevolenza che è disposto a offrirmi. Sarà riconoscenza se è in bisogno e io soccorro le sue necessità o me ne preoccupo come mie siano, sarà offerta del suo sé, nell’amicizia o meglio e di più appunto nel particolare sentire che fa l’altro irrinunciabile, quando ci si sofferma a lungo a guardarsi negli occhi, inutili improvvise diventate le parole, e che chiamiamo amore. Allora poiché certamente l’interesse dell’altro al mio sentire, al propormi o addirittura alla mia persona tutta, mi fa lusinga, questa in felicità deve evolvere pensando al cristo che sotto quell’aspetto, quel particolare dire o tacere, m’è venuto incontro, ha voluto toccassi la sua prossimità, il suo star per me proprio a darmi una dignità d’uomo inaspettata, quella di poter vero amare il dio. E allora io guardo questa mia piccola donna e considero la fortuna fin qui che me l’ha conservata. Forse solo perché finalmente scoprissi quanto, per lei proprio, il cristo m’è stato e m’è vicino, m’ha ricambiato l’amore e lo ricambia, ma anche che più lo farà quando, nel luogo o tempo del solo amore, io angelo la vedrò, che ha palese il dio nel cuore e lo mostra, come ella anche qui ha senza saperlo.

domenica 24 maggio 2015

La sola speranza

      

A me fa meraviglia, pur all'età mia, come credo a molti, il cielo stellato, che da qui posso godere appieno solo attardandomi, salito a questi monti che fanno ghirlanda alla marina delle nostre cittadine, ad attendere la notte che s’annuncia serena. Ma anche mi fa incanto il sole che il cielo par lasciare per addormentarsi nel mare che l’accoglie a fargli culla, ma anche quello che da queste vette sale invitto ad inondare della luce sua tutto quello che in questo seno sonnecchia. Quando piccolo, assai diverso era, tanto scarse le luci nel primo dopo della guerra con tante angustie e orrori da scordare, possibilmente in fretta, in avanti fuggendo l’infanzia. Allora lì, dal terrazzo della nostra casa in soffitta, io con mio fratello, bambino pure lui ma più grande, genitori volendo, stavamo a guardare farci incanto i mille e mille splendori e le tante stelle cadenti delle sere d’estate che invitavano a un desiderio da tener segreto, perché s’avverasse. O quanto delusi sarebbero stati! E presto solo sarei rimasto a mirar quelle stesse lucciole di cielo a farmi sconcerto e tristezza. Perché l’autore di tanta bellezza aveva permesso la mia disperazione, un dolore troppo grande per piccolo già provato cuore? La stessa domanda di tante situazioni poi vissute nella bruttezza loro, a farmi sentire il peso e l’amarezza, che la fede lascia ci raggiungano. Ma come il sole ritorna con la giocondità sua, che fastidiosa e inopportuna può lì-lì apparire a cuore fattosi triste, finisce col vincere, coinvolgendo di sé a dare almeno serenità, così, timida dapprima, si riaffaccia la speranza e la fede torna con le ragioni sue, riproposte quasi con ostinazione, anche se i miti suoi fanno meno stabile lor dimora in cuore solo socchiuso, perché ormai diffidente. Sì, tutte le parole sono insufficienti e inadeguate di fronte al mistero della vita e qualcuno, che par saperne, riferisce incauto, perché farà alla altrui coscienza, titubanza, incertezza, l’esperienza sua mistica di contatto col postulato autore del tutto. Sì, il racconto si fa agli altri mito, favola, ché i creduloni solo accettano acritici, ma i virtuosi prudenti ne restano, ma rispettosi. Allora la fede mi diventa eroica, devo credere nonostante ciò che mi capita spiacevole, ma anche a causa di chi invita ad aderire a un libro di mirabili esperienze trasmesse, ma quasi tutte fabulatorie nel contenuto. Allora io posso solo lasciarmi irretire da chi, dalla sofferenza sua mai sopita, finché c’è chi la prova, getta la rete a catturare questo apparente ribelle pesciolino, che mi fingo, immaginifico, stia nuotando nelle tante lacrime che tutti versano, prima o poi copiose. È il cristo che solo può parlarmi, tacciano tutti, i narratori mistici ma mitici, lo facciano, ma i saccenti per primi! Ma quel tu non parla per parole, mi invita afono al suo amore, per me, per il dio suo, la donna mia e tutti gli innumerevoli esseri che brulicano per questo mondo in tanto dolore. E io non so resistere ai suoi fonemi non muti al cuore, condivido il suo amore e m’abbandono alla sua verità, per me sola speranza ormai.

venerdì 22 maggio 2015

Regola e comportamento




Io non so cosa il bene sia, né so del male, ma conosco i loro effetti sua mia vita. Allora esprimermi devo per metafora. Bello è il sole che sorge a scaldare della luce sua ogni cosa e che s’affaccia a questa marina, e di cui è dolce godere se ci si leva per tempo al mattino. Ma spesso l’ostacolano nubi scure che il cielo ingombrano appena sopra le vette che coronano a est questo golfo. E così, ritenendo appropriata l’immagine, posso illudermi di sapere qualcosa del mistero loro. Ma come comportarmi? L’umanità mia sta tra tante altre presenze. Sì, che fare? Penso che più che appellarmi alla regola d’oro di trattare gli altri tutti, ognuno prossimo, come se stessi, dal momento che è del solo cristo questa estensione all'umanità tutta del concetto di prossimità, cosa da sperimentare nel tempo per convincersene e dura da accettare a priori, forse inizialmente mi dovrò affidare a un criterio solo soggettivo. Quale allora il mio dal quale però staccarmi da sempre tento per agire in perfetta coerenza? Mi ingombrano l’anima certe cose passate e ora so che certi giudizi, certi comportamenti con le parole loro, se fossero stati più adeguati e migliori, vita avrebbero ora in ben più sereni o anche appaganti ricordi. Ecco che nei fatti d’oggi io a me stesso ripeto, Queste parole, questi gesti, mi farebbero forse vergogna se avessi tanto tempo da richiamarli alla mente e giudicarli, mancando l’emotività o perfino l’animosità d’oggi, che il tempo sempre vuol scusare e spegnere? E così sono prudente, non seguo l’impeto e l’istinto. Cerco di capire chi ho di fronte, che s’aspetta e di non deluderlo o di provocarne spiacevole reazione. Ma di fronte alla parola cattiva subita o al palese torto, ricorderò, e mi sforzerò di comportarmi di conseguenza, che il cristo raccomanda di pregare per chi ci perseguita. È tutt'altro che un comportamento carente, rinunciatario o addirittura vile, ché richiede di essere veri uomini. E che farò, mi chiedo, se la minaccia è alla compagna mia? Mi interpongo allora, anche solo subendo, ma evitandole l’offesa o che i nostri figli ne restino coinvolti. Io altro davvero non so, ciascuno interpelli se stesso fino alla coerenza col cristo cui dice di appartenere, il mio fare non è un modello, ché è sicuro carente, e dico, Si faccia d’analogo, ma meglio perché il cristo vuole s’ami il nemico perfino! Sì, è difficile oggi comportarsi da veri cristiani in un mondo fattosi tanto brutale, ma lo domanda la fede. E ci conforti che forse le epoche passate lo sono state di simile o più ancora volgari, ma basso è oggi il valore d’una vita, meno di quanto suggeriva un tempo l’ignoranza e la conseguente insensibilità, che però la conoscenza, il sapere, oggi più diffusi, non correggono. E io abbraccio questa donna e bacio i capelli suoi ingrigiti e so che se ne rassicura. Non perché è tra le braccia di un forte, ma di uno che l’ama e solo questo ha, tenuto come tesoro, ed è questo che le dona.


Christe, tibi donabo me ipsum!




lunedì 18 maggio 2015

L'ultimo perdono










Quando v’è un atteggiamento ostile d’altri verso la vita nostra, non importa quanto vi abbiamo concorso, per colpa più o meno palese o per mal riposta fiducia, certo fulmini dal cielo per chi ci odia pretendere non possiamo. Ma che si ravveda forse sì. In realtà stiamo chiedendo molto. Tutti perdonati dovremo essere quando, a chi disposto troveremo ad ascoltare, raccontare dovremo con ritrovata sincerità la vita nostra, le manchevolezze sue e le mille occasioni per il bene, perdute. Egoismo, dabbenaggine, trascuratezza, ingenuità nel pensare con leggerezza che, se una occasione ci sfugge, cento altre si ripresenteranno, e tanto altro di un lungo elenco di fatti, che appesantito hanno la vita, tentandola spesso al male attivo addirittura. Tutte fanno colpa che l’anima fa brutta. Ma che misura una vita così spesa, tanto deficitaria? Il bene è una forza che fa del mondo e di chi vi brulica, l’occasione, tanto aleatoria di evidente successo, di dimostrarsi il fine ultimo delle cose tutte. Procede non solo nonostante il male che gli si oppone, ma nell'incertezza di chi, sonnacchioso, vive la mediocrità sua, restandogli tiepido, quando non indifferente. Il suo affermarsi è il solo modo che il dio ha di mostrarsi come speranza. Se la occultiamo con un comportamento irresponsabile facciamo il male, non solo nostro e di chi amiamo, ma delle creature tutte. Quelle che fremono quando il nuovo giorno schiarisce la notte delle attese e delle trepidazioni, quando non di paura, e, ignare, non sanno perché soffrono, e non sanno per chi. Non è questo in fondo il male? Rendere più buia la notte, velare con scure nubi minacciose il sole nascente che scaldare della luce sua tutto vuole? Sì, esso può essere tanto altro ancora, ma in fondo è sempre bruttura di luce negata, quando invano, disperati, se ne cerca un barlume con pupille che avide si dilatano a cercarla nel fitto dell’aria greve e untuosa che gli stupidi sempre fanno più nera. Ecco la vita è allora una misura della stupidità umana. Eppure nonostante tanto, va il bene, avanza, s’afferma, e tutti recuperare vuole alla causa sua e alla visione della sua bellezza. Sì, proprio tutti siamo immeritevoli, bisognosi di capire, di detergere gli occhi cisposi, di farci perdonare, di amare. Ed è in fine il bisogno d’amore che ci rende degni di considerazione e riscatto da parte di chi è il bene. Quest’amore in nuce è come un granello di sabbia, ben dalla conchiglia una perla si mostrerà! E questo avverrà immancabile, il dio tutti accoglierà, ma di quanto pianto sarà quel postumo pentimento! E pure per noi, dolce compagna. La vita con te è di tante parole, ma muta a volte, ché ci fa incanto il silenzio. Allora è fatta di braccia che l’uno protende all'altro che tra le sue le accoglie e così insieme protese sono al dio e al perdono suo.

sabato 16 maggio 2015

La vita a due



L’amore è condizione psicologica che fa avvertire l’altro come un sé che vive accanto a condividere la stessa sorte di bene. Ma condividere la vita significa spartirla sempre e potrà accadere che l’altro richieda attenzione e cura. Allora sarà il tempo a dire la misura di un amore, ché non solo la gioia è dei due, ma anche le angustie, che sempre l’insidiano. Ecco qui un amante che si preoccupa dell’altro. La situazione potrà risolversi  o irreversibile peggiorare. Se l’amore è autentico questa circostanza, triste vissuta, può addirittura far crescere il  sentimento e ad entrambi far provare il mai sperimentato prima, la dolcezza incomparabile della dedizione completa, nel donarla e riceverla. Quando questo accade l’amore è manifestazione di quello divino. Il dio ama e vede l’amato perdersi e il non poter arrestarne l’allontanamento dalla vita rende struggente l’apprensione sua. Allora l’amore suo  impotente ne resta sì avvilito, ma aumentato a dismisura, come ognuno che vero ama sperimenta, diventando il comportamento suo specchio di quello che al dio accade per ogni sua creatura che sta per perdere. Ma questo fatto estremo  porterà il dio fuori dal tempo, in cui si è immerso per restarle accanto e, recuperata l’onnipotenza sua, le ridarà la vita. Ecco che il male, che vorrebbe distruggere l’amore, sta in ultimo al suo servizio, lo nutre allora, lo fa crescere e tutto accade come se l’inevitabile sua presenza abbia come fine ultimo il bene. Paradosso? Ma il dio ha fatto il mondo per amore e vi è dovuto entrare il male, che tutti subiscono, lui pure. Esso tutto può aggredire e distruggere ma non l’amore che lo ha permesso, ché si spinge  fino all'apparente suo annientamento, ma alla fine esso, quando tutto sembra precipitare, proprio l’amore riafferma! Non è questo che rappresenta la vicenda del cristo? Essa scrive il destino di tutti. Ecco ogni speranza spenta, un morente annega nel dolore di chi lo ama. Le parole disperate possono essere poche, rotte da un’invincibile emozione e le lacrime possono essere versate o trattenute, ma tante da parere eccessive come i lamenti che le accompagnano, ché le motivazioni tanto terribili paiono da far ritenere che mai alcuno abbia vissuto niente di più radicale tristezza… Ma tutto è già accaduto al cristo e alla madre sua e a chi li amava. L’amore del dio pareva perduto ché percepito non era, perciò l’abbandono palese, e il dolore, non solo quello fisico, ma anche quello d’essere senza aiuto alcuno, impregnava la vita che apparente si spegneva. Succede questo per tutti, non si muore altrimenti. Così accadrà per noi, piccola donna, che da sempre scudo ti fai al male. Ma ci ritroveremo nel luogo delle stelle a ridirci le parole di qui recuperate, lontano portate da vento ottuso ma non oltre i confini dell’amore.

lunedì 11 maggio 2015

Come pregare?


Quando le spiacevoli conseguenze di un accaduto subiamo e ci angustiamo con “avrei potuto fare e dire” della saggezza del poi, o ciò che il corpo addolora fin all’anima giunge e l’attosca, ché nulla più pesa dell’apparente abbandono del dio e dell’indifferenza degli uomini, che fare? Pregare? e come? Di quante cose è la mente! Stipa immagini, parole, che fanno il ricordo di fatti recenti o lontani. Ma l’oblio vuole prenderseli e io, che perfino più non ricorderei quasi nulla del volto di mia madre se non me lo suggerisse una sua immagine, che posso richiamare di quello delle poche cui balbettai amore? e quando fu e poi che ne è stato di tanta sincera passione? Chi me le ridarà nelle fattezze loro, incanto d’allora, se perfino tanto lacunosi sono i ricordi? E per quella lontana, smarrita che amare più non potei, avrò altra occasione per dirle i sogni di allora e le parole di quelli, che nemmeno più so? No, tutto ciò che è accaduto è perduto. Nessuno, nemmeno il dio me lo ridarà. Il dio ha fatto il tempo, lo scorrere delle cose e perde l’onnipotenza sua se in esso star con le creature sue vuole. Ed è forse per questo che ripeto ossessivo a questa donna le parole del mio amore e i gesti che lo fanno vivere, sì, non vorrei diventare un ricordo incompleto della mente sua quando impossibili saranno le concretezze d’amore. Ma forse, e lo credo come spero possibile amore per sempre garante il buon dio, mi riamerà nei fiori suoi e più ancora in quelli di campo e forse sarà bello ancora per il cuore suo! Ma forse tutto questo dico perché pregare non so e nessuno può insegnarmi, anche se spero che per molti sia diverso e la loro buona preghiera trovi invece pieno accoglimento. Ecco qualcosa mi accade di doloroso. E quello che ho, parole diventa nella semplicità del cuore, e così faccio come parlando a mia madre, ché così avverto chi spero m’ascolti. Allora che dico dopo l’essenziale per descrivere le mie spiacevoli sensazioni somatiche e partecipare il mio turbamento? Attenuami il pungolo nel corpo e il buio nell’anima! Dico poco, dico troppo, è debolezza, è cauta speranza per me e chi amo? Non so, e intanto questa donna riempie di lacrime gli occhi suoi! Allora le dico, Guarda è daccapo tempo di lucciole! E nel buio cento stille pulsanti stanno scrivendo lor parole d’amore...