lunedì 25 maggio 2015

Una congettura d’amore


Forse è stato davvero così, come qui dirò, per il dio dover farsi uomo, una necessità d’amore. Questa la mia congettura sul “cur deus homo?” . Modo non v’era diverso per farsi amare che far come uno di noi. Ecco, uno attende attenzione da un particolare tu, parole buone che il cuore proprio s’aspetta e quello dell’altro certo detta, se sta nella confidenza e non teme, ma il bene attende ricambiato, anticipato il suo. Sì, proprio come due che attratti, si muovono l’un verso l’altro, e l’un crede di anticipare ciò che l’altro ha già offerto, anche se lo ha fatto solo con le parole afone del suo cuore, ma che spinto l’hanno incontro a lui proprio. È sempre un dirsi parole avvertite nuove nella dolcezza loro, ma appunto già dette o già sognate nel cuore. Fino ad avvertir l’altro come un se stesso che gli sta davanti, come se uno strano specchio ne rifletta anzitutto l’intimo, e così l’uno scopre che l’altro ha il suo stesso sentire e dice le parole dello stesso proprio cuore. Allora lo stesso specchio fa di più, fa sentire che l’altro è anche il proprio corpo e la propria carne sebbene in una forma adorabilmente diversa. Non è questo che chiamiamo innamoramento? Non deve essere molto diverso col dio in forma d’uomo, non hanno spinto così tanto il loro sentire i mistici di ogni epoca? E io fin dove arrivo? Anzitutto credo che cristo io cerco nella misura di quanto lui mi stia cercando. Io non lo vedo nella forma attesa, l’orientale di quando sulla terra di Palestina camminava, ma in quella che egli si dà ogni volta che qualcuno si muove per incontrarmi, per chiedermi la benevolenza che è disposto a offrirmi. Sarà riconoscenza se è in bisogno e io soccorro le sue necessità o me ne preoccupo come mie siano, sarà offerta del suo sé, nell’amicizia o meglio e di più appunto nel particolare sentire che fa l’altro irrinunciabile, quando ci si sofferma a lungo a guardarsi negli occhi, inutili improvvise diventate le parole, e che chiamiamo amore. Allora poiché certamente l’interesse dell’altro al mio sentire, al propormi o addirittura alla mia persona tutta, mi fa lusinga, questa in felicità deve evolvere pensando al cristo che sotto quell’aspetto, quel particolare dire o tacere, m’è venuto incontro, ha voluto toccassi la sua prossimità, il suo star per me proprio a darmi una dignità d’uomo inaspettata, quella di poter vero amare il dio. E allora io guardo questa mia piccola donna e considero la fortuna fin qui che me l’ha conservata. Forse solo perché finalmente scoprissi quanto, per lei proprio, il cristo m’è stato e m’è vicino, m’ha ricambiato l’amore e lo ricambia, ma anche che più lo farà quando, nel luogo o tempo del solo amore, io angelo la vedrò, che ha palese il dio nel cuore e lo mostra, come ella anche qui ha senza saperlo.

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